marzo 2013

Umiltà nel servizio

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Umiltà nel servizio 

Giorni di preparazione alla grande Festa della Resurrezione di Cristo trascorsi con segni di semplicità e tenerezza rivolti a noi da Papa Francesco.

 

 

Già nell’omelia del Giovedì Santo Papa Bergoglio ha rivisitato quali siano le vere attribuzioni di colori che esercitano il mandato sacerdotale … mansioni anche valide per tutti coloro che svolgono apostolato laico.

 

“Chi non esce da sé, invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore. Tutti conosciamo la differenza: l’intermediario e il gestore “hanno già la loro paga” e siccome non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore, non ricevono un ringraziamento affettuoso, che nasce dal cuore. Da qui deriva precisamente l’insoddisfazione di alcuni, che finiscono per essere tristi, preti tristi, e trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità, invece di essere pastori con “l’odore delle pecore” – questo io vi chiedo: siate pastori con l’”odore delle pecore”, che si senta quello, siate pastori in mezzo al proprio gregge, e pescatori di uomini. È vero che la cosiddetta crisi di identità sacerdotale ci minaccia tutti e si somma ad una crisi di civiltà; però, se sappiamo infrangere la sua onda, noi potremo prendere il largo nel nome del Signore e gettare le reti. È bene che la realtà stessa ci porti ad andare là dove ciò che siamo per grazia appare chiaramente come pura grazia, in questo mare del mondo attuale dove vale solo l’unzione – e non la funzione -, e risultano feconde le reti gettate unicamente nel nome di Colui del quale noi ci siamo fidati: Gesù”.

 





Già da tempo, dall’ esigenza di un rinnovamento della Chiesa ci venivano pensieri quali:

 

II Dio a servizio degli uomini, che considera figli suoi, rende inutile il culto inteso quale offerta o servizio reso a un Dio che ormai non chiede né ha bisogno di qualcosa. Su questo culto si fondava la religione.

 

L'alternativa proposta di Gesù è la fede, intesa quale risposta dell'uomo al dono d'amore che Dio fa di se stesso. Mentre nella religione il culto diminuiva l'uomo che si privava di qualcosa per donarlo a Dio, nella fede il nuovo culto, inteso come prolungamento agli uomini dell'amore comunicato da Dio (Gv 4,21-24; Rm 12,1), potenzia l'uomo, e lo arricchisce della stessa vita divina.

 

Mentre la religione prescrive il sacrificio nei confronti di Dio, Gesù insegna l'amore nei confronti degli altri, riallacciandosi a quanto espresso da Osea: Misericordia io voglio e non sacrificio (Os 6,6; Mt 9,13; 12,7).

 

L’unico culto che il Padre richiede e cerca è quello in spirito e verità (Gv 4,24) mediante l'accoglienza del suo amore e il prolungamento all'umanità. Dare culto al Padre significa collaborare nella sua attività creatrice, stando sempre a favore degli uomini, nella costante pratica di un amore fedele.

 

 

 

Ora Papa Francesco inaugura una modalità semplice di rivolgersi al Signore: quella dell’umiltà e della misericordia che diviene addirittura tenerezza…  

 

Seguendo la cronaca del Venerdì Santo è tutto un richiamo a questa linearità non priva di una precisa chiarezza e determinazione:

 

PAPA Francesco arriva poco dopo le 21 nell’area dei Fori imperiali. La serata romana è fresca, ma spira aria di primavera. Attorno al Colosseo sono assiepati già migliaia di persone, fedeli, turisti, giovani. È la prima Via Crucis al Colosseo di Jorge Mario Bergoglio. Evento trasmesso in mondovisione. Il Papa argentino il pomeriggio era nella Basilica di San Pietro per il rito dell’Adorazione della Croce: il pontefice si è tolto la mitra e si è steso sul pavimento.

 

 

 

Al Colosseo papa Francesco è arrivato con il suo stile ormai consueto. Scende dall’auto blu del Vaticano con un sorriso largo e cordiale, saluta i fedeli da lontano, stringe mani, chiacchiera con il sindaco di Roma Gianni Alemanno e con il suo vicario per la diocesi della città eterna, il fedelissimo cardinale Agostino Vallini, che ha portato la croce per la prima e l’ultima Stazione. Poi, avvolto in un cappotto bianco, il Papa si siede su una poltrona rossa sotto il gazebo installato sul colle Palatino antistante l’anfiteatro Flavio.

 

 

E cala in uno stato meditabondo, serio, silenziosissimo. Nel 2005, Giovanni Paolo II, che si avvicinava alla morte, aveva affidato le meditazioni al suo erede naturale, quel cardinale Joseph Ratzinger che proprio al Colosseo denunciò la ‘sporcizia’ presente nella Chiesa, quasi un programma di governo degli otto anni successivi, marcati da scandali come la pedofilia e i veleni del un Vaticano. Ora Papa Francesco ne ha raccolto il testimone e molti dei cardinali che lo hanno eletto in Conclave sperano che sappia purificare la Santa Sede e fare uscire la Chiesa cattolica da una crisi che riecheggia la passione di Gesù.

 

 

Aiutaci Signore a nutrire sentimenti di Fede autentica, ponendoci al tuo cospetto con atteggiamenti di abbandono, in quanto  “…l’anima appesantita non è derubata della libertà… perché Dio ci giudica amandoci!”

 

 

 

 

Edda CattaniUmiltà nel servizio
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Comunicazione e comunione

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 Pubblico in risposta al GRUPPO METAFONISTE DI FACEBOOK

Questo prezioso documento ha vent'anni e mi è stato consegnato in copia (che ho ribattuto) da Agnese Moneta, la Mamma di Frangi, nel mio primo Convegno del Movimento della Speranza, quando vi partecipai ancora fresca della dipartita del nostro Andrea. Anche se trovo che sia, in alcuni passi, abbastanza rigido, fu per me una guida sicura e con queste direttive intrapresi una ricerca nel rispetto della comunicazione con i nostri Cari.

 

BAVENO 8/5/93

 

COMUNICAZIONE E COMUNIONE CON I NOSTRI CARI

 

 

La comunicazione con i nostri cari trapassati all'altra dimensione dovrebbe avere lo scopo di condurci gradualmente all'intuizione dello stato in cui essi sono stati inseriti, stato molto diverso da quello che conoscevano, molto diverso dal nostro,in cui dobbiamo continuare a vivere, e pertanto, alla fine, dovrebbe generare in noi una totale comunione con loro,comunione di sentimenti e di valutazione dei valori.

Io penso, appunto, che lo scopo primario per cui questi contatti coll'altra dimensione sono permessi, sia quello di far intravedere un po’ di Cielo alla nostra umanità moderna, corrotta negli ideali e nei propositi,stupidamente protesa ad una corsa disperata ed inutile per la conquista di beni terreni e transitori, come la ricchezza, la notorietà, la fama, il successo, la bellezza esteriore, la buona salute, il benessere sociale. Ai nostri figli noi abbiamo insegnato questi valori,perché avessero successo nella vita, ma abbiamo insegnato valori falsi,che in seguito siamo stati costretti a rivedere. Valori apparenti, che abbiamo elevato ad idoli del nostro vivere sociale e di cui abbiamo reso schiavo il nostro intelletto, mentre, per raggiungerli,abbiamo sperperato senza nemmeno accorgercene le forze migliori che albergano in noi stessi.

L'impostazione della moderna società oggi lo esige. Ma appenda però, accade nella nostra famiglia un fatto negativo, irreparabile, che ci tocca e non rientra nella norma cui egoisticamente ci siamo abituati, ecco che nel nostro cervello si scatena un vero e proprio finimondo e i più non riescono a capacitarsi che proprio a loro il destino abbia riservato un'ingiustizia così pesante,un’ingiustizia così ingiusta,….. il destino o Dio? Meglio prendersela con Dio, perché ricordiamo vagamente che un tempo ci hanno insegnato che Dio è buono e misericordioso e giusto. Quindi, perenne?

Una saggia massima proferisce: "La misura in cui credi nella disgrazia e nell'ingiustizia è la misura della tua ignoranza".

Ora fra noi ci sono molti genitori che hanno superato questa prima fase con grande intelligenza e cuore aperto, si sono resi conto della realtà vera che esiste dietro la cortina di fumo di errate mentalità e si sono incamminati con fermezza, serenità e gioia interiore sulla strada che i nostri figli trapassati hanno indicato ed indicano a note sempre più evidenti e chiare.

Ci siamo resi conto, noi del Movimento della Certezza, che coloro che noi abbiamo pianto, immobili e cerei, ma bellissimi,nel sonno eterno dentro la bara,si sono trasformati in esseri trasparenti e luminosi, che si aggirano attorno a noi, invisibili, sulla terra, e viaggiano rapidissimi nell'immensità del cosmo,che sono dotati di poteri superumani e nutrono sentimenti sublimi perché alimentati direttamente dal Divino Amore, che nella loro dimensione, o possibile assaporare e godere molto più facilmente ed efficacemente di quanto sia concesso a noi, qui sulla terra.

 

Quante comunicazioni,giunte nei modi più svariati e complessi,convergono tutte alla conferma di questo concetto. Lo affermo con sicurezza, coll'esperienza di diciassette anni di comunicazioni dirette e di confronto colle esperienze di altri genitori,centinaia, forse anche migliaia, che me le hanno raccontate.

Il quadro è unico, e stupefacente nella sua compattezza e nella corrispondenza: I nostri ragazzi della luce ci hanno dipinto, fornendocene anche le prove, una esistenza nell'altra dimensione che è tutta da assaporare e da godere, tanto bella, grande, gioiosa ed utile, che nessuna delle persone interpellate, se per caso volessero tornare indietro, ha risposto di sì. Unanimemente tutti gli spiriti di Luce, o coloro che si stavano incamminando verso la luce, hanno fornito una risposta identica, nessuno vorrebbe tornare, essi hanno trovato una condizione ottimale, infinitamente migliore di quella che hanno lasciato, e intuiscono, se già non sanno, che quella condizione è passibile di ulteriore miglioramento. Frangi, per primo, disse:"Qui non mi manca nulla abbiamo molto di più di quello che avevamo in terra. Allora avevamo il vostro amore, ma possiamo averlo anche qui, se voi seguitate a mandarcelo, sta a voi amarci, ancora, meglio e più di prima". Una volta constatato, attraverso comunicazioni incrociate, segni e prove di ogni tipo, che essi affermano la verità e sono davvero felici là, dove il disegno di Dio Padre li ha chiamati, il nostro cuore dovrebbe calmarsi e trovare pace, non gridare più parole disperate e di ribellione, incanalarsi ubbidiente nella via della fiducia e della comprensione della volontà della Divina Provvidenza. E1 un mutamento che avviene nella nostra coscienza,quando, alla fine di una penosa ricerca, qualcosa all'improvviso ci convince, arrecando l'elemento definitivo, il pezzetto che mancava ancora al mosaico. All'improvviso ci viene fatto di saltare il fosso dell'incomprensione e della diffidenza. A volte il salto è provocato semplicemente dall' ascolto di una conferenza o soltanto di una voce amica che ci convince perché tocca quella piccola corda nascosta nel profondo del nostro essere che, magari, ignoravamo anche di possedere. A volte è la ragione stessa che ci impone di rivedere le nostre posizioni perché si è verificato un fatto che razionalmente, umanamente, non si è in grado di spiegare e bisogna ricorrere alle conoscenze paranormali; a volte ci si arriva collegando mentalmente tanti fatti che ci sono accaduti, fatti apparentemente insignificanti, ma che presi nel loro complesso messi insieme, costituiscono una montagna di indizi che convergono tutti alla stessa conclusione.

 

Tale processo si è verificato per me in diciassette anni di strada battuta con interesse sempre vivo, attenzione, fede e volontà di capire, e posso affermare,sulla base della mia esperienza personale,che si tratta della forma più completa e consistente per arrivare alla certezza, perché è come la costruzione graduale di una torre, pietra su pietra,attaccate l'una alle altre con cemento indissolubile, per cui tutta la costruzione è solida,compatta, non presenta né incrinature, né tare. Per questo motivo ho sempre consigliato i miei amici di non aver fretta, lasciare tempo al tempo, dopo aver gettante le radici e lasciarsi guidare da "loro" che possiedono attitudini,forza e saggezza per attuare quanto è stato stabilito, nel modo e nel momento più opportuno. I figli di luce guidano il nostro cammino terreno e lo fanno per condurci al Cammino Celeste.

 

Impercettibilmente, sulle prime,ci sospingono nella direzione da essi voluta, mediante incontri, letture, discorsi che ci colpiscono e ci fanno mutare orientamenti, desideri e speranze. Si valgono di avvenimenti per noi casuali, ma da essi predisposti, sicché non si può più attribuirli al "caso", conoscenze nuove, conversazioni, letture,anche spettacoli televisivi. Dalla telefonata alla persona giusta può scaturire l'inizio di un radicale cambiamento di vita. Poi, man mano si avanza , le concatenazioni diventano più evidenti,ci accorgiamo di essere presi nel giro, di divenire parte di un disegno importante,che è bello lasciarsi condurre dagli invisibili, offrendo ogni ora della nostra vita di attesa,ed allora pace e financo allegria compenetrano il nostro essere e diveniamo veramente partecipi di un Progetto del Cielo, assecondando la volontà di chi ci parla attraverso canali inconsueti, ma molto più efficaci di quelli terreni.         Ormai il desiderio iniziale, la necessità di essere rassicurati sullo stato dei nostri figli, il sapere "se stanno bene", questa richiesta, proferita tra i singhiozzi di chi chiede per la prima volta un aiuto una volta che questa necessità è stata soddisfatta perché la risposta è arrivata, chiara e convincente, allora nel nostro intimo subentra un'altra richiesta, un'altra necessità, quella di imparare, per poterli seguire nella loro nuova vita,nella loro evoluzione ultraterrena.

E qui, inizia la comunione con loro,attraverso il nostro intimo accostarci e compenetrarci con l'essere che amiamo, che non è più come prima, perché ha subito una trasformazione, abbandonando la veste di carne e di ossa, per divenire spirito puro,antenna vibrante, pensiero disincarnato,Entità di Luce.

La trasformazione che ci procura l'abbandono del corpo fisico è immane, un cambiamento di stato totale, a cui le creature umane il più delle volte non sono preparate, specie quelle più giovani che trapassano all'improvviso.  Frequentemente, nei nostri contatti, ci viene descritto lo stupore di cui si è preda nei primi momenti dopo il passaggio. Questa meraviglia che ci compenetra nel constatare che i nostri sensi abituali non ci servono più è stata anche grossolanamente, ma efficacemente descritta in alcune sequenze cinematografiche,tipo GOST e ALWAISS. L'essere che si è appena staccato dal corpo, mettiamo per incidente,lo vede lì, giacere a terra o su una barella, insanguinato, rotto, distorto, e non prova dolore. Vede la gente che lo circonda piangere o darsi da fare per soccorrerlo, e non è in grado di intervenire, di dire la sua parola e non è udito, tocca i volti e le mani dei presenti e non riesce ad attirare la loro attenzione, e perciò è disorientato, in una situazione che non capisce, della quale nessuno si è mai preso la cura di parlargli.

Ebbi un'esperienza con un giovane milanese che era caduto in un burrone e vi morì dopo una lunga agonia. Lo cercavano in tanti, ma non fu trovato che dopo mesi. Ebbene, questo giovane ci raccontò tramite medium, naturalmente, di essere rimasto a lungo, dopo morto,accanto al suo corpo col proposito di risalire dallo sprofondo, e poi di essersi trovato di nuovo sul ciglio del burrone da cui era caduto,immerso nella solitudine e nel silenzio della montagna, e di avere iniziato ad aggirarsi senza trovare nessuno. Nei giorni successivi tornava accanto al suo corpo, senza capire, finché si accorse che esso iniziava a decomporsi, allora si rese conto di essere morto, e provò molto spavento.

 

Coloro che trapassano, invece, per vecchiaia o per malattia, arrivano più preparati, perché hanno avuto modo o tempo di riflettere ed assaporare contatti con persone della loro famiglia o con amici già trapassati che trovano il modo di farsi vedere dai moribondi, o con le Entità di Luce che intervengono a predisporre il passaggio. Nelle ultime ore della sua agonia Frangi parlò di visioni bellissime che vedeva, di scene e di personaggi che entravano e uscivano dal suo campo intellettivo, secondo le fasi del torpore e della coscienza che si alternavano. Frangi non era in preda ai farmaci,lo hanno lasciato senza somministrazioni di sedativi particolari,era attaccato soltanto ad una bombola di ossigeno, perché non aveva più praticamente i polmoni, e non credo che l'ossigeno, in quelle condizioni, possa procurare allucinazioni. Frangi ha detto che vedeva e che sentiva la Realtà meravigliosa in cui stava entrando, ed io gli credo. Del resto, successivamente ,quando poté servirsi di un mezzo per comunicare, riprese il discorso, rivolgendosi al fratello, per completare e chiarire ciò che non aveva potuto spiegargli dal suo letto di dolore. Le persone il cui corpo è stato distrutto dalla malattia entrano subito nel sonno riparatore, che non sappiamo quanto duri, perché'varia da soggetto a soggetto. Per tutti, però, c'è poi il provvidenziale intervento delle Guide, esseri Celesti il cui compito consiste nell'accogliere, rassicurare, guidare i nuovi arrivati. Tutti possono ricevere un aiuto, basta desiderarlo, chiederlo, e le Entità di luce iniziano  a svolgere il loro compito. L'anima affronta allora una serie di processi consecutivi che la portano a spogliarsi progressivamente di ogni residuo materiale, e sceglie, da sola,sulla base di quanto percepisce attorno a sé e in sé il tipo di cammino che vuole seguire, la compagnia a cui aggregarsi, cioè la scuola,  per così dire, nella quale vuole essere inserito per conseguire la propria evoluzione. Tutto ciò richiede del tempo, perché la maturazione è graduale ma la scelta è definitiva, ed è perciò raccomandabile non intervenire da qui intempestivamente, con pratiche e richieste inopportune e anche dannose, dal momento che nessuno di noi vorrebbe recar danno a chi ama. A questo punto entriamo dunque in scena noi, che possiamo dalla terra agire o no in maniera appropriata, influenzarli positivamente o negativamente. E’sempre stato detto che il nostro pianto ostinato disturba i trapassati ed è tutt’altro che gradito, e ciò si spiega col fatto che chi è arrivato di là percepisce in maniera più forte e più completa le vibrazioni provenienti da noi, perché essi sono privi di corpo fisico, il quale costituisce come una solida corazza che sulla terra ci protegge,colla sua fisicità, da tutto ciò che di mentale, psichico ci viene scaricato addosso, sia nel bene che nel male. Quando questa protezione di materia viene a mancare, ecco che lo spirito disincarnato recepisce violentemente i nostri stati d'animo, e ne resta condizionato. Io consiglio sempre di inviare pensieri e sentimenti amorosi e pacifici, di rassegnazione e di incitamento a chiedere l'aiuto degli Angeli, o di parenti già trapassati e di mettersi nelle mani di Gesù e di Maria.  Il pianto irrefrenabile che sgorga inevitabilmente dai nostri occhi e dai nostri cuori straziati, deve essere dolce, amoroso,provvido di esortazioni incoraggianti,affinché i nostri cari non soltanto non si sentano soli, abbandonati ad un destino ignoto, ma avvertano la nostra sollecitudine, la nostra solidarietà e comprensione, attingano da noi la forza necessaria per superare quei primi stadi in cui tutto risulta nuovo e si ha veramente bisogno di aiuto. Cerchiamo di non gravare ulteriormente su una situazione, di per se stessa critica. Ricordiamoci il titolo del più importante libro di Ernesto Bozano: "La crisi della morte".

 

Se riusciamo a convincerci della verità e logicità di tutto quanto sto esponendo, perché mi risulta da più e più esperienze, allora saremo capaci di fornire realmente l'aiuto valido e concreto, il più opportuno alle persone che amiamo, invece di gravare su di loro, come purtroppo spesso avviene, colla nostra angoscia cieca che va ad aggiungersi al peso già notevole dei problemi e delle sofferenze che inevitabilmente accompagnano lo stadio del passaggio e del primo inserimento nella nuova dimensione.

  Secondo la nostra religione le anime che transitano dal Purgatorio attendono da noi viventi le preghiere ed i suffragi che solo noi possiamo inviare, in quanto loro, i trapassati, possono usufruire, nella loro dimensione, dei propri meriti requisiti per le buone azioni compiute nel corso della loro vita, e della umile accettazione della penitenza necessaria a lavare i propri peccati, però la preghiera che formuliamo noi,come le Messe, le indulgenze che possiamo liberare ed applicare alle loro anime, provengono esclusivamente da noi, incarnati in terra, quindi risulta chiarissima la responsabilità di ciascuno di noi verso i nostri defunti, ai quali possiamo giovare in modo estremamente utile e gratificante, o negare quell'appoggio che solo noi possiamo fornire, per nostra ignoranza o incompetenza o disinteresse. E’ questa prima responsabilità morale alla quale non si è abituati a riflettere. Si piange, si esternano dolore e rabbia, e non si tiene invece conto delle reali necessità del trapassato.

A causa della mentalità superficiale adottata oggi per vivere, mi sento riferire spesso questa frase, pronunciata in famiglia,per esortare magari un congiunto a dimenticare la tragedia:"Lascia in pace i morti". Dietro a queste parole c'è un abisso di egoismo che si nasconde nella falsità di un principio morale che è puro frutto di ignoranza e di pigrizia. Ma come si fa a pensare che un figlio, anche dopo morto, non si avvicini più a chi gli ha dato la vita, lo ha amato e cresciuto e per anni gli ha espresso affetto, tenerezza, comprensione, fin dalla culla? Come si può affermare, esortare a dimenticare, lasciarli "in pace", in definitiva, cancellandoli dal cuore, dalla mente, come non fossero mai esistiti? Eppure c’è chi lo fa, chi sostituisce il figlio scomparso con un altro, giungendo persino a imporre lo stesso nome del fratello al nuovo arrivato. Ho sentito l’angoscia nelle comunicazioni di bimbi, di fanciulli che si erano sentiti messi da parte, accantonati, nel cuore di un Papà o di una Mamma, che avevano trasferito tutto il loro amore su un'altra creatura, sforzandosi di cancellare i ricordi che avrebbero fatto soffrire.

 

Lasciare in pace i morti significa esattamente questo: Non porsi problemi, voler vivere alla giornata, eguale = Egoismo. L'essenza che è vissuta, che è, continua a vivere per l'eternità, la ritroveremo intatta, con tutte le sue caratteristiche, e  potremo ancora amarla, vivere in comunione con lei, in Paradiso.

E allora cominciamo a costruire questa   comunione fin da ora, da subito, rendendoci conto immediatamente della lealtà e comportandoci in modo responsabile e coerente con gli insegnamenti che ci vengono impartiti da chi è più informato e saggio di noi. In definitiva, tutto ciò che vogliamo è procurare loro del bene, perciò dobbiamo agire esclusivamente in conformità dei loro  interessi. E’ inutile ripetere che la nostra vita è stroncata, che non abbiamo più voglia,che non ci va di vivere. Questo è ovvio, non vale la pena di ripeterlo fra noi, è un'ostentazione di sensibilità inutile, a mio parere. Si dimostra molto più efficacemente la nostra voglia di loro adeguandoci a quanto loro ci richiedono. Entrare in comunione con loro vuol dire comprendere ed accettare le regole del loro nuovo mondo, agevolare e favorire al massimo il loro inserimento in una vita diversa da quella che noi stessi conosciamo, ma molto più bella e ricca di amore e di possibilità. Non abbiamo insegnato nulla o quasi di questa vita, che tutti ci attende, ai nostri figli quando erano qui con noi,non se ne parla, nella nostra società che quando la morte colpisce qualcun altro,come un'eventualità incompatibile colla nostra sicurezza, non se ne parla per scaramanzia, forse, per paura, ma soprattutto per ignoranza. Osservate invece come reagiscono spontaneamente i bambinelli nelle famiglie dove è entrata la morte: essi l'accettano con semplicità,come una realtà si sintonizzano spontaneamente con il Cielo, immediatamente e senza problemi. Molte volte affermano di aver stabilito un contatto con ciò che per noi adulti è invisibile, che loro, invece, affermano ingenuamente di vedere.

 

I nostri sforzi per entrare in comunione perfetta con la condizione radiosa saranno sicuramente benedetti ed agevolati dal Cielo. Quando il contatto con coloro coi quali vogliamo dividere l'eternità sarà stato raggiunto,attraverso la Comunione intensa e profonda fra i nostri due livelli, noi, nel frattempo, avremo imparato a vivere in modo diverso la nostra giornata terrena, considerando accadimenti necessari alla nostra evoluzione le avversità legate al nostro procedere, e con distacco e vero spirito di sopportazione guarderemo più dal¬l'alto le incongruenze, le distorsioni, le malignità di cui è infarcita la nostra vita, in cui siamo quotidianamente immersi, conferendo loro sempre minore importanza, e non consentendo più che ci procurino fastidio o che ci addolorino. Il distacco, non solo dai beni terreni, ma anche dai mali è la conseguenza di una maturazione anteriore che solo il contatto genuino e completo colla dimensione ultraterrena è in grado di assicurare. E' la saggezza dell'uomo consapevole. La luce in cui vivono i nostri cari irradierà pian piano anche la nostra realtà, facendoci edotti e consapevoli dell'altra Realtà che stiamo andando a conquistare, quindi, il bene che abbiamo voluto per loro, cominciando,col rinunciare al nostro egoismo, ci verrà non solo corrisposto, ma amplificato enormemente, generando con loro una specie di osmosi amorosa e rasserenante,che ci accompagnerà per il resto della nostra vita terrena e per sempre, perché le conquiste spirituali sono l'unica dote che nessuno potrà mai toglierci. Operiamo dunque secondo le richieste dei nostri figli, lasciandoli liberi di avanzare nella conoscenza senza tenerli legati alla nostra quotidianità, ma elevandosi al loro livello di generosità e altruismo. Essi sono cresciuti,anche i più piccini crescono, in potenza e in grazia, possono e debbono esserci maestri,e questo, riconosciamolo,è un compito nostro. Imparare! Frangi una volta mi disse:"La manina che affidavo a te, bambino, ora è divenuta ampia e forte, e si tende verso di te, per sostenerti". L'umiltà si dimostra anche accettando di farsi guidare da chi  abbiamo guidato, e l'intelligenza ci chiarisce che è cosa saggia sottostare alla guida di colui che è arrivato più in alto perché chiamato da Chi voleva servirsi di lui e sapeva che sarebbe stato all'altezza dei compiti che intendeva affidargli.

 

Ho conosciuto genitori che, senza rendersi conto del male che procurano, insistono in pratiche che non consentono ai loro figli di staccarsi e conseguentemente di elevarsi, gravandoli col peso delle loro egoistiche angosce, desiderando ardentemente il loro ritorno fisico in casa, crogiolandosi nella rievocazione dei momenti cruciali del loro trapasso, su cui, invece, generalmente i comunicanti sono propensi a sorvolare,affermando che si tratta di un semplice passaggio, e crogiolandosi altresì  nell'ostentazione della loro disperazione e della loro  impossibilità di andare avanti nella vita.

C'è anche chi, dopo aver raggiunto qualche risultato col registratore, pretende l'intervento del proprio caro tutti i giorni, a orario fisso c'è chi instaura un contatto mentale malato, in cui pretende di essere assistito e guidato anche nelle faccende più umili di vita quotidiana.

L'amore possessivo il più delle volte è ottuso e non si cura del vero bene dell'amato, che tale atteggiamento sia un errato retaggio di una mentalità vecchia e sorpassata è proprio ciò che dobbiamo capire, superare e vincere.

Elevare noi al loro livello, e non tentare, invece, di abbassare loro a noi, e trattenerli.

Quando arriveremo anche noi dall'altra parte del ponte, dobbiamo trovarci in grado di camminare assieme, sullo stesso livello, e perciò utilizziamo questo tempo che ci resta, e che assai probabilmente ci è concesso proprio a questo scopo,per prepararci, sintonizzandoci in Comunione con loro, con il cuore, l'anima, la mente.

 

 

 

 

   

Edda CattaniComunicazione e comunione
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La “comunicazione” con i nostri Cari

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… e di seguito ripropongo per le amiche dei "MESSAGGI ISPIRATI….! di FB…

…..e udirono parole…

 «La vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede». Queste sono le parole dette da Benedetto XVI che suonano come la denuncia di una situazione drammatica. Questo Papa che ha lamentato «l' eclissi di Dio» e ha paragonato il nostro tempo a quello del «crollo dell' impero romano dichiara che il  problema è la «questione su Dio». E ribadisce: «Ripetutamente, nella storia, persone attente hanno fatto notare che il danno per la Chiesa non viene dai suoi avversari, ma dai cristiani tiepidi».  Ritorna poi su alcuni suoi punti fermi : «Noi siamo Chiesa!», ma la questione essenziale è un' altra: la Chiesa è in crisi di identità. E’ perciò opportuno che noi, Mamme della Speranza, popolo di Dio, mentre un integralismo conservatore, sembra volerci escludere dalla Comunità ecclesiale e attribuirci un’etichetta “spiritistica” che non ci appartiene, ribadiamo i cardini che supportano la nostra dichiarata fermezza, già promulgata da un Santo Sacerdote che ormai ha raggiunto la Gerusalemme Celeste.

 

LA GERUSALEMME CELESTE E LA COMUNIONE DEI SANTI

di Padre Zaccaria Bertoldo

 

Lo Spirito vivificante non è tale solo nella realtà attuale della Chiesa, cioè attraverso la comunicazione della grazia nei sacramenti o in altri modi (Parola di Dio, preghiera, etc.), ma è presente e dà la sua vita e il suo soffio vitale “ruah” anche al di là, nella nuova dimensione della sopravvivenza. Per cui la domanda:

”Rimangono il legame, l’unione, nel ricordo e nell’amore, il colloqui tra noi che siamo ancora sulla terra (i viandanti) e “loro”, che sono già dall’altra parte?”. E’ una domanda davvero interessante che è stata posta anche in un recente convegno a Torino, dal tema: “L’al di là ritrovato”, al quale assistevano anche insigni teologi.

La posizione della Chiesa qui è affermativa e si concretizza nei concetti – dogmi – di “Comunione dei Santi” e di “Chiesa” come totalità nei 3 stadi di: Chiesa itinerante sulla Terra, Chiesa purgante dei defunti e di Chiesa trionfante di quelli che si trovano già nella pienezza della gloria di Dio.

Tutto ciò è confermato nel “Catechismo della Chiesa Cattolica” che, al numero 1024 dice:”Questa Comunione di vita e di amore con la Santissima Trinità, con la Vergine Maria, con gli angeli e tutti i beati è chiamata il cielo”. E nel numero 1025 si dice, ancor più chiaramente:”Vivere in cielo è essere con Cristo. Gli eletti vivono “in Lui”, ma, conservando, anzi, trovando la loro vera identità, il loro proprio nome”.

Specialmente se si realizza l’unione del corpo sottile o spirituale con l’anima (vedi Prieur e Marta Toniolo). Importanti sono soprattutto i numeri 1029:”Nella gloria del cielo i beati continuano a compiere con gioia la volontà di Dio in rapporto agli altri uomini e all’intera creazione”. E nel numero 1027 si dice:”Questo mistero di comunione beata con Dio e con tutti coloro che sono in Cristo supera ogni possibilità di comprensione e di descrizione. La scrittura ce ne parla con immagini: vita, luce, pace, banchetto di nozze, vino del regno, casa del Padre, Gerusalemme celeste, paradiso”.

La parapsicologia sopravviventistica che studia la fenomenologia di questa continuazione di rapporto e di colloquio non appare quindi su posizioni conflittuali nè inconciliabili col magistero ecclesiale. Però sarebbe inesatto e riduttivo definire queste esperienze “paranormali”. In realtà siamo di fronte ad esperienze certamente spirituali. Sarebbe ingiusto negare l’evidenza di certi fenomeni che abbondano nella vita dei santi (Padre Pio, Lourdes, Medjiugorie, Paravati), così come i messaggi dei due giovani francesi Pierre Monnier e Roland De Jouvenel, e di latri giovani alle loro mamme. Sopra tutti vorrei segnalare Giampiero Campana, “Di là qualcuno ci scrive”, a cura di Guido Sommavilla, S.J. Purtroppo molti della Chiesa ufficiale ignorano questo problema o si manifestano ostili. Forse perché non hanno ancora letto bene gli articoli 2116 e 2117 del “Catechismo della Chiesa Cattolica”, laddove si proibiscono la divinazione e la magia: la fenomenologia di questi rapporti e colloqui – infatti – non appare su posizioni conflittuali né inconciliabili col magistero ecclesiale, perché in essi non si tratta di magia o di divinazione. Lo stesso prof. Collo (teologo dell’arcivescovo di Torino) nel convegno di Torino ha ammesso che il colloquio o il conversare con i propri cari in Cristo non è escluso dalla Chiesa e può aver luogo con il consenso di Dio. La stessa affermazione è stata fatta da una cattedra più importante, e cioè in una nota dell’Osservatore Romano dal teologo P. Igino Concetti o.f.m. colonnista della terza pagina dello stesso giornale vaticano.

Pertanto queste fenomenologie e questi colloqui (di cui abbiamo molte testimonianze) ci offrono alcuni concetti generali sul modo di essere di questa sopravvivenza e del mondo in cui si svolge. Si parla infatti generalmente in essi di un mondo di luce, di gioia, di missione per aiutare gli altri, spinti certamente dal soffio dello Spirito Santo. Cosa questa che supera certamente il paranormale ed entra nella sfera del soprannaturale. Da ciò la denominazione da noi data specialmente ai giovani rapiti alle loro mamme, di RAGAZZI DI LUCE, o meglio ancora di NUOVI ANGELI. Essi sino come dice stupendamente il prof. Gomerro “nel dinamismo di Dio”. Ciò vuol dire che essi cooperano e partecipano, o meglio, Dio li chiama a partecipare alla sua missione salvifica. Ora cos’è tutto questo (compreso il conforto che danno alle mamme desolate) se non quella missione di aiuto a comprendere e salire verso Dio di cui si è già detto e di cui ci parlano i nostri amici di lassù? Il cardinal Tonini, in una trasmissione TV ha accolto questa idea. Non si possono pertanto condannare – come avviene da parte di qualcuno – coloro

che fanno simili esperienze, perché essi vivono l’insegnamento della Chiesa nella realtà della Comunione dei Santi, in cui sono inseriti i nostri cari giovani, i nostri nuovi angeli di luce e di conforto.

Concludendo: le prescrizioni del Catechismo che riguardano la magia e la divinazione non toccano le nostre esperienze: infatti i nostri cari ragazzi di luce quando si manifestano lo fanno non per svelare futuri contingenti o cose occulte ma in un dialogo d’amore, in una tensione che finisce per essere altamente spirituale e religiosa sotto il soffio dello Spirito.

Come io stesso ho avuto la ventura di fare esperienza (vedi il mio scritto di testimonianza nel libro “Nella scia della luce” di Emma Capanna) le anime che si manifestano (in quel caso Alessandra) affermano di farlo col permesso di Dio, se no addirittura per sua volontà. E’ mai possibile che ci ingannino o ci inganniamo noi stessi fino a questo punto? O non è forse un inganno o una non ammissione di chi non vuol credere che lo “Spirito soffia dove, come e quando vuole?”.

Per tutte queste ragioni penso anche io, col P.Ferrarotti, “che dobbiamo andare avanti serenamente con fiducia, nella saggezza della Chiesa”. Vorrei però aggiungere che sono d’accordo con il teologo prof. Gozzellino quando dice che ci vuole “discernimento, discernimento e ancora discernimento. In questi contatti occorre discernimento e prudenza”.

Io direi a chi ha il dono della comunicabilità: hai ricevuto gratuitamente questo dono? Generosamente donalo agli altri, con la più grande onestà e lealtà. Concludo dichiarandomi pienamente d’accordo col P.Ferrarotti, che vede nel fenomeno dei ragazzi di luce un particolare momento di grazia, una vera carezza di Dio. In questi tempi di incredulità, quasi “una nuova Pentecoste”, destinata a prolungarsi nel tempo e a rinnovarsi di continuo. Io vedo l’affacciarsi del 2000, soprattutto per voi care mamme, illuminato dallo Spirito – “ruah” – di Dio, che agisce con lo stesso impeto e la stessa forza dei primi tempi della Chiesa.

 

Edda CattaniLa “comunicazione” con i nostri Cari
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Sopra l’arcobaleno

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Giunge molto gradita questa riflessione inviata dalla Mamma di Vera

Da qualche parte….sopra l’arcobaleno

Condivisione della sofferenza

 

Da qualche tempo,   il titolo che ho dato a questa riflessione,  mi accompagnava nei momenti  di silenzio e di  abbandono. Ed è proprio guardando l’arcobaleno dopo qualche piovasco, che ho dato spazio alla mia fantasia…

Non posso  fare a meno di immaginare un posto, un luogo, una dimensione oltre la nostra, dove chi ci ha preceduto  dimora,  nella pace e nella felicità più assoluta. Mi affascina pensare al prosieguo della vita, a quello che noi saremo, a quando nuovamente ci incontreremo,  con coloro che abbiamo  amato.  

Sull’onda di questi pensieri, ha preso forza il desiderio di continuare a raccontarmi. Voglio  parlare del cambiamento interiore, della trasformazione avvenuta in me e nei miei famigliari. Quel cambiamento che  produce spesso  la dipartita  del bene più prezioso che ha un genitore, che è il proprio figlio.

Vera, nostra figlia,  da alcuni anni non è più fra noi e abbiamo imparato a misurare il tempo  in riferimento al prima e al dopo la sua dipartita. Uno spartiacque importante che ha determinato un mutamento radicale delle nostre vite. Tanto dolore,  ma anche tanto arricchimento,… poi. Oggi, a distanza di anni, lo posso affermare…Difficile da comprendere per chi non ci è passato. Difficile da spiegare ai più.  

Faccio un salto nel passato e mi rivedo, quando una mattina, qualche tempo dopo il  trapasso di Vera, incontrai una mamma al camposanto, provata dal mio stesso dolore. Era visibilmente  sofferente, ripiegata su se stessa; portava male la sua età anagrafica. Tanti anni erano già passati dalla dipartita di suo figlio, ma l’impressione che dava,  era di una perdita recente. Durante il colloquio ricordo che mi disse che la sofferenza  l’aveva fatta chiudere in se stessa (è una tentazione nascosta nelle pieghe del dolore) e che,   per un minimo di elaborazione del lutto ci sarebbero voluti  almeno dieci anni!  Li per li , mi impressionai! Dieci anni,… terribile, pensai! Anche se ero abbastanza consapevole che,  sarebbe stata una di quelle ferite che,   anche se un giorno si fosse un po’ rimarginata, avrebbe comunque lasciato la cicatrice.

Fu in quel momento che promisi a me stessa, nel ricordo di mia figlia,  che ce l’avrei messa tutta per tentare di farcela! Allora non immaginavo il percorso che avrei fatto, le certezze e le consapevolezze che avrei raggiunto. Ma in cuor mio mi ripromettevo che ci sarei riuscita. Ebbi compassione di quella mamma addolorata. Rappresentava tutto ciò che non avrei voluto diventare  io. Una via d’uscita ci dovrà pur essere, pensai!  Se il dolore esiste, ci dovrà  essere  anche il suo rimedio. Non si può continuare a vivere senza un barlume di speranza, rischiando di spegnersi giorno dopo giorno. A volte,  tendiamo ad esorcizzare il dolore nei modi che producono solo rimedi apparenti e superficiali, poiché nel profondo tutto resta uguale, senza un vero percorso che tenda a rafforzare e rivitalizzare la propria vita. Gesù stesso ha condiviso la nostra esperienza  di dolore,  arrivando a sentire il peso della nostra sofferenza sulle sue spalle innocenti e l’ha condivisa portandola  sino alla morte, ma  innestando nel nostro lutto il germe della redenzione e la speranza della vita eterna.

Ancora oggi,  quando  penso  a questa mamma, mi dico che sono stata tanto fortunata nel mio percorso, nella mia ricerca, anche se sono consapevole che ci ho messo tanto di  mio in quello che è stato un continuo  peregrinare, che  ha portato me e la mia famiglia, a raggiungere piccoli , ma importanti obbiettivi e traguardi.

Ho già raccontato di  Vera, della nostra famiglia, del nostro percorso, della ricerca continua di colei che ora vive quella dimensione che è vita nuova.  E’ l’altra faccia di quel continuum, dove niente muore, ma tutto si trasforma.  Perché come afferma Rilke: “ La morte è l’altra faccia della vita, solo diversa,  rispetto quella che è rivolta verso di noi.” Ho raccontato di  quanto conforto e sostegno abbiamo ricevuto,  con il dono di bellissimi messaggi  e segni, da parte di nostra figlia e non solo,  che ci hanno fatto comprendere che comunicare si può, quando la forza trainante è l’Amore. La ricerca viene fatta affidandoci a Dio,… e la ricerca ci porta a cercare con più forza , Dio stesso.

Quello che ne deriva è uno stato di grazie e di pace. Stati d’animo che si raggiungono e si vivono,  dopo che, un tumulto di sensazioni e di pensieri,  non sempre positivi,  lasciano il posto a sentimenti più pacati e rasserenanti. E’ un cammino lungo e tortuoso l’elaborazione del lutto!  Bisogna tanto  lottare, tanto chiedere, tanto affidarsi, tanto fidarsi. Ci si trasforma pian piano, è una continua evoluzione. Poi  ci si riscopre  cambiati.  Pensieri e atteggiamenti  sono diversi da quelli di un tempo. Ci si sente altre  persone,…spesso  migliori.

 E ti  rendi conto che la tua non è più rassegnazione. Non è più solo accettazione. Ma  può diventare  molto di più:  condivisione.  Anzi, l’accettare è condividere!  Ecco, devo ammettere che ,  in questo momento della nostra vita, la condivisione  è  una  cosa  importante. Cos’è la condivisione se non percorrere  un tratto del tuo cammino,  con i tuoi “simili”? Se non procedere verso  obbiettivi che ci accumunano con  quelli di altre persone , che  hanno le nostre stesse  difficoltà, desideri  e affinità? La condivisione consente un  procedere meno faticoso, nell’impegno delle  proprie risorse. Si mettono a disposizione degli altri,  fatiche, obbiettivi, progetti.  Quando ti sembra di arrancare ecco che qualcuno ti aiuta, ti tende la mano e non ti permette di affondare. A volte è una mano tesa quando stai per affogare. E quando hai ricevuto aiuto, devi solo attendere. Arriva il tuo momento di dare. Qualcuno ha detto che ci si sente poveri e in difficoltà non quando si riceve, ma quando non si ha il coraggio di dare.

Condivisione, quindi. ..Ho capito che la condivisione è importante sotto tutti gli aspetti. Certo è più facile condividere nella gioia, nel benessere, quando le cose vanno a gonfie vele. Spesso le persone che frequentavamo prima non ci vanno più bene, perché non ci possono capire.  La partecipazione al lutto da parte di amici e congiunti, a volte si  verifica in modo meno intenso ed attivo.  Succede che,  le persone che hanno subito la perdita,  si trovano frequentemente a dover vivere  in solitudine  questa esperienza. Ma dopo un lutto non ci si può chiudere a tutto…,  bisogna saper trovare , da questa esperienza di dolore, nuova linfa per rimettersi in gioco. Ed è proprio  nel   partecipare alla sofferenza degli altri, nel condividere, che  si trova lo scopo per continuare,  facendo in modo che il dolore diventi  un veicolo purificatore per vivere la vita con nuovo  coraggio. Dobbiamo essere testimoni  per aiutare e le nuove conoscenze acquisite devono diventare doni da poter elargire…

La cosa migliore per  attraversare  positivamente  il processo del lutto  è entrare in  rapporto con un gruppo di riferimento. Quando questo non avviene , arriva spesso la malinconia e la depressione.

Un noto psicoterapeuta raccontava che,  quando il lutto non viene elaborato correttamente permane una condizione di “lutto strisciante”. In quanto  i processi del lutto non sono conclusi, ma sospesi. Il ritrovamento di un gruppo può essere il primo passo per affrontare un lutto sospeso e la condizione malinconica che ne è conseguita.

 Continua questo psicoterapeuta : Non tutti sanno  “soffrire” il dolore. Alcune persone subiscono il dolore ma non sono in grado di soffrirlo. Un’altra via seguita da chi non sa come “soffrire” il dolore,  è quella di essere costantemente angosciati. Quando una persona impara a distinguere il dolore dall’angoscia, compie un passo estremamente significativo, perché presto si rende conto che il dolore è parte della vita, mentre l’angoscia è soprattutto manifestazione di conflitto e nevrosi. Per condividere il dolore è essenziale esprimerlo in modo vivo e contemporaneamente dargli una forma precisa. Esprimere il dolore non significa gridare. Gridare può aiutare a fronteggiare, alleviare e gestire temporaneamente il dolore e soprattutto l’ansia. Per stabilire una condivisione, però, questo non basta; il dolore deve  essere espresso in modo adeguato. L’espressione adeguata del dolore, sostituisce l’ espressione immediata, con un’altra che contiene un potenziale elevato di comunicazione  e di relazione. Il dolore allora acquista un “calore segreto” che lo rende più condivisibile.”

 Quindi, condividere significa “ mettere insieme i cocci”. La condivisione del dolore è un modo per alleviarlo, attraverso la consapevolezza di non essere soli. E’ difficile fare i conti con il vuoto che la morte lascia dietro di se…ma insieme si può.

La condivisione di una sofferenza, in particolare di un lutto  è condivisione vera, sentita , partecipata. Ci si confronta. Anche il soggetto più debole, più in difficoltà si sente rinfrancato dal suo simile che dimostra più forza. Vale sempre il detto:  “Se ce la fa lui, ce la posso fare anch’io.”  Il lutto rimane morte e disperazione  se non è illuminato da una parola più grande dell’uomo: la certezza della  risurrezione.  I nostri figli in particolare, diventano i nostri maestri spirituali e ci accompagnano, mentre noi nella preghiera , ci rivolgiamo a loro che sono vivi in Dio: è un dialogo ininterrotto in Lui, un dialogo fondato sull’amore che va oltre la morte.

La condivisione dopo un dolore è stimolante. Mette in discussione le tue capacità, va a toccare anche la tua autostima, la tua forza interiore. Condividere fa aumentare  la propria  consapevolezza. E la consapevolezza nella vita di una persona, diventa essenziale per vivere meglio.

Nella  vera condivisione poi,  l’egoismo viene messo da parte . Si scopre una nuova forma di genitorialità . Si diventa generosi di nuovo amore  e si va verso chi ha bisogno , con  amore rinnovato. La condivisione porta alla pace di se stessi, con gli altri e con Dio. Porta a sperare,  a sognare nuovamente  con il pensiero sempre rivolto a Dio. Un frate ha detto: “Solo in Dio sono sicuri i nostri sogni! E con Dio non ci si sente più foglie secche, ma foglie rivitalizzate con nuova linfa. Nel cammino non ci si ferma solo alla ricerca della consolazione, che pure è fondamentale per andare avanti, ma con la grazia dello Spirito ci si addentra nel mistero di Dio. Si impara a conoscere Dio e il suo Regno dove ora vivono i nostri cari scomparsi.”

Come si può condividere? Lo si può fare in diversi modi. Per intraprendere un viaggio all’insegna della speranza,  ritengo che  il modo più importante è la condivisione della spiritualità, dando spazio alla preghiera,  che è la “benzina “ dell’anima. Altro motivo di condivisione è l’anelito di ogni persona: dare nuovo senso alla vita. Diceva Dietrich Bonhoeffer  che le cose penultime acquistano significato delle cose ultime: è l’eternità che da senso al tempo. L’aspettativa del “dopo” è l’interrogativo  di tutti. Ha detto un sacerdote durante un’omelia: “  La morte di Gesù diventa il lasciapassare verso la dimora definitiva. Nella morte non scompariamo in un luogo ignoto e buio, bensì andiamo in un luogo famigliare, dove Egli stesso ha detto : “ Io vado a prepararvi un posto.”  Gesu’ ha fatto il viaggio di andata e ritorno; in questo viaggio nella casa del Padre ha preparato la nostra definitiva dimora.

 E’ stato fatto notare che l’interpretazione che  Gesù dà della propria morte , vale in un certo senso anche per la morte delle persone alle quali siamo legate da amicizia e amore.  Quando le persone a noi care ci lasciano, portano nella dimora eterna una parte di noi. Tutto ciò che abbiamo condiviso con loro, gioia e dolori, amore e sofferenza, tutti i discorsi fatti, le intimità vissute: morendo portano tutto nella casa che preparano per noi, per condividere, domani, tutto il vissuto positivo per l’eternità.”

C’è  una bella immagine del monaco benedettino Anselm  Grun, il quale fantastica paragonando il suo cammino a un sentiero che attraversa un prato e deve poi guadare un fiume. In merito scrive: “Arrivo a un ruscello e per poterlo saltare meglio, getto  prima dall’altra parte il mio zaino. I morti con i quali ho condiviso la mia vita, hanno già portato con se il mio zaino oltre la soglia della morte. Perciò posso confidare che mi sarà più facile, morendo, saltare di là del ruscello e arrivare là dove troverò il mio zaino, le cose importanti del mio cammino esistenziale. I morti decorano la dimora eterna con ciò che di mio hanno già portato oltre la soglia.”

 E un altro saggio ha scritto:” La vicenda umana è un’avventura chiusa tra due giardini: quello dell’Eden, all’origine, e il Paradiso celeste, quello dell’altra riva. La vita è un’avventura tra due giardini posti sotto il segno della bellezza e della gratuità.”  Riporto anche  ciò che ha scritto un teologo: “L’incontro  con Dio non è un riposo eterno, bensì una vita straordinaria e mozzafiato, una tempesta di felicità che ci trascina, ma non in qualche luogo, bensì  sempre più a fondo nell’amore della beatitudine di Dio.”

Ecco quindi, a mio avviso, la base spirituale su cui  far partire e far  fiorire altre forme di condivisione. E quando   c’è una buona  base spirituale,  ogni progetto può iniziare  e svilupparsi. Per esperienza, posso dire di aver conosciuto varie realtà, ma dove manca la base spirituale, spesso la condivisione ha vita breve, in quanto non viene sostenuta da qualcosa di forte, paragonabile alle fondamenta di una  casa.

Oggi, posso affermare  con  piena soddisfazione,  di appartenere ad un gruppo denominato di “primo soccorso” che,  una volta al mese accoglie  nel suo ambito  persone provate dal dolore. La parola di Dio è sempre presente, così’ anche l’attenzione ed il conforto verso i nuovi arrivati. Portiamo la nostra esperienza, diamo testimonianza del nostro vissuto,  delle nostre reazioni,  delle nostre emozioni, del nostro cammino di speranza.  Nel momento del dolore, un gesto di vicinanza affettiva è recepito come dotato di un particolare carattere d’autenticità. La persona sofferente avverte che chi lo compie le sta diventando molto caro. Il sentimento, spesso, trova corrispondenza e può divenire  molto ingente e profondo.

Quando nei nostri incontri,  non ci sono persone nuove da sostenere,  ci raccontiamo, facciamo nuovi progetti. Organizziamo  anche  un  paio di  convegni  l’anno,  con relatori che arricchiscono le nostre conoscenze su temi che riguardano la crescita interiore e affrontano il tema della vita oltre la vita. Alcuni di noi hanno la possibilità di partecipare ai convegni a livello nazionale, dove il tema dell’esistenza umana,  il suo traguardo e la ricerca dell’uomo,  sono materia di approfondimento.

Da poco,  il nostro gruppo sta  percorrendo una nuova strada. Abbiamo felicemente aderito, ( e qui le vie del Signore sono veramente infinite , poiché nuove persone si stanno di volta in volta aggiungendo) ad incontri spirituali,  presso un convento, sotto la guida di un frate  carismatico , che ci delizia con la celebrazione della S. Messa,  dell’Adorazione Eucaristica , delle profonde catechesi e  delle meditazioni guidate. Per concludere poi con un momento di convivialità, che ci vede fraternamente partecipi.

 Stiamo da poco aderendo anche ad un progetto missionario.  Dove ci porterà tutto questo? Noi ci affidiamo al Signore, dandogli la nostra disponibilità.  L’importante è non rimanere fermi,  non rimanere chiusi e apatici, non lasciarsi indurire dal dolore…ma aprire le porte del cuore. Facciamo in modo che la sofferenza ci metta le ali…, affinchè le ferite  del dolore diventino luce per gli altri. Poiché  a  volte  ci troviamo proprio  a sperare  con quelli che disperano…

La condivisione ci porta a ricordare più che mai , coloro che non vediamo con gli occhi fisici, ma che sentiamo presenti più di prima… più di sempre. E che continuano il percorso a fianco a noi, con nuove spoglie, non più dolorose.

Coloro  che un giorno incontreremo nuovamente  lassù,  da qualche parte…sopra l’arcobaleno.

Edda CattaniSopra l’arcobaleno
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Papa Francesco: potere è servizio

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Papa Francesco:  potere è servizio

 

 

«Il vero potere è il servizio», «non dobbiamo avere paura della bontà e neanche della tenerezza», bisogna essere – come San Francesco – «custodi della creazione»: i riti di inizi del pontificato di Papa Bergoglio si chiudono all'insegna della sua omelia, pronunciata in italiano davanti a 200mila persone che hanno invaso festanti Piazza San Pietro sin dall'alba. Papa Francesco, davanti ai potenti del mondo (ma mancava Barack Obama) ha tracciato le linee guida della sua missione pastorale, ricordando «con affetto» il lavoro del suo predecessore Benedetto XVI tra gli applausi della folla e conquistando ancora una volta i tanti pellegrini accorsi a Roma con parole e gesti di grande umiltà.

«Custodiamo Cristo nella nostra vita, abbiamo cura gli uni degli altri, custodiamo il creato con amore». È il messaggio lanciato oggi da papa Francesco su Twitter dopo la messa di inizio del pontificato. Poco dopo ne è comparso un secondo: «Il vero potere è il servizio. Il Papa deve servire tutti, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli».

 

 

 

 

 

 

«Non dobbiamo avere paura della bontà, neanche della tenerezza – ha aggiunto il Papa – Il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza», ha aggiunto il Pontefice. La tenerezza, ha detto Bergoglio, «non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d'animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all'altro, capacità di amore». «Non dobbiamo avere timore della bontà – ha poi ripetuto -, della tenerezza».

 

Nell'esercitare il suo servizio il Papa guarda a quello «umile, concreto» di san Giuseppe e come lui apre le braccia alla «umanità intera», ricordando che il giudizio finale sarà «sulla carità: chi ha fame, sete, è straniero, nudo, malato, in carcere. Solo chi serve con amore – ha detto – sa custodire». «Anche oggi, davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi speranza – ha detto a proposito della custodia del creato – «Custodire tutti, ha invitato, con uno sguardo di tenerezza e di amore, aprire l'orizzonte della speranza, aprire uno squarcio in mezzo a tante nubi, portare il calore della speranza».

Edda CattaniPapa Francesco: potere è servizio
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Insieme a San Leopoldo

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Insieme a San Leopoldo

 

L’invito di Maria, Mamma di Vera, è sempre un piacere a cui rispondere, come pure il ritrovarsi insieme con Padre Roberto al Santuario di san Leopoldo a Padova.

 Già lo scorso anno avevo avuto il piacere di questa condivisione che era stata soprattutto la scoperta di una comunità amica, ma anche di tante particolari storie vicine nel nostro cammino esperienziale.

 

Sono ritornata con il desiderio di quel raccoglimento in quell’atmosfera tutta particolare che, all’interno delle nostre esistenze tormentate e affaticate, non sempre riusciamo a trovare.

 

Questa volta vorrei però non dilungarmi sulle mie impressioni, ma riportare tutto quanto Padre Roberto ha inteso comunicare ai presenti con le sue stesse parole, le sue espressioni in un ambiente in cui la musica soffusa, i canti, le preghiere erano espressione del Paradiso…

 

 

 

 

l'amore autentico non ragiona, non pone limiti, non calcola, non ricor­da il bene che ha fatto e le offese che ha ricevuto, non pone mai con­dizioni.
 
Gesù ha frequentato cattive compagnie! Amico dei pubblicani e dei peccatori …
Chiamato un mangione e un beone.
Gesù ha amato i piccoli numeri, mentre la gente ama la massa, la grande folla: Lui va alla ricerca della Maddalena, della Sama­ritana, dell'Adultera…
Ha fatto "fiasco" nella vita: la "carta magna" di Gesù – le beati­tudini – appare come un fallimento: beati i poveri, gli oppressi, gli afflitti, i perseguitati, ecc. (Lc 6, 20). Gesù ama tutto questo: chi lo segue deve essere matto come lui!
Quanti insuccessi nella sua vita: cacciato dal suo paese è scon­fitto, perseguitato, rifiutato, condannato a morte…
Gesù, un professore che ha rivelato il tema dell'esame: sareb­be stato licenziato subito! Il tema dell'esame e il suo svolgimen­to è descritto a puntino da lui: verranno gli angeli, convocheran­no i buoni alla destra, i cattivi alla sinistra, e tutti saremo giudi­cati sull'amore (Mt 25,31 ss).
Gesù un Maestro che ha dato troppa fiducia agli altri. Ha chiamato gli apostoli quasi tutti illetterati, ed essi lo rinneghe­ranno. Nel tempo continuerà a chiamare gente come noi, pecca­tori. La via di Dio passa per i limiti umani: ha chiama­to Abramo, che non ha figli ed è vecchio; chiamato Mosè, che non sa parlare bene; chiama dodici uomini mediocri e ignoranti, e uno di essi lo consegnerà; e per chiamare i pagani sceglie un violento e un persecutore, Saulo; e nella Chiesa continua a fare così…
Gesù non aveva buona memoria, perché sulla Croce il buon ladrone gli chiede di ricordarsi di lui in Paradiso e Gesù non ri­sponde come avremmo fatto noi "fa' prima venti anni di purga­torio", ma dice subito di sì: "Oggi tu sarai con me in paradi­so" (Lc 23,43). Con la Maddalena fa la stessa cosa, e ugualmen­te con Zaccheo, con Matteo ecc. "Oggi la salvezza entra in que­sta casa" (Le 19,9), dice a Zaccheo. Gesù perdona e non ricorda che ha perdonato. Questo è il suo primo difetto. Gesù non conosceva la matematica: un pastore ha cento peco­re. Una si è smarrita: lascia le novantanove per andare a cercare quella smarrita e quando la incontra la porta sulle spalle per tor­nare all'ovile (Mt 18, 12). Se Gesù si presentasse all'esame di matematica sarebbe certamente bocciato, perché per lui uno è uguale a novantanove.
Gesù è non conosceva la logica: una donna ha perduto una dracma. Accende la luce per cercare in tutta la casa la dracma perduta e quando 1' ha trovata va a svegliare le amiche per fe­steggiare con loro (Lc 15, 8). Si vede che è veramente illogico il suo comportamento, perché sapendo che la dracma era comun­que in casa, avrebbe potuto aspettare la mattina seguente e dor­mire. Invece cerca subito, senza perdere tempo, di notte. D'altra parte, svegliare le amiche non è meno illogico. Anche la causa per cui festeggiare l'aver trovato una dracma – non è poi tanto logico. Infine, per festeggiare una dracma ritrovata dovrà spen­dere più di dieci dracme … Gesù fa lo stesso: in cielo il Padre, gli angeli e i santi hanno più gioia per un peccatore che si converte, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di pe­nitenza.
Gesù non fu un buon politico: di solito un politico alle elezioni fa propaganda e promesse: la benzina costerà meno, le pensioni saranno più alte, ci sarà lavoro per tutti, non ci sarà più inflazio­ne… Gesù, invece, chiamando gli apostoli, dice: "Chi vuoi veni­re dopo di me, lasci tutto, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24). Seguirlo, dunque, per andare dove? Gli uccelli hanno un nido, le volpi una tana, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posa­re il capo… Seguire Gesù è un'avventura: fino all'estremità della terra, senza auto, senza cavallo, senza oro, senza mezzi, senza bastone, unicamente con la fede in Lui.
Non si intendeva di economia e di finanza, perché va a cercare quelli che lavorano alle tre e alle sei e alle nove e paga gli ultimi come i primi (Mt 20, Iss). Se Gesù fosse economo di una comu­nità o direttore di una banca, farebbe bancarotta, perché paga chi lavora meno come chi ha fatto tutto il lavoro.

 

Il mio Dio non è un Dio duro, impenetrabile,

insensibile, stoico, impassibile.

Il mio Dio è fragile.

E' della mia razza.

E io della sua.

Lui è uomo e io quasi Dio.

Perché io potessi assaporare la divinità

Lui amò il mio fango.

L'amore ha reso fragile il mio Dio. Il mio Dio ebbe fame e sonno e si riposò.

Il mio Dio fu sensibile, e fu dolce come un bambino.

Il mio Dio fu nutrito da una madre,

II mio Dio tremò dinnanzi alla morte.

Non amò mai il dolore, non fu mai amico

della malattia. Per questo curò gli infermi.

Il mio Dio patì l'esilio, fu perseguitato e acclamato.

Amò tutto quanto è umano, il mio Dio: le cose e gli uomini, il pane,

i buoni e i peccatori. Il mio Dio fu un uomo del suo tempo.

Vestiva come tutti,

parlava il dialetto della sua terra,

lavorava con le sue mani,

gridava come i profeti.

Morì giovane perché era sincero.

Lo uccisero perché lo tradiva la verità che era

nei suoi occhi.

Ma il mio Dio morì senza odiare.

Morì scusando più che perdonando.

II mio Dio è fragile.

Il mio Dio ruppe con la vecchia morale

del dente perdente,

della vendetta meschina,

per inaugurare la frontiera di un amore

e di una violenza totalmente nuova.

Il mio Dio gettato nel solco,

:        schiacciato contro terra,

tradito, abbandonato, incompreso,

continuò ad amare.

Per questo il mio Dio vinse la morte.

E comparve con un frutto nuovo tra le mani:

la Resurrezione. Per questo noi siamo tutti sulla via

della Resurrezione.

   Juan Arias

 

 

AMAMI COSI’ COME SEI

Conosco la tua miseria, le lotte e le tribolazioni della tua anima,

le deficienze e le infermità del tuo corpo; so la tua viltà, i tuoi peccati,

e ti dico lo stesso: "dammi il tuo cuore, amami come sei".

Se aspetti di essere un angelo per abbandonarti all'amore,

non amerai mai.

Anche se sei debole nella pratica del dovere e della virtù,

se ricadi spesso in quelle colpe che vorresti non commettere più,

non ti permetto di non amarmi. Amami come sei.

In ogni istante e in qualunque situazione tu sia,

nel fervore e nell'aridità, nella fedeltà e nella infedeltà,

amami… come sei…

Voglio l'amore del tuo povero cuore;

se aspetti di essere perfetto, non mi amerai mai.

Non potrei forse fare di ogni granello di sabbia

un serafino radioso di purezza, di nobiltà e di amore?

Non sono io l'Onnipotente?

E se mi piace lasciare nel nulla quegli esseri meravigliosi

e preferire il povero amore del tuo cuore,

non sono io padrone del mio amore?

Figlio mìo, lascia che Ti ami, voglio il tuo cuore. Certo voglio col tempo trasformarti

ma per ora ti amo come sei… e desidero che tu faccia lo stesso, lo voglio vedere dai bassifondi della miseria salire l'amore.

Amo in te anche la tua debolezza,

amo l'amore dei poveri e dei miserabili;

voglio che dai cenci salga continuamente un gran grido: "Gesù ti amo".

Voglio unicamente il canto del tuo cuore, non ho bisogno né della tua scienza, né del tuo talento. Un cosa solo m'importa, di vederti lavorare con amore.

Non sono le tue virtù che desidero; se te ne dessi, sei così debole che alimenterebbero il tuo amor proprio;

non ti preoccupare di questo. Avrei potuto destinarti a grandi cose;

no, sarai il servo inutile,

ti prenderò persino il poco che hai…

perché ti ho creato soltanto per amore.

Oggi sto alla porta del tuo cuore come un mendicante,

io il Re dei Re! Busso e aspetto;

affrettati ad aprirmi. Non nasconderti dietro alla tua miseria;

se tu conoscessi perfettamente la tua indigenza, morresti di dolore.

Ciò che mi ferirebbe il cuore sarebbe di vederti dubitare di me

e mancare di fiducia.

Voglio che tu pensi a me ogni ora del giorno e della notte; voglio che tu faccia anche l'azione più insignificante solo per amore.

Conto su di te per darmi gioia … Non ti preoccupare di non possedere virtù; ti darò le mie.

Quando dovrai soffrire, ti darò la forza.

Mi hai dato l'amore, ti darò di sapere amare

al di là di quanto puoi sognare …

Ma ricordati… amami come sei…

Ti ho dato mia Madre; fa' passare, fa' passare tutto dal suo Cuore così puro.

Qualunque cosa accada,

non aspettare di essere santo per abbandonarti all'amore, non mi ameresti mai… Va'…

Mons. Lebrun

 

Invocazione allo Spirito e imposizione delle mani

 

 

II Signore Gesù imponeva le mani sui bambini, pregando per loro (Mt m. 13-15): Nel testo parallelo Marco sottolinea il contatto fisico «Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse» (Me 10.13-16). L'imposizione, dunque, era anche contatto fisico. Molto spesso il gesto è accompagnato dalla realtà di una guarigione. Giairo chiede a Gesù: «La mia figlioletta è tigli estremi; vieni a imporre le mani perché sia guarita e viva» (Me 5.23). Gli presentano il sordomuto "pregando di imporli le mani» (Me 7,32); gli conducono il cieco di Betsaida «…pregando di toccarlo. Allora… gii impose le mani… sugli occhi ed egli ci vide chiaramente…» (Me 8.22-25). Era il gesto più ripetuto nelle guarigioni: «tutti quelli che avevano infermi colpiti da mali di ogni genere li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva» (Le 4.40).

Gesù ai suoi discepoli: «…imporranno le mani ai malati e questi guariranno» (Me 16.18). Anche Paolo, dopo la visione del Signore sulla strada per Damasco viene guarito da Anania precisamente con l'imposizione delle mani (Ai9.17). E poi a sua volta anche lui guarirà i malati imponendo le mani (Ai 28.8-9).

Imporre le mani sul capo di una persona significa anche invocare e trasmettere su di lei il dono dello Spirito santo per una determinata missione. È così con i battezzati di Samaria, che ricevono la visita degli apostoli per completare la loro iniziazione cristiana (Ai 8,17). Lo stesso per i discepoli di Efeso «E non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, scese su di loro lo Spirito Santo» (Ai 19,6).

Porre le mani sul capo di una creatura è abbracciare la sua vita. Il Padre usando le nostre mani, accarezza i suoi figli e posando lo sguardo su di loro dice: "Non temere, sono qua con te". Da questa esperienza di abbraccio e di amore, vengono le guarigioni e le liberazioni.

Chi impone le mani non esercita un potere personale e come servo inutile si rende stru-mento nelle mani di Dio perché possa compiere le Sue meraviglie. Nella preghiera di imposizione, non siamo chiamati a dare risposte, o a fare i guaritori, i "santoni" e nean-che a imporre la Parola di Dio o le nostre idee, ma ad essere canali trasparenti, attraverso i quali l'amore e la misericordia di Gesù raggiungono prima e in abbondanza, i cuori feriti.

Solo il Sacerdote può imporre le mani e benedire gli altri, solo le sue mani sono sacre, solo lui è un Altro-Cristo. Non fatevi mai imporre le mani sulla testa dai laici, da persone non consacrate.


 

Edda CattaniInsieme a San Leopoldo
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Tra Modena e Roma

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Fra Modena e Roma

Dopo anni di pausa quale relatrice ai Convegni di Fratelli uniti alla mia famiglia da ultraventennale conoscenza, dopo la dipartita di Mentore, ho avuto la possibilità di recarmi dapprima al “Centro Culturale l’Albero” diretto dall’amica Carla Castagnini dove, in apertura del Convegno e nella serata, ho portato la mia testimonianza di speranza nel contatto con i nostri Cari.

 

 

 

Una riflessione…. per noi tutti … genitori colpiti da una grave perdita…

Chi di noi non ha provato il dolore della malattia e della morte e spesso, disperato, distrutto da un lutto recente, annebbiato da una visione della vita e di un Dio che sembra volerci togliere le persone a noi più care ha invocato la morte come liberazione. Questi sentimenti li abbiamo provati tutti, ma se col tempo il dolore non è scomparso, molti di noi hanno accettato un disegno imperscrutabile a cui daremo risposta solo quando saremo liberi dai lacci che avvolgono la nostra materialità terrena.  Il senso della sofferenza non può essere spiegato, ma solo “trovato” cioè vissuto dall’interno ed un aspetto importante della condizione umana è proprio quello di ritrovarsi con altri che hanno vissuto la nostra stessa esperienza per cominciare a pensare non solo emotivamente.

Le Sue ferite, le nostre ferite.

Il senso della sofferenza va “trovato” e capito “dall’interno. Cristo ha fatto questo: egli che avrebbe potuto predicare, narrare il dolore e la morte, ha “raccontato” la sua stessa vita. Prima di lui dolore e morte erano segno di un limite, di imperfezione e bagaglio umano creaturale. Con Lui abbiamo la certezza di essere compresi nella nostra angoscia, nello smarrimento, nello sconforto e nella tristezza. Lui le ha provate tutte, come noi, come un qualsiasi uomo, come una qualsiasi madre: l’abbandono, l’incomprensione, la derisione, la nudità. Noi madri, scarnificate, derelitte, offese, abbruttite potremo tornare a vivere e a sorridere perché la vicinanza “dell’uomo dei dolori” ci aiuterà a rivedere tutta la nostra vita, a comprendere la sofferenza degli altri, a dare la giusta importanza alla relatività delle cose. In questa condizione potremo vivere con maggiore serenità e, siatene certi, saremo ascoltati. L’atteggiamento di chi spera è autenticità che richiama un dono ineffabile divino: quello della “provvidenza” che diviene carisma, luce e conforto. 

 

 La speranza e la comunicazione.

Sperare vuol dire attendere il momento che , opportunamente, arriverà per ciascuno di noi. Sarà un segno di modeste dimensioni, che altri non noteranno, ma che per noi sarà denso di quel contenuto noto a noi soli e che ci abbaglierà come Paolo sulla strada di Damasco. Prepariamoci ad ogni evento,  e percorriamo il nostro cammino non come gente che soffre di una malattia inguaribile, ma con lo spirito che si ritrova nella “Salvifici doloris” di Giovanni Paolo II° del 1984. Camminiamo per volere essere riscattati, con la spiritualità di chi non vuole vivere un  dolore alienante, ma nella prospettiva della salvezza e della risurrezione. Ricordiamo anche che la “comunicazione” con i nostri Cari esige “rispetto” verso coloro che potranno avvicinarci ad essa e verso i fratelli che , come noi, attendono una stilla di acqua benefica. Pensiamo ai nostri amati Figli che non conoscono più invidie, prevaricazioni, miserie e meschinità e chiediamo a loro stessi di venire a noi illuminandoci della loro Luce, abbracciandoci dell’aura benefica che li avvolge, facendosi riconoscere per la loro vicinanza.  Chiediamolo… e attendiamo … con carità e rispetto … per tutti.  

 

A Roma sono tornata dopo un anno, per vedere l’amico di sempre Filippo Liverziani, il fondatore del Convivio.  Con lui mi avvicinai al Movimento della Speranza quando lo conobbi, oltre un ventennio fa… lui che chiamavo “il patriarca dalla barba bianca”.

Eravamo a Baveno dove eravamo giunti in devoto pellegrinaggio, alla ricerca di quel conforto che non riuscivamo a trovare nel quotidiano. Erano presenti i pionieri Agnese Moneta, Mario Mancigotti, Laura Paradiso, Tonino Mascagna, Francesco Nigro, i coniugi Leardini, Paola Giovetti …

 

Non avremmo immaginato che qualche anno dopo, ci saremmo trovati fra i relatori per esporre quanto di nuovo era avvenuto all’interno della nostra famiglia e che io e mio marito tenevamo gelosamente custodito.

 

Tante volte qui a Roma al Convivio e al Movimento… Eravamo entrati a piccoli passi nella scoperta e nella ricerca di una  meravigliosa realtà che si apriva dinnanzi a noi e che pur ignorandola era raggiungibile “per un atto d’amore”.

 

Quest’anno sono tornata, forse per l’ultima volta. Il Prof. Liverziani, il mio smico e maestro sta molto male ed è stata scorsa l’ultima sua relazione, quasi un testamento spirituale. L’ho ascoltata letta da Gabriella Cominotto in devoto, religioso silenzio. Di questa metto solo il momento iniziale e finale, rimandandone la lettura al sito www.convivium-roma.it

 

 

Cari amici e amiche del Convivio,

ho la chiara impressione che ben si avvicini, almeno per me, il momento di approdare alla meta che ho perseguita, insieme a voi, per serie di anni di meditazioni e di studi.

 

La perfezione religiosa si ha nella totale sottomissione alla volontà divina. La perfezione umanistica si ha nell’associarsi nella maniera più efficace a quella divina iniziativa che vuole dar vita a un mondo migliore ed è tesa, al limite, a porre in essere una creazione perfetta.

Gli umani cooperano con Dio, il quale opera donandosi a loro in una misura che alla fine diviene integrale, totale. La cooperazione degli umani consiste nel farsi, per quanto possibile, recettivi al dono che Dio fa di Sé.

 

In questi segni possiamo vedere i gradini di una scala che ci consentirà in ultimo di salire alla perfezione infinita, alla felicità senza tramonto e senza confini.

Da entrambe le esperienze ne ho dedotto un’unica riflessione: andare ai Convegni, per elaborare un lutto aiuta… tanto… Non si cresce se ci si va con l’unico intento di ricevere un messaggio dalla medium di turno… Non si cresce tornando a casa con uno o più foglietti nella borsa… Quando si sia raggiunta la consapevolezza che i nostri Cari vivono e ci sono accanto ciò che conta è abbandonarsi all’amore del Padre… Lui saprà come consolarci!

"Dammi il supremo coraggio dell'amore,

questa è la mia preghiera,

coraggio di parlare,

di agire,

… di soffrire,

di lasciare tutte le cose,

o di essere lasciato solo.

Temperami con incarichi rischiosi,

onorami con il dolore,

e aiutami ad alzarmi ogni volta che cadrò.

Dammi la suprema certezza nell'amore,

e dell'amore,

questa è la mia preghiera,

la certezza che appartiene alla vita

nella morte, alla vittoria nella sconfitta,

alla potenza nascosta

nella più fragile bellezza,

a quella dignità nel dolore,

che accetta l'offesa,

ma disdegna di ripagarla con l'offesa.

Dammi la forza di Amare

sempre e ad ogni costo."

(K. Gibran)

 

 

Edda CattaniTra Modena e Roma
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