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13 Giugno: S.Antonio a Padova

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RICORDI DEGLI ANNI

Oggi festa grande qui a Padova -SANT’ANTONIO – Una visita per voi tutti davanti all’arca del Santo e una visita alla cappella della Madonna Mora.

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Storia: L’attuale cappella della Madonna Mora era in origine una chiesetta indipendente, S. Maria Mater Domini, risalente al XII sec., la quale – dopo che vi fu sepolto sant’Antonio nel 1231 (e vi restò fino al 1263) – fu inglobata nell’attuale basilica. La statua della Madonna Mora si trova sull’altare dal 1396.

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«La Vergine col bambino è una delle tante Madonne che in tutto il mondo sono popolarmente definite “more”, sempre per via dell’annerimento dovuto ai ceri», ha spiegato lo storico dell’arte Leopoldo Saracini del Collegio di Presidenza della Veneranda Arca del Santo. «Il sacello trecentesco oggi rimesso a nuovo, si trova sopra i resti della chiesa di Maria Mater Domini dove Sant’Antonio aveva espressamente chiesto di venir sepolto e che nel 1231 accolse le sue spoglie, lì rimaste per 32 anni prima di finire nell’arca dell’attigua cappella, meta quotidiana di pellegrini di tutto il mondo».

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DISCORSO DEL VESCOVO CIPOLLA AI FEDELI

UN “DUPLICE SEGNO”. Il vescovo ha poi annunciato: “Domenica 18 giugno, celebrando la Solennità del Corpo e Sangue del Signore (Corpus Domini), la Chiesa di Padova porrà un duplice segno. Il primo segno è la riapertura della chiesa del Corpus Domini in via Santa Lucia, danneggiata alcuni anni fa dal terremoto, dove riprenderà l’Adorazione perpetua […]. Il secondo segno riguarda le Cucine Economiche Popolari, istituzione simbolo della carità e del ‘pane’ donato nella nostra città. Esse diventeranno un vero e proprio ‘Cantiere di Carità e Giustizia’, con l’istituzione di una Fondazione canonica”.

Edda Cattani13 Giugno: S.Antonio a Padova
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Giugno: devozione al S.Cuore

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Il sacro Cuore di Gesù

Una delle devozioni più diffuse tra il popolo cristiano è la devozione al sacro Cuore di Gesù. Non si tratta tuttavia di una devozione fra tante, perché è stata rivestita dalla Chiesa di una dignità tutta particolare e si situa al centro della rivelazione cristiana.

Le dodici promesse

1. Darò loro (alle persone devote del mio Cuore) tutte le grazie necessarie al loro stato.
2. Metterò la pace nelle loro famiglie.
3. Le consolerò in tutte le loro afflizioni.
4. Sarò il loro rifugio in vita e soprattutto nella loro morte.
5. Benedirò le loro imprese.
6. I peccatori troveranno misericordia.
7. I tiepidi diventeranno ferventi.
8. I ferventi saliranno presto a grande perfezione.
9. Benedirò il luogo dove l’immagine del mio Cuore sarà esposta e onorata. 10. Darò loro le grazie di toccare i cuori più duri.
11. Le persone che propagano questa devozione avranno il loro nome scritto nel mio Cuore e non sarà mai cancellato.
12. Io prometto nell’eccesso grande di misericordia del mio Cuore che il suo amore onnipotente accorderà a tutti coloro che si comunicheranno il primo venerdì del mese, per nove mesi consecutivi, la grazia della penitenza finale e non morranno in mia disgrazia né senza ricevere i sacramenti e il mio Cuore sarà per essi un asilo sicuro negli ultimi momenti.

 

Il documento guida in materia è certamente l’enciclica di Pio XII, Haurietis aquas (Attingerete alle acque) del 15 maggio 1956, testo che andrebbe letto e meditato per intero. Questa devozione – contenuta in germe nella Sacra Scrittura, approfondita dai santi Padri, dai Dottori della Chiesa e dai grandi mistici medioevali – ha avuto un particolare incremento e la sua configurazione odierna in seguito alle apparizioni di Gesù Cristo a santa Margherita Maria Alacoque, nel monastero di Paray-le-Monial, a partire dal 27 dicembre 1673.
Da allora, superate numerose difficoltà teologiche e liturgiche, si è diffusa rapidamente fra tutte le categorie del popolo cristiano, mentre la Chiesa la ha elevata alla dignità liturgica di «solennità». In effetti essa rappresenta il centro della spiritualità cristiana e la chiave di comprensione insieme più semplice e più profonda di tutta quanta la storia della salvezza.
Non è un caso che le apparizioni a santa Margherita Maria si situino nel momento cruciale di affermazione del mondo moderno e che il simbolo del sacro Cuore sia apparso sempre come il più caratteristico in tutti i movimenti di resistenza alle correnti anticristiane della modernità.
Pio XII sottolinea che – nonostante l’importanza di Paray-le-Monial per il suo sviluppo – l’origine della devozione è nella Scrittura. E’ lo stesso Gesù che per primo presenta il suo Cuore come fonte di ristoro e di pace: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11,28-30).
In san Giovanni si legge come venne trafitto il Cuore di Cristo, l’uscita da esso del sangue e dell’acqua e il particolarissimo significato simbolico che il quarto evangelista attribuisce al fatto (Gv 19,33-37). Anche nell’Apocalisse Gesù è presentato come un Agnello «ucciso», cioè «trafitto» (cfr. Apoc 5,6; 1,7).
Detto questo le apparizioni a santa Margherita Maria conservano un’importanza eccezionale. Si dovrebbe anzi dire che nella storia della Chiesa nessun’altra comunicazione divina – al di fuori della Bibbia – ha ricevuto tante approvazioni e incoraggiamenti dal magistero della Chiesa come le rivelazioni del Cuore di Cristo a Paray-le-Monial.
In esse sono particolarmente famose «le dodici promesse». Come nella Bibbia, Dio lega il suo intervento a delle «promesse». Se l’Alleanza in Gesù Cristo si è fatta definitiva, essa è tuttavia ancora aperta nella storia, perché continuamente offerta alla libertà dell’uomo, finché dura il tempo in cui si può meritare. Al «vero devoto» del sacro Cuore, cioè a chi è ben convinto di essere, con i propri peccati, colui che ha «trafitto» il Cuore di Gesù e, consapevole del suo amore immenso, vive la propria vita nella prospettiva della riparazione, queste promesse sono di nuovo offerte. E «Dio è fedele» (1 Cor 10,13). Eccole, secondo la prima antica lettura:

 

Ricevo dalla Cara Amica Daniela (v. link) questi bellissimi pdf:

DEVOZIONE AL SACRO CAPO DI GESU’

il sacro cuore

Edda CattaniGiugno: devozione al S.Cuore
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Il terzo segreto di Fatima

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IL MESSAGGIO DI FATIMA 

(Episodi a seguito delle apparizioni)

 A lato una copia fotostatica  della rivista “Ilustração Portuguesa

del 29 ottobre 1917 ritraente la folla che osserva il ‘miracolo del sole’.

Stanzione Don Marcello

L’angelo a Fatima si manifesta sotto la figura di un giovane di 14-15 anni, più bianco della neve che il sole faceva diventare trasparente come se fosse di cristallo, e di una grande bellezza come dichiara Lucia. La novità dell’apparizione angelica di Fatima sta nel gesto dello spirito celeste di offrire l’ostia e il calice del sangue eucaristico ai tre pastorelli affinchè facciano la santa Comunione. Una tale gesto angelico non è contenuto nei Vangeli e da diversi teologi è considerato “assai misterioso” ma Don Marcello Stanzione ne offre una esauriente spiegazione.

Don Marcello Stanzione è l’autore di due libri molto facili da leggere, sulla storia di Natuzza Evolo che si trova in “mistica e guarigioni”.

(v.anche biografia di Don Marcello in “Natuzza Evolo”)

FATIMA (Portogallo) – La “principale preoccupazione” di ogni sacerdote dev’essere la “fedeltà” e la “lealtà” verso la propria “vocazione”. E’ il richiamo pronunciato da Benedetto XVI nella cerimonia dei Vespri celebrata con il clero portoghese nella chiesa della Santissima Trinità, a Fatima, dove Ratzinger è stato accolto da circa diecimila fedeli e dalle campane che suonavano a distesa.

“Permettetemi di aprirvi il cuore – ha detto il Papa – per dirvi che la principale preoccupazione di ogni cristiano, specialmente della persona consacrata del ministro dell’Altare, dev’essere la fedeltà, la lealtà alla propria vocazione, come discepolo che vuole seguire il Signore”.

Il monito di Benedetto XVI a non tradire la missione sacerdotale arriva all’indomani delle parole con cui il Pontefice ha fatto presente che la più grande “persecuzione” contro la Chiesa oggi viene non dall’esterno ma dai “peccati” che esistono al suo interno.

“In quest’anno sacerdotale che volge al termine – ha aggiunto Ratzinger durante la cerimonia dei Vespri – scenda su tutti voi una grazia abbondante perché viviate la gioia della consacrazione e testimoniate la fedeltà sacerdotale fondata sulla fedeltà di Cristo”. E ancora:  “Guai al Pastore che rimane zitto vedendo Dio oltraggiato e le anime perdersi”.

“TERZO SEGRETO DI FATIMA”

Moltissimo si è ipotizzato, per ben più di mezzo secolo, sul famoso “Terzo segreto di Fatima”, cioè su quella parte del discorso della Madonna, alla sua terza apparizione, che Lucia non riporta nel proprio racconto in quanto la stessa Santissima Vergine le disse: «Questo non lo dite a nessuno. A Francesco sì, potete dirlo».Le prime due parti – se si vuole “i primi due segreti” del messaggio di Fatima, riguardanti la predizione della Seconda Guerra Mondiale e l’ascesa e il crollo del comunismo in Russia – furono messe per iscritto da suor Lucia nel 1941, su ordine del Vescovo di Leiria e le abbiamo lette prima. Nel 1944, suor Lucia mise per iscritto anche il Terzo segreto e, prima di consegnare all’allora Vescovo di Leiria-Fatima la busta sigillata contenente questa parte del messaggio della Madonna, scrisse sulla busta esterna che poteva essere aperta solo dopo il 1960 o dal Patriarca di Lisbona o dal Vescovo di Leiria.

 

Alla domanda molto diretta posta nel 2000 a suor Lucia dal Mons. Tarcisio Bertone «Perché la scadenza del 1960? È stata la Madonna ad indicare quella data?», suor Lucia aveva risposto: «Non è stata la Signora, ma sono stata io a mettere la data del 1960 perché, secondo la mia intuizione, prima del 1960 non si sarebbe capito: si sarebbe capito solo dopo».

La busta contenente il Terzo segreto di Fatima fu invece aperta, nel 1959, da Papa Giovanni XXIII, che dopo aver letto il segreto decise di rinviare la busta sigillata al Sant’Uffizio e di non rivelarlo. Papa Paolo VI lesse il contenuto nel 1965 e anch’egli si comportò come il suo predecessore. Papa Wojtyla, dopo l’attentato subito il 13 maggio 1981, richiese la busta, di cui lesse il contenuto il 18 luglio 1981, ma lo ha rivelato solo nel 2000, in occasione del passaggio dal Secondo al Terzo millennio (e quando già la sua salute era minata dal Parkinson).

 

Il testo del Terzo segreto, rivelato a Lucia il 13 luglio 1917 nella Cova di Iria a Fatima, secondo quanto divulgato con un documento ufficiale dal Vaticano il 26 giugno del 2000, è il seguente:

«Scrivo in atto di obbedienza a Voi mio Dio, che me lo comandate per mezzo di sua Ecc.za Rev.ma il Signor Vescovo di Leiria e della Vostra e mia Santissima Madre.
Dopo le due parti che già ho esposto, abbiamo visto al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l’Angelo, indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza! E vedemmo in una luce immensa che è Dio: “qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano davanti” un Vescovo vestito di Bianco “abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre”. Vari altri Vescovi, Sacerdoti, religiosi e religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c’era una grande Croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i Vescovi Sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni. Sotto i due bracci della Croce c’erano due Angeli ognuno con un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio». Tuy, 3-1-1944

Indubbiamente il Terzo Segreto si riferisce principalmente a un castigo spirituale. Di gran lunga peggiore, ancora più spaventoso delle carestie, delle guerre e delle persecuzioni, perché riguarda le anime, la loro salvezza o la loro eterna dannazione. Il defunto Padre Alonso, nominato nel 1966 archivista ufficiale di Fatima dal Vescovo Venancio, ha dimostrato che ciò è quanto contiene il Terzo Segreto.
.. Il 10 settembre 1984, il Vescovo Cosme do Amaral, attuale Vescovo di Leiria e Fatima, nell’Aula Magna dell’Università della Tecnica di Vienna, dichiarò ..: “Il Terzo Segreto di Fatima non parla né di bombe atomiche né di testate nucleari, né di missili SS20. Il suo contenuto”, ha aggiunto “riguarda solamente la nostra Fede. Identificare il Segreto con annunci catastrofici o con un olocausto nucleare vuol dire distorcere il significato del Messaggio. La perdita della Fede di un continente è cosa peggiore dell’annientamento di una nazione; ed è vero che, in Europa, la Fede è in continua diminuzione” [Il Vescovo poteva fare questa affermazione così grave perché è un dogma della Chiesa Cattolica che per essere salvato dalle fiamme eterne dell’inferno ogni Cattolico non deve perdere la Fede. Ovviamente l’annientamento fisico non è un male così grave come la perdita eterna delle anime nell’inferno. Ecco perché questa punizione proclamata nel Terzo Segreto è peggiore della guerra e della morte.]. .. Ciò significa che la tesi di Padre Alonso è ora confermata pubblicamente dal Vescovo di Fatima: concerne la terribile crisi all’interno della Chiesa. Si tratta della perdita della Fede nella nostra era predetta dall’Immacolata Vergine ..
.. “In Portogallo il dogma della Fede sarà sempre custodito, ecc.”. Questa breve frase che la veggente aggiunse intenzionalmente e con sicurezza quando scrisse per la seconda volta .. la conclusione del [terzo] Segreto nelle sue Memorie .. ci fornisce in modo molto discreto la chiave del Terzo Segreto. Ecco il ragionevole commento di Padre Alonso: “In Portogallo il dogma della fede sarà sempre custodito”. Questa frase implica in tutta chiarezza lo stato di crisi della Fede che avverrà nelle altre nazioni. Vi sarà quindi una crisi della Fede, mentre il Portogallo la salverà. .. Se ‘In Portogallo i dogmi della Fede saranno sempre custoditi’ si può dedurre con assoluta chiarezza che in altre parti della Chiesa questi dogmi stanno diventando oscuri o potranno persino andare perduti”.
.. Aggiungeremo che il Cardinale Ratzinger stesso ha parlato in tal senso a Vittorio Messori, affermando che il Terzo Segreto riguarda “i pericoli che minacciano la Fede e la vita dei Cristiani”.
.. il Terzo Segreto insiste sulle pesanti responsabilità delle anime consacrate, dei preti e persino degli stessi Vescovi in questa crisi della Fede senza precedenti che da 25 anni ha colpito la Chiesa. [Per] citare Padre Alonso: “E’ quindi assolutamente probabile che il testo del Terzo Segreto faccia allusioni concrete alla crisi della fede nella Chiesa e alla negligenza degli stessi pastori”. Egli parla inoltre di “lotte interne proprio in seno alla Chiesa e di gravi negligenze pastorali da parte delle alte gerarchie”, e di “deficienze da parte della più alta gerarchia della Chiesa”. [Questo..] spiega infine perché i Papi, fin dall’ottimista Giovanni XXIII, hanno esitato, ritardato e incessantemente rimandato la sua pubblicazione, cercando a ogni costo di tenerlo nascosto.


 

Edda CattaniIl terzo segreto di Fatima
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La Sagrada Familia

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La Sagrada Familia

Non dobbiamo mai dimenticare che la sinergia – grazia di Dio e collaborazione degli uomini – è il segreto della vita di una comunità cristiana come leggiamo alla fine del Vangelo di Marco: “Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano” (Me 16,20).

 

Chi non ha sentito parlare della chiesa della Sagrada Familia di Barcellona e del suo progettista – Gaudi – che vi lavorò dal 1883 al 1926, anno della sua morte?

Secondo il progetto che aveva in mente doveva essere grandiosa: mai visto niente di simile in terra spagnola. La Sagrada Familia doveva essere qualcosa che non aveva confronti, una chiesa grande, aperta a rutti. Gaudi era un grande credente la cui fede sfociava in contemplazione della bellezza di Dio.

Egli diceva: “Nei templi greci e nel loro recinto sacro potevano entrare solo i sacerdoti. Nei templi di Roma aveva accesso solo l’augure. La chiesa cristiana invece deve essere grande perché è aperta a tutti, accoglie e raccoglie l’assemblea dei figli di Dio”.

Quando morì, investito da un tram, nel 1926, aveva costruito appena la facciata della natività: una delle tre facciate.

E soltanto 4 torri-guglie delle 18 che aveva ideate.

La Sagrada Familia poteva rimanere un’opera incompiuta come è accaduto a molte altre imponenti costruzioni, pensiamo alla basilica di Santa Giustina in Padova. Invece è andata diversamente: la vera opera di Gaudi è nata proprio in quel momento in cui lui è scomparso.

Dopo di lui la grande sfida si metteva in marcia: costruire non la cattedrale, ma il popolo che vuole la cattedrale come progetto di Dio.

Infatti i lavori non si bloccarono anzi proseguirono in un lungo passa-bandiera di architetti, capomastri, capocantieri, tagliatori di pietre, ceramisti, giù giù fino ai semplici muratori e a questo si aggiungevano le elemosine di tutti i giorni, in un lungo elenco fatto di monetine, peseta, donazioni,… Venivano da Barcellona a vedere la cattedrale, poi da tutta la Spagna, poi da tutto il mondo. Anche oggi tutti i turisti che arrivano a Barcellona non rinunciano a vederla: ha due milioni di visitatori l’anno.

La sua forza e la sua bellezza sono costituite dal suo essere in perenne costruzione, dal suo non fermarsi: non importa quando sarà compiuta.

È la chiesa del dono, esempio massimo di quanto possa la volontà degli uomini quando si uniscono, partecipano e si donano in totale apertura al disegno di amore di Dio.

 

 

E a tal proposito queste sono le parole di Papa Francesco:

“Paolo non dice agli ateniesi: ‘Questa è la enciclopedia della verità. Studiate questo e avrete la verità, la verità!’. No! La verità non entra in un’enciclopedia. La verità è un incontro (…) Io ricordo quando ero bambino e si sentiva nelle famiglie cattoliche, nella mia: ‘No, a casa loro non possiamo andare, perché non sono sposati per la Chiesa, eh!’. Era come una esclusione. No, non potevi andare! O perché sono socialisti o atei, non possiamo andare. Adesso – grazie a Dio – no, non si dice quello, no? Non si dice! C’era come una difesa della fede, ma con i muri: il Signore ha fatto dei ponti .. I cristiani che hanno paura di fare ponti e preferiscono costruire muri sono cristiani non sicuri della propria fede, non sicuri di Gesù Cristo”.

 

(papa Francesco, omelia messa mattutina a Santa Marta )

 

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La Vergine di Guadalupe

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Il Papa in Messico alla Vergine di Guadalupe

Ricordando la visita del 2016

 

Con gli oltre venti milioni di pellegrini che lo visitano ogni anno, il santuario di Nostra Signora di Guadalupe, in Messico, è il più frequentato e amato di tutto il Centro e Sud America. Sono pellegrini di ogni razza e d’ogni condizione – uomini, donne, bambini, giovani e anziani – che vi giungono dalle zone limitrofe alla capitale o dai centri più lontani, a piedi o in bicicletta, dopo ore o, più spesso, giorni di cammino e di preghiera.
L’apparizione, nel XVI° secolo, della “Virgen Morena” all’indio Juan Diego e’ un evento che ha lasciato un solco profondo nella religiosità e nella cultura messicana. La basilica ove attualmente si conserva l’immagine miracolosa e’ stata inaugurata nel 1976. Tre anni dopo e’ stata visitata dal papa Giovanni Paolo II, che dal balcone della facciata su cui sono scritte in caratteri d’oro le parole della Madonna a Juan Diego: “No estoy yo aqui que soy tu Madre?”, ha salutato le molte migliaia di messicani confluiti al Tepeyac; nello stesso luogo, nel 1990, ha proclamato beato il veggente Juan Diego, che è stato infine dichiarato santo nel 2002.
Che cosa era accaduto in quel lontano secolo XVI° in Messico? Con lo sbarco degli spagnoli nelle terre del continente latino-americano aveva avuto inizio la lunga agonia di un popolo che aveva raggiunto un altissimo grado di progresso sociale e religioso. Il 13 agosto 1521 aveva segnato il tramonto di questa civiltà, quando Tenochtitlan, la superba capitale del mondo atzeco, fu saccheggiata e distrutta. L’immane tragedia che ha accompagnato la conquista del Messico da parte degli spagnoli, sancisce per un verso la completa caduta del regno degli aztechi e per l’altro l’affacciarsi di una nuova cultura e civiltà originata dalla mescolanza tra vincitori e vinti. E’ in questo contesto che, dieci anni dopo, va collocata l’apparizione della Madonna a un povero indio di nome Juan Diego, nei pressi di Città del Messico. La mattina del 9 dicembre 1531, mentre sta attraversando la collina del Tepeyac per raggiungere la città, l’indio e’ attratto da un canto armonioso di uccelli e dalla visione dolcissima di una Donna che lo chiama per nome con tenerezza. La Signora gli dice di essere “la Perfetta Sempre Vergine Maria, la Madre del verissimo ed unico Dio” e gli ordina di recarsi dal vescovo a riferirgli che desidera le si eriga un tempio ai piedi del colle. Juan Diego corre subito dal vescovo, ma non viene creduto.
Tornando a casa la sera, incontra nuovamente sul Tepeyac la Vergine Maria, a cui riferisce il suo insuccesso e chiede di essere esonerato dal compito affidatogli, dichiarandosene indegno. La Vergine gli ordina di tornare il giorno seguente dal vescovo, che, dopo avergli rivolto molte domande sul luogo e sulle circostanze dell’apparizione, gli chiede un segno. La Vergine promette di darglielo l’indomani. Ma il giorno seguente Juan Diego non può tornare: un suo zio, Juan Bernardino, è gravemente ammalato e lui viene inviato di buon mattino a Tlatelolco a cercare un sacerdote che confessi il moribondo; giunto in vista del Tepeyac decide perciò di cambiare strada per evitare l’incontro con la Signora. Ma la Signora è là, davanti a lui, e gli domanda il perchè di tanta fretta. Juan Diego si prostra ai suoi piedi e le chiede perdono per non poter compiere l’incarico affidatogli presso il vescovo, a causa della malattia mortale dello zio. La Signora lo rassicura, suo zio è già guarito, e lo invita a salire sulla sommità del colle per cogliervi i fiori. Juan Diego sale e con grande meraviglia trova sulla cima del colle dei bellissimi “fiori di Castiglia”: è il 12 dicembre, il solstizio d’inverno secondo il calendario giuliano allora vigente, e né la stagione né il luogo, una desolata pietraia, sono adatti alla crescita di fiori del genere. Juan Diego ne raccoglie un mazzo che porta alla Vergine, la quale però gli ordina di presentarli al vescovo come prova della verità delle apparizioni. Juan Diego ubbidisce e giunto al cospetto del presule, apre il suo mantello e all’istante sulla tilma si imprime e rende manifesta alla vista di tutti l’immagine della S. Vergine. Di fronte a tale prodigio, il vescovo cade in ginocchio, e con lui tutti i presenti. La mattina dopo Juan Diego accompagna il presule al Tepeyac per indicargli il luogo in cui la Madonna ha chiesto le sia innalzato un tempio. Nel frattempo l’immagine, collocata nella cattedrale, diventa presto oggetto di una devozione popolare che si è conservata ininterrotta fino ai nostri giorni. La Dolce Signora che si manifestò sul Tepeyac non vi apparve come una straniera. Ella infatti si presenta come una meticcia o morenita, indossa una tunica con dei fiocchi neri all’altezza del ventre, che nella cultura india denotavano le donne incinte. E’ una Madonna dal volto nobile, di colore bruno, mani giunte, vestito roseo, bordato di fiori. Un manto azzurro mare, trapuntato di stelle dorate, copre il suo capo e le scende fino ai piedi, che poggiano sulla luna. Alle sue spalle il sole risplende sul fondo con i suoi cento raggi. L’attenzione si concentra tutta sulla straordinaria e bellissima icona guadalupana, rimasta inspiegabilmente intatta nonostante il trascorrere dei secoli: questa immagine, che non è una pittura, né un disegno, né è fatta da mani umane, suscita la devozione dei fedeli di ogni parte del mondo e pone non pochi interrogativi alla scienza, un po’ come succede ormai da anni col mistero della Sacra Sindone.
La scoperta più sconvolgente al riguardo è quella fatta, con l’ausilio di sofisticate apparecchiature elettroniche, da una commissione di scienziati, che ha evidenziato la presenza di un gruppo di 13 persone riflesse nelle pupille della S. Vergine: sarebbero lo stesso Juan Diego, con il vescovo e altri ignoti personaggi, presenti quel giorno al prodigioso evento in casa del presule. Un vero rompicapo per gli studiosi, un fenomeno scientificamente inspiegabile, che rivela l’origine miracolosa dell’immagine e comunica al mondo intero un grande messaggio di speranza. Nostra Signora di Guadalupe, che appare a Juan Diego in piedi, vestita di sole, non solo gli annuncia che è nostra madre spirituale, ma lo invita – come invita ciascuno di noi – ad aprire il proprio cuore all’opera di Cristo che ci ama e ci salva. Meditare oggi sull’evento guadalupano, un caso di “inculturazione” miracolosa, significa porsi alla scuola di Maria, maestra di umanità e di fede, annunciatrice e serva della Parola, che deve risplendere in tutto il suo fulgore, come l’immagine misteriosa sulla tilma del veggente messicano, che la Chiesa ha recentemente proclamato santo.

Autore: Maria Di Lorenzo

 

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I “messaggi” mariani

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I “messaggi” mariani

 

Quante volte ci siamo addentrati in questo delicato argomento… Eppure il nostro intervento non ha fermato il propagarsi di un certo fanatismo religioso che, al contrario di quanto viene riportato nei Vangeli, che descrivono Maria, come donna riservata, tenace e di capace di poche espressioni significative… la ritiene dispensatrice di lunghi messaggi, dettati ad improvvisati veggenti.

 

E’ con piacere che pubblichiamo per intero questa recensione fatta da “Asia News” su quanto Papa Francesco, dalla Città del VATICANO, ha dichiarato in merito!

Papa: la Madonna “non è un capoufficio della Posta, per inviare messaggi tutti i giorni”.
Francesco durante la messa a Casa santa Marta parla dello spirito di curiosità “quando noi vogliamo impadronirci dei progetti di Dio, del futuro, delle cose; conoscere tutto, prendere in mano tutto…”. E’ uno spirito che genera confusione e ci allontana dallo Spirito della sapienza “che ci aiuta a giudicare, a prendere decisioni secondo il cuore di Dio. E questo spirito ci dà pace, sempre!”.

La Madonna è madre e ama tutti, “ma non è un capoufficio della Posta, per inviare messaggi tutti i giorni”. Papa Francesco commenta  così lo “spirito di curiosità”, il volersi “impadronire dei progetti di Dio” invece di “camminare” nella sapienza dello Spirito Santo e che ci spinge a voler sentire che il Signore è qua oppure è là; o ci fa dire: “Ma io conosco un veggente, una veggente, che riceve lettere della Madonna, messaggi dalla Madonna”.

Dello spirito di curiosità che genera confusione e ci allontana dallo Spirito della sapienza il Papa ha parlato questa mattina commentando durante la messa celebrata a Casa santa Marta il passo del Libro della Sapienza, dove si descrive “lo stato d’animo dell’uomo e della donna spirituale”, del vero cristiano e della vera cristiana che vivono “nella sapienza dello Spirito Santo. E questa sapienza li porta avanti con questo spirito intelligente, santo, unico, molteplice, sottile”. Come riferisce la Radio Vaticana, Francesco ha detto che “questo è camminare nella vita con questo spirito: lo spirito di Dio, che ci aiuta a giudicare, a prendere decisioni secondo il cuore di Dio. E questo spirito ci dà pace, sempre! E’ lo spirito di pace, lo spirito d’amore, lo spirito di fraternità. E la santità è proprio questo. Quello che Dio chiede ad Abramo – ‘Cammina nella mia presenza e sii irreprensibile’ – è questo: questa pace. Andare sotto la mozione dello Spirito di Dio e di questa saggezza. E quell’uomo e quella donna che camminano così, si può dire che sono un uomo e una donna saggia. Un uomo saggio e una donna saggia, perché si muovono sotto la mozione della pazienza di Dio”.

Ma nel Vangelo “ci troviamo davanti ad un altro spirito, contrario a questo della sapienza di Dio: lo spirito di curiosità”. “E’ quando noi vogliamo impadronirci dei progetti di Dio, del futuro, delle cose; conoscere tutto, prendere in mano tutto… I farisei domandarono a Gesù: ‘Quando verrà il Regno di Dio?’. Curiosi! Volevano conoscere la data, il giorno… Lo spirito di curiosità ci allontana dallo Spirito della sapienza, perché soltanto interessano i dettagli, le notizie, le piccole notizie di ogni giorno. O come si farà questo? E’ il come: è lo spirito del come! E lo spirito di curiosità non è un buono spirito: è lo spirito di dispersione, di allontanarsi da Dio, lo spirito di parlare troppo. E Gesù anche va a dirci una cosa interessante: questo spirito di curiosità, che è mondano, ci porta alla confusione”.

La curiosità ci spinge a voler sentire che il Signore è qua oppure è là; o ci fa dire: “Ma io conosco un veggente, una veggente, che riceve lettere della Madonna, messaggi dalla Madonna”. E il Papa commenta: “Ma, guardi, la Madonna è Madre, eh! E ci ama a tutti noi. Ma non è un capoufficio della Posta, per inviare messaggi tutti i giorni”. “Queste novità allontanano dal Vangelo, allontanano dallo Spirito Santo, allontanano dalla pace e dalla sapienza, dalla gloria di Dio, dalla bellezza di Dio”. Perché “Gesù dice che il Regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione: viene nella saggezza”. “Il Regno di Dio è in mezzo a voi!”, dice Gesù: è “questa azione dello Spirito Santo, che ci dà la saggezza, che ci dà la pace. Il Regno di Dio non viene nella confusione, come Dio non parlò al profeta Elia nel vento, nella tormenta” ma “parlò nella soave brezza, la brezza della sapienza”:

“Così Santa Teresina – Santa Teresa di Gesù Bambino – diceva che lei doveva fermarsi sempre davanti allo spirito di curiosità. Quando parlava con un’altra suora e questa suora raccontava una storia, qualcosa della famiglia, della gente, alcune volte passava ad un altro argomento e lei aveva voglia di conoscere la fine di questa storia. Ma sentiva che quello non era lo spirito di Dio, perché era uno spirito di dispersione, di curiosità. Il Regno di Dio è in mezzo a noi: non cercare cose strane, non cercare novità con questa curiosità mondana. Lasciamo che lo Spirito ci porti avanti, con quella saggezza che è una soave brezza. Questo è lo Spirito del Regno di Dio, di cui parla Gesù. Così sia”.

Ad ognuno trarre le proprie conclusioni!

 

 

Edda CattaniI “messaggi” mariani
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Sacra Sindone e Volto Santo

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Un ricordo e una storia importante in ricordo dell’evento

LA   SACRA   SINDONE E IL  VOLTO  SANTO  DI   MANOPPELLO  

     ( Studio e ricerca svolta sul parallelismo di queste due sacre immagini )

L’ostensione della Sacra Sindone 2015 dopo quella del 2010


Il Telo è stato visibile per la prima volta dopo l’importante intervento di conservazione del 2002, attraverso cui sono stati asportati i lembi di tessuto bruciato a Chambéry nel 1532, le toppe apposte allora dalle suore Clarisse e sostituito il telo d’Olanda che fungeva da supporto.
Novità dell’ostensione ha riguardato anche il percorso di avvicinamento al Duomo che, arricchito di informazioni rispetto alle precedenti ostensioni, dai Giardini Reali bassi, attraverso uno dei punti più affascinanti del Polo Reale, la Manica nuova, per sbucare poi sul piazzale del campanile. Nella sala della prelettura proiettate le nuove immagini del Telo ad altissima risoluzione. Diversa anche la collocazione della Penitenzieria, che ha trovato spazio a Palazzo Chiablese, e, tra le altre novità, la presenza di un bookshop al piano terreno del Palazzo della Regione, in piazza Castello.


Ricordiamo un grande avvenimento 

La sistemazione della Sindone nel Duomo di Torino

 “L’ostensione è essenzialmente un evento spirituale e religioso e non commerciale o turistico”. Parole dell’Arcivescovo di Torino, il cardinal Severino Poletto, rivolte ai giornalisti presenti nell’aula magna del Seminario Metropolitano nel corso conferenza stampa convocata 48 ore prima dall’apertura ufficiale dell’ostensione della Santa Sindone nella cattedrale di Torino, la prima del terzo millennio, all’insegna del motto «Passio Christi, passio hominis» scelto dall’Arcivescovo per sottolineare come «la passione di Cristo riassuma in sé tutte le sofferenze degli uomini».

Sindone: in una settimana oltre 200.000 pellegrini   
Domenica 18 aprile anche 4.500 militari

 

 

A una settimana dall’apertura dell’ostensione è ora di fare i primi bilanci. Da sabato 10 a venerdì 16 aprile, sono passati davanti alla Sindone 208.069 pellegrini prenotati. Altre 68 mila persone circa sono entrate in Duomo dalla porta centrale. Sempre alla data di venerdì le prenotazioni hanno raggiunto la cifra di 1.634.668 persone. La porta centrale del Duomo si conferma, come nelle precedenti ostensioni, un punto importantissimo di accesso alla Sindone: sono molti, infatti, i «non prenotati», soprattutto torinesi, che entrano in chiesa e si fermano per qualche minuto a vedere con più calma il Sacro Lino.
Sono stati oltre 2000 i giovani che sabato sera hanno partecipato alla “notte bianca” di riflessione e meditazione davanti alla Sindone, organizzata dalla Pastorale giovanile diocesana di Torino e guidata dal cardinale Arcivescovo di Torino Severino Poletto.
Questa mattina, dopo la messa nella Basilica di Maria Ausiliatrice celebrata dall’Ordinario militare per l’Italia  mons. Vincenzo Pelvi, 4500 militari di ogni ordine e grado, fanfara in testa, sono sfilati in corso Regina Margherita con i loro famigliari per raggiungere viale I Maggio. Accolti dal presidente del Comitato per l’Ostensione prof. Alfieri e da mons. Ghiberti erano presenti, tra mostrine e stellette, numerosi comandanti e allievi delle Forze di Polizia, delle Forze Armate e dei Vigili del Fuoco.
Intanto dalle prime luci dell’alba è ripreso il pellegrinaggio dei fedeli provenienti da tutta Italia e da Francia, Ucraina, Stati Uniti e Sri Lanka.

Vediamo ora “Il Volto Santo” a Manoppello

 

 Sacra Sindone e Volto Santo Manoppello VIDEOCLIP

Era il 1999 e una notizia sorprendente veniva da Manoppello, un piccolo ma popoloso borgo di case disposte a schiera intorno al primitivo castrum, nell’Abruzzo ai piedi della Majella. Proprio qui, “dimenticata da 400 anni”, così si sentiva dire, si trovava la Veronica (la “vera icona”), il velo su cui sarebbe rimasto impresso il Volto di Gesù Cristo e che si trovava una volta nella basilica di San Pietro a Roma. Un gesuita tedesco e storico dell’arte, che dal 1966 vive a Roma, il padre Heinrich Pfeiffer, aveva esaminato la reliquia di Manoppello dal punto di vista storico ed artistico ed era sicuro di aver identificato l’originale del velo santo. Un fatto che apriva vaste discussioni scientifiche, storiche e religiose. Si poteva, giusto in tempo per il Grande Giubileo e dopo quasi 2000 anni dalla Crocifissione, conoscere l’aspetto di Gesù? Sì, secondo padre Heinrich Pfeiffer, professore tedesco di iconologia e storia dell’arte cristiana all’Università Gregoriana di Roma.

Per tredici anni padre Pfeiffer si era dedicato ad approfondite ricerche su una reliquia che non era mai stata presa in seria considerazione dalla scienza. La reliquia, un velo di cm 17 x 24, si trova custodita nella chiesa del Convento dei frati cappuccini nel paese abruzzese di Manoppello. Mentre la Sindone di Torino, il lenzuolo funerario nella quale – secondo Matteo 27,59; Marco 15,46; Luca 23,52 – è stato avvolto Cristo, costituisce l’oggetto religioso e archeologico più esaminato del mondo (dalla scienza che si chiama Sindonologia), il velo di Manoppello è stato dimenticato dalla scienza per 400 anni.

Ciononostante, da quattro secoli il Santuario del Volto Santo di Manoppello è meta di pellegrini provenienti dall’Italia e da altre parti del mondo. Studiosi, teologi, filosofi, scrittori, artisti, uomini dotti, personaggi ecclesiastici e politici hanno sostato dinanzi al Volto Santo. Come tutti i santuari anche questo è “luogo di conversioni, di riconciliazione con Dio e oasi di pace” (papa Giovanni Paolo II), una “stazione e clinica dello spirito” (papa Paolo VI).

Il Volto Santo è di fatto un velo tenue, i fili orizzontali del tessuto sono ondeggianti e di semplice struttura, l’ordito e la trama, non troppo fine e visibile ad occhio nudo, si intrecciano nella forma di una normale tessitura. Le misure del panno sono 17 x 24 cm. È l’immagine di un viso maschile con i capelli lunghi e la barba divisa a bande. Caso unico al mondo in cui l’immagine è visibile da entrambe le parti, le tonalità del colore sono molto tenui, gli occhi guardano molto intensamente da una parte e verso l’alto, e le pupille sono completamente aperte, anche se in modo irregolare. La cosa sorprendente è che sulla base di esami scientifici con riprese digitali, osservazioni sotto luce ultravioletta e al microscopio, il velo non presenta tracce di pigmenti o pitture.

Da dove viene questa misteriosa reliquia? Secondo la tradizione, che si basa su una relazione storica scritta da Padre Donato da Bomba nel 1640, giunse a Manoppello in un giorno imprecisato del 1506, quando il fisico e astrologo Giacomo Antonio Leonelli, mentre conversava con alcune persone, vide arrivare uno sconosciuto pellegrino che, rivolgendosi a lui, lo invitava a seguirlo all’interno della Chiesa. Qui gli consegnava un misterioso velo involto, con la raccomandazione di prendersi cura del misterioso oggetto, dal quale avrebbe ottenuto preziosi benefici materiali e spirituali. Mentre l’uomo incuriosito svolse il velo, scoprendone con stupore e commozione il viso di Cristo dipinto, il pellegrino scomparve, senza lasciare traccia.
Il velo rimase in casa Leonelli per quasi cento anni; ma nel 1608 i diversi eredi cominciarono a contenderselo come eredità; ebbe la meglio Pancrazio Petrucci, un soldato, marito di una degli eredi, Marzia Leonelli, che irruppe con arroganza portandoselo via con la forza. La famiglia Leonelli da quel giornò cominciò ad andare in rovina. Tempo dopo Pancrazio fu arrestato ed imprigionato a Chieti, e la moglie per riscattarlo fu costretta a vendere il prezioso velo a Donantonio De Fabritiis.
Non essendo in buone condizioni, quest’ultimo pensò bene di mostrarlo ai Frati Cappuccini anche per accertarsi dell’effettivo valore, i quali, felici di essere entrati in possesso di quella reliquia prodigiosa, si preoccuparono di proteggerlo all’interno di una cornice, ancora oggi visibile. Nel 1683 De Fabritiis ne fece quindi dono ai Cappuccini, che nel 1646, dopo l’autenticazione notarile, esposero la reliquia alla pubblica venerazione.

Nel corso degli anni però numerosi studiosi e uomini di Chiesa sono andati alla ricerca della verità storica. Padre Heinrich Pfeiffer, gesuita e docente di iconologia e storia dell’arte cristiana all’Università Gregoriana di Roma, afferma che il velo di Manoppello è la Veronica Romana. Secondo la ricostruzione storica, la Veronica, in origine chiamata appunto “acheiropoietos” raggiunse Costantinipoli nel VI secolo (proveniente dapprima da Gerusalemme e poi dalla Camelia, in Cappadocia). Vi rimase fino al 705, quando misteriosamente scomparve, secondo alcuni storici per preservarla dai movimenti iconoclasti del periodo. Raggiunse Roma durante il periodo di Papa Gregorio II e, dopo varie vicissitudini finì nell’antica Basilica di San Pietro, dove diventò un’importante meta religiosa di migliaia di pellegrini. Dopo la demolizione della cappella ove era custodita la Veronica, nel 1608, se ne persero le tracce, e tutto lascerebbe pensare che il velo comparso a Manoppello sia proprio la storica e leggendaria Veronica.

La cosa più sorprendente emerge solo a partire dal 1978, quando suor Blandina Paschalis Schloemer, un’esperta iconografa, come risultato di alcune ricerche ed indagini, affermò che il volto di Manoppello e quello ritratto dalla Sacra Sindone di Torino, sono esattamente sovrapponibili. I tratti sono infatti gli stessi: viso ovale leggermente rotondo e asimmetrico, capelli lunghi, un ciuffo di capelli sopra la fronte, la bocca leggermente aperta, lo sguardo rivolto verso l’alto. In seguito ad ulteriori ricerche condotte dallo stesso Pfeiffer e Padre Bulst, sindonologo, la relazione tra la Sindone e il Volto Santo sarebbe quasi una certezza, ed alle loro scoperte è dedicata una mostra permanente all’interno del Santuario dove è possibile vedere i test e le prove fotografiche dei loro studi.
Ad avvalorare la loro ipotesi sarebbe anche il fatto che, almeno secondo le cronache storiche, la Sindone avrebbe avuto un percorso storico/geografico molto simile a quello fatto dalla Veronica. Secondo i due studiosi la Sindone ed il Velo, sarebbero stati poggiati entrambi sul volto di Cristo, e a questo deriva la loro sovrapponibilità. Parallelamente sarebbero quindi partiti da Gerusalemme alla volta di Camelia, per poi raggiungere Costantinopoli. Da qui le loro strade si sarebbero però divise.


 

 

 

 

Edda CattaniSacra Sindone e Volto Santo
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4 Ottobre: S.Francesco D’Assisi

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Il 3 ed il 4 ottobre 2016 si svolgeranno a Santa Maria degli Angeli e Assisi le celebrazioni per commemorare San Francesco Patrono d’Italia.
Ogni anno una delegazione di una regione italians offre l’olio per la lampada votiva che arde davanti alla tomba del Santo.

San Francesco nella pittura di Giotto

 

di Giulietta Livraghi Verdesca Zain

    Mi è sempre piaciuto immaginare S. Francesco d’Assisi e Giotto come due buoni amici che, tenendosi per mano, si avviano lungo le parallele di un messaggio destinato, più che a trasfigurare, a puntualizzare la parabola umana.

     Se si parla di Giotto, infatti, scappa fuori subito S. Francesco e chi, viceversa, si muove alla ricerca di S. Francesco, si trova prima o poi faccia a faccia con Giotto.

     Tutto questo, perché il francescanesimo ha trovato nella dimensione artistica di Giotto l’espressione più esatta e il pittore, assimilando la realtà del messaggio francescano, è pervenuto ad una fusione dell’umano con il divino; punto d’arrivo che per molti altri artisti è rimasto semplice stadio di ricerca.

     Ci si trova immersi in uguale atmosfera, sia che si ascolti il “Cantico delle creature”, sia che, nella Basilica di Assisi, si assimili la narrazione pittorica di Giotto. Uguale limpidezza di ritmo, analoga chiarità di visione ci vincolano alla scoperta della verità, una verità che, mentre esprime il mistico, sottolinea l’umano, quasi a richiamare alle fonti prime di ogni evoluzione esistenziale.

     S. Francesco è certo il Santo più rivoluzionario della storia della Chiesa, nel senso che il suo messaggio, esploso in un periodo di particolare crisi, sovverte, direi meglio mina alle basi l’edificio di una società che aveva costruito l’egoismo e la lotta sull’acquiescenza dei deboli e la malvagità dei forti. Una rivoluzione totalmente nuova, sia nello spirito come nei mezzi: distruggere edificando, lottare instaurando la pace, condannare perdonando. Praticamente,  S. Francesco scavalcando le posizioni morali del suo tempo, richiamando ad una vita più vera, intesa nel migliore significato e, pur proiettandosi nel futuro, attinge ogni suo gesto dal passato, cioè torna alle origini dell’amore, uniformandosi pienamente al modello primo: Cristo. E la sua rivoluzione si compie nella calma, quasi nel silenzio, nella fedeltà di una missione ch’è poi umiltà di operato e semplicità di verbo.

 

Come in S. Francesco l’opera di rinnovamento morale improvvisamente scopre una sua poetica, un lirismo intenso e profondo, per via di quel contatto diretto con la natura, riportata alla purezza primordiale della creazione, la pittura di Giotto, pur rimanendo distesa ed essenzialmente vincolata alla realtà, spesso sconfina nel simbolo, in virtù di una forza metafisica inconsciamente rimasta alle basi del dialogo.

     Ho detto all’inizio che S. Francesco e Giotto li ho sempre immaginati come due buoni amici avviati sullo stesso itinerario, ma – a ripensarci – è più giusto immaginarli al megafono di una stessa verità, una verità che giorno dietro giorno, o meglio secolo dietro secolo, si è fatta sempre più scottante: la necessità che l’uomo ritrovi la sua essenza, la sua parte migliore. S. Francesco continua a lanciare il suo messaggio, chiamando fratello il sole e dialogando con gli uccelli, dando un’anima al vento e una mansuetudine al lupo. Giotto traduce in linee e colori il grande messaggio, con la purezza di chi crede senza richiedere prove.

     E per noi, alle soglie del duemila, persi fra corse astrali e disintegrazioni atomiche, per noi che ci scopriamo sempre più macchine (1969!!!)* e ci avviamo a diventare robot, è un messaggio quanto mai necessario, un appello quanto mai urgente.

* La nota in parentesi è aggiunta da Nino Pensabene

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Questo articolo è tratto da “Il Santo dei Voli”, Anno XXIII, N. 7, luglio 1969, periodo in cui, grazie alla direzione di P. Eugenio Galignano, la rivista del santuario “San Giuseppe da Copertino” si era culturalmente arricchita, cioè al suo carattere prettamente religioso e devozionale aveva – pur conservando i principi  di fondo – aggiunto quel tenore tematico-espressivo che le consentiva di affiancarsi alle riviste culturali dell’epoca. Noi (io e Giulietta), che in quel tempo operavamo a Roma, dirigendo “La Prora” e  pubblicando sui giornali e sulle riviste artistico-letterarie più in auge dell’Italia intera, non ci sorprendemmo affatto quando P. Galignano ci invitò a collaborare; intendo dire che quanto eravamo in grado di offrire non ci sembrò potesse essere non pertinente alla linea programmatica della rivista. Certo, nonostante tutto,  ricordo che per questo articolo Giulietta si pose il problema del linguaggio, di non dargli cioè un carattere eccessivamente critico – come il tema “Arte” invogliava-  e mantenerlo invece in una semplicità espressiva dolcemente fruibile anche da una categoria di lettori “non addetti ai lavori”, quale poteva trovarsi fra i devoti di un santo.

Successivamente, P. Eugenio – che saluto con immutata stima – è stato chiamato all’alta carica di Presidente Internazionale della Milizia dell’Immacolata, fondata nel 1917 da San Massimiliano Kolbe. (N. P.)

Edda Cattani4 Ottobre: S.Francesco D’Assisi
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Le case di Maria

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Le case di Maria

 

( …è  periodo di pellegrinaggi…)

 

Gesù ne scelse dodici per «fare casa» con loro, perché facessero esperienza di vita con lui. La guarigione della vita è liberarla dalla malattia della solitudine, dalla tirannia del fare, dal fascino della quantità, e riproporre il fascino della comunione.

 

 

Un viaggio attraverso le case che Maria ha abitato nel corso della sua esistenza: questo, in sintesi il contenuto del libro di Hermes Ronchi. La memoria biblica di Maria, infatti, si apre con una casa, dove è un angelo a parlare, e si chiude con una casa, dove a parlare sono il vento e il fuoco. Dalla casa di Nazaret alla casa di Gerusalemme.La casa non è soltanto l’abitazione, ma il luogo dove accadono gli eventi decisivi della vita. La metafora della casa ci aiuta a passare dall’edificio all’interiorità di chi vi abita. La casa in realtà è Maria stessa. Raccolta e ospitale, con le due caratteristiche proprie di ogni casa, Maria sarà casa di Dio. Creatrice di relazioni, Ella nelle sue case trasmette ed elabora un’arte di vivere e ci insegna a non smarrire la polifonia dell’esistenza e degli affetti.

 

 

Oh! adorare e cioè perdersi nell’insondabile, immergersi nell’inesau­ribile, trovare pace nell’incorruttibile, assorbirsi nell’immensità defi­nita, offrirsi al Fuoco e alla Trasparenza, annientarsi consapevol­mente e volontariamente man mano che si prende sempre più coscienza di sé, darsi senza limiti a ciò che non ha limite!  Pierre Teilhard de Chardin (L’ambiente divino)

 

 

 

Edda CattaniLe case di Maria
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Miracoli fra storia e religione

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MIRACOLI

 

(Fatti religiosi e interpretazione storica)

 

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Si può affermare che, come la nozione di mistero, anche quella di «miracolo» (dal lat. miror, meravigliarsi) ha per ambito naturale ed originario quello religioso, sebbene ambedue si prestino ad una varietà di comprensioni e di impieghi lessicali che portano il significato anche verso altri contesti. Miracolo indica qualcosa fuori dell’ordinario, che rimanda ad una sfera di possibilità e di attività che oltrepassano quanto l’uomo è abituato a conoscere ed esperire nella sua vita quotidiana. Di qui il suo naturale collegamento con forze e possibilità che appartengano a qualcosa o a qualcuno che sia altro-dall’uomo”, e dunque si intende il miracolo come un intervento degli dèi o di Dio nel mondo degli uomini…. segue 

Edda CattaniMiracoli fra storia e religione
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