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Aspettando i Re Magi

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Aspettando “alcuni maghi dall’Oriente…” (Mt 2,2)

  

   “ Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella , e siamo venuti per adorarlo”.

Ed ecco ancora una volta Padre Alberto Maggi, del Centro CENTRO STUDI BIBLICI “G. VANNUCCI” di Montefano, nel commento al Vangelo dell’Epifania:

Nella festa dell’Epifania la chiesa ci presenta il testo di Matteo nel quale si annunzia l’amore universale di Dio per tutta l’umanità. Questo amore universale non intende soltanto l’estensione, cioè ovunque, ma la qualità di questo amore, per tutti.

Vediamo allora il capitolo 2 di Matteo. “Nato Gesù a Betlemme di Giudea al tempo del Re Erode …”, e qui l’evangelista richiama l’attenzione. Infatti, con un avverbio, coglie la sorpresa di quanto avviene.

“Ecco”, quando l’evangelista adopera questo avverbio ‘ecco’ è sempre per una sorpresa, “alcuni maghi vennero da oriente”. Questo episodio è stato talmente sconcertante e talmente imbarazzante per la chiesa primitiva, che poi si è provveduto, man mano nel tempo, a trasformarlo quasi in un evento da fiaba, un evento folclorico, anziché di profonda ricchezza teologica.

 

 

Perché? Con il termine mago si indicavano gli ingannatori, i corruttori, era un’attività condannata dalla Bibbia e vista severamente dalla prima comunità cristiana. Per il dicaché, il primo catechismo della chiesa, l’attività del mago è proibita ed è collocata tra il divieto di rubare e il divieto di abortire, e anche nel Nuovo Testamento il mago viene visto in maniera negativa.

Eppure i primi che vengono per adorare Gesù, per accogliere Gesù, sono proprio dei maghi e per di più pagani, quindi le persone ritenute le più lontane da Dio. I pagani non sarebbero risuscitati, i pagani non erano degni della salvezza, e per di più sono dediti ad un’attività che la stessa Bibbia condanna. Ecco la sorpresa.

 

 

Questo fatto è stato talmente imbarazzante che poi, nella tradizione i maghi sono diventati l’innocuo termine ‘magi’, si è provveduto a dare loro dignità regale e a farli diventare re, in base ai doni stabilito il numero, e stabilito anche il nome. I personaggi del presepio erano pronti a discapito della ricchezza teologica di questo brano.

Vengono questi e dicono di aver visto spuntare la sua stella. Qual è il significato della stella? Era credenza comune che ogni individuo, quando nasceva, aveva una stella con lui e che poi scompariva con la sua morte. Usiamo anche noi l’espressione popolare “essere nato sotto una buona stella”, ma qui soprattutto l’evangelista si riferisce alla profezia di Balaam, nel libro dei Numeri al capitolo 24, dove si legge “un astro sorge da Giacobbe”, una stella, “e uno scettro si eleva da Israele”.

Era la profezia con la quale si indicava prima il re Davide e poi era passata ad indicare il messia, quindi l’evangelista vuol dire che questa è la stella che indica il segno divino della nascita del messia. Ebbene, “All’udire questo Erode restò turbato”, si capisce perché Erode era un re illegittimo, sospettoso di chiunque potesse togliergli il regno.

 

Quindi qui è venuto a sapere che è nato il re dei Giudei, lui che ha ucciso addirittura tre figli suoi, ma quello che è strano è che con lui si turba, si spaventa tutta Gerusalemme. Sia Erode che Gerusalemme hanno paura per quello che stanno per perdere, Erode il trono, e Gerusalemme il tempio, l’egemonia e l’esclusiva sulla figura di Dio.

Trono e tempio sono all’insegna del potere. Ebbene, dopo l’episodio dell’informazione sulla nascita di questo messia, con l’intento di Erode di arrivare a scoprire il luogo dove andare ad adorarlo … è la menzogna del potere, perché in effetti poi vedremo che deciderà di ammazzare – andiamo al versetto“Udito il re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva”.

 

 

La stella, segno divino, non brilla su Gerusalemme, che fin dall’inizio in questo vangelo, viene collocata in una luce tetra, in una luce negativa. Gerusalemme è la città di morte, quella che uccide i profeti e gli inviati da Dio, e la stella, segno divino, non brilla su Gerusalemme. Come Gesù risuscitato, in questo vangelo, non apparirà mai a Gerusalemme.

 

Così cari amici si chiudono le giornate di letizia che il Santo Natale, con l’incarnazione del Figlio di Dio ci ha portato.

Dialogo tra i Magi e Maria

 

Efrem Siro (306-373)

 

 

I magi: “Una stella ci ha annunciato

che Colui che è nato è il re dei cieli.

 

Tuo figlio comanda gli astri,

che sorgono solo al suo ordine”.

 

Maria: “E io vi rivelerò un altro segreto,

perché ne siate persuasi:

da vergine,  ho dato la luce a mio figlio.

Egli è figlio di Dio.

 

Andate, e annunciatelo alle genti!”

 

I magi: “Pure la stella ce l’aveva fatto conoscere,

che tuo figlio è figlio di Dio e Signore”.

 

Maria: “Mari e monti lo testimoniano;

tutti gli angeli e tutte le stelle:

Egli è il figlio di Dio e il Signore.

Datene l’annuncio nelle vostre terre,

che la pace si diffonda nel vostro paese”.

 

I magi: “Che la pace del tuo figlio

ci riporti nel nostro paese,

senza pericoli come siamo venuti,

e quando Egli dominerà il mondo,

che visiti e benedica la nostra terra”.

 

Maria: “Esulti la Chiesa e intoni gloria,

per la venuta del figlio dell’Altissimo,

la cui luce ha illuminato cielo e terra,

benedetto Colui la cui nascita

 

allieta il mondo!”

 

L’Epifania perciò è il Dio con noi, Colui che è nato e si fa riconoscere, anche nella nostra storia quotidiana. 

PENSIERO SPIRITUALE: Beata ELISABETTA della Trinità

«Ho visto brillare la stella luminosa che m’indicava la culla del mio Re.

Nella pace e nel mistero della notte,verso di me sembrava camminare.

Poi, colma d’incanto, udii la voce dell’Angelo di Dio che mi diceva:

“Raccogliti, il mistero si è compiuto,

proprio dentro di te, nella tua anima.

Gesù, splendore del Padre, in te s’è incarnato,

stringiti il tuo Diletto insieme alla Vergine Madre: è tuo”.»

 

  


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Edda CattaniAspettando i Re Magi
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Auguri 2025!

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AUGURI 2025 !!!

 

Per noi questo bellissimo augurio!

 

“Puoi aver difetti, essere ansioso e vivere qualche volta irritato, ma non dimenticate che la tua vita è la più grande azienda al mondo. Solo tu puoi impedirle che vada in declino. In molti ti apprezzano, ti ammirano e ti amano. Mi piacerebbe che ricordassi che essere felice, non è avere un cielo senza tempeste, una strada senza incidenti stradali, lavoro senza fatica, relazioni senza delusioni.

 

Essere felici è trovare forza nel perdono, speranza nelle battaglie, sicurezza sul palcoscenico della paura, amore nei disaccordi.

Essere felici non è solo apprezzare il sorriso, ma anche riflettere sulla tristezza. Non è solo celebrare i successi, ma apprendere lezioni dai fallimenti. Non è solo sentirsi allegri con gli applausi, ma essere allegri nell’anonimato. Essere felici è riconoscere che vale la pena vivere la vita, nonostante tutte le sfide,  incomprensioni e periodi di crisi. Essere felici non è una fatalità del destino, ma una conquista per coloro che sono in grado viaggiare dentro il proprio essere.

Essere felici è smettere di sentirsi vittima dei problemi e diventare attore della propria storia. È attraversare deserti  fuori di sé, ma essere in grado di trovare un’oasi nei recessi della nostra anima.

 

È ringraziare Dio ogni mattina per il miracolo della vita. Essere felici non è avere paura dei propri sentimenti.

È saper parlare di sé.

È aver coraggio per ascoltare un “No”.

È sentirsi sicuri nel ricevere una critica, anche se ingiusta.

È baciare i figli, coccolare i genitori, vivere momenti poetici con gli amici, anche se ci feriscono.

Essere felici è lasciar vivere la creatura che vive in ognuno di noi, libera, gioiosa e semplice.

È aver la maturità per poter dire: “Mi sono sbagliato”.

È avere il coraggio di dire: “Perdonami”.

È  avere la sensibilità per esprimere: “Ho bisogno di te”.

È avere la capacità di dire: “Ti amo”.

Che la tua vita diventi un giardino di opportunità per essere felice …

Che nelle tue primavere sii amante della gioia.

Che nei tuoi inverni sii amico della saggezza.

E che quando sbagli strada, inizi tutto daccapo.

Poiché così  sarai più appassionato per la vita.

E scoprirai che essere felice non è avere una vita perfetta.Ma usare le lacrime per irrigare la tolleranza.

 

Utilizzare le perdite per affinare la pazienza.

Utilizzare gli errori per scolpire la serenità.

Utilizzare il dolore per lapidare il piacere.

Utilizzare gli ostacoli per aprire le finestre dell’intelligenza.

Non mollare mai ….

Non rinunciare mai alle persone che ami.

Non rinunciare mai alla felicità, poiché la vita è uno spettacolo incredibile!”

 

AUGURO A TUTTI VOI DI VIVERE UN FELICE ANNO NUOVO

 

 

Edda CattaniAuguri 2025!
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Tanta Luce nel presepe!

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Tanta luce anche nel mio presepe!

 

… e con dicembre si ripresentano tutte le ricorrenze … Anch’io e la mia famiglia le viviamo intensamente: ha appena girato l’angolo S.Andrea … eppure sembra ieri… poi il 5 dicembre, una data impressa nella mente e nel cuore con l’abbandono all’Immacolata, la Mamma Celeste che accoglie, protegge, impegna tutti i nostri Figli di Luce e il Convegno di Padova.

Fuori le Luminarie. Abano è un tripudio di colori, di profumi, di armonia… E’ ancora un piccolo centro questo, una cittadina a misura d’uomo; i bambini possono passeggiare tranquillamente, i vecchi guardano con occhi incantati, la gente cammina, non corre e ammira …  L’Ente Parco dei Colli Euganei ha posteggiato le sue casette di legno e troviamo prodotti naturali, commestibili, oggetti fatti a mano. Il “tutto a un euro” è ormai una prassi… c’è tanta crisi e non si può spendere, solo un simbolo per sentire l’armonia, la dolce delicatezza del Natale.

Ripropongo aggiornandolo il Natale “povero” che non possiamo fare mancare ai nostri Cari che ci guardano intorno a Gesù che nasce anche quest’anno per rinnovare i nostri cuori e donarci la sua innocenza, quella propria dei bimbi.

 

Ecco la Madonnina che ho messo sull’altarino con la natività nella cappellina del mio tenente “per sempre” che mi regala ancora boccioli di rosa in questi giorni freddi dell’inverno. Ho fatto anche l’alberello con la renna come lo scorso anno e uno ne ho posto nel portico della mia casa. Andrea è abbracciato al suo Papà quest’anno e tutti insieme aspetteremo la nascita del bambinello. Questo, Figlio mio, è il Natale del cuore e penso, che tante persone senza lavoro, senza salute, senza pane di cui vivere, la pensino come me. Proteggeteci Angeli tutti!

Anche Andrea ha il suo Natale!  

                                      

       Ora c’è anche lui, il suo Papà!

 

 

Andrea ha la foto sopra un altarino nella piccola cappella dove abbiamo riposto le sue bellissime membra. Dietro lui c’è un mosaico che è simile al simbolo del gagliardetto del suo Corpo nell’esercito: AQUILE.  La straordinarietà è nel fatto che  mostra un’aquila che infrange una stella… una sorta di premonizione!  Come dicevo, a destra della foto ho messo la Natività e in terra l’albero con la renna di Babbo Natale e un angioletto. Anche per Andrea… Natale è “presepe”!  Oggi c’è Papà… San Giuseppe “!

    Luci nel Presepe

 

 

Questo presepe porta la data del Natale 1995. Lo fece Mentore la sera della vigilia com’era nostra consuetudine e lo fografò. Guardate quante Luci! Quanti angioletti vennero a confortarci!

Fin da piccolo Andrea aveva molto amato l’arrivo del Natale anche per la costruzione del “suo” presepe. Papà gli aveva comperato le statuine essenziali e lui, con spirito artistico aveva ricavato e dipinto da sé, casette, torri, il castello di Erode, ricavandoli da materiale povero, quali rotoli di carta, sughero, compensato ritagliato al traforo… La notte di Natale ci si metteva d’impegno e voleva terminarlo prima che fosse mezzanotte. Mentore aveva continuato a ripetergli ogni anno: “Andrea, ormai sei grande… basta l’albero senza che non causi tutto questo ingombro!” Ma lui, testardamente ripeteva che senza il presepe non avrebbe sentito il Natale. Ecco allora che, anche dopo la sua dipartita, (era il 5 dicembre, con un Natale alle porte) Mentore continuò a costruire l’alberello sul terrazzino della mansarda “…vicino al cielo, così Andrea lo vedrà brillare…” e il “presepe di Andrea” con le sue casette sempre più fragili e le statuette di gesso. Un presepe in un “Natale da poveri” ci disse Andrea nel suo primo messaggio. Poi, qualche anno dopo, fotografando il presepe vennero fuori tutte queste lucine, di tanti colori, quasi una festa per tutti gli Angeli di Luce che avranno voluto manifestare la loro presenza con una testimonianza di conforto ai loro genitori.

Non dimentichiamo, anche in questo S.Natale, i nostri Cari ci vedono e gradiscono queste piccole cose e canteranno con tutti noi: “Hosanna, nell’alto dei Cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà!”

                    

Natale ricordi del 2010

Quest’anno il mio Natale è molto diverso; vivo la solitudine nella casa ormai vuota, perchè Mentore non mi è più vicino e le sue condizioni sono di tale gravità che prego solo perchè possa raggiungere Andrea, al più presto, come del resto egli desidera ardentemente. Non vengo meno però alle abitudini consolidate in oltre 40 anni di convivenza ed allora, ieri sera, come ogni notte di Natale, ho ricostruito il “nostro presepe”. E’ lo stesso, con le vecchie statuine e le casette fatte da Andrea. L’ho fotografato. Guardate un po’:

     

E’ un piccolo presepe con le lucette minuscole, gli angioletti nel cielo di carta bianca e le casette fatte da Andrea… “un presepe da poveri” ma che contiene una storia… la storia della nostra vita.  Poi guardate la seconda foto: 

è un  primo piano della capannuccia con le stesse lucette piccolissime che non dovrebbero illuminare nulla, eppure…

 

  

QUANTA LUCE E QUANTI VOLTI NEL MIO PRESEPE!

       

   

Anche la mia cara amica EDY ha fatto il presepe:

ogni sasso ha il nome di un Angelo!

 6 Gennaio 2010: Epifania del Signore

Anche nel mio presepe sono arrivati i Re Magi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Edda CattaniTanta Luce nel presepe!
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In grembo all’Immacolata

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8 dicembre – L’IMMACOLATA – Giorno speciale per me!

 

E’ passato tempo da quando ho postato questa pagina.

Oggi più che mai che Mentore ha raggiunto la Gerusalemme Celeste,

questa data rappresenta una tappa importante della mia vita.

Una cara amica ha voluto essermi vicina così:

 

 Un pensierino nel ricordo bello del tuo Mentore:

 

Ti amai…

Ti amai – anche se forse

…ancora non è spento

del tutto l’amore.

Ma se per te non è più tormento

voglio che nulla ti addolori.

Senza speranza, geloso,

ti ho amata nel silenzio e soffrivo,

teneramente ti ho amata

come – Dio voglia – un altro possa amarti.

(Aleksandr Puskin )

 

E ancora mi giunge “…prima di leggere la poesia che ti è pervenuta da un’amica, ti stavo per spedire questo “messaggio” sbocciato nel pomeriggio … non posso non leggere una consolante coincidenza nell’arrivo dei tuoi cari a te, in questa data così particolare…Ed è questo “mistero” che mi ha dato via libera a spedirtelo…” (Peter Versac)

 

Quanto e quale Amore, madre, mi viene da ogni dove!

Prendo i tuoi pensieri con le mie mani

e con gli occhi li conduco tra tempeste e smarrimento,

fino al porto del nostro abbraccio.

Tu non sei mai sola, ed io

continuo in questo andare che mi svela in pienezza

alla Vita che mi hai donato.

Tutto è bene mammina.

Ritrovo papà, ancor più attento di prima.

Ed è pace pensarti perché da te viene a noi la tua pace.

Sereno è il nostro stare, dove ogni confine non ha più cittadinanza.

E il limite fa solo parte del nostro sentire che vorrebbe abbracciare,

ora, l’Alfa e l’Omega.

Sentito, hai potuto perché tu diverso.

Il vostro Amore è qui, si chiama Andrea.

 

8 dicembre – Immacolata Concezione

 

 

 

 In grembo all’’Immacolata

Immagine di una santità di vita

 

 

 

Sono appena tornata dalla Messa ed è ancora l’Immacolata a segnare la mia vita. Ho pensato di riproporre questa pagina per testimoniare quanto sia stata importante questa ricorrenza per me, per la mia famiglia e per Andrea … tanto da posarne la statua vicino al suo ritratto nella cappella dove sono poste le sue spoglie terrene.

 

  

 

Era il 1961 ed io vivevo una delle più belle esperienze della mia vita: giovinetta con grandi ansie spirituali, mi beavo di quel conforto del cuore che mi faceva sentire completamente abbandonata nelle mani di Gesù e di Maria. Abitavo in un luogo capace di rispondere alle mie attese giacché si trattava di un convento dove venivano accolte, per una seria riflessione, giovani desiderose di incontrarsi con Dio. La sera, dopo le intense giornate lavorative, ci si recava, in assoluto silenzio, in fila, con il cero in mano ed un velo bianco in testa, lungo l’immenso corridoio, fino a raggiungere una grande statua della Madonna, illuminata da una corona di stelle e circondata, come in un giardino, da tante piante e fiori di ogni genere. Fra quei fiori deponevo il mio cuore in adorante visione di una realtà “altra” piena di amore, di dolci profumi, di musica, di bontà e di speranza. Un canto che veniva intonato e che mi affascinava era un inno noto alla liturgia, derivante da un Salmo: “Misericordias Domini in aeternum cantabo (canterò in eterno le Misericordie del Signore). Si terminava con il canto alla Madonna:

Immacolata, vergine bella

Di nostra vita, tu sei la stella;

tra le tempeste tu guidi il cuore

di chi  t’invoca, Madre d’amore…

    

 In quell’atmosfera surreale formulai le mie prime promesse, mai dimenticate ed un patto per la mia vita futura assunse la modalità dell’impegno che cercai di trasmettere sempre ai miei figli, quando diventai giovane madre. L’amore per la Vergine Immacolata assunse una dimensione magnifica ai miei occhi   “la purezza, la bellezza, il silenzio, la sacralità di una fanciulla…”

L’8 dicembre significò una data importante quando incontrai colui che, divenne mio marito, tanto che la ricordammo ogni anno come anniversario con Maria.

L’entusiasmo per la vita, vissuta come un dono fu poi veramente lo spirito con cui tutta l’esistenza del mio Andrea si dipanò: amore per i suoi simili, per la giustizia, per la bellezza in genere, per la musica, per le persone in difficoltà e per la preghiera. Era giovane soldato che mi diceva “Mamma non ti preoccupare, le dico ogni sera le mie preghierine” e quando venne a mancare, nel suo portafogli trovammo l’immaginetta consunta per l’uso, con la scritta “Signore Dio degli eserciti, guarda benigno a noi che abbiamo lasciato le nostre famiglie per servire l’Italia!”.

Un’immagine gualcita dell’Immacolata lo accompagnò nel suo passaggio… quando l’8 dicembre lo seguimmo nell’ultimo viaggio terreno.

 

 

 

La mia vita, dunque, è stata dedita all’ascolto, al lavoro, alla speranza in un Dio di Misericordia e all’amore per la Vergine Santissima, anche dopo l’evento che ha colpito la nostra famiglia. Poi l’incontro con il Movimento della Speranza e il desiderio di veder sorgere tante associazioni, compresa la nostra A.C.S.S.S. in grado di accogliere tanti disperati ed aiutarli a riconoscere nei disegni imperscrutabili del Signore un cammino da percorrere, non dimenticando che la vita è gioia, è un inno a quel Dio d’Amore e un abbandono alle braccia della Madre di tutte le Madri.

 

Questo lo spirito con il quale siamo nati… Nel grembo di Maria ci lasciamo andare con fiducia e a lei affidiamo i nostri Figli… Quale Madre più dolce, più tenera, ideale per conservarli e impegnarli fino al giorno in cui tutti saremo riuniti nel grande giardino della Gerusalemme Celeste!

 

  

 

 

 

  Un po’ di storia…

Il pronunciamento ufficiale sul dogma dell’Immacolata concezione arrivò l’8 dicembre 1854, con la costituzione apostolica «Ineffabilis Deus» di Pio IX, ma la festa era entrata nella Chiesa da tempo (nel 1661 Alessandro VII aveva inserito la festa nel calendario). Il legame tra i Pontefici e l’Immacolata nel tempo è andato via via rinforzandosi, anche grazie al tradizionale gesto di omaggio che ogni anno l’8 dicembre vede il Papa ai piedi della statua della Vergine in piazza di Spagna a Roma. L’effigie fu inaugurata e benedetta l’8 dicembre 1857 dallo stesso Pio IX; Pio XII avviò la tradizione di inviare dei fiori alla statua e Giovanni XXIII, invece, introdusse la consuetudine di recarsi di persona in piazza di Spagna. Il gesto verrà ripetuto oggi da Benedetto XVI alle 16.
Quella odierna, infine, è una festa particolare anche per Lourdes: l’11 febbraio 1858, infatti, alla sua prima apparizione la Vergine si presentò come l’«Immacolata Concezione», dando così particolare vigore alla diffusione del dogma proclamato quattro anni prima e della relativa festa.
 Matteo Liut

Edda CattaniIn grembo all’Immacolata
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La storia e la memoria

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La storia e la memoria

30 Novembre – 5 Dicembre 

 

Il tempo è un dono che la vita ci fa. Lo è anche quando sembra non esserlo, quando stanchi affrontiamo il domani. Ed ogni anno che passa, ogni compleanno, è una tappa importante, un traguardo, una sorte di resa dei conti. Più gli anni passano e più i conti sballano e ci rendiamo conto della fortuna che abbiamo.

 

Novembre: Appena dopo l’onomastico con S.Andrea, ed è l’anniversario del passaggio… 5 dicembre. Voglio, ancora una volta ricordarlo con le parole del suo Papà che ormai l’ha raggiunto nella Gerusalemme Celeste.

 

 “Se vogliamo raccogliere è necessario non tanto il seminare, quanto spargere il seme in un buon campo, e quando questo seme

diventerà pianta, ci stia molto a cuore di vegliare a che la zizzania non soffochi le tenere pianticelle.”

(PENSIERI DI PADRE PIO)

 

 

Questa Relazione è stata esposta da Mentore al Convegno del CONVIVIO a Roma prima dell’aggravarsi della sua malattia. E’ un devoto omaggio a mio marito e ad Andrea:

  Ringrazio la Presidenza che ci dà la possibilità di significare a voi, per quanto mi sarà possibile, la testimonianza e convinzione di una esperienza che riempie la nostra giornata dall’ evento che divise il corso della nostra vita, come quella di nostro figlio.

Vi parlo al plurale, ma non è un plurale “maiestatis”; questo è motivato dal fatto che la realtà degli avvenimenti ben circostanziati e riscontrabili capitano simultaneamente a me e a mia mo­glie  sia pure differenziati dallo stesso comportamento che,  quand’era presente fisicamente nostro figlio aveva con noi.

Sono il papà di Andrea – Andrea Cattani – e la mamma è qui in sala – Andrea ha nome nostro figlio, Andrea come tanti altri giovani figli per i quali sembra essere stato tessu­to con il nome, un comune disegno.

Il nostro si presenta e si fa chiamare il  “tenente…” e come non comprendere il suo giusto orgoglio per il merito conquistato, frutto di impegno, di abnegazione, di fatica che gli ha consentito di vestire onorevolmente l’uniforme militare del­l’esercito italiano e di essere nominato Capo Servizi del Presi­dio della regione Nord-Est. In onore di quella che tuttora defi­nisce, con una nota di velata tenerezza , dall’ altra dimensione, “Patria  mia” quasi a ricordo dell’ abnegazione , della generosità e del coraggio esercitati per raggiungere qui in terra il suo ideale.

Andrea se n’è andato una sera limpida del dicembre ‘91 , all’ uscita dalla caserma, da trasportato  schian­tandosi contro un platano nel centro della città.

Tralasciando, per brevità, numerose mie proprie considerazioni dei primi momenti di smarrimento, si accese in noi più viva la fede racchiusa nella verità del dogma della Comunione dei Santi che ci suggerì la prima preghiera:

Sei passato dalla nostra casa Signore

 e hai raccolto il fiore a Te gradito

Signore ti ringraziamo

di AVER LASCIATO PER VENTIDUE ANNI

il nostro Andrea alle nostre cure

e al nostro sguardo.

Aumenta in noi la fede nella sua

presenza e nella Tua volontà. A lui la tua Luce.

Premetto  che la  fede, la fiducia, la speranza e la volontà che fra noi e nostro figlio continuasse il dialogo così come era avvenuto nei ventidue anni trascorsi insieme, è stata la prima ancora cui ci siamo aggrappati fin dal primo momento con la voluta certezza che ciò avvenisse come dono di Dio per quella poca fede che avevamo sempre coltivato,  credendo nella promessa di Dio e nella Verità della Sua Rivelazione.

 

 

 

Ebbene, Andrea  dopo pochi giorni dalla sua partenza ci inviava segni di luce tali da non coltivare alcun dubbio sulla sua presenza:

l‘allarme della sua macchina ferma in garage,disinserito, che si accendeva; era una tromba che suonava davanti alla finestra della sua camera per salutare gli amici venuti a trovar­ci, era il sovrapporsi della sua immagine sullo schermo televisivo che si è più volte ripetuta,inviando a suo padre un messaggio:

“Vuoi capire che sarò tuo amico per sempre”!.

l’accendersi improvvi­so del suo stereo  e del televisore,su un programma mai guardato… ed altri che  conserviamo gelosamente nel nostro animo. Dopo questi segni – materiali – è continuato il colloquio diretto dove Andrea si manifesta  con tutte le sue peculiari doti di carattere, il suo modo di fare, di esprimersi, le particolari attenzioni per le persone a lui care.

 

Fu a Baveno nel ’92 che si presentò come “tenente” a Laura Paradiso chiedendo della sua mamma.

Eravamo andati, esortati da nostra figlia Alessandra,col nostro peso di dolore  e inconsapevoli di tutto: non ci eravamo mai interessati, per dirlo in parole correnti, del paranormale e delle sue manifestazioni, d’altra parte  “ignoti nulla cupìdo”!

 

Ritornati a casa,come lui ci aveva comandato “andate a casa alla fonte berrete” lasciandoci con tanto di “saluto” (così diceva rientrando in casa,ogni sera, dal lavoro in caserma) mentre la mamma riceveva con la scrittura automatica i primi messaggi di conforto e di certezza che colui che faceva muovere la penna appoggiata alla mano sinistra era Andrea:

 

“sono vivo, vivo, vivo

Andrea ,angelo di luce”

 

e altri messaggi di riconoscimento della sua presenza  reale e circostanziata da riferimenti vissuti dalla sua persona il  papà ricevette, su nastro magnetico, la prima …rivelazione:

 

“il tuo bambino SONO”

 

E’ indescrivibile la forza di questo sono – il “sum” latino ch’è significato di esistenza(esistenza); ricordiamo le parole di Colui che disse “Ego sum qui sum: Io sono colui che E'”! Si presentò con la sua carta d’identità: già ventiduenne, ogni qual volta gli si prospettavano le nostre difficoltà alle sue richieste, mi convin­ceva col dirmi: “non fai questo per il tuo bambino?”

Dopo questo, i messaggi sono tanti che per raccoglierli non basterebbe un volume di mille pagine.

Sono lì incisi in nastri magnetici, più o meno, ma tutti intelligi­bili, a testimoniare una realtà che trascende l’ansia della nostra volontà di conoscere, di comprendere il mistero di luce e di gioia che lo avvolge e che tenta di trasmettere a noi.

Alla mia domanda esplicita di quanto felice, la risposta è categorica  e immediata: “TANTO EELICE”.

E poi si ripetono con insistenza  i messaggi della sua presenza “Sono con voi…più di prima… più vicino di prima!”

Poi seguono i messaggi d’invito:


Alla fortezza: Papà coraggiofatti coraggio!

                          se tu sapessi con chi sono….non piangeresti!

 

 Alla sopravvivenza: E insistente il ripetere   “Vivo… sono vivo...

                ..io parlo con quelli che mi credono vivo

                     

                         Vedo la luce, anche quando c’è buio!

 

La sera del suo primo anniversario,mentre si commentavano in casa le parole del Sacerdote alla messa del mattino, celebrata nel Duomo dei Militari in Padova, sono state registrate chiaramente queste parole: “Si dice di Andrea che è tornato sulla terra… stamattina”.

Mi assillava il pensiero che il nostro Andrea,a causa della sua improv­visa  dipartita non avesse avuto tempo e modo di chiedere a Dio perdono se in qualcosa avesse a Lui dispiaciuto e feci una particolare richiesta a Cristo.

Ero in chiesa alla SS.Messa domenicale. Al momento della Comunione mi alzai dal banco e accesi il registratore che uscendo di casa mi ero posto nella tasca interna della giacca. Tornato a casa ascoltai la registrazione: sovrapposte alle parole del parroco si ascoltano queste:

 

” Mi sono comunicato con te.”

E ancora: “Vi guardo attentamente negli occhi quando pregate!

          “Nella patria ove verrai io sono RE” dice un’entità. (imparai dopo che loro si dicono “Re”)

                        “Perdonare , Signor Cattani, perdonare  (per ) fare la Comunione e rispondono alla domanda che da sempre è sulle nostre labbra : Dove sei Andrea? “Andrea è benedetto”



e di lasciare alle sofisticate ipotesi degli studiosi il problema della “grande reincarnazione“, come alle sottigliezze dei filosofi la “piccolareincarnazione riservata ai residui psichici.


Nostro figlio Andrea ormai è “là“.


Mi sia lecito usare due termini latini: L ‘ accidens di nostro figlio è qua, in una tomba, ancora alle nostre cure e affetto umano, ma la  “substantia” l'”essere”, la “persona” è là con tutte le sue prerogative proprie  della persona nel suo totale significato filosofico-scientifico. E là operante un’ulteriore opera di perfe­zione,in cammino costante verso la beatifica visione di Dio.



          “Andrea vola come aquila”…


sempre nel primo nastro rovesciato dove troviamo conferma inconte­stabile di una misteriosa telefonata ricevuta da chi vi parla alla presenza di altre persone il 6 Genn.’93; telefonata durata circa una decina di minuti, quasi tutti passati a contestare che non riuscivo a riconoscere la persona che al miopronto” afferma di essere “la Jolanda”… (mia sorella deceduta nel 1932 a 12 anni!


II 27 Genn. 93 ,facciamo la prima esperienza del nastro rovesciato e l’entità Arno si premura di confermarmi: La Jolanda ti consola per telefono,la Jolanda prepara un secondo colloquio” …”buona giornata“…(secondo colloquio?)


Fatti tutti gli accertamenti e riscontri possibili non ci resta che convincerci della veridicità di questa transcomunicazione da parte di mia sorella giunta a noi come conferma (senz’altro voluta da nostro figlio ) della Sopravvivenza e dei messaggi:si istae et isti….cur  non ego?”

In attento esame di tutta la messaggistica proveniente da nostro figlio avvertiamo  una costante evoluzione di contenuti nei suoi colloqui con noi.


E’ vero molti messaggipur in sé chiari e bene intelleggibili, rivelano una esistenza di vita  incomprensibile da parte nostra, ma di una realtà  che non si configura in pure creazioni mentali,mentre rispondono a concetti concreti quali si riscontrano nel complesso di tutta la rivelazione divina.


    Quante volte riflettiamo  sul significato di alcuni di questi messaggi ricevuti sia dal papà che dalla mamma e poi dobbiamo convincerci di quello che ci consiglia un’Entità nel quarto nastro rovesciato:….”la strada è in salita: forza alla fede!”

 

 

 

 

 

 

 

 

Abbiamo cercato sfogliando avanti e indietro- la lette­ratura scientifica per trovare il perché, il come ci fosse data questa comunicazione trascendentale. Ma non abbiamo trovato nella scienza e nelle sue meravigliose conquiste, che ipotesi, probabilità, quando non addirittura fantasiose creazioni della ragione umana pur di non ammettere l’ambito del mistero che l’Economia Divina ha posto non a pezza giustificativa di questa nostra intelligenza, ma quale faro luminoso a guida di un retto cammino r a z i o n a le VERSO LA LUCE INFINITA.


        Togliamo alla ragione l’ambito del mistero e troveremo le più stravaganti deviazioni.

E’ la fede nel mistero cosmico che ci assicura giungano a noi messaggi di nostro figlio Andrea non la credenza nel contenitore cosmico o nei residui psichici vaganti nell’universo; ancora nessuna intelligenza umana sa dirci il tutto della sua grandezza, della sua profondità e della sua entità.


Stavamo dibattendoci in questi interrogativi quando il nostro Andrea ci disse:

“Al di sopra della legge degli uomini vi ho convinto”


E il fatto che questa comunione o comunicazione fra le due dimensioni (per usare termini correnti) terrestre e celeste la si riscontri da sempre e presso tutte le genti di ogni epoca, di ogni popolo e di ogni cultura ci conferma la sua origine trascendentale poiché in tutti troviamo il filone della Rivelazione col suo principio essenziale alla salvezza: Quod Deus est et remunerator sit: Che Dio esiste ed è rimuneratore”.


Vedo tutto quello che fai …Tira fuori il pane!


Via radio:  Ti mando un bacio, sei contento?

Verso la mamma è di  una tenerezza infinita: Mamma, mammina mia… riposati… non ti affaticare! Sono qui con te!


Il tempo  non è che lenisca,anche se accettato con fiducia nella Divina Provvidenza,il dolore dovuto alla sua mancanza fisica fra noi, lo portiamo con noi, ci segue come la nostra ombra. Nel terzo nastro rovesciato l’entità comunicante ce lo assicura amare cordis” che noi interpretiamo : “con l’amarezza del cuore” camminerete verso la patria celeste.


Ammiriamo quei genitori che, come abbiamo avuto modo di sentire in questi convegni, hanno raggiunto la gioia interiore; noi questo stato di grazia non l’abbiamo ancora conquistato e pensiamo, come penso, che in me il dolore cesserà il giorno in cui rivedrò il mio Andrea venirmi incontro e dirmi “papà vieni con me!” 

                                       

                                                    Mentore Cattani

Grazie

 

 

 

 

Edda CattaniLa storia e la memoria
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21 Novembre: dedicato a mio padre

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Caro Papà… te ne andasti tanto giovane ed io ancora in crescita … ma sei sempre a me stato presente e voglio ricordarti così … con le parole di un Padre a un Figlio:

padre1

Se riesci a fare un mucchio di tutte le tue vincite

E rischiarle in un colpo solo a testa e croce,

E perdere e ricominciare di nuovo dal principio

E non dire una parola sulla perdita;

Se riesci a costringere cuore, tendini e nervi

A servire al tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,

E a tener duro quando in te non resta altro

Tranne la Volontà che dice loro: “Tieni duro!”.

 

Se riesci a parlare con la folla e a conservare la tua virtù,

E a camminare con i Re senza perdere il contatto con la gente,

Se non riesce a ferirti il nemico né l’amico più caro,

Se tutti contano per te, ma nessuno troppo;

Se riesci a occupare il minuto inesorabile

Dando valore a ogni minuto che passa,

Tua è la Terra e tutto ciò che è in essa,

E – quel che è di più – sei un Uomo, figlio mio!

 

Rudyard Kipling

La Basilica della Madonna della Salute
a Venezia

 

    Dedicato a mio Padre  

Mio Padre se ne andò alle prime ore del 21 novembre. Un male terribile lo distrusse in breve tempo, dopo indicibili sofferenze. Io rimasi senza la sua guida, che per me era stata determinante, con il carico morale di mia madre cagionevole di salute ed un fratello di appena undici anni.

Il ricordo di questa data è rimasto indelebile nella memoria perchè legato al senso profondo della devozione alla Madonna della salute.

Papà mi aveva raccontato fin da piccola, di aver fatto il militare a Venezia, all’isola di San Giorgio, dove c’era una caserma sostituita attualmente dalla Fondazione Cini.

Innamorato dell’arte e della cultura popolare aveva visitato la città lagunare nei suoi angoli più nascosti e sapeva raccontarmi con quell’eloquio colorito che gli era proprio, realtà sconosciute, storie e leggende. A volte pensavo quanto arricchimento avesse portato ad un povero giovane vissuto nell’indigenza, quel periodo di servizio alla patria, prestato con tanto entusiasmo e desiderio di conoscenza.

Pittore fin da fanciullo, cresciuto a Comacchio sotto la guida di un vecchio sacerdote che gli aveva insegnato ad affrescare i soffitti delle case e delle chiese, aveva dipinto una meravigliosa tela di cui mi spiegava le caratteristiche e i particolari.

Si trattava proprio della Basilica della Salute, ubicata nell’isola di San Giorgio dove si venerava la “Madonna Nera” che aveva salvato dalla peste  la città di Venezia  nel diciassettesimo secolo. 

Mio padre se ne andò in pochi mesi, ma la sua fede nella “sua Madonna” non venne mai meno. Egli era solito dire: “Il 21 novembre si festeggia la Madonna della Salute e io so che la Madonna verrà da me!”si festeggia la Madonna della Salutesi

E così fu!

La Basilica della Salute a Monteortone

Ma il mio legame con questa devozione non cessò negli anni e continua tuttora a significare che il mio caro papà mi ha seguito e portato a seguire un cammino direi quasi “guidato”. Infatti, dopo la dipartita di Andrea ci siamo trasferiti ad Abano Terme e sui Colli Euganei, in periferia di Abano Terme, si trova un famoso santuario mariano, che da oltre cinque secoli, in seguito ad una apparizione della Vergine, è luogo di convergenza della fede cristiana delle popolazioni limitrofe veneto-euganee.  

I miei nipotini il giorno della Prima Comunione al Santuario della Madonna della Salute 

“ Anche questo richiede una storia: è il santuario della Madonna della Salute di Monteortone, artistico monumento di fede, che consacra alla Madre di Dio questo fortunato tratto di terra veneta, prodigiosamente visitata e miracolosamente benedetta dalla materna assistenza di Maria. Si racconta che Pietro Falco, uomo d’arme, reduce da molte battaglie, a seguito di ferite riportate che gli rendevano faticosa l’articolazione degli arti inferiori, si recò a Monteortone (frazione di Abano) su consiglio di amici e di medici in cerca di salute o, almeno, di un po’ di ristoro. La cura, da tempo iniziata, non dava alcun risultato. Non volle disperare. Si rivolse a Dio con fede. Dentro il boschetto, folto di verde, pieno del canto degli uccelli, gorgogliava l’acqua di una sorgente tiepida, ignorata e trascurata dagli abitanti del luogo. Qui ancora una volta Pietro si ritirò a pregare. La meditazione si tramutò in estasi, in visione. Come scesa dal monte, una nube luminosa coprì il boschetto e lasciò apparire la bianca figura della Vergine che disse a Pietro di lavarsi con quell’acqua e di scavare fino a trovare un quadretto con la sua immagine.  Pietro ubbidì e nel bagno le sue membra ripresero vigore e agilità. Recuperata così la salute, si ricordò delle promesse della Madonna. Frugò fra i sassi della fonte e, con non minore meraviglia scoprì il quadro, per niente rovinato dall’acqua termale, riproducente la Madre di Dio in atteggiamento squisitamente materno, con alla destra S.Cristoforo martire e alla sinistra S.Antonio Abate. Era il maggio del 1428.

Crescendo la fama dell’apparizione e l’afflusso dei pellegrini, i rettori di Padova decretarono di costruire un tempio degno della Madre di Dio. Con la chiesa si decise la costruzione di un convento per i custodi del santuario, che furono i religiosi Eremiti di S.Agostino, già presenti a Padova, conosciuti e stimati. Dalla città vennero i primi due frati Agostiniani, i quali presiedettero ai lavori della fabbrica e incrementarono la devozione alla Vergine. S’impose allora l’avvio ai lavori del progettato convento: “grandioso nelle sue linee architettoniche, monumentale nella sua facciata di tardo stile gotico-veneziano e primo rinascimento”.

Ed ora, tornando alla mia famiglia debbo dire che fin da piccolo Andrea venne accompagnato a visitare il tempio e a pregare la Madonna della Salute; questo si ripetè con mia madre e anche con il mio caro Sposo. I miei nipotini, i piccoli Simone e Tommaso di cui ho tanto parlato, abitano pure loro ad Abano Terme sotto la giurisdizione della Parrocchia del Sacro Cuore, ma per scelta della famiglia, frequentano la Parrocchia di Monteortone sede del Santuario della Madonna della Salute e in quel luogo benedetto ricevono i loro primi Sacramenti.

Sono certa che Nonno Lino ci ha guidato tutti e vi assicuro che è ancora presente accanto a me e mi parla… con la stessa tenerezza di un tempo, accompagnando i miei passi, ora che sono rimasta sola, nel mio ultimo cammino.

 

 

 

Il 21 novembre a Venezia, Festa della Madonna della Salute

Attorno alla metà del diciassettesimo secolo, il nord Italia subisce una delle più gravi epidemie di peste, quella stessa che fornirà spunto ai “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni.
Particolarmente colpita la città di Mantova, che oltre al morbo si trova a dover affrontare anche la carestia causata dal cordone sanitario che gli stati confinanti le hanno imposto.

Il ducato dei Gonzaga è faccia a faccia con il totale annientamento, e in un impeto di disperazione riesce a far passare clandestinamente lungo la rotta fluviale un gruppo di ambasciatori diretti a Venezia (cui Mantova è legata da un gemellaggio fra città d’acqua e arte, più che da alleanze politiche), con la richiesta di inviare aiuti alimentari per via fluviale.

La Serenissima onora il patto di mutuo soccorso e accoglie l’ambasceria, mettendola però in quarantena nell’isola di San Servolo, allora disabitata. Si da incarico ad alcuni “marangoni” di approntare ricoveri per l’alloggio dei dignitari, e sarà uno di questi artigiani, abitante nella zona di San Vio, il veicolo attraverso cui l’epidemia azzannerà anche Venezia. L’escalation dell’infezione è impressionante, dopo la morte del falegname e di tutta la sua famiglia, già nella settimana seguente i morti si contano a decine nel quartiere e in quella ancora seguente a centinaia in tutta la città.

In un breve volgere di tempo, nonostante i bandi sempre più severi dei Savi alla Sanità, la popolazione è letteralmente decimata. La malattia non risparmia l’aristocrazia né il clero: periscono anche il Doge e gran parte della sua famiglia.

Sul limitare dell’inverno è la Dominante che a sua volta si confronta con il pericolo di venire totalmente cancellata.

 Fallisce ogni ricerca di rimedio far- macologico, nonostante i ricchissimi premi promessi a chi ne avesse scoperto di efficaci ad arginare l’epidemia.
Famoso resta quel bando che ordinava, a chiunque si sentisse i sintomi del male, di orinare subito e di berne almeno mezzo litro; quasi già allora qualche illuminato cerusico avesse intuito la dinamica degli anticorpi.

 Ancora una volta governo e popolo di Venezia si volgono alla religione.
Si organizza una processione cui partecipa la pressoché totalità dei sopravvissuti, circa 10.000 anime che girano incessantemente attorno a Piazza San Marco per tre giorni e tre notti con fiaccole e statue votive.
Viene infine pronunciato il voto solenne che qualora la città scampi alla totale rovina si edificherà un tempio di ringraziamento alla Madonna di proporzione e bellezza mai viste sino ad allora.

 E ancora una volta il Cielo sembra venire in aiuto alla Repubblica. La settimana seguente lo svolgersi della processione l’epidemia arresta la sua scalata e nel giro di altre due scema completamente.
In rispetto del voto pronunciato viene subito indetto un concorso d’ingegni per il progetto del tempio votivo e, dopo non poche discussioni sul luogo più opportuno per l’edificazione, si sceglie infine la Punta della Dogana da Mar, dove era appena stato demolito un insieme di abituri malsani.

 La demolizione di baraccamenti e la dispersione di comunità numerose come caserme e seminari era uno dei sistemi messi in atto nel tentativo di arginare il contagio.

Il concorso viene vinto dal giovanissimo architetto Baldassare Longhena, portabandiera del nuovo (per Venezia, sempre molto conservatrice in fatto di stili architettonici) stile Barocco. L’area viene possentemente palificata per reggere il peso dell’enorme edificio in pietra. Si narra che siano stati impiegati oltre 300.000 pali di rovere, per il consolidamento della fondazione.

 L’edificio sarà ultimato in circa vent’anni di lavoro e diventerà un modello esemplare di Barocco, studiato e imitato da architetti di tutta l’Europa di allora.
Il tempio viene consacrato il giorno 21 novembre che da allora per i Veneti diviene il giorno della Madonna della Salute.

Liberamente tratto dalla pubblicazione di mons. Antonio Niero

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Edda Cattani21 Novembre: dedicato a mio padre
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2 Novembre: una ricorrenza

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2 NOVEMBRE: GIORNO DEI DEFUNTI

(dalla bacheca di P.Alberto Maggi)

Il messaggio dei vangeli è che attraverso la morte la persona continua la sua esistenza in una diversa dimensione, in una continua crescita e trasformazione di se stessa verso la piena realizzazione, come recita il Prefazio per la messa dei defunti: “La vita non viene tolta, ma trasformata”.

È la vita stessa che continua, non un’essenza spirituale dell’individuo (l’anima). La vita, trasformata e arricchita dal patrimonio di bene che l’individuo reca con sé, entra nella pienezza della condizione divina, come scrive l’autore dell’Apocalisse: “Beati fin d’ora i morti che muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono” (Ap 14,13).

Unendo paradossalmente due termini contrastanti quali la morte e la beatitudine, l’autore afferma che la morte fisica non ha l’ultima parola sulla vita del credente. La morte non è una sconfitta o un annientamento e neanche l’ingresso in uno stato di attesa, ma un passaggio a una dimensione di pienezza definitiva. Per questo la risurrezione non è una seconda vita né una nuova vita, ma la piena realizzazione di questa unica vita che l’uomo ha.

Eterno riposo?

I defunti non stanno al cimitero, il luogo dei “resti mortali”, ma continuano la loro esistenza nella pienezza di Dio, è questo il significato di “Riposeranno dalle loro fatiche”.

Il riposo al quale allude l’autore non indica la cessazione delle attività, ma la condizione divina, come il Creatore che “compì l’opera che aveva fatta, e si riposò il settimo giorno” (Gen 2,2). Con la morte l’individuo riposa dalle opere compiute nella sua esistenza terrena, ma viene chiamato a collaborare all’azione creatrice di Dio comunicando vita agli uomini: “Chi è entrato infatti nel suo riposo, riposa anch’egli dalle sue opere, come Dio dalle proprie” (Eb 4,10).

La morte non conduce a un eterno riposo inteso nel senso di un divino ozio per tutta l’eternità, ma all’attiva e vivificante collaborazione con l’azione del Creatore. In quest’azione creatrice l’amore che il defunto aveva verso i suoi cari non viene affievolito, ma arricchito dalla stessa potenza d’amore del Padre. La morte non allenta i rapporti umani ma li potenzia.

L’unica cosa che l’uomo porta con sé nella nuova dimensione di vita sono le opere compiute nella sua esistenza terrena. Le opere con le quali l’uomo ha trasmesso vita agli altri, sono la sua ricchezza, quel che hanno resola vita eterna già in questa esistenza, innescando nell’individuo un processo di trasformazione che non viene fermato dalla morte, ma potenziato.

La morte non è niente.

Sono solamente passato dall’altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto. Io sono sempre io e tu sei sempre tu.

Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora.

Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare; parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.

Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne o triste.

Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme.

Prega, sorridi, pensami! Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima: pronun-cialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza.

La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza.

Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista?

Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo.

Rassicurati, va tutto bene.

Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata.

Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace.

Henry Scott Holland (1847-1917). Canonico della cattedrale di St. Paul (Londra).


Edda Cattani2 Novembre: una ricorrenza
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Ognissanti e Defunti: preghiera di Francesco

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Ognissanti e Defunti

(la preghiera di Papa Francesco)     

 

 

Ci prepariamo a celebrare due importanti ricorrenze: la solennità di Tutti i Santi e la Commemorazione dei defunti. «Sono giorni di speranza», ha detto papa Francesco lo scorso anno nell’omelia della messa celebrata al cimitero monumentale del Verano, a Roma, dove tornerà anche quest’anno. E ha spiegato che «nel giorno dei Santi e prima del giorno dei Morti è necessario pensare un po’ alla speranza che ci accompagna nella vita. I primi cristiani dipingevano la speranza con un’ancora, come se la vita fosse l’ancora gettata nella riva del Cielo e tutti noi incamminati verso quella riva, aggrappati alla corda dell’ancora. Questa è una bella immagine della speranza: avere il cuore ancorato là dove sono i nostri antenati, dove sonoi Santi, dove è Gesù, dove è Dio».

Ad accomunare le due ricorrenze, per Francesco, è «la speranza che non delude». Ma dove e come hanno avuto origine? Va detto, innanzitutto, che solo la prima (Ognissanti) è una festa di precetto, che prevede cioè l’obbligo per i fedeli di partecipare alla messa. Vi si celebrano l’onore e la gloria di tutti i Santi in ossequio al credo cristiano della “Comunione dei Santi” che Paolo VI, nel “Credo del popolo di Dio”, definiva «la comunione di tutti i fedeli di Cristo, di coloro che sono pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la loro purificazione e dei beati in cielo: tutti insieme formano una sola Chiesa; noi crediamo che in questa comunione l’amore misericordioso di Dio e dei suoi santi ascolta costantemente le nostre preghiere».

La festa dei martiri la festa dei santi

Le origini della celebrazione risalgono al IV secolo (le prime tracce portano ad Antiochia, in Siria) quando la Chiesa celebrava la memoria dei martiri della fede il 13 maggio. A cambiare la data di quella che, nel 615, Bonifacio VI aveva ufficializzato come Festa di tutti i Martiri, fu Gregorio III che scelse il 1° novembre (secondo alcuni per “cristianizzare” la festa pagana del Capodanno celtico che cadeva proprio nei primi giorni di novembre). In seguito, su richiesta di Gregorio IV, il re dei Franchi Luigi il Pio decretò festa di precetto quel giorno che, da Festa di tutti i Martiri, diventò la Festa di Ognissanti. è grazie a questo nome che oggi, comunemente, vi si festeggia anche l’onomastico di tutte le persone il cui nome non compare nel calendario cristiano (adespoti). Dal 1° giugno 1949 il giorno di Ognissanti è stato inserito tra quelli considerati festivi.

Fiori, dolci e visite al cimitero
Anche le origini della festa dei defunti risalgono all’antichità, più precisamente all’inizio del Decimo secolo. In quel periodo nel convento di Cluny, in Francia, viveva l’abate benedettino Odilone, canonizzato da Clemente VI nel 1345 (la sua memoria liturgica ricorre il 1° gennaio). Il monaco era talmente devoto alle anime del Purgatorio da dedicare loro messe, preghiere e penitenze. Secondo la tradizione un giorno, tornando dalla Terra Santa, uno dei suoi confratelli gli raccontò una storia che lo colpì moltissimo: dopo avere fatto naufragio, il monaco era approdato sulle coste della Sicilia dove aveva incontrato un eremita che gli aveva riferito di avere sentito provenire da una grotta i lamenti delle anime del Purgatorio e le urla dei demoni che gridavano proprio contro Odilone. Sentita questa storia, l’abate ordinò ai suoi monaci di far suonare le campane dell’abbazia con rintocchi funebri dopo la celebrazione dei vespri del 1° novembre, quelli dei Santi, per commemorare i Morti.

Il giorno dopo, dunque il 2 novembre, l’eucaristia sarebbe stata offerta per la pace di tutti i defunti. In seguito il rito fu esteso a tutta la Chiesa cattolica. Ancora oggi è consuetudine, in quello che viene comunemente chiamato il “giorno dei morti”, recarsi al cimitero e portare fiori sulle tombe dei propri cari. In molte località italiane, per celebrare la giornata, si usa anche preparare dei dolci, i cosiddetti “dolci dei morti”.

di Tiziana Lupi

Edda CattaniOgnissanti e Defunti: preghiera di Francesco
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Santi e Morti: tra storia e riti

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FESTIVITA’ DI OGNISSANTI – E – COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI.

E’ la festa cattolica di tutti i santi con la quale si sogliono onorare non solo i santi, iscritti nel Martirologio romano e nel calendario delle singole Chiese, ma tutti i trapassati che godono la gloria del Paradiso.

Di origine antica, la festività di Ognissanti, dapprima dedicata ai soli martiri, era celebrata, nelle varie Chiese, subito dopo la Pasqua; fu spostata, poi dopo la Pentecoste.

Il 13 maggio 609, con decorrenza 610, il Papa Bonifacio IV dedicò il Pantheon in onore

della Madre di Dio e di tutti i martiri e ogni anno se ne celebrava l’anniversario con grande solennità e largo concorso di pellegrini.

Da queste feste sembra derivare quella di Tutti i Santi, fissata al primo di novembre dell’anno 835 dal Papa Gregorio IV.

Più tardi, nel 998, Odilo abate di Cluny aggiungeva la celebrazione, nel giorno seguente, della festa di tutte le anime a soddisfare l ‘aspirazione generale per un giorno di commemorazione dei morti.

 

Nell’antico e colorito, ma realistico, mondo contadino esiste un proverbio legato al primo giorno del mese di novembre: Ognissanti, manicotti e guanti, la comparazione è chiara: comincia la stagione fredda.

 

 1 e 2 Novembre – Ognissanti e il giorno dei morti

Poesie di Vincenzo Cardarelli

Santi del mio paese

 

Ce ne sono di chiese e di chiesuole,
al mio paese, quante se ne vuole!
E santi che dai loro tabernacoli
son sempre fuori a compiere miracoli.
Santi alla buona, santi famigliari,
non stanno inoperosi sugli altari.
E chi ha cara la subbia, chi la pialla,
chi guarda il focolare e chi la stalla,
chi col maltempo, di prima mattina,
comanda ai venti, alla pioggia, alla brina,
chi, fra cotanti e così vari stati,
ha cura dei mariti disgraziati.
Io non so se di me qualcuno ha cura,
che nacqui all’ombra delle antiche mura.
Vien San Martino che piove e c’è il sole,
vedi le vecchie che fanno all’amore.
Rustico è San Martin, prospero, antico,
e dell’invidia natural nemico.
Caccia di dosso il malocchio al bambino,
dà salute e abbondanza San Martino.
Sol che lo nomini porta fortuna
e fa che abbiamo sempre buona luna.
Volgasi a lui , chi vuol vita beata,
in ogni istante della sua giornata.
Vien Sant’Antonio, ammazzano il maiale.
Col solicello è entrato carnevale.
L’uomo è nel sacco, il sorcio al pignattino,
corron gli asini il palio e brilla il vino.
Viene, dopo il gran porcaro,
San Giuseppe frittellaro,
San Pancrazio suppliziato,
San Giovanni Decollato.
E San Marco a venire non si sforza,
che fece nascer le ciliege a forza.
E San Francesco, giullare di Dio,
è pure un santo del paese mio.
Ce ne sono di santi al mio paese
per cui si fanno feste, onori e spese!
Hanno tutti un lumino e ognuno ha un giorno
di gloria, con il popolino intorno

 

Il giorno dei morti fu ufficialmente collocato alla data del 2 Novembre nel X sec. d.c. circa, praticamente fondendosi con il 1 Novembre, già festa di ognissanti dall’anno 853, per sovrapporsi alle più antiche celebrazioni di quei giorni.

Tra il popolo comunque, le vecchie abitudini furono adattate alla nuova festa e al suo mutato significato, mantenendo la credenza che in quei giorni i defunti potevano tornare tra i viventi, vagando per la terra o recandosi dai parenti ancora in vita.

In tutta italia si possono ancora oggi ritrovare gesti e pratiche tradizionali per la celebrazione di queste feste.

Riti popolari per i defunti – Cibo tradizionale

 

In quasi tutte le regioni possiamo trovare pratiche e abitudini legate a questa ricorrenza. Una delle più diffuse era l’approntare un banchetto, o anche un solo un piatto con delle vivande, dedicato ai morti.

 

Qualche esempio caratteristico.

 

In Abruzzo si decoravano le zucche, e i ragazzi di paese andavano a bussare di casa in casa domandando offerte per le anime dei morti, solitamente frutta di stagione, frutta secca e dolci. Questa tradizione è ancora viva in alcune località abruzzesi.

Diffusa è anche l’usanza della questua fatta da schiere di ragazzi o di contadini e artigiani che vanno di casa in casa cantando un’appropriata canzone.

A Pettorano sul Gizio (Abruzzo) essa suona così:


Ogge è lla feste de tutte li sande:
Facete bbene a st’aneme penande

Se vvu bbene de core me le facete,
nell’altre monne le retruverete.

 

In Calabria, nelle comunità italo-albanesi, ci si avviava praticamente in corteo verso i cimiteri: dopo benedizioni e preghiere per entrare in contatto con i defunti, si approntavano banchetti direttamente sulle tombe, invitando anche i visitatori a partecipare.

 

In Emilia Romagna nei tempi passati, i poveri andavano di casa in casa a chiedere la carita’ di murt, ricevendo cibo dalle persone da cui bussavano.

In Friuli – a quanto informa l’Osterimann – i contadini lasciano un lume acceso, un secchio d’acqua e un po’ di pane sul desco. E’ il motivo che ispira la già ricordata poesia del Pascoli La tovaglia, dove la sensazione della presenza dei morti nella casa, nel silenzio della notte, è resa in maniera oltremodo commovente e suggestiva:


Entrano, ansimano muti:
ognuno è tanto mai stanco!
e si fermano seduti
la notte, intorno a quel bianco.

Stanno li sino a domani
col capo tra le mani,
senza che nulla si senta
sotto la lampada spenta.

Sempre in Friuli, come del resto nelle vallate delle Alpi lombarde, si crede che i morti vadano in pellegrinaggio a certi santuari, a certe chiese lontane dall’abitato, e chi vi entrasse in quella notte le vedrebbe affollate da una moltitudine di gente che non vive più e che scomparirà al canto del gallo o al levar della bella stella.

A queste credenze s’ispira uno dei più significativi racconti di Caterina Percoto, la ben nota scrittrice friulana, che tanti motivi trasse dal folklore della sua terra.

Questa presenza dei morti, avvertita con un’intensità che raggiunge la potenza di una visione, è però sempre associata, nella mentalità popolare, all’azione benefica e alla speranza nella beatitudine eterna.

In Lombardia abbiamo invece gli oss de mord, o oss de mort, fatti con pasta e mandorle toste, cotti al forno, di forma bislunga, con vago sapore di cannella in particolare:

A Bormio, la notte del 2 novembre si era soliti mettere sul davanzale una zucca riempita di vino e, in alcune case, si imbandisce la cena.

Ma anche nel Vigevanasco (Vigevano) e in Lomellina si suole mettere in cucina un secchio (l’acqua fresca, una zucca di vino, piena, e sotto il camino il fuoco acceso e le sedie attorno al focolare

A Comacchio c’e’ invece il punghen cmàciàis, il Topino Comacchiese, dolce a forma di topo preparato in casa

  

In Piemonte, si soleva per cena lasciare un posto in più a tavola, riservato ai defunti che sarebbero tornati in visita.

In Val d’Ossola sembra esserci una particolarità in tal senso: dopo la cena, tutte le famiglie si recavano insieme al cimitero, lasciando le case vuote in modo che i morti potessero andare lì a ristorarsi in pace. Il ritorno alle case era poi annunciato dal suono delle campane, perchè i defunti potessero ritirarsi senza fastidio.

In Puglia la sera precedente il due novembre, si usa ancora imbandire la tavola per la cena, con tutti gli accessori, pane acqua e vino, apposta per i morti, che si crede tornino a visitare i parenti, approfittando del banchetto e fermandosi almeno sino a natale o alla befana.

Sempre in Puglia, ad Orsara in particolare, la festa veniva (e viene ancora chiamata) Fuuc acost e coinvolge tutto il paese. Si decorano le zucche chiamate Cocce priatorje, si accendono falò di rami di ginestre agli incroci e nelle piazze e si cucina sulle loro braci; anche qui comunque gli avanzi vengono riservati ai morti, lasciandoli disposti agli angoli delle strade.

Diffusa è anche l’usanza della questua fatta da schiere di ragazzi o di contadini e artigiani che vanno di casa in casa cantando un’appropriata canzone.

Questa costumanza in Puglia si chiama senz’altro cercare l’aneme de muerte e si apre con questa specie di breve serenata rivolta alla massaia:


Chemmare Tizie te venghe a cantà
L’aneme de le muerte mò m’a da dà.
Ah ueullà ali uellì
Mittete la cammise e vien ad aprì.


La persona a cui è rivolta la canzone di questua si alza, fa entrare in casa la brigata ed offre vino, castagne, taralli ed altro.

 

In Sardegna  dopo la visita al cimitero e la messa, si tornava a casa a cenare, con la famiglia riunita. A fine pasto però non si sparecchiava, lasciando tutto intatto per gli eventuali defunti e spiriti che avrebbero potuto visitare la casa durante la notte. Prima della cena, i bambini andavano in giro per il paese a bussare alle porte, dicendo: <<Morti, morti…>> e ricevendo in cambio dolcetti, frutta secca e in rari casi, denaro.

  

In Sicilia c’e’ l’usanza di preparare doni e dolci per i bambini, ai quali viene detto che sono regali portati dai parenti trapassati. I genitori infatti raccontano ai figli che se durante l’anno sono stati buoni e hanno recitato le preghiere per le anime dei defunti, i morti porteranno loro dei doni.

Dolci Tradizionali

In Sicilia troviamo la mani, un pane ad anello modellato a forma di unico braccio che unisce due mani, e il pane dei morti, un pane di forma antropomorfa che originariamente si suppone fosse un’offerta alimentare alle anime dei parenti morti

 

Le strenne.

In Sicilia, le anime dei morti, il 2 novembre, recano i doni ai bimbi, doni che vengono appunto chiamati cose dei morti.

 Per ottenerli, i bimbi recitano questa preghiera:



Armi santi, armi santi (= anime sante)
Io sugnu unu e vuatri siti tanti: (
= io sono uno e Voi siete tante)
Mentri sugnu ‘ntra stu munnu di guai
Cosi di morti mittiminni assai

cose dei morti, cioè regali, mettetemene assai; s’intende nella scarpetta o nel cestello che i bimbi lasciano la sera appesa alla finestra o a capo del letto.
E i morti scendono a schiere bianche e spettrali, entrano in chiesa, assistono alla prima messa, poi si dirigono alle loro case a ritrovare i loro cari. L’ingenua fantasia del popolo li vede.

A Palermo una antica tradizione, legata alla festa dei morti, voleva che i genitori regalavano ai bambini dolci e giocattoli, dicendo loro che erano stati portati in dono dalle anime dei parenti defunti. Di solito per i maschietti si usava donare armi giocattolo, alle bimbe: bambole, passeggini, assi da stiro, fornelli. I più facoltosi regalavano tricicli e biciclette fiammanti. Al mattino si trovava il regalo nascosto in un punto insolito della casa, nella notte tra l’1 e il 2 novembre. La sera prima si nascondeva la grattugia perché si pensava che i defunti, a chi si fosse comportato male, sarebbero andati  a grattare i piedi! 

  La festa ha un origine e un significato che si collegano al banchetto funebre, di cui si ha ancora un ricordo nel consulu siciliano , il pranzo che i vicini di casa offrivano ai parenti, dopo che il defunto era stato tumulato.

  Celebri tra questi dolci sono quelli a forma umana, quali i pupi ri zuccaru detta Pupaccena: una statuetta cava fatta di zucchero indurita e dipinta con colori leggeri con figure tradizionali (Paladini, ballerini ed altri personaggi del mondo infantile) o di pasta di miele o i biscotti detti ossa ri muortu o “u pupu cu l’ovu”.

 

Tipici sono la tradizionale muffulietta, un tipo particolare di pane (spugnoso e morbido) con poca mollica che si conza (si prepara) con OLIO, ACCIUGA, ORIGANO, SALE E PEPE con la variante del POMODORO fresco.  I frutti di martorana, fatti con pasta di mandorle e poi dipinti, sono spesso vere opere d’arte per la straordinaria somiglianza a quelli veri: nespole, castagne, pesche, fichidindia, arance e tanti altri che riempiono, associati al misto (u ruci mmiscu): il dolce misto fatto da rimasugli di biscotti impastati una seconda volta, bianco per la velatura di zucchero e marrone per la presenza di cacao; U CANNISTRU, con frutta secca, fichi secchi e datteri e che riempie la base , la martorana e i biscotti, ‘a MURTIDDA e il tutto sormontato dalla Pupaccena. Per renderlo più scintillante bastava aggiungere dei cioccolattini con carta stagnola e filamenti di carta di diversi colori. a Palermo si svolge La Fiera dei Morti: bancarelle offrono ai vari visitatori nonché ai genitori l’opportunità di potere acquistare giocattoli, vestiario, dolciumi di ogni genere per preparare il tradizionale Cannistru.

In Cianciana (Sicilia) escono dal Convento di S. Antonio de’ Riformati; attraversano la piazza e arrivano al Calvario: quivi, fatta una loro preghiera al Crocefisso, scendono per la via del Carmelo.

E’ nel passaggio appunto che lasciano i loro regali ai fanciulli buoni.
Nel viaggio seguono questo ordine: vanno prima coloro che morirono di morte naturale, poi i giustiziati, poi i disgraziati, cioè i morti per disgrazia loro incolta, i morti
di subito, cioè repentinamente, e via di questo passo.

In Casteltermini (Sicilia) il viaggio è ogni sette anni, e i morti lo fanno attorno al paese, lungo le vie che devono percorrere le processioni solenni

  

LE FAVE

 

Cibo di rito per la ricorrenza dei morti sono le fave.

Secondo gli antichi – dice il Pitrè – le fave contenevano le anime dei loro trapassati: erano sacre ai morti. Presso i Romani avevano il primo posto nei conviti funebri.

Anche quest’uso fu dalla pietà cristiana portato sopra un piano più alto e riempito di un nuovo significato: poiché le fave, o anche i ceci lessi, in capaci bigonci venivano posti agli angoli delle strade e ciascuno vi poteva attingere a volontà. S’intende che più vi attingevano i poveri. Ancora oggi in Capitanata (Puglia) molte famiglie cuociono in grosse caldaie notevoli quantità di ceci o di grano, che condiscono col succo degli acini di melograno, e ne offrono dei piatti ai poveri in suffragio delle anime dei defunti. Ora le fave dei morti sono, di regola, sostituite con dolci di egual nome, e di foggia più o meno simile.

 

In Veneto le zucche venivano svuotate, dipinte e trasformate in lanterne, chiamate lumere: la candela all’interno rappresentava cristianamente l’idea della resurrezione.

 

 

 

 Per i contenuti di questa pagina ringraziamo i siti ed i libri:

(Estratto da: Paolo Toschi, Invito al folklore italiano, Studium, Roma)

Da http://www.palermoweb.com/

www.correrenelverde.it

 da cui abbiamo preso molte notizie.

 Vedi anche:

http://www.grifasi-sicilia.com/festedeimorti.html

 

 

Edda CattaniSanti e Morti: tra storia e riti
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