Festività Anniversari Ricorrenze

1° Maggio: un insieme di ricorrenze

No comments

 

Questo è un mese benedetto …anni fa è iniziato con un grande dono : la beatificazione di Papa Giovanni 23° e del nostro Santo  Pontefice Carol Wojtyla, amante di Maria Santissima e grande lavoratore della vigna del Signore!

 

 

MAGGIO: Mese di Maria, Festa di San Giuseppe Artigiano… la meravigliosa unione della Sacra Famiglia

Dedicato a te Mentore, per il grande Padre che sei stato! 

San Giuseppe ebbe meriti smisurati al pari di Maria, per noi fedeli deve essere egli dunque un “maestro di bottega”, come lo fu per Gesù:… un artigiano che col suo lavoro, silenzioso e faticoso, ma sempre risoluto, si fa per noi modello di umiltà, semplicità, povertà, amore. San Giuseppe ci ricorda come il cammino della fede sia fatto di osservazione: l’osservare un gesto banale ma che nell’ottica della fede ci appare invece illuminante più di ogni scritto, più di ogni omelia, più di ogni miracolo.

 

“Dio combina le combinazioni”, affermava San Pio da Pietralcina. 

Quanto appare singolarmente adatto, questo suo pensiero, al mese di maggio! 

Per una splendida “combinazione” il mese mariano per eccellenza,  prende l’avvio con una festa dedicata a San Giuseppe, cosicchè lo Sposo, quasi “accompagni” per mano la Sposa, introducendola con squisita “galanteria” nel periodo a lei particolarmente dedicato per poi lasciarla unica regina incontrastata dei 30 giorni successivi!

 

La speciale “vocazione” mariana del mese di maggio ha origini antiche, che affondano le proprie radici nella tradizione popolare. 

La festa di San Giuseppe artigiano fu invece istituita nel 1955, da Pio XII e in Italia si festeggia il 1° maggio.

Questa felice coincidenza sottolinea -quasi “simbolicamente”- la forte unione fra gli sposi di Nazaret, Giuseppe, l’uomo giusto e silenzioso, si presenta il primo maggio per accompagnare Maria, ricordandoci che a suo tempo, nella storia dell’incarnazione,  fu scelto da Dio per “affiancare” la Vergine nel suo percorso di maternità del Figlio di Dio, per non lasciarla sola,  rispettando in tal modo anche quelle che erano le “consuetudini” sociali del tempo.

Se Dio avesse voluto, non avrebbe avuto bisogno né di Maria né di Giuseppe, per far nascere Gesù, ma, volendo servirsi degli uomini, ha deciso di fare le cose in pienezza.

Dio non ha fatto della Vergine una “ragazza madre”, ma le ha donato un degno sposo, inserendola così in un nucleo familiare che non ingenerasse scandali (anche per questo motivo, si ritiene che San Giuseppe non fosse un vegliardo, come tanta produzione artistica ci fa credere!).

In un piccolo libricino, edito dal Movimento Giosefino, si legge :

“Il Figlio è stato ricevuto da entrambi per mezzo della mente, non della carne. Infatti, se Maria è verginalmente e castamente madre, altrettanto lo è Giuseppe come padre. Già San Girolamo fu primo e grande assertore di questa verità”.

Se questa fu la grande “condivisione” di Maria e Giuseppe in terra, figuriamoci quale possa essere in Cielo, la loro unione spirituale!

A testimonianza di questo, molte sono le visioni in cui grandi Santi hanno visto assieme i due Sposi, e grande la devozione nutrita verso di essi.

Nell’ultima apparizione di Fatima, oltre alla Vergine, i tre pastorelli, videro anche San Giuseppe -vestito di bianco e che teneva in braccio il Bambinello-.

E fu proprio “il falegname”, insieme al Figlioletto, a benedire il popolo che sostava in preghiera. 

Non è questo un inequivocabile segno dell’armonia che alberga -anche e soprattutto in Paradiso!- fra i membri della Santa Famiglia?

Papa Pio XI, nel 1935, affermò: “sorgente di ogni grazia è il Redentore Divino, accanto a Lui è Maria Santissima, dispensatrice dei divini favori; ma se c’è qualche cosa che supera queste due sublimi potenze è, in un certo modo, il riflettere che è S. Giuseppe che comanda all’uno o all’altra, colui che tutto può presso il Redentore Divino e presso la Madre Divina in una forma ed in un potere che non sono soltanto di famulatoria custodia”.

In effetti, se i “legami” terreni, trovano il loro “compimento”, la pienezza, soltanto in Paradiso, si potrebbe mai credere che San Giuseppe diventi un “estraneo” per il Figlio di Dio, proprio in Paradiso? 

In maniera molto semplice, si potrebbe dire che il “capofamiglia” rimanga pur sempre tale! Troviamo una conferma di questo, in un episodio della vita di Suor Consolata Bertrone, verificatosi subito dopo la morte del suo babbo. La clarissa cappuccina, così racconta:

“Babbo mio era morto. -Ebbene, mi dissi, lo sostituirà San Giuseppe!- E mi affidai a lui, eleggendolo per mio padre. Una soave visione internamente venne a rallegrare la mia anima: la Madonna e San Giuseppe! -Che cos’hai, Consolata, che sei così mesta?- O San Giuseppe, babbo è in Purgatorio e Gesù non vuole liberarlo sino a sabato mattina. -Vedrai, lo libererà domani, Venerdì Santo- Ma Gesù non vuole, l’ho già pregato tanto! -Oh, Gesù lo comando io (mi disse sorridendo) e domani tuo babbo sarà liberato, te lo prometto…-”

E fu proprio una visione del babbo, il giorno successivo, a far capire a Consolata, che la promessa era stata mantenuta!

L’episodio -sebbene si tratti di una visione “privata”- è quantomai significativo, testimonia la completa armonia tra i due sposi, che riporta alla mente quella manifestata al momento del ritrovamento di Gesù al tempio, sebbene qui, i ruoli, si “invertano”.

Stavolta è Maria ad essere silenziosa, ma proprio con il suo silenzio, dimostra una perfetta concordanza di intenti con il suo sposo, il quale -a sua volta- sottolinea con le sue parole bonarie (sorride, mentre parla!), l’intima unione con Gesù. 

Il “capofamiglia” sa di poter “comandare” al proprio figlio…anche se si tratta del Figlio di Dio! E’ la legge dell’amore, che fa obbedire un Figlio ai giusti comandi del padre..anche se Padre Putativo! E questo perché, in Paradiso, i Santi (come lo è San Giuseppe) altro non possono che desiderare la volontà di Dio…

Dunque, avviamo il mese mariano invocando l’aiuto e la protezione di San Giuseppe della Vergine Maria: come la Vergine è considerata la “mediatrice di tutte le grazie”, il suo sposo è, oltre che “uomo di contemplazione e di sogni celesti, uomo d’azione; pronto nell’operare in obbedienza a Dio, e nel sovvenire a quanti gli sono affidati.”

Santa Teresa d’Avila disse: “Ad altri santi sembra che Dio abbia concesso di soccorrerci in questa o in quell’altra necessità, mentre ho sperimentato che il glorioso S. Giuseppe estende il suo patrocinio su tutte”.

E stiamo pur certi che, se rivolgiamo le nostre preghiere al padre putativo di Gesù, sarà lui stesso a condurre le nostre richieste alla Vergine, ed entrambi, si faranno nostri amorevoli intercessori presso Gesù!

 

Buon mese mariano a tutti!

 

 

1 MAGGIO: SAN GIUSEPPE LAVORATORE – Intervista a p. Angelo Catapano

 

1° maggio, festa dei lavoratori, ma anche festa di San Giuseppe lavoratore. A San Giuseppe si ispira la Congregazione dei Giuseppini del Murialdo, fondata da San Leonardo Murialdo, insieme con l’altra dei Giuseppini cosiddetti di Asti. Dei Giuseppini del Murialdo fa parte padre Angelo Catapano che è direttore del Centro Studi san Giuseppe ed è responsabile delle riviste “Vita giuseppina” e “La voce di San Giuseppe”. A padre Catapano, Giovanni Peduto della Radio Vaticana ha chiesto innanzitutto quale lavoro facesse san Giuseppe, che qualche volta viene definito falegname, altre volte carpentiere:

**********
R. – I termini che usano i Vangeli di Matteo e di Marco, sono dal greco “tecton”, in latino “faber” e poi tradizionalmente, nei secoli passati, si parlava piuttosto di falegname. Oggi si usa di più la traduzione “carpentiere”, proprio perché è un termine un po’ più ampio, generico, che comprende anche il lavoro del falegname, ma potrebbe essere anche fabbro: in qualche modo, chi costruisce. Ed è bello e simpatico già immaginare questo. Dobbiamo anche pensare, poi, che si trattava di un piccolo villaggio, Nazareth, dove i lavori non potevano essere così precisi.

D. – In questo lavoro, era aiutato da Gesù?

R. – Sicuro. Tant’è che il Vangelo stesso dice ad un certo punto: non è lui il figlio del falegname? Addirittura, gli si dice: non è lui il carpentiere? Effettivamente, Gesù ha passato tanti anni accanto a Giuseppe in quella bottega di Nazareth, in quella vita nascosta che ha una sua importanza, non solo come esempio per l’umiltà, ma anche per l’elevazione del lavoro ad una dignità che non è solo umana ma diventa a quel punto ‘divina’. Giuseppe ha educato Gesù, l’ha istruito nel lavoro, ma anche un poco alla volta, passando gli anni, da educatore si è fatto discepolo di Gesù e si è messo alla sua scuola. E lui ha imparato ed è stato istruito da Gesù!

D. – Qual è il senso cristiano del lavoro che ci viene oggi da questa festa?

R. – Questa festa del primo maggio ha bisogno di un rilancio. Nei lunghi anni del suo Pontificato, Giovanni Paolo II non ha perso occasione per incontrare in questa circostanza il mondo del lavoro. E’ per tutta la Chiesa un motivo di riincontrare il mondo del lavoro, i problemi di oggi, e non vederlo soltanto come una questione qualunque, perché il lavoro è la chiave, come ha detto Papa Wojtyla, della questione sociale.

D. – San Giuseppe è stato il custode del Redentore. Nel lavoro si può quindi chiedere anche la sua intercessione …

R. – Certo. E’ il modello, il patrono dei lavoratori. D’altra parte, l’opera che il nostro santo svolge accanto a Gesù nel mondo del lavoro accompagna quell’opera che Gesù Cristo stesso farà nella sua vita pubblica: l’opera della Redenzione, perché Gesù viene ad operare. E noi ci auguriamo che, insieme con la benedizione di San Giuseppe, ci sia anche – ed è di buon auspicio – il nuovo Papa, Benedetto, che porta nel nome di battesimo il nome stesso di San Giuseppe.

Ecco perché il primo maggio è anche
la festa dei lavoratori

Primo maggio : storia, origini e tradizioni

 

La Festa dei lavoratori, o meglio la Festa del lavoro, è una festività che annualmente viene attuata per ricordare l´impegno del movimento sindacale ed i traguardi raggiunti in campo economico e sociale dai lavoratori. La festa del lavoro è riconosciuta in molte nazioni del mondo ma non in tutte. Più precisamente, intende ricordare le battaglie operaie per la conquista di un diritto ben preciso: l´orario di lavoro quotidiano fissato in otto ore. Tale legge fu approvata nel 1866 nell´Illinois, (USA), la Prima Internazionale richiese che legislazioni simili fossero approvate anche in Europa. Convenzionalmente, l´origine della festa viene fatta risalire ad una manifestazione organizzata negli Stati Uniti dai Cavalieri del lavoro a New York il 5 settembre 1882. Due anni dopo, nel 1884, in un´analoga manifestazione i Cavalieri del lavoro approvarono una risoluzione affinché l´evento avesse una cadenza annuale. Altre organizzazioni sindacali affiliate alla Internazionale dei lavoratori – vicine ai movimenti socialista ed anarchico – suggerirono come data della festività il Primo maggio. Ma a far cadere definitivamente la scelta su questa data furono i gravi incidenti accaduti nei primi giorni di maggio del 1886 a Chicago (USA) e conosciuti come rivolta di Haymarket. Questi fatti ebbero il loro culmine il 4 maggio quando la polizia sparò sui manifestanti provocando numerose vittime. L´allora presidente Grover Cleveland ritenne che la festa del primo maggio avrebbe potuto costituire un´opportunità per commemorare questo episodio. Successivamente, temendo che la commemorazione potesse risultare troppo in favore del nascente socialismo, stornò l´oggetto della festività sull´antica organizzazione dei Cavalieri del lavoro. La data del primo maggio fu adottata in Canada nel 1894 sebbene il concetto di Festa del lavoro sia in questo caso riferito a precedenti marce di lavoratori tenute a Toronto e Ottawa nel 1872. In Europa la festività del primo maggio fu ufficializzata dai delegati socialisti della Seconda Internazionale riuniti a Parigi nel 1889 e ratificata in Italia soltanto due anni dopo. In Italia la festività fu soppressa durante il ventennio fascista – che preferì festeggiare una autarchica Festa del lavoro italiano il 21 aprile in coincidenza con il Natale di Roma – ma fu ripristinata subito dopo la fine del conflitto mondiale, nel 1945. Nel 1947 fu funestata a Portella della Ginestra (Palermo) quando la banda di Salvatore Giuliano sparò su un corteo di circa duemila lavoratori in festa, uccidendone undici e ferendone una cinquantina.

Edda Cattani1° Maggio: un insieme di ricorrenze
Leggi Tutto

La luce della Resistenza

No comments

La Resistenza e la sua luce

(P.Paolo Pasolini)

Così giunsi ai giorni della Resistenza
senza saperne nulla se non lo stile:
fu stile tutta luce, memorabile coscienza
di sole. Non poté mai sfiorire,
neanche per un istante, neanche quando
l’Europa tremò nella più morta vigilia.
Fuggimmo con le masserizie su un carro
da Casarsa a un villaggio perduto
tra rogge e viti: ed era pura luce.
Mio fratello partì, in un mattino muto
di marzo, su un treno, clandestino,
la pistola in un libro: ed era pura luce.
Visse a lungo sui monti, che albeggiavano
quasi paradisiaci nel tetro azzurrino
del piano friulano: ed era pura luce.
Nella soffitta del casolare mia madre
guardava sempre perdutamente quei monti,
già conscia del destino: ed era pura luce.
Coi pochi contadini intorno
vivevo una gloriosa vita di perseguitato
dagli atroci editti: ed era pura luce.
Venne il giorno della morte
e della libertà, il mondo martoriato
si riconobbe nuovo nella luce…
Quella luce era speranza di giustizia:
non sapevo quale: la Giustizia.
La luce è sempre uguale ad altra luce.
Poi variò: da luce diventò incerta alba,
un’alba che cresceva, si allargava
sopra i campi friulani, sulle rogge..
Illuminava i braccianti che lottavano.
Così l’alba nascente fu una luce
fuori dall’eternità dello stile…
Nella storia la giustizia fu coscienza
d’una umana divisione di ricchezza,
e la speranza ebbe nuova luce.

Pier Paolo Pasolini

 

Edda CattaniLa luce della Resistenza
Leggi Tutto

La Casa Comune

No comments


Perle di saggezza indiana

Ancor prima di Papa Francesco…

Vi e’ molto di folle nella vostra cosiddetta civilta’. Come pazzi voi uomini bianchi correte dietro al denaro,  fino a che non ne avete così tanto, che non potete vivere abbastanza a lungo per spenderlo.  Voi saccheggiate i boschi e la terra,  sprecate i combustibili naturali,  come se dopo di voi non venisse piu’ alcuna generazione, che ha altrettanto bisogno di tutto questo.  Voi parlate sempre di un mondo migliore, mentre costruite bombe sempre piu’ potenti, per distruggere quel mondo che ora avete.  (Bufalo che Cammina, Stoney)

«Laudato si’, mi’ Signore», cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba».

Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22). Dimentichiamo che noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora.

(da Laudato sì del Santo Padre Francesco sulla cura della casa comune)

 

 

 

Edda CattaniLa Casa Comune
Leggi Tutto

Cristo è risorto!

1 comment

LA NOSTRA PASQUA

“Cristo Risorto invita tutti, cristiani ma anche chi è alla ricerca, a non scoraggiarsi nelle difficoltà della vita”.

Simili a colombe i nostri cari Figli volano liberi nella Luce. Lasciamoli

godere del miracolo della Resurrezione; certezza per tutti noi

della vita eterna!

Durante il tempo pasquale noi credenti, uniti ai nostri figli, angeli di Luce, ricordiamo il significato della santa Comunione, facendo in modo che tale rito sia il punto fermo di una partecipazione eucaristica che deve interessare tutta la nostra vita. L’Eucaristia è sacramento del sacrificio pasquale di Cristo. Dall’incarnazione nel grembo della Vergine fino all’ultimo respiro sulla croce, la vita di Gesù è un olocausto incessante, un perseverante consegnarsi ai disegni del Padre. Il culmine è il sacrificio di Cristo sul Calvario: «ogni volta che il sacrificio della croce, “col quale Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immolato” (1Cor 5,7), viene celebrato sull’altare, si effettua l’opera della nostra redenzione» (Lumen Gentium, 3; CCC, 1364).

Ad esso noi, Mamme della Speranza,  associamo il nostro sacrificio, per divenire un solo corpo e un solo spirito con i nostri Figli in Cristo. Partecipare all’Eucaristia, obbedire al Vangelo che ascoltiamo, mangiare il Corpo e bere il Sangue del Signore vuol dire fare della nostra vita un sacrificio a Dio gradito: per Cristo, con Cristo e in Cristo. In questo periodo di grandi tribolazioni per l’umanità, di guerre in ogni territorio, di faide, di miserie e di gravi perversioni, rivolte soprattutto a chi non ha colpa, ai bambini, agli anziani, ai più deboli, sentiamoci ancora una volta Chiesa militante, come lo sono i nostri Figli e vivendo nell’impegno e nella preghiera celebreremo, uniti a Loro, degnamente la nostra Pasqua. L’incontro con Cristo non è un talento da seppellire, ma da far fruttificare in opere e parole. L’evangelizzazione e la testimonianza missionaria si dipartono dunque come forze centrifughe dal convito eucaristico (cf. Dies Domini, 45). La missione è portare Cristo, in modo credibile, negli ambienti di vita, di lavoro, di fatica, di sofferenza, facendo in modo che lo spirito del Vangelo sia lievito della storia e “progetto” di relazioni umane improntate alla solidarietà e alla pace.

Conviene ritornare a ciò che è più essenziale. In effetti, tutte le cose che potremo fare avranno un senso se poste dentro l’ottica del dono di Dio. Le iniziative non dovranno essere che sentieri aperti, perché la grazia, sempre offerta dallo Spirito di Dio, scorra con abbondanza, accolta dai singoli e dalla nostra comunità. L’eccomi della Vergine Santa dovrà ancora una volta dare il tono all’eccomi di tutte noi che continuamente, con il corpo e il sangue di Cristo, riceviamo anche il dono della maternità di Maria: “Ecco tua Madre!”

Da primo messaggio ricevuto Andrea ci disse di essersi buttato ai piedi della Madre Celeste dicendole: “Madre poni fine a tanto dolore”! Così Dio, nella Sua misericordia, ci ha fatto ritrovare questo Figlio benedetto e ci ha ridato la Sua pace.

Che Dio benedica le nostre famiglie e la certezza della Sua Resurrezione ci sia di conforto e di aiuto. E’ l’augurio che faccio a tutti per un tempo di pace e di serenità!

 

“Gesù Cristo, morto in croce, è risorto. Questo il messaggio. Essere il testimone di questa lieta notizia, che dagli apostoli ad oggi viene proclamata nel mondo. Dire che Cristo è risorto, è dire tutta la nostra speranza nella vita. La vita che è la sconfitta del peccato, di quelle situazioni di miseria che ogni uomo porta con sé. Il Signore è venuto a farci dono della vita nuova che si deve tradurre in una pace interiore, in uno stile di vita nei confronti degli altri. Io ho voluto scrivere questo messaggio: Cristo risorto unica speranza del mondo doni giustizia e libertà agli oppressi. In questo momento il mio pensiero è rivolto agli uomini e alle donne che vivono la tragedia della guerra e dalle coste africane arrivano da noi in Sicilia, come primo approdo, e cercano di essere accolte. Per loro vorrei annunziare di non perdersi di animo, perchè possano realizzarsi per loro condizioni di giustizia, condizioni di potere condurre con dignità la propria vita, condizioni di libertà, ogni uomo è chiamato a vivere nella responsabilità. Come Chiesa annunciamo la Risurrezione di Cristo, ma la fede si può condividere con tutti gli uomini di buona volontà. Dobbiamo impegnarci per assicurare condizioni di maggiore giustizia e libertà agli oppressi. La Risurrezione di Cristo sia pace e salvezza per tutti gli uomini. Il mio augurio è rivolto ai cristiani ma anche alle persone che vanno alla ricerca della verità e del senso della vita”.  (Mons.Salvatore Pappalardo – Arcivescovo)

  Liturgia e tradizioni

La riforma della Settimana Santa, con il ritorno di ciascuna liturgia del Triduo Sacro ad un orario più consono non fu promossa dal Concilio, ma dal pontefice Pio XII, di venerata memoria.
L’uso di lavarsi la faccia e in particolare gli occhi a me sembra decisamente e tipicamente battesimale (l’acqua è evidente e lo sciacquarsi gli occhi mi ricorda tanto il cieco nato giovanneo!), più che vagamente pasquale.
 

Quando ero bambina al sabato santo,  si slegavano le campane a mezzogiorno, poi vi era la consuetudine di bagnarsi gli occhi “per allontanare i malanni”.

Le campane, che fino a quel momento erano rimaste in silenzio (sostituite dall’arcaico “crepitacolo”) suonavano a stormo, e la gente correva a bagnarsi gli occhi con l’acqua, compiendo una sorta di rito di purificazione…forse allo scopo di togliere il “velo” funebre che ancora copriva gli occhi e vedere il Cristo Risorto, non solo con gli occhi “fisici”, ma anche con gli occhi della fede!….

Tutto questo accadeva circa una cinquantina di anni fa…

 
Era una vecchia usanza preconciliare, me la raccontava anche mio nonno. A mezzogiorno del sabato si scioglievano le campane che si suonavano a festa e la gente correva al fiume per lavarsi gli occhi, simbolo del peccato vinto dalla Risurrezione di Cristo.
 

 

Mia mamma mi dice che la Pasqua si festeggiava a mezzogiorno del sabato. Suonavano le campane e la gente usciva per strada ad abbracciarsi.
 

La ricordo anch’io da bambino nella mattinata del sabato.
In effetti era una cosa che lasciava un po’ perplessi. Mio nonno diceva sempre:
“L’han faa resucitaa in anticip”.

Attualmente la Veglia giustamente si fa all’inizio liturgico del terzo giorno, cioè nella serata del sabato.

 

 

Edda CattaniCristo è risorto!
Leggi Tutto

Maria, donna del Sabato santo

No comments

Maria, donna del Sabato santo

don Tonino Bello

Nelle feste c’è Lui.

Nelle vigilie, al centro, c’è Lei.

Discreta come brezza d’aprile che ti porta sul limitare di casa profumi di verbene, fiorite al di là della siepe.

Ci sono, a volte, degli attimi così densi di mistero, che si ha 1’impressione di averli già sperimentati in altre stagioni della vita. E ci sono degli attimi così gonfi di presentimenti, che vengono vissuti come anticipazioni di beatitudini future.

Nel giorno del Sabato santo, di questi attimi, ce n’è più di qualcuno. E come se cadessero all’improvviso gli argini che comprimono il presente. L’anima, allora, si dilata negli spazi retro stanti delle memorie. Oppure, allungandosi in avanti, giunge a lambire le sponde dell’ eterno rubandone i segreti, in rapidi acconti di felicità.

Come si spiega, infatti, se non con questo rimpatrio nel passato, il groppo di allusioni che, superata appena la “parasceve”, si dipana al primo augurio di buona Pasqua, e si stempera in mille rigagnoli di ricordi, fluenti tra anse di gesti rituali?

La casa, vergine di lavacri, che profuma d’altri tempi. L’amico giunto dopo tanti anni, nei cui capelli già grigi ti attardi a scorgere reliquie d’infanzie comuni. Il dono opulento, là in cucina, tra le cui carte stagnole cerchi invano sapori di antiche sobrietà… quando era viva lei, e la madia nascondeva solo stupori di uova colorate. Il grembo vuoto della chiesa, il cui silenzio trabocca di richiami, e dove nel vespro ti decidi finalmente a entrare, come una volta, per riconciliarti con Dio e sentirti restituire a innocenze perdute.

E come si spiega se non col crollo delle dighe erette dai calendari terreni, quel sentimento pervasivo di pace che, nel Sabato santo, almeno di sfuggita, irrompe dal futuro e ti interpella con strani interrogativi a cui sentì già di poter dare risposte di gioia?

C’è un tempo in cui la gente starà sempre a scambiarsi strette di mano e sorrisi, così come fa oggi? Verranno giorni sottratti all’usura delle lacrime? Esistono spazi di gratuità, dove non smetteremo più gli abiti di festa? Ci sono davvero delle stagioni in cui la vita sarà sempre così?

Fascino struggente del Sabato santo, che ti mette nell’ anima brividi di solidarietà perfino con le cose e ti fa chiedere se non abbiano anch’ esse un futuro di speranza!

Che cosa faranno gli alberi stanotte, quando suoneranno a stormo le campane? Le piante del giardino spanderanno insieme, come turiboli d’argento, la gloria delle loro resine? E gli animali del bosco ululeranno i loro concerti mentre in chiesa si canta l’Exultet? Come reagirà il mare, che brontola sotto la scogliera, all’annuncio della Risurrezione? L’angelo in bianche vesti farà fremere le porte anche dei postriboli? Oltre i cancelli del cimitero, sussulteranno sotto il plenilunio le tombe dei miei morti? E le montagne, non viste da nessuno, danzeranno di gioia attorno alle convalli?

Una risposta capace di spiegare il tumulto di queste domande io ce l’avrei. Se nel Sabato santo il presente sembra oscillare su passato e futuro, è perché protagonista assoluta, sia pur silenziosa, di questa giornata è Maria.

Dopo la sepoltura di Gesù, a custodire la fede sulla terra non è rimasta che lei. Il vento del Golgota ha spento tutte le lampade, ma ha lasciato accesa la sua lucerna. Solo la sua. Per tutta la durata del sabato, quindi, Maria resta l’unico punto di luce in cui si concentrano gli incendi del passato e i roghi del futuro. Quel giorno essa va errando per le strade della terra, con la lucerna tra le mani. Quando la solleva su un versante, fa emergere dalla notte dei tempi memorie di santità; quando la solleva sull’altro, anticipa dai domicili dell’ eterno riverberi di imminenti trasfigurazioni.

Santa Maria, donna del Sabato santo, estuario dolcissimo nel quale almeno per un giorno si è raccolta la fede di tutta la Chiesa, tu sei l’ultimo punto di contatto col cielo che ha preservato la terra dal tragico blackout della grazia. Guidaci per mano alle soglie della luce, di cui la Pasqua è la sorgente suprema.

Stabilizza nel nostro spirito la dolcezza fugace delle memorie, perché nei frammenti del passato possiamo ritrovare la parte migliore di noi stessi. E ridestaci nel cuore, attraverso i segnali del futuro, una intensa nostalgia di rinnovamento, che si traduca in fiducioso impegno a camminare nella storia.

Santa Maria, donna del Sabato santo, aiutaci a capire che, in fondo, tutta la vita, sospesa com’ è tra le brume del venerdì e le attese della domenica di Risurrezione, si rassomiglia tanto a quel giorno. È il giorno della speranza, in cui si fa il bucato dei lini intrisi di lacrime e di sangue, e li si asciuga al sole di primavera perché diventino tovaglie di altare.

Ripetici, insomma, che non c’è croce che non abbia le sue deposizioni. Non c’è amarezza umana che non si stemperi in sorriso. Non c’è peccato che non trovi redenzione. Non c’è sepolcro la cui pietra non sia provvisoria sulla sua imboccatura. Anche le gramaglie più nere trascolorano negli abiti della gioia. Le rapsodie più tragiche accennano ai primi passi di danza. E gli ultimi accordi delle cantilene funebri contengono già i motivi festosi dell’alleluia pasquale.

Santa Maria, donna del Sabato santo, raccontaci come, sul crepuscolo di quel giorno, ti sei preparata all’ incontro col tuo figlio Risorto. Quale tunica hai indossato sulle spalle? Quali sandali hai messo ai piedi per correre più veloce sull’erba? Come ti sei annodata sul capo i lunghi capelli di nazarena? Quali parole d’amore ti andavi ripassando segretamente, per dirgliele tutto d’un fiato non appena ti fosse apparso dinanzi?

Madre dolcissima, prepara anche noi all’ appuntamento con Lui. Destaci l’impazienza del suo domenicale ritorno. Adornaci di vesti nuziali. Per ingannare il tempo, mettiti accanto a noi e facciamo le prove dei canti.

Perché qui le ore non passano mai.

Edda CattaniMaria, donna del Sabato santo
Leggi Tutto

Pasqua di Resurrezione

No comments

LA PASQUA e IL PERDONO

 

Quando era bambina, nella mia terra, gli uomini andavano a messa solo a Natale e a Pasqua e, in quelle circostanze,  che la cristianità ritiene le principali fra le solennità liturgiche, accadevano cose straordinarie. Le musiche dei vecchi organi, il profumo dei fiori, l’odore acre dei  ceri, i colori dei paramenti e degli abiti delle feste erano per noi piccoli motivo di osservazione e di curiosità, ma il momento più importante era quello della ”predica” del parroco. A quell’epoca la voce del sacerdote tuonava parole forti che scuotevano gli animi e lasciavano una traccia indelebile che, si sapeva, doveva durare per tutto il tempo che restava per la prossima occasione. Quell’anno, a Pasqua, la mamma ci si era messa d’impegno e mi aveva confezionato un abito celeste; papà aveva dipinto anche le mie scarpe dello stesso colore e io mi sentivo, fra i miei genitori, così belli ed uniti, una reginetta. Venne il momento dell’omelia ed il vecchio sacerdote, un gigante sull’altare, al termine del sermone tuonò: “Uomini, pace! Pace! Pace! Basta con l’odio, con il risentimento, con le vendette!”. Ci guardammo tutti l’un l’altro e in quel momento ognuno di noi fece un breve esame di coscienza, poi un uomo si staccò dal gruppo e lentamente si avvicinò ad un altro che stava più avanti, dall’altra parte. Bastarono brevi cenni, poi caddero, piangendo, uno nelle braccia dell’altro: erano vecchi nemici che si riconoscevano persone e chiudevano, in quel momento, una lunga parentesi di odio e rancore che durava da tempo. Vecchi parroci di frontiera, ce ne fossero ancora.!

    Oggi, un vecchio Papa parla di digiuno per cambiare il corso della storia e proclamare che non è possibile, per i credenti, a qualunque religione appartengano, essere felici gli uni contro gli altri e che mai il futuro dell’umanità potrà essere assicurato dal terrorismo e dalla logica della guerra. Ma può Dio dipendere dall’uomo? Saremmo sciocchi se lo pensassimo: è l’uomo che dovrebbe dipendere da Dio. Eppure, ce lo ha chiesto la Madonna nelle varie apparizioni a Fatima, a  Lourdes, a Garabandal, a Medjougorie; lo ha fatto con le lacrimazioni di acqua e sangue implorando la nostra conversione. Dio, allora, ha bisogno degli uomini, ha bisogno anche di noi, della testimonianza della nostra vita, dell’impegno della nostra coscienza che si riconosce nelle parole del Papa.

     Con la nostra presenza attiva possiamo fare molto e, se saremo capaci di perdonare, il nostro gesto accarezzerà tutti i mazzi di fiori lungo le strade dove sono morti ammazzati i nostri giovani figli, spesso vittime dell’altrui violenza. Raggiungerà le case dove non si è assopito l’odio per una giustizia non ricevuta, per una follia non pagata, per una sopraffazione degenerata in tragedia.

     Dal mercoledì delle ceneri alla veglia pasquale trascorriamo questo tempo di quaresima preparandoci a vivere in pienezza il mistero della resurrezione di Cristo. La conversione quaresimale è perdono delle offese ricevute, è cammino di amore verso Dio Padre, di solidarietà verso i fratelli, di condivisione con i nostri Cari dell’oltre,  per la salvezza di tutti.

Buona e serena Pasqua a tutti!

 

 

Edda CattaniPasqua di Resurrezione
Leggi Tutto

Riti del Giovedì Santo

No comments

Ricordando… 

Giovedì santo: Lavanda dei piedi

Nel 2016 Papa Francesco per 12 profughi

Per la prima volta il rito si è svolto fuori Roma a Castelnuovo di Porto

“Tutti noi, insieme, musulmani, indi, cattolici, copti, evangelici, fratelli, figli dello stesso Dio, che vogliamo vivere in pace, integrati: un gesto. Tre giorni fa un gesto di guerra, di distruzione, in una città dell’Europa, da gente che non vuole vivere in pace, ma dietro quel gesto” “ci sono i fabbricatori, i trafficanti delle armi che vogliono il sangue non la pace, la guerra, non la fratellanza”. Il Papa ha spiegato così la lavanda dei piedi che stava per compiere nel CARA di Castelnuovo di Porto. “Due gesti, – ha riflettuto – Gesù lava i piedi e Giuda vende Gesù per denaro, noi tutti insieme diverse religioni, di diverse culture ma figli dello stesso padre, fratelli, e quelli che comprano le armi per distruggere”. Papa Francesco ha voluto imprimere il sigillo della unità dei credenti per la pace, e della fratellanza contro l’odio, le guerre e il traffico di armi, al rito della lavanda dei piedi che ha compiuto al CARA, acronimo per Centro di accoglienza per richiedenti asilo, cioè dove i profughi vengono ospitati in attesa che vengano espletate le procedure per accogliere o meno la loro domanda di protezione internazionale. Bergoglio ha lavato i piedi a 11 profughi e una operatrice del CARA, in tutto cinque cattolici, quattro musulmani, un indù e tre cristiani copti. 

I riti del Giovedì Santo 2015

 

Settimana Santa, Bergoglio celebra la messa del Crisma a San Pietro e parla ai sacerdoti: “Non chiudetevi in uffici o auto oscurate”. Poi sceglie di stare “dalla parte degli ultimi” e va nel carcere romano per la lavanda dei piedi. Ai baci e agli applausi dei reclusi risponde: “Grazie per la calorosa accoglienza”. E si china a baciare i piedi a dodici detenuti.

 

 

Prima il mònito ai sacerdoti. Poi i baci e gli abbracci ai detenuti del carcere di Rebibbia. Nel Giovedì Santo che precede la Pasqua,  Papa Francesco sceglie di stare, come lo scorso anno, “dalla parte degli ultimi”. E nell’omelia che accompagna la messa crismale a San Pietro – durante la quale i sacerdoti rinnovano le promesse fatte al momento della sacra ordinazione – il Pontefice ha detto: “La stanchezza dei sacerdoti! Sapete quante volte penso a questo, alla stanchezza di tutti voi? Ci penso molto e prego di frequente, specialmente quando ad essere stanco sono io”.
Il messaggio ai sacerdoti. Per un prete, ma questo probabilmente vale per ogni persona umana, “la stanchezza di se stessi è forse la più pericolosa”, ha proseguito, elencando i diversi tipi di stanchezza che possono affliggere la vita pastorale, a partire “dalla stanchezza della gente, delle folle, spossante come dice il Vangelo, ma buona, piena di frutti e di gioia”. “Una stanchezza – dunque – buona e sana: la stanchezza del sacerdote con l’odore delle pecore, ma con sorriso di papà che contempla i suoi figli o i suoi nipotini. Niente a che vedere con quelli che sanno di profumi cari e ti guardano da lontano e dall’alto”. “Siamo – ha osservato Francesco – gli amici dello Sposo, questa è la nostra gioia”.

Papa Francesco: “Penso alla stanchezza dei sacerdoti. E anche alla mia”

 

Il Pontefice si è poi soffermato su “quella che possiamo chiamare la stanchezza dei nemici”. “Il demonio e i suoi seguaci non dormono e, dato che le loro orecchie non sopportano la Parola di Dio, lavorano instancabilmente per zittirla o confonderla. Qui la stanchezza di affrontarli è più ardua. Non solo si tratta di fare il bene, con tutta la fatica che comporta, bensì bisogna difendere il gregge e difendere sè stessi dal male”.


 

“E per ultima, perché questa omelia non vi stanchi”, Papa Bergoglio ha affrontato la “stanchezza di se stessi, che forse è la più pericolosa perché le altre due provengono dal fatto di essere esposti, di uscire da noi stessi per ungere e darsi da fare, siamo quelli che si prendono cura”. “Questa stanchezza invece – ha rilevato Bergoglio – è più auto referenziale: è la delusione di se stessi ma non guardata in faccia, con la serena letizia di chi si scopre peccatore e bisognoso di perdono: questi chiede aiuto e va avanti. Si tratta della stanchezza che dà il volere e non volere, l’essersi giocato tutto e poi rimpiangere l’aglio e le cipolle d’Egitto, il giocare con l’illusione di essere qualcos’altro”. “Questa stanchezza – ha concluso – mi piace chiamarla civettare con la mondanità spirituale: quando uno rimane solo, si accorge di quanti settori della vita sono stati impregnati da questa mondanità, e abbiamo persino l’impressione che nessun bagno la possa pulire. Qui può esserci una stanchezza cattiva”.

 

Con i detenuti a Rebibbia.

 

 

Nel pomeriggio, Papa Francesco raggiunge il carcere di Rebibbia per il rito della lavanda dei piedi: al suo arrivo, molti detenuti lo abbracciano e lo baciano. Bergoglio saluta e bacia uno ad uno i detenuti che lo attendono a centinaia per la messa del Giovedì Santo. Il Papa stringe le mani di 300 detenuti, li abbraccia, scambia con loro baci sulle guance e parole di conforto e di incoraggiamento. Ad accompagnarlo lungo la transenna è il cappellano di Rebibbia, don Pier Sandro Spriano, da cui è partito l’invito per la visita. Don Spriano gli parla delle situazioni e delle provenienze di alcuni dei reclusi. “Grazie per la calorosa accoglienza”, dirà loro il Papa prima di entrare nella chiesa del carcere. Poi nell’omelia: “L’amore di Gesù non delude mai perché lui non si stanca di amare come non si stanca di perdonare e di abbracciarci”. Poi si è chinato a lavare, asciugare e baciare i piedi a dodici detenuti, sei uomini e sei donne, per metà stranieri. Tra loro due nigeriane, una congolese, un’ecuadoregna, un brasiliano e un nigeriano. Gli altri sei, due donne e quattro uomini, sono italiani. A sorpresa, lavato i piedi anche del piccolo bambino, figlio di una delle sei detenute partecipanti al rito, che la mamma aveva in braccio. Diversi i volti rigati dalle lacrime tra i detenuti. E si congeda così: “Anche io ho bisogno di essere lavato. Il Signore lavi anche le mie sporcizie perchè io possa essere di più al servizio della gente, come lo è stato Gesù”.


 

 

 

 

Edda CattaniRiti del Giovedì Santo
Leggi Tutto

S. Giuseppe, padre dei bambini

1 comment

 

Chi accoglie anche uno solo di questi bambini…”

 Oggi rinnovo questo articolo e lo dedico a Mentore Padre per sempre!

 

Finito il carnevale, con il  rito dell’imposizione delle Ceneri è iniziata la quaresima e lo sarà per tutto il mese di marzo. Una buona, lunga occasione che ci richiama alla riflessione sulla sacralità dell’esistenza e della vita.

Ancora una volta ci sentiamo invitati a considerare il tema dell’infanzia con le parole di Gesù: “Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me” (Mt 18,5) e per me, che ho dedicato gran parte della mia esistenza all’educazione dei minori, è un riscoprire la fiducia nella parola del Figlio di Dio e, ad un tempo, coltivare l’invito che mi fece il mio Andrea: “Fai per gli altri ragazzi quello che hai fatto per me”.

Condividere la sorte dei piccoli e dei poveri. è  opportunità di riflettere sulla condizione dei bambini, è un’esortazione a esaminare come sono trattati nelle nostre famiglie e nella società civile,  è urgente  richiamo alla semplicità e alla fiducia che il credente deve coltivare. Le parole del Santo Padre divengono esplicite: “Gesù amò i bambini e li predilesse per la loro semplicità e gioia di vivere, per la loro spontaneità, e la loro fede piena di stupore (Angelus del 18.12.1994)”.  Ai bambini Gesù affianca i “fratelli più piccoli”, cioè i miseri, i bisognosi, gli affamati e assetati, i forestieri, i nudi, i malati, i carcerati. Accoglierli e amarli, o invece trattarli con indifferenza e rifiutarli, è riservare a Lui lo stesso atteggiamento, perché in loro Egli si rende particolarmente presente.

            Fra tutti i miseri ci siamo anche noi, perché provati dalla perdita più grave che possa esistere, molto più di una lacerazione fisica, del dissolvimento della nostra integrità corporea. Abbiamo sentito in questi tempi della piccola tredicenne, campionessa di ginnastica, ritrovata morta in un campo di sterpaglie…. E ancora prima un’altra adolescente gettata in un pozzo e poi che ne è stato delle gemelline? Di fronte a drammi così evidenti, mi sono chiesta cosa avrei provato io al posto di quei genitori e quale sarebbe stata la mia risposta ad un dilemma di questo tipo

”… di quale morte vorresti aver perduto tuo figlio? Preferiresti aver tu perduto un arto…”.

Sebbene la stampa di questi giorni ci riporti a casi di  persone disposte a morire pur di non avere un piede tagliato,  “mio figlio”  è una parte di me! E non c’è arto che lo possa sostituire.

            Esempi di Madre Coraggio ne esistono a decine, forse centinaia e migliaia sono sconosciuti e la risposta è ovvia: qualsiasi madre rinuncerebbe alla propria integrità pur di vedere sopravvivere il proprio figlio: Allora dove sta il problema? Sono forse morti i nostri figli? Noi mamme disperate, alle prime armi con un dilemma che ci consuma e ci travalica, siamo proprio convinte della loro sopravvivenza?… diciamolo con franchezza …o piuttosto vogliamo essere ancora madri a tutti gli effetti con possibilità di comunicare, di consigliare, di accudire… Sì, lo so, sarebbe tanto bello per noi averlo in braccio, sentirne il calore, il suo particolare profumo, ma non dimentichiamo Gesù fanciullo che scompare e viene ritrovato fra i dottori, nel tempio e mentre Maria e Giuseppe chiedono:“Ma figlio dov’eri? Io e tuo padre eravamo in ansia!” e la risposta: “ Ma non sapete che debbo occuparmi delle cose del Padre mio ?”(Luca 48-50).

 

            Ecco è comparso Giuseppe… Tua madre ed io eravamo in ansia… Ecco la preoccupazione dei Padri… prima vedono il dolore delle madri e poi il loro. Come ha fatto mio marito…. La sera in cui venne annunciato l’incidente di Andrea andò solo…. poi il primo pensiero fu per me… “Andrea vado dalla mamma, proteggila!” Un San Giuseppe per la nostra famiglia. Questo giorno lo dedico a Lui: distrutto nel corpo e condannato ad una morte  lacerante… per il troppo dolore. “AUGURI papà di Andrea! AUGURI e GRAZIE per quanto hai fatto per tuo Figlio, per i tuoi figli e anche per me….”

            Allora torniamo a quanto i nostri Ragazzi ci dicono; anch’essi si stanno occupando delle cose del Padre ed hanno bisogno di noi per aiutarli nel loro compito. Dagli innumerevoli messaggi pervenuti a tante Mamme, sappiamo che essi si occupano dei bambini non nati, dei piccoli mancati prematuramente, di altri ragazzi come Loro. Raccogliamo dunque l’invito di Gesù: “Diventare” piccoli e “accogliere” i piccoli: sono questi due aspetti di un unico insegnamento che il Signore rinnova ai suoi discepoli in questo nostro tempo. Solo chi si fa “piccolo” è in grado di accogliere con amore i fratelli più “piccoli”.

Penso con grata ammirazione a coloro che si prendono cura della formazione dell’infanzia in difficoltà e alleviano le sofferenze dei bambini e dei loro familiari causate dai conflitti e dalla violenza, dalla mancanza di cibo e di acqua, dall’emigrazione forzata e da tante forme di ingiustizia esistenti nel mondo.

Accanto a tanta generosità si deve però registrare anche l’egoismo di quanti non “accolgono” i bambini. Ci sono minori che sono feriti profondamente dalla violenza degli adulti: abusi sessuali, avviamento alla prostituzione, coinvolgimento nello spaccio e nell’uso della droga; bambini obbligati a lavorare o arruolati per combattere; innocenti segnati per sempre dalla disgregazione familiare; piccoli travolti dal turpe traffico di organi e di persone. E che dire della tragedia dell’AIDS con conseguenze devastanti in Africa? Si parla ormai di milioni di persone colpite da questo flagello, e di queste tantissime sono state contagiate sin dalla nascita. L’umanità non può chiudere gli occhi di fronte a un dramma così preoccupante!

Durante la Quaresima ci prepariamo a rivivere il Mistero pasquale, che illumina di speranza l’intera nostra esistenza, anche nei suoi aspetti più complessi e dolorosi. La Settimana Santa ci riproporrà questo mistero di salvezza attraverso i suggestivi riti del Triduo pasquale.

Con la semplicità tipica dei bambini noi ci rivolgiamo a Dio chiamandolo, come Gesù ci ha insegnato, “Abba”, Padre, nella preghiera del “Padre nostro”.

Padre nostro! Ripetiamo frequentemente, nel corso della Quaresima, questa preghiera, ripetiamola con intimo trasporto. Chiamando Dio “Padre nostro”, avvertiremo di essere suoi figli e ci sentiremo fratelli tra di noi. Ci sarà in tal modo più facile aprire il cuore ai piccoli, secondo l’invito di Gesù: “Chi accoglie anche solo uno di questi bambini in nome mio, accoglie me” (Mt 18,5).

Edda CattaniS. Giuseppe, padre dei bambini
Leggi Tutto

19 marzo: San Giuseppe

No comments

19 Marzo: Festa del Papà

“Auguri Papà!”

O caro San Giuseppe, veglia e custodisci tutte le famiglie perché vivano l’armonia, l’unità, la fede, l’amore che regnava nella famiglia di Nazareth. Guarda con tenerezza particolare le famiglie dei disoccupati, dona a tutti un lavoro, affinché con la loro opera creino un mondo migliore e diano lode a Dio Creatore.

San Giovanni Paolo II

 

Chissà quanti Papà oggi riceveranno una letterina, magari la prima che custodiranno gelosamente, anche quando saranno ormai avanti negli anni e forse, quel bimbo che se ne è volato via, ora è un “Angelo di Luce”.

San Giuseppe è il Padre e un Protettore per tutti i Papà, anche per coloro i cui Figli hanno percorso la Via del Paradiso.

San Giuseppe Sposo della Beata Vergine Maria

19 marzo

Questa celebrazione ha profonde radici bibliche; Giuseppe è l’ultimo patriarca che riceve le comunicazioni del Signore attraverso l’umile via dei sogni. Come l’antico Giuseppe, è l’uomo giusto e fedele (Mt 1,19) che Dio ha posto a custode della sua casa. Egli collega Gesù, re messianico, alla discendenza di Davide. Sposo di Maria e padre putativo, guida la Sacra Famiglia nella fuga e nel ritorno dall’Egitto, rifacendo il cammino dell’Esodo. Pio IX lo ha dichiarato patrono della Chiesa universale e Giovanni XXIII ha inserito il suo nome nel Canone romano. (Mess. Rom.)

Patronato: Padri, Carpentieri, Lavoratori, Moribondi, Economi, Procuratori Legali

Etimologia: Giuseppe = aggiunto (in famiglia), dall’ebraico

Emblema: Giglio

Martirologio Romano: Solennità di san Giuseppe, sposo della beata Vergine Maria: uomo giusto, nato dalla stirpe di Davide, fece da padre al Figlio di Dio Gesù Cristo, che volle essere chiamato figlio di Giuseppe ed essergli sottomesso come un figlio al padre. La Chiesa con speciale onore lo venera come patrono, posto dal Signore a custodia della sua famiglia.
“Qualunque grazia si domanda a S. Giuseppe verrà certamente concessa, chi vuol credere faccia la prova affinché si persuada”, sosteneva S. Teresa d’Avila. “Io presi per mio avvocato e patrono il glorioso s. Giuseppe e mi raccomandai a lui con fervore. Questo mio padre e protettore mi aiutò nelle necessità in cui mi trovavo e in molte altre più gravi, in cui era in gioco il mio onore e la salute dell’anima. Ho visto che il suo aiuto fu sempre più grande di quello che avrei potuto sperare…”( cfr. cap. VI dell’Autobiografia). Difficile dubitarne, se pensiamo che fra tutti i santi l’umile falegname di Nazareth è quello più vicino a Gesù e Maria: lo fu sulla terra, a maggior ragione lo è in cielo. Perché di Gesù è stato il padre, sia pure adottivo, di Maria è stato lo sposo. Sono davvero senza numero le grazie che si ottengono da Dio, ricorrendo a san Giuseppe. Patrono universale della Chiesa per volere di Papa Pio IX, è conosciuto anche come patrono dei lavoratori nonché dei moribondi e delle anime purganti, ma il suo patrocinio si estende a tutte le necessità, sovviene a tutte le richieste. Giovanni Paolo II ha confessato di pregarlo ogni giorno. Additandolo alla devozione del popolo cristiano, in suo onore nel 1989 scrisse l’Esortazione apostolica Redemptoris Custos, aggiungendo il proprio nome a una lunga lista di devoti suoi predecessori: il beato Pio IX, S. Pio X, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI.


Autore: Maria Di Lorenzo


 

Edda Cattani19 marzo: San Giuseppe
Leggi Tutto

8 Marzo: Festa della Donna

No comments

Le origini della festa dell’8 Marzo risalgono al lontano 1908, quando, pochi giorni prima di questa data, a New York, le operaie dell’industria tessile Cotton scioperarono per protestare contro le terribili condizioni in cui erano costrette a lavorare. Lo sciopero si protrasse per alcuni giorni, finché l’8 marzo il proprietario Mr. Johnson, bloccò tutte le porte della fabbrica per impedire alle operaie di uscire. Allo stabilimento venne appiccato il fuoco e le 129 operaie prigioniere all’interno morirono arse dalle fiamme. Successivamente questa data venne proposta come giornata di lotta internazionale, a favore delle donne, da Rosa Luxemburg, proprio in ricordo della tragedia.

Con il diffondersi e il moltiplicarsi delle iniziative, che vedevano come protagoniste le rivendicazioni femminili in merito al lavoro e alla condizione sociale, la data dell’8 marzo assunse un’importanza mondiale, diventando, grazie alle associazioni femministe, il simbolo delle vessazioni che la donna ha dovuto subire nel corso dei secoli, ma anche il punto di partenza per il proprio riscatto.

Nel corso degli anni, quindi, sebbene non si manchi di festeggiare queste data, è andato in massima parte perduto il vero significato della festa della donna  anche se vi sono associazioni che organizzano manifestazioni e convegni sull’argomento, cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi che pesano ancora oggi sulla condizione della donnal. La festa  è attesa anche dai fiorai che in quel giorno vendono una grande quantità di mazzettini di mimose, divenute il simbolo di questa giornata, a prezzi esorbitanti e dai ristoratori che vedranno i loro locali affollati,

magari non sanno cosa è accaduto l’8 marzo del 1908.

“Auguri a tutte le donne,ma in particolare il mio augurio va per le donne,maltrattate,che donano la vita per chi è malato,per le violentate,per le donne sfruttate,per quelle donne che in guerra in questo momento stanno perdendo la vita,per le mie amiche,che conosco e online..e le donne che non hanno libertà di pensiero e che non possono  scoprire il loro corpo e viso.”

PER TUTTE LE DONNE AUGURI

 

Edda Cattani8 Marzo: Festa della Donna
Leggi Tutto