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“I vecchi” che nessuno vuole

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Le mie riflessioni avvengono sempre in quel “giardino d’incanto” che è “Casa Madre Teresa”. Ormai non mi costa più tornarci ogni giorno perché ho scoperto quella che è la forza e la grande dignità dell’essere umano. Percosso da quelle che sono le grandi tragedie della vita, i “perché” non risolti, le risposte che la scienza non è in grado di dare,  ciascuno di noi finisce per accettare incondizionatamente il proprio stato e la realtà di essere “vecchio” . Si dice che la soglia della vecchiaia ha raggiunto cifre da record… ma come si giunge e come si vive la condizione di questa fase terminale della vita? Li vedo per le strade, accompagnati a volte dalle “badanti” questi “vecchi” più che ottuagenari, ma non trovo solidarietà, pazienza, aiuto nei loro confronti. Anche i bambini che una volta venivano educati al rispetto per le persone anziane di famiglia, si scostano con timore, a volte con atteggiamenti “schifati” a fronte di un tremolio, di un colpo di tosse un po’ accentuato, di una parola detta a sproposito.

A “Casa Madre Teresa” questo non avviene e ti par quasi di essere in un parco ove ognuno recita una parte. La malattia ha fatto perdere il senso del tempo, del luogo, della condizione… Poveri vecchi-bambini… le donne con i vestiti che andavano un tempo, le vecchie collane, i capelli abbelliti da un taglio corto e a volte “giovanile”, rincorrono un budino, un frutto, un sapore nuovo, una melodia, una canzone. Il colore e i bimbi in visita rappresentano uno sfumato spaccato di mondo che non sanno dove sia ubicato e le visite, accolte con gioia, non sempre lasciano individuare i ricordi…

I “vecchi” una condizione da scoprire, da non dimenticare, da amare!

 

 

"I vecchi" che non vuole nessuno

 

 

 

 

I  vecchi sulle panchine dei giardini
succhiano fili d'aria e un vento di ricordi
il segno del cappello sulle teste da pulcini
i vecchi mezzi ciechi i vecchi mezzi sordi
i vecchi che si addannano alle bocce
mattine lucide di festa che si può dormire
gli occhiali per vederci da vicino a misurar le gocce
per una malattia difficile da dire
i vecchi tosse secca che non dormono di notte
seduti in pizzo al letto a riposare la stanchezza
si mangiano i sospiri e un po' di mele cotte
i vecchi senza un corpo i vecchi senza una carezza
i vecchi un po' contadini
che nel cielo sperano e temono il cielo
voci bruciate dal fumo dai grappini di un'osteria
i vecchi vecchie canaglie
sempre pieni di sputi e consigli
i vecchi senza più figlie questi figli che non
chiamano mai
i vecchi che portano il mangiare per i gatti
e come i gatti frugano tra i rifiuti
le ossa piene di rumori e smorfie e versi un po' da
matti
i vecchi che non sono mai cresciuti
i vecchi anima bianca di calce in controluce
occhi annacquati dalla pioggia della vita
i vecchi soli come i pali della luce
e dover vivere fino alla morte che fatica
i vecchi cuori di pezza
un vecchio cane e una pena al guinzaglio
confusi inciampano di tenerezza e brontolando se
ne vanno via
i vecchi invecchiano piano
con una piccola busta della spesa
quelli che tornano in chiesa lasciano fuori
bestemmie e fanno pace con Dio
i vecchi povere stelle
i vecchi povere patte sbottonate
guance da spose arrossate di mal di cuore e di
nostalgia
i vecchi sempre tra i piedi
chiusi in cucina se viene qualcuno
i vecchi che non li vuole nessuno i vecchi da
buttare via
ma i vecchi, i vecchi, se avessi un'auto da
caricarne tanti
mi piacerebbe un giorno portarli al mare
arrotolargli i pantaloni e prendermeli in braccio
tutti quanti
sedia sediola… oggi si vola… e attenti a non sudare

 

…ed ora un racconto da un mio libro di scuola…

La tazza

C'era una volta, all'inizio del secolo scorso, una famiglia composta da madre, padre, 4 figli e un nonno. Vivevano in campagna, il papà usciva ogni giorno all'alba per coltivare i campi, e tornava a sera; la mamma badava alla casa e ai 4 figli; il nonno aiutava in casa e faceva piccoli lavori di falegnameria che insegnò al nipote più grande. Ogni sera, all'ora di cena i figli più grandi aiutavano la mamma ad apparecchiare la tavola, e ogni sera venivano messe in tavola 6 ciotole. c'era poi una tazza, la tazza del nonno, che era solo per il nonno e veniva messa vicino alla sedia del nonno accanto al camino. Li, lui mangiava.

Un giorno il padre tornò prima dai campi e andò in laboratorio a vedere cosa stava facendo il figlio più grande e lo trovò tutto intento a lavorare un pezzo di legno. Incuriosito chiese cosa stava facendo, e il figlio prontamente rispose " una tazza, una tazza per te papà per quando sarai vecchio". Subito il padre capì e da quella sera in poi in tavola furono messe sette ciotole…

 

Non è un paese per vecchi

A Tellaro (Lerici), dovrebbe sorgere una casa di riposo. Apriti cielo! l'idea trova molti nemici tra i cultori della vacanza giovanilistica. (10-17/12/2009) Eugenio Manca

Davvero Tellaro non è un paese per vecchi? Davvero non può esserlo l’Italia? Chissà che cosa direbbe il vecchio Mario Soldati, che di Tellaro era considerato una sorta di genius loci, se venisse a sapere che qualcuno strenuamente si oppone all’idea di aprire una casa di riposo per anziani nel cuore del borgo tanto amato, proprio in quella piazzetta ove talvolta era possibile incontrarlo, col basco, il bastone, il mezzo toscano ad addolcire il ghigno delle labbra, lo sguardo perso tra i barbagli del Golfo dei Poeti. E chissà come giudicherebbe le motivazioni addotte dal “comitato” che si dice contrario all’insediamento. Ne ha riferito qualche giorno fa il “Corriere della Sera” dando conto di scambi polemici avvenuti anche nel Consiglio comunale di Lerici, di cui Tellaro è frazione. Uno avrebbe detto: “Nella piazzetta di Capri non ci sono ospizi, e a nessuno verrebbe in mente di aprirne uno. Così a Portofino”. Un altro ha soggiunto: “Ci hanno detto che verranno anziani autosufficienti, ma sappiamo che intorno a queste strutture finiscono per girare ambulanze, carrozzelle, non è proprio la vista che ci si aspetta in un luogo di vacanza… Al posto del ristorante che c’era in piazzetta, già sfrattato, adesso ci sarà la sala mensa…”.
MENSA. Eh sì, bisogna ammetterlo, la vista di un vecchio che si muove a fatica col suo bastone suscita disagio, mal si concilia con l’idea del turista giovane e spensierato, saldo sulle gambe, sorridente e armato di camera digitale. Se poi si intravede una mensa, questo evoca subito un’idea di indigenza che confligge con l’auspicio di un turismo facoltoso e magari d’élite che scende al Gran Hotel e prende posto nei locali alla moda.
Se aggiungiamo carrozzelle, ambulanze, e – Dio ne scampi – perfino un carro funebre, allora il disastro è totale: la pellicola si sgrana, la fiction perde i filtri rassicuranti, e ritorna – guarda guarda – la vita nel suo insopportabile bianco e nero: proprio la vita che Soldati – narratore, commediografo, giornalista, uomo di cinema – ha saputo raccontare in presa diretta per quasi tutti i suoi 93 anni con parole asciutte, spoglie di agiografia e di retorica. Del resto non è proprio quello che Lerici ha voluto ricordare nel 2006, centenario della nascita dello scrittore, con quegli appuntamenti racchiusi nel titolo rossiniano “Una voce poco fa”?
VOCE. A onor del vero, va detto che la prima a levarsi contro ogni insofferenza verso l’apertura della casa alloggio è stata la voce del sindaco di Lerici, Emanuele Fresco. Il quale ha detto: “Sostenere che ospitare persone anziane in piazzetta danneggia il marketing territoriale è una cosa che mi fa inorridire. Cosa significa: che gli anziani sono poco decorativi? Sono brutti? Questo è razzismo estetico, non so come altro chiamarlo. Gli anziani sono un patrimonio della collettività”. E a chi gli obiettava che sarebbe bastato spostarsi di cento metri più in là ha risposto: “Ah sì? Vogliamo il ghetto? Vogliamo mettere i confini, di qua i giovani e belli, di là i vecchi e i malati? Mi rifiuto. Salgo sulle barricate. E mi preoccupo anche di essere nello stesso partito di chi sostiene queste cose”.
Alleluia! Il partito cui si riferisce il sindaco Fresco è il Pd, e la sua filippica pare indirizzata anche verso esponenti della sua stessa maggioranza, uno dei quali in passato è stato assessore alla Cultura nonché promotore delle celebrazioni soldatiane. Che dietro la disputa si celi una ruggine personale è probabile, ma ciò non sgombra il campo dal sospetto che più profonde e diffuse siano le “ragioni culturali” che animano la campagna dei contrari. Sono – ha visto bene il sindaco – le ragioni di una sconcia, inconfessabile teoria secondo cui il vecchio non può che vedere ridotti i suoi diritti di cittadinanza in un mondo veloce, aggressivo, competitivo. Oltre a essere poco decorativo è poco decoroso, portatore di una immagine che stride coi canoni di bellezza, efficienza, armonia suggeriti dalla “modernità”. In piazza il vecchio è fuori posto. Specie se sofferente, lascia trasparire un’idea di precarietà, di fragilità, di caducità che contrasta col clima di vacanze frenetiche e vitalistiche. Le quali più sono vuote di pensiero meglio è. No, non le troveremo sancite in nessun codice queste regole: si sono impadronite del senso comune, semplicemente. Ci sono e basta.
INDIGENTI. Ci torna in mente la casa di riposo dei vecchi indigenti di Lecce, allora denominata “asilo di mendicità”. Ebbene per un tempo infinito quei poveretti sono stati rinchiusi dentro la cinta muraria del cimitero, luogo ritenuto più consono alla loro condizione di naufraghi. Cortei in gramaglie di giorno e fuochi fatui di notte: era tutto il loro mondo. Guido Piovene, nel suo “Viaggio in Italia”, non finì di stupirsi per questa orribile fantasia spagnolesca, per questa macabra anticipazione della morte. È durata fino ai Settanta, allorché furono traslocati in aperta campagna.
Personalmente siamo sempre più convinti che il livello di civiltà di un paese si misuri dal grado di considerazione che sa riservare ai suoi vecchi, la parte più fragile e indifesa. La conferma – paradossale – viene dalla sentenza incisa sui cancelli di quel cimitero salentino: “Noi fummo ciò che voi siete. Voi sarete ciò che noi siamo”.

Autunno

 

(…) Ora passa e declina,

in quest'autunno che incede

con lentezza indicibile,

il miglior tempo della nost ra vita

e lungamente ci dice addio.

 

Vincenzo Cardarelli in POESIE, Mondadori, 1976

 

 

da "il salvagente.it – rubriche" 

 

 

 

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Edda Cattani“I vecchi” che nessuno vuole

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