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Il sogno paranormale

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            Il sogno: uno degli enigmi dell’uomo

 Dott. E. Marabini

 

Tra le tante cose che pur accadendo quotidianamente, rimangono da svelare vi è il sogno. Cioè quello strano evento che dalla nostra nascita ci accompagna per tutta la vita e che da migliaia di anni è stato oggetto di osservazione, di riflessione e di conoscenza da parte di uomini saggi, di profeti, di filosofi, di medici , di poeti, di scienziati e, non da ultimo, da parte del cosiddetto uomo della strada.
Il sogno, fenomeno indiscutibilmente biologico oltre che psichico, nella sua consuetudinaria ordinarietà rimane un evento “straordinario” e, nonostante l’ampiezza della conoscenza scientifica dei nostri giorni, mantiene ancora inalterata la sua enigmaticità.
Perché fenomeno straordinario ? Perché tramite esso esperienziamo un mondo strano, fantastico, effimero che, nella sua apparente irrazionalità, è comunque ricco di contenuti e di impensate possibilità espressive e cognitive.
Fenomeno enigmatico perché l’analisi di quelle sfuggevoli, impalpabili realtà che ci accompagnano nel sonno, conduce la ragione a doversi rapportare con situazioni oggettive e soggettive che paiono trascendere la stessa meccanicità dello psicosoma che le manifesta e il cui significato, molto spesso, acquista una valenza esistenziale.

Prima di entrare nell’analisi delle caratteristiche psicologiche del sogno è opportuno soffermare l’attenzione – anche se fugacemente – sul complesso problema del sonno, dato che generalmente il sogno si realizza durante quel particolare stato comportamentale.

Come è noto, l’uomo adulto presenta fisiologicamente nelle 24 ore del giorno uno stato di veglia della durata media di 15 – 18 ore e rimanenti 9 – 6 ore di sonno.
Ad una superficiale considerazione questi due condizioni (veglia e sonno) sembrano significare una netta divisione ed una chiara contrapposizione comportamentale. Genericamente si potrebbe dire che la veglia è sinonimo di attività mentre nel sonno tutto è silenzio e riposo.
Ma se invece le cose si considerano un poco più analiticamente si deve constatare che non è affatto così e che tra lo stato di veglia e quello di sonno esistono, in primo luogo, differenti gradi di transizione a cui corrispondono differenti situazioni neurofisiologiche e psicologiche e, in secondo luogo, tutto l’organismo presenta uno stato di intensa attività.
É così che dallo scivolare nel sonno (la fase di addormentamento) si passa al sonno NON-REM, indi al sonno REM e con alterne fasi l’individuo riemerge poi allo stato di veglia.
Orbene, tutti questi momenti anche se possiedono una stabilità relativa, sono comunque periodi specifici e ripetitivi del sonno normale. Corrispondono cioè a condizioni psicosomatiche in cui gli organi manifestano differenti fenomeni funzionali. Dalle modificazioni del comportamento muscolare, alle modificazioni del metabolismo e dell’attività bioelettrica del cervello, dalla attivazione di processi neuro-endocrini, alle modificazioni neurovegetative (c’è chi parla di una vera “burrasca vegetativa”) si innestano differenti espressioni oniriche testimonianti una mutata attività coscienziale.
Dunque, da un punto di vista fisiologico si può dire che, dal momento che l’organismo varca la soglia del sonno e la soglia del mondo onirico, entra in uno stato di accentuata esaltazione funzionale di tutti gli organi mentre esperimenta a livello di attività mentale un’esperienza impensabilmente complessa e singolare.
Un chiarimento di questa attività psichica si è reso possibile con lo studio del comportamento bioelettrico cerebrale. Con l’avvento della elettroencefalografia, fra le tante conoscenze – utili sia a livello fisiologico che clinico diagnostico – si sono potute definire le cosiddette fasi REM e NON-REM del sonno che poco fa ho ricordato.
Sperimentalmente si è assodato che la fase di sonno REM è connessa con i sogni. Il risveglio durante registrazione dei parametri elettroencefalografici ha dimostrato che circa nell’83,3% dei casi il soggetto riferisce di avere avuto un sogno che lo stimolo risvegliante aveva interrotto. Il ricordo del sogno, se il risveglio avviene subito dopo la fine della fase REM, appare più vivo, ricco di particolari e di contenuti visivi. (MANCIA M.)
Un’altra prova indiretta che mostra lo stretto rapporto tra sonno-REM e sogno è l’osservazione che la valutazione soggettiva della durata del sogno da parte del soggetto in esperimento corrisponde alla durata reale del periodo di sonno REM registrato col poligrafo.
Tutto ciò non esclude la possibilità che vi siano dei sogni cosiddetti “istantanei” (cioè, brevi e rapidi), ma, almeno a livello sperimentale, ciò corrisponde all’eccezione.
Durante un sonno notturno regolare sogno e fase REM compaiono 4 – 6 volte per notte e per la durata di 20 – 30 minuti a periodi abbastanza regolari intervallati dal sonno NON-REM.
Tutti i soggetti sperimentati sognano, anche quelli che affermano di non avere mai sognato, per cui se si vuole generalizzare questa evidenza, si può dire che tutti sognano.
L’attività mentale, in fase ipnagogica (fase che corrisponde ai momenti di scivolamento nel sonno), consiste in sensazioni di tipo visivo, allucinatorio, a volte con esperienze auditive e cinestesiche e con la comparsa di un’attività mentale che, di per sé, corrisponde ad una trasformazione dei contenuti percettivi provenienti dal mondo esterno. In fase NON-REM, invece, i contenuti mentali sono senza allucinazioni, ma sono la continuazione delle esperienze vissute da svegli. Ed è in quella fase che spesso si nota una “ricreazioni di eventi recenti e pensieri non distorti” (Mancia M.) o simbolizzati, come invece accade nel sonno REM.
Altro dato emerso da recenti studi sperimentali si è provato che i racconti offerti dai soggetti svegliati durante la fase di addormentamento (dunque nei primi momenti del sonno) presentano caratteristiche simili a quelle esperienze oniriche che compaiono nella fase REM, tanto è vero che vi sono dei sogni in fase di addormentamento che è pressoché impossibile distinguere dai sogni REM. (M. Bosinelli, 1991)
Per cui, nel concludere queste brevi notizie si può dire che “gli equivalenti psicologici di queste fasi sono rappresentati dall’attività mentale con contenuti che in fase NON-REM sono più vicini alla realtà e privi di attività percettiva, mentre in fase-REM si trasformano in contenuti più propriamente onirici ricchi di attività allucinatoria”. (Mancia M.)

È cosa nota, anche se non sempre viene consapevolizzata, che l’uomo trascorre nel sonno circa un terzo della propria vita, il che, tradotto in termini numerici, considerando la vita media di 75 anni, significa che l’uomo dorme per ben 25 anni. E poiché la psicofisiologia ci dice che quando il soggetto dorme di un sonno fisiologico quasi sempre sogna, è indiscutibile che per gran parte della nostra vita mentale la coscienza vive un tipo di realtà che può essere di connotazione decisamente diversa da quella che noi esperienziamo nello stato di veglia.
Normalmente si tende a privilegiare come realtà tutte le informazioni che ci provengono dal mondo sensoriale e si considera perciò l’attività onirica come una realtà effimera ed illusoria. Indubbiamente ciò e vero se consideriamo l’uomo in modo oggettivo e da un punto di vista antropologico e sociale. In tal caso l’esperienza onirica è l’espressione di un distacco dal mondo esterno e corrisponde alla caduta della psiche in un mondo allucinato, fantastico e irreale.
Ma se è vero che ogni attività di un sistema biologico è finalistica (teleonomica) e se è vero che l’uomo dorme per ben 25 anni e sogna per un tempo altrettanto lungo, allora bisogna riconoscere che non solo il sonno, ma anche il sogno, per l’organismo che lo esperimenta, è un momento della massima importanza vitale, anche se per molti versi il suo scopo è nascosto da un mare di nebbia.
D’altra parte la sperimentazione scientifica ha dimostrato che senza sonno e con la privazione forzata del sogno REM l’individuo entra in una condizione patologica. Presenta stati di ansia e di aggressività, tremori muscolari, difficoltà di concentrazione, disartria, manifestazioni allucinatorie e idee paranoidi, incapacità di organizzare un discorso, perdita della memoria immediata, ecc., ecc.) E queste sono manifestazioni tangibili ed oggettive dello psicosoma.
Dunque, sonno e attività mentale onirica sono condizioni fondamentali per il mantenimento di un equilibrio vitale.
Ma, per quello che concerne il vissuto coscienziale, l’organismo che cosa realizza col sogno?
Se ci avviciniamo a questo problema seguendo una concettualità fenomenologica, se per un verso constatiamo che l’evento onirico e molti dei suoi contenuti sono strettamente legati alla fisiologia della struttura organica del soggetto dormiente, per un altro verso ci troviamo di fronte a contenuti coscienziali che trascendono non solo l’organicità corporea, ma anche il patrimonio mnemonico-esperienziale della psiche di quel particolare soggetto.
Ora, anche questo, indubbiamente, deve avere un senso. Se, in un’ottica generale, si volesse sintetizzare il significato del sogno in quanto attività mentale, mi pare di potere sostenere che pur nella sua fittizia evanescenza allucinatoria, in moltissime occasioni assume una chiara connotazione di dialogo interiore. Si configura, cioè, come uno strumento più profondo e più diretto di comunicazione nei confronti sia dello stesso soggetto, fruitore del proprio sogno, che nei confronti degli altri individui.
Per fare questo, l’inconscio del soggetto opera secondo modalità sue proprie in cui il simbolismo o la metafora come linguaggio preverbale e primitivo, meglio esprimono ciò che il soggetto “sente” ma che non riesce a comunicarsi e a comunicare tramite la parola “parlata”.
Questa visione concettuale è quanto mai evidente nel setting analitico, quando coll’instaurarsi del transfert e, successivamente, del controtransfert si assiste all’attuazione di un dialogo prelogico tra l’inconscio del paziente e quello dell’analista, con caratteristiche molto personalizzate.
Ora questa constatazione è molto importante per l’implicita visione dell’instaurarsi di un rapporto subconscio (fenomeno di “interazione psi”) tra il paziente, inteso nel suo racconto onirico e l’analista, a sua volta inteso secondo la sua concezione dottrinale. In modo chiaro D. Nobili (1991) a questo proposito scrive:
“Tutti conosciamo l’influenza dell’orientamento teorico e dello stile comunicativo dello psicoanalista sopra i sogni dei suoi pazienti: essi utilizzano il linguaggio e il simbolismo dei loro analisti, per cui sembra quasi che uno sogni “junghiano”, un altro “freudiano” o “kleiniano”. Ma perché scandalizzarcene? – continua Nobili – Se ci trovassimo in un paese straniero (e tale è per entrambi, paziente ed analista, il mondo interno) troveremmo naturale tradurre ciò che vogliamo comunicare nella lingua che il nostro interlocutore si mostra in grado di intendere. E poiché differisce molto da un analista all’altro, anche all’interno della stessa corrente di pensiero, l’importanza attribuita ai sogni rispetto al resto del materiale, e quindi la loro utilizzazione pratica, differirà anche, nei pazienti, la tendenza a esprimersi attraverso la comunicazione onirica”.

È noto che numerose sono le teorie formulate a spiegazione del sogno.
In un tempo antico vi erano le teorie mitiche, secondo le quali i sogni, veri o non veri che fossero, erano ispirati dagli dei, o dai demoni, mentre, come sostenevano Aristotele, o Ippocrate e altri filosofi greci, la causa del sogno era da ricercarsi nell’intervento di forze naturali proprie dell’anima (psichè). Simili idee si ritrovano in un gruppo di teorie moderne, le quali, appunto, identificano queste possibilità all’attività dello stesso organismo.
Sono le teorie del gruppo meccanicistico, secondo cui le immagini oniriche sono la necessaria conseguenza di stimolazioni di varia entità e provenienza che agiscono sullo psicosoma durante il sonno ed alle quali non è da riconoscere scopo alcuno.
Maggior credito invece hanno le teorie del gruppo finalistico o teleologico, secondo le quali il sogno è promosso da cause aventi una determinata finalità, la cui rappresentazione, guida e dirige il fenomeno.
E sono di questo gruppo, ad esempio, le teorie, più seguite in campo psicologico, postulanti una causalità inconscia: impulsi libidici rimossi o repressi (Freud), situazioni affettive legate al complesso d’inferiorità (Adler), espressioni simboliche di esperienze personali o collettive, innate o acquisite (Jung). (Castelli G. D. 1960)
Sempre secondo un’ottica fenomenologica, in questo inquadramento, bisogna poi considerare anche la possibilità di una attività onirica di tipo creativo (Assagioli).
Vi è infatti, una ricca casistica ricorrente nei secoli che suggerisce l’ipotesi dell’esistenza di un’attività subconscia prelogica che, in modo inopinato, si dimostra capace di risolvere problemi che tramite un’attività razionale non avevano trovato soluzione.
Un caso paradigmatico di un sogno di tipo psicopompico è quello occorso al Prof. Lamberton dell’Università di Pennsylvania.
“…pur avendo meditato a lungo sopra un teorema di geometria, dovette rinunziare a risolverlo. Più non vi pensava da circa una settimana, quando la soluzione gli apparve improvvisa in sogno, sotto forma di un diagramma corredato con formule dimostrative. L’immagine allucinatoria, nettamente proiettata sulla parete, vi rimase per qualche tempo dopo il risveglio, dando al sognatore la possibilità di balzare dal letto e di ricopiare la figura”. (Stevens W. O., 1953)

Così pure, un altro sogno ispiratore, in questo caso con una rara componente ipnopompica allucinatoria auditiva, è il sogno fatto dal grande musicista Giuseppe Tartini.
“…trovandosi una notte in Assisi, si desta dal sonno e si mette febbrilmente a comporre una sonata in sol minore per violino e cembalo. Poc’anzi, a capo del letto sul quale dormiva, il diavolo, improvvisatosi violinista, si era spontaneamente a lui rivelato eseguendo una sonata di prodigiosa bellezza. Egli tenta di trascrivere quanto più gli riesce di ricordare: alcuni brani, qualche frammento e, soprattutto, la “cadenza” dell’ultimo tempo, il famoso “trillo”, fulgido capolavoro di composizione musicale che l’Autore tuttavia dichiara “enormemente inferiore” (Mazzucchelli) a quanto ebbe l’avventura di udire nel sogno”. (Castelli G. D., 1960)
Naturalmente, eventi di questo tipo si rintracciano nella storia di uomini di pensiero di tutti i tempi. Potrei citare Galeno il quale in sogno ebbe il suggerimento di realizzare un certo tipo di intervento per un suo paziente, analogamente a quanto occorse al chirurgo Von Esmarck, inventore del metodo ischemizzante, o al chimico Von Kekulè, che scoprì in sogno la soluzione dell’anello benzolico, ecc.

Ma, a questo punto, è doveroso sottolineare che il discorso analitico e interpretativo del sogno si impatta anche con contenuti particolarmente conturbanti, di per sé disturbanti o addirittura contrastanti la razionalità della scienza.
Alludo ai cosiddetti “sogni telepatici”. Non credo esistano psicologi o psicoanalisti attenti nel loro lavoro che non possano riferire di avere constatato, durante l’analisi dei sogni dei loro pazienti, un simile accadimento.
Già Freud aveva puntualizzato questa possibilità. In sintesi, in più occasioni, ha scritto:

  1. La telepatia è favorita dallo stato di sonno.
  2. Anche se il messaggio telepatico giunge al ricevente nello stesso momento in cui si svolge l’evento esterno, può essere percepito dalla coscienza solo nella notte successiva, durante il sonno.
  3. Vi sono due tipi di sogni telepatici: nel primo, il messaggio telepatico può essere considerato alla stregua di un residuo diurno il quale, secondo lo schema classico, “concorre” alla formazione del sogno. In questi casi il messaggio telepatico (…) non può dunque cambiare nulla nel processo di formazione del sogno”. Nel secondo tipo, invece, il sogno è la produzione non deformata di un evento esterno trasmesso telepaticamente, rispetto al quale la psiche mantiene un atteggiamento “ricettivo e passivo”. Per questo tipo di sogni Freud ritiene corretta la distinzione di “esperienza telepatica verificatasi durante il sonno”.
  4. Sembra essere facile la trasmissione di desideri inconsci o di ricordi laddove questi siano particolarmente “intensi” o dotati di una forte “tonalità affettiva”….”. (M. Bolko e A. Merini, 1991)

Come si vede, dunque, anche Freud, analizzando attentamente i sogni dei suoi pazienti, aveva constatato la presenza di quella che oggi definiamo “percezione extrasensoriale” o, meglio ancora, “interazione psi”. Ed anche R. Assagioli, parlando del significato dei sogni, definisce tale evenienza in modo esplicito, inquadrandoli nel suo schema, come “sogni parapsicologici”.

Un caso significativo di questo tipo di fenomenologia, è, ad esempio, il sogno fatto da C. G. Jung.
Racconto particolarmente importante nell’ambito della letteratura non solo psicologica, specie se si considera che Jung, durante la sua vita, frequentemente ha vissuto esperienze di chiara impronta paranormale.
Così racconta:
“Il rapporto tra medico e paziente – specie quando si verifichi un caso di transfert, o una più o meno inconscia identificazione tra il medico e il paziente – può occasionalmente determinare fenomeni di natura parapsicologica. È una cosa che mi è capitata spesso. Un caso del genere, che mi colpì particolarmente, fu quello di un paziente che avevo curato guarendolo da uno stato di depressione psicogena. Ritornò a casa e si sposò. Sua moglie però non mi piacque, la prima volta che la vidi provai un sentimento di disagio. Notai che per lei io, a causa dell’influenza che avevo sul marito, che mi era riconoscente, costituivo una spina nel cuore. Capita assai spesso che donne le quali non amano realmente il marito siano gelose e distruggano le sue amicizie. Vogliono che il marito appartenga a loro interamente, proprio perché non gli appartengono….”.
“L’atteggiamento della moglie costituiva per il marito un terribile fardello, che egli era incapace di sostenere: sotto il suo peso, dopo un anno di matrimonio, ricadde in uno stato di depressione. In previsione di questa eventualità, mi ero messo d’accordo con lui; mi avrebbe dovuto subito avvertire non appena avesse notato un cedimento nel suo stato d’animo…”.
“In quel periodo dovetti tenere una conferenza a B. Ritornai in albergo verso la mezzanotte – per un po’ dopo la conferenza, mi ero trattenuto con alcuni amici – e andai subito a letto. Ma rimasi sveglio a lungo. Circa verso le due – dovevo appena essermi addormentato – mi sveglio di soprassalto, con l’impressione che qualcuno fosse entrato nella stanza, e la porta fosse stata aperta precipitosamente. Immediatamente accesi la luce, ma non c’era niente. Pensai che qualcuno avesse sbagliato porta, e guardai nel corridoio: ma anche lì c’era un silenzio di tomba. “Strano” pensai “eppure qualcuno è entrato nella stanza!” Allora cercai di ricordare esattamente che cosa fosse accaduto, e mi sovvenni che mi ero svegliato con la sensazione di un dolore sordo, come se qualcosa mi avesse colpito prima alla fronte poi alla nuca.
“Il giorno seguente ebbi un telegramma che mi annunciava il suicidio del mio paziente. Si era sparato. In seguito seppi che la pallottola era rimasta conficcata nella parete posteriore del cranio”. (A. Jaffè, 1978)

Sulla possibilità di simili interferenze tra psichismi, che si realizzano durante il sogno, come voi sapete, vi è una ricca letteratura scientifica di Autori italiani e stranieri.
Ciò che mi piace sottolineare è il dato secondo cui tutto concorre a stabilire che anche tramite il sogno la nostra mente – meglio, la nostra coscienza – è capace di varcare i confini della stessa corporeità tramite la quale si manifesta.

Ma ritorniamo al sogno e vediamo ora in sintesi quali aspetti acquista il suo contenuto manifesto. In primo luogo nel contesto del sogno domina la perdita dei parametri sequenziali temporo-spaziali della realtà oggettiva.
Persone e luoghi subiscono contaminazioni e metamorfosi, mentre il vissuto emotivo affettivo sottostà ad una pseudo-logicità legata, a volte, all’azione di filtro della censura, mentre la coerenza e la sequenzialità logica del racconto onirico si organizza secondo processi dinamici molto bene puntualizzati da Freud e che vengono descritti come condensazione, sostituzione, drammatizzazione. (Penati G., 1974)
Infine, esistono processi in funzione dei quali gli elementi cognitivi, affettivi, emotivi, istintuali vengono sollecitati da condizioni psico-organiche endogene ed esogene e vengono variamente combinati in funzione di una loro valenza psicologica profonda sì da creare la drammatizzazione del racconto onirico.
É così che l’esperienza onirica acquista quei caratteri particolari che tutti conosciamo, densi di contenuti soggettivi, propri di questo o quel soggetto.
Ma, come dianzi ho ricordato, l’esperienza dimostra che in certe particolari e imprevedibili occasioni, i contenuti del sogno non sono frutto della fantasia o dell’immaginazione del soggetto, ma sono realtà psico-cognitive estranee al suo psichismo. Racconti onirici, perciò, che non sono riconducibili al suo vissuto (al vissuto ontologico), e non sono rapportabili all’emergenza di immagini archetipiche provenienti dall’inconscio collettivo, ma che invece sono riconducibili a un effetto di tipo paranormale, per l’attivazione della “funzione psi”. In altri termini vi sono sogni che paiono dimostrare una capacità cognitiva extrasensoriale e irrazionale della mente.

La letteratura parapsicologica a questo proposito, come ben sapete, è quanto mai ricca di esperienze di questo genere, e non c’è che l’imbarazzo della scelta.
E come vi sono sogni che realizzano fenomeni di chiaroveggenza pura, così vi sono racconti che si riferiscono a eventi di tipo paranormale proscopico (i cosiddetti sogni premonitori), con la drammatizzazione della causa della morte evidente e non simbolizzata.
G. Piccinici e G. M. Rinaldi (1990) nella loro recente inchiesta citano il seguente racconto onirico fatto da una donna di 33 anni.
“Sognai che un mio amico aveva un incidente in macchina. Nel sogno vedevo la sua macchina, che conoscevo bene, vedevo uno scontro con un’altra macchina e sentivo il rumore dello schianto. Non vedevo il mio amico chiaramente, era solo un’ombra, però sapevo che era lui, e udivo la sua voce che si lamentava e chiedeva aiuto. Nel sogno lui moriva.
“Al mattino raccontai il sogno a mio marito. Era un sabato. Per tutto il sabato e la domenica piangevo senza motivo, tanto che mio marito si chiedeva se ero impazzita. Non sapevo dare una spiegazione alla mia angoscia, perché non la associavo al sogno.
“Quel sabato a mezzogiorno e mezza, il mio amico moriva in un incidente mentre era in viaggio in Ungheria: si era scontrato con un’altra macchina. Lo venni a sapere la sera della domenica dalla televisione, e allora dissi a mio marito: “Hai visto che non sono una visionaria?”.

Vi sono altri casi in cui, invece il sogno non illustra in modo realistico i fatti che accadranno, ma contiene soltanto una allusione più o meno indiretta e simbolica di un evento futuro.
Alludo a quella casistica spontanea in cui il sogno pare informare il soggetto che sarà protagonista di un accadimento grave che egli dovrà esperienziare, ma che per questa specifica informazione egli si salverà. Casistica che la letteratura parapsicologica riunisce nel capitolo delle “premonizioni tutelari”.
Un caso paradigmatico è quello riferito da G. Dario Castelli (1960), accaduto nel 1957. “Una donna sogna di essere svegliata da una voce che la chiama sulla strada. Si alza e corre alla finestra: dinanzi alla casa si è formato un carro funebre. Il cocchiere ha l’occhio sinistro coperto da una benda nera. Scende di serpa, punta l’indice verso la donna e le chiede: – Siete pronta? – La donna, gelata dallo spavento, fa segno di no e indietreggia nel vano della finestra. – Sta bene – risponde calmo il cocchiere e si allontana nella nebbia.
“Qualche settimana dopo, la donna si trova all’ottavo piano di un grande magazzino, aspettando l’ascensore per tornare al pianterreno. L’ascensore arriva. La porta si spalanca: appare un “groom”. Ha l’occhio sinistro coperto da una benda nera. La donna, paralizzata da un assurdo terrore, resta ferma vicino alla ringhiera. – Siete pronta? – domanda l’uomo. La donna fa cenno di no. L’uomo richiude la porta dell’ascensore, stracarico, che scende verso il pianterreno. Qualcosa si spezza; la grande scatola e tutto il contenuto vanno a fracassarsi contro il suolo…”.

Infine ritengo utile citare un caso da me stesso controllato perché può illustrare la dinamica onirica simbolica.
Caso che nella sua apparente elementarità, dimostra come nel soggetto, durante una situazione del genere, molto spesso si instaura uno stato di ansiosa attesa vigile, accompagnato da uno squilibrio neuro-vegetativo. Stato disturbante il suo equilibrio psicosomatico che scomparirà nel momento in cui l’informazione onirica troverà la sua realizzazione nella realtà dei fatti.
Il caso è il seguente. Il sogno mi fu riferito dalla Sig. M. D., la quale aveva già dimostrato in precedenti occasioni di poter vivere in modo simbolico, durante il sogno, eventi futuri.

Sogno n. 7. Il seguente sogno è stato fatto nella notte del 13-14 giugno 1955, tra le ore 3 e le ore 5 del mattino. È stato riferito al Dott. Marabini alle ore 11,30 del giorno 14 giugno 1955, presente la Sig.na R. S., infermiera.
“Dopo alcune scene di sogni in cui ero angustiata, mi sento far male ad un dente … molto male …e tanto ho tirato colle mie dita che me lo sono tolto.
“Ha cominciato ad uscire sangue dalla ferita.
“Subito ho cercato di medicarla, ma il sangue sgorgava sempre abbondante, e l’arcata mandibolare mi doleva.
“con tutto ciò, le mie mani non si sporcarono di sangue”. “Mi sono svegliata depressa e con una forte cefalea. Ancora adesso (sono le 11,30 del 14-6-55) mi sento tutta agitata internamente. Ho la necessità di stare sveglia, poiché sono convinta che se mi addormento, di nuovo sogno questi fatti.
Appena terminato il racconto, si cercò di analizzare brevemente il sogno mediante il metodo associazionistico. Ne risultò quanto segue: Male ad un dente. (Associazione). – Il male ai denti per me è associato a dispiaceri familiari. Dente che è tolto. (Associazione). – Ogni qual volta mi sono sognata un “dente tolto”, nella famiglia vi è sempre stato un lutto. “Lei” si è tolto un dente colle sue mani. (Associazioni). – Non saprei a cosa associarlo. Certamente è la prima volta che mi capita; negli altri sogni analoghi, i denti mi sono sempre stati tolti. Sangue che sgorga dalla ferita. (Associazione) – Il sangue che sgorgava era mio. Perciò ho paura che si riferisca a qualche persona del mio sangue. Le mani non si sporcano di sangue. (Associazione). – Per me quando le mani mi si sporcano di sangue, vuol dire “guadagno”. (Faccio notare che la Sig.ra M. D. è di professione ostetrica) Pertanto, qui sento una conferma delle sensazioni precedenti. Non si tratta di guadagno.
Fu allora richiesto al soggetto di esprimere una sua interpretazione del sogno. Così rispose: “Ho la convinzione che questo sogno si riferisca ad un lutto della mia famiglia (nel senso di parenti). Alla mattina da sveglia, ho pensato alla nipotina (figlia del fratello) che da domenica ho saputo gravemente indisposta. Soffre dalla nascita di epilessia e nella giornata di domenica ha avuto tre accessi”.
I fatti che seguirono. – Il giorno 29 giugno, alle ore 10, incontriamo la Sig.ra M. D., la quale, in seguito alle nostre richieste di essere tenuti al corrente di tutti i fatti che fossero capitati in quei giorni, ci riferisce quanto segue:
“Il giorno 25 giugno, rientrando a casa da Castelfranco, mio cugino G. C. perdeva il controllo della motocicletta e cadeva riportando la frattura di un braccio. Ora è ricoverato all’ospedale con prognosi favorevole”.
Chiesi allora alla Sig.ra M. D.: “Crede che il sogno del 14 giugno si possa mettere in relazione con questo avvenimento?”.
Ella rispose: “No. questo fatto non ha niente a che fare col sogno. Nel sogno io “mi sono tolta un dente”, e questo per me è sempre stato sinonimo di ‘morte”.
Nel pomeriggio del giorno 29 giugno, la Sig.ra M. D., alle ore 16, mi telefonava dicendomi che alle ore 14 era stata avvertita telefonicamente da Castenaso della morte del cugino Sig. M. A.
Per quanto riguarda questo avvenimento si sono potuti raccogliere i seguenti dati: il giorno 28 giugno 1955, nelle prime ore del mattino il Sig. M. G. di Marano, cugino della Sig.ra M. D. (dal lato paterno), di anni 50, si era suicidato impiccandosi. (E. Marabini, 1956).

Con questo breve excursus sul sogno, dopo avere preso in considerazione le sue modalità realizzative, e la varietà dei suoi contenuti, abbiamo conosciuto che la fenomenologia onirica può avere un’origine sia dalla attività della struttura organica, che da stimolazioni provenienti dall’ambiente esterno. Ed egualmente può essere sollecitata da residui psicoemotivi diurni ed anche da una rielaborazione di contenuti rimossi.
Infine abbiamo constatato che a livello contenutistico tutte queste allucinazioni, per quanto effimere esse siano, frequentemente dimostrano di possedere i caratteri di un dialogo, di un messaggio finemente articolato.
É a questo punto, allora, che mi pare giustificato chiedere: quale realtà nasconde la vita del sogno?
Quale nucleo, o quale matrice organizza questi eventi?
Indubbiamente la fenomenologia onirica trova il suo veicolo di emergenza nello psicosoma, ma l’elemento centrale, dinamicamente inconscio che dirige, informa, osserva, trasforma, elabora e simbolizza messaggi e progetti è la coscienza, cioè l’Io.
E quando constatiamo, nella drammatizzazione del sogno, l’intrusione di particolari e straordinari contenuti veridici, che la loro analisi dimostra essere estranei alla stessa struttura psicosomatica dell’individuo che li manifesta – alludo alle informazioni paranormali – è sempre in azione la coscienza.
Se a livello di discorso psicologico, questa realtà coscienziale (o Io), ha assunto un significato operativo clinico e terapeutico, è doveroso ricordare che troviamo ora importanti conferme della validità di tale concetto negli attuali indirizzi delle Neuroscienze.
Infatti, le conoscenze che emergono da questi studi, cominciano ad offrire impensate e lusinghiere conferme riguardanti le molteplici proprietà dell’istanza coscienziale, non ultimo che la coscienza, per usare le parole di Roger Sperry (come ho ricordato in altre occasioni) pur essendo collegata con la materia cerebrale non è ad essa riducibile.
Il che, in altri termini, è come dire che la coscienza è indipendente dalla struttura tramite la quale si manifesta.

Dunque, tutto questo ancora una volta ci riconferma perché la coscienza, questa misteriosa istanza dell’essere, si dimostra capace di operare negli infiniti spazi dell’inconscio personale e collettivo e, in particolari circostanze e senza che il soggetto ne sia direttamente consapevole, può spaziare nell’intramondano sino ad immergersi in un differente dominio di realtà realizzando così un rapporto non solo con il resto dell’Universo, ma a volte anche col dominio del trascendente.

Bibliografia
  1. ASSAGIOLI R. (1973) – Principi e metodi in Psicosintesi Terapeutica. Astrolabio, 1973.
  2. BOSINELLI M. (1991) – Il processo di addormentamento. in: Sogni: figli d’un cervello ozioso. Bollati Boringhieri, 1991, 249.
  3. BOLKO M. e MERINI A. (1991) – Sogno e telepatia. Continuità e discontinuità della ricerca psicoanalitica. in: Sogni: figli d’un cervello ozioso. Bollati Boringhieri, 1991, 129.
  4. CASTELLI G. D. (1960) – Psicologia e parapsicologia del sogno. CEDAM, 1960.
  5. JAFFÈ A. (1978) – Ricordi, sogni, riflessioni di C. G. Jung. Biblioteca Universale Rizzoli, 1978.
  6. MANCIA M. (1974) – Sonno e sogno: aspetti psicologici ed etologici. La Medic. Intern. A. LXXXII, Luglio, 1974, 25.
  7. MARABINI E. (1956) – Sogno paragnosico. Parapsic. di Minerva Medica, A. XLVII, n. 48, 1956, 3.
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  9. PENATI G. (1974) – Sonno e psichiatria. La Med. Intern., A. LXXXII, Luglio 1974, 61.
  10. PICCININI G. e RINALDI G. M. (1990) – I fantasmi dei morenti. Editrice il Cardo, 1990.
  11. SPERRY R. (1983) – Science and Moral Priority. Oxford, 1983.
  12. STEVENS W. O. (1953) – Il mistero dei sogni. Bompiani, 1953.

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Edda CattaniIl sogno paranormale

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