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Madre come Maria

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Madre come Maria

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Possiamo parlare di una sorta di “mal di madre” che si instaura nella  relazione e che coinvolge la donna e la sua creatura. Già al momento del concepimento inizia una interazione nell’ambiente intrauterino che continuerà in tutte le età successive.   I primi scambi avranno, pertanto, un peso decisivo nel formarsi della personalità che avverrà attraverso varie tappe e che sarà condizionata dalle scelte fatte.

 

Maria, Madre di Dio, è il fulgido esempio del dialogo esistente con quel Figlio nato anche per opera delle Sue carni. E’ la madre per eccellenza, Colei per la quale Cristo Gesù giunge a “trasgredire” nel compito affidatogli dal Padre e sui tempi stabiliti, compiendo, il primo miracolo della Sua missione terrena.

 

 Ricordiamo la supplica alle nozze di Cana: “Figlio, non hanno più vino”.   Questo amore porta Maria ai piedi della croce, sul Golgota. Quale colloquio si intreccia tra Maria e Gesù sull’altare del dolore? Quella profondità di amore vissuto nel dialogo di nove mesi di attesa, prima della nascita, ora ritorna con intensità. Da questa comunione dolcissima nascono le parole di Gesù a Giovanni: “Donna, ecco tuo figlio!”.   E’ il riconoscimento alla Madre Sua di un ruolo fondamentale nell’opera di salvezza; la proclamazione della maternità universale di Maria che termina con la consegna a Giovanni: “Figlio, ecco tua madre”!  

 

Nella madre, se il presente viene vissuto quale un completamento corporale di cui lei possiede l’attitudine, il futuro è legato all’ indeterminatezza dell’immagine del figlio.   E’ questo, per lei, motivo di una profonda debolezza che avverte di fronte alla difficoltà di “prevedere”, perciò di anticipare, con qualche precisione, quale sarà il corso della vita.  

 

Ed ecco allora, l’ineluttabile che quando giunge improvviso ed imprevisto spezza, in maniera dirompente, questa armonia, questo amplesso fatto di parole e di gesti, di sensazioni e di stati d’animo, di silenziose complicità di amorevolezza infinita.   Parlo della morte e di come la madre vive l’evento che la spezza perché a differenza di altre sofferenze, questa porta con sé la nebbia del mistero, perché invade un campo che è oscuro ed insieme sacro e solenne.   Di fronte a questo accadimento essa non trova risposta alla domanda: “Quale sorte è toccata al figlio che ho generato, che ho creduto fosse di mia proprietà  Dov’è andato quel soffio, quell’energia vitale?”  

 

La madre è attonita davanti al fatto che la coinvolge e si rende conto della caduta di tutte le certezze: cambia il modo di essere, di pensare, di vivere la quotidianità dell’ esistenza che, inesorabilmente, momento per momento, vede trascorrere e rinnovarsi, in tutte le sue forme.   Nasce in lei la lotta con il tempo della memoria che sembra voler coprire di un velo pietoso il mondo degli oggetti e delle immagini ad esso collegati, in una lacerazione che richiama il concetto junghiano di complesso nella connessione tra vissuto e simbolo.   Le situazioni, legate agli affetti, si caricano di un’emotività a volte esasperata, che si fa defluire nelle sfere della vita quotidiana svuotata di ogni senso, fino alla messa in dubbio cosmica del reale.  

 

Eppure una creatura tanto amata non può venire vissuta nelle forme e nelle rappresentazioni legate ad un’esperienza ormai perduta, contraffatta, che non si vuol dimenticare; l’io che si adopera per creare situazioni in cui ritrovare le immagini non rimane soddisfatto da ciò che lo porta a rivivere l’antica ferita.  

 

 Quando tutto sembra irrimediabilmente perduto, nella palude dove ci si trova invischiati, non rimane che appellarsi alla fede e al messaggio presente nella rivelazione che ci conforta e ci richiama alle radici profonde del nostro vivere e dell’esistenza che può e deve essere ancora vissuta in tutta la sua pienezza.  

 

E’ la disponibilità della madre che soffre qui, ma sa di essere davanti agli occhi del suo Dio, che fa pensare a Maria, Madre dei dolori di tutti gli uomini.   La preghiera assidua rigenera, allora, la vera immagine di Dio, a dispetto del male  che ci tocca sperimentare, perché quel Dio che ci è apparso come il nemico che ha distrutto la nostra esistenza, non può volere il male, altrimenti non sarebbe Dio. Egli può solo permetterlo sì senza alzare un dito.   Percepire   Dio   come  un  miraggio  inaffidabile ed attribuirgli la causa dei nostri mali ci darebbe l’immagine di un Dio infido la cui promessa sarebbe frustrante. 

 

Ed ecco allora che nella solitudine dell’attesa fiduciosa può accadere che la madre, io madre, nella profondità del mio essere, avverta una voce che mi parla e mi invita a procedere, ad andare avanti, perché quella creatura che credevo perduta per sempre non è mai partita e la ritrovo partecipe della mia vita nella “comunione dei Santi” che si estrinseca nel Corpo mistico di Cristo.  

 

Dall’esperienza quotidiana traggo elementi per testimoniare che avverto parole e ricevo segni di presenza inconfondibili: quel figlio, carne della mia carne e spirito tanto simile a me per affinità affettiva, quel figlio che ho tanto amato, giunge a me attraverso sensazioni profonde e strumenti, diciamo inconsueti, ma certamente reali.   Come io ho parlato a lui quando lo portavo in grembo, pur non vedendolo, ora ne percepisco la presenza in un’ampiezza di sfumature planetarie che si rapporta e si completa in un abbraccio universale che non teme, questo sì veramente, né rotture né limiti. 

 

Ho visto Andrea, pochi giorni dopo la sua dipartita, al mio fianco, nel dormiveglia, ai piedi del mio letto. Mi ha guardato sorridente e mi ha detto: “Sono partito per una missione di pace. Ho tanti incarichi da svolgere”.   Lui, ufficiale dell’Esercito Italiano, amava profondamente la sua missione e aveva pregato: “Signore che hai costituito di tanti popoli l’umana famiglia, guarda benigno a noi che abbiamo lasciato le nostre case per servire l’Italia” .   Anch’io ora procedo con questo obiettivo, al suo fianco, implorando Dio, creatore con me della mia creatura, secondo quanto ho dichiarato subito, la sera stessa dell’incidente mortale:  

 

“Ecco Signore, questo figlio che mi hai donato per ben 22 anni io te lo offro, ma servitene, come meglio vuoi, come tu sai. Lui è capace; l’ho educato buono e generoso. Ora è uno strumento nelle tue mani”.

 

 

 

 

Così quel Dio di amore, nella Sua grande misericordia ha permesso che il dialogo continuasse, perché l’amore non ha limiti o confini.   La mia vita perciò continua, in Dio e per Dio, al di là delle barriere spazio-temporali ed il lamento si è tramutato in fiduciosa attesa.   Vivo come realtà la presenza di mio figlio, visibilmente trapassato, che conserva verso di me le stesse premurose attenzioni, mi indica la strada da percorrere, mi protegge con indicazioni che sono peculiari del suo modo di essere e della sua personalità.   C’è  una  premura  costante,   nel  fare   appello  alla mia sensibilità e al  mio intuito, per farsi capire e comunicarmi messaggi indicativi di una  realtà parallela a noi molto vicina, anche se difficilmente immaginabile, di cui non possiamo avere più di tanti chiarimenti. Altrimenti perché la fede?  

Il  mio tormento  e la mia  caduta di senso vengono a trovare pace: attraverso il figlio giungo a percepire una Presenza benefica che mi offre un solido aiuto; che si interessa a me, nonostante  i miei fallimenti; una Presenza che non è una persona qualsiasi, ma la Persona di Dio al quale posso affidarmi totalmente, perché Egli è capace di soddisfare tutte le mie esigenze di verità e di amore.  

 

Trovo conferma di questa infinitezza, di questo stato di grazia, di completezza, di dinamicità in cui mio figlio vive nelle visioni descritte dai mistici contemporanei e, nella consapevolezza che ogni espressione è parziale, desidero leggere una comunicazione attribuita ad uno spirito elevato:     

“Come  descriverti lo  splendore della Via,  la Luce crescente ove gli astri perdono il  loro fulgore,  questo incendio fatto di tutti i soli, ma soprattutto di tutti gli splendori e di tutte le fiamme? Che termini adoperare per tradurti gli  accordi dell’Infinito; perché tutto brilla,  tutto  vibra,  tutto risplende  e risuona, tutto si  irradia e canta?  Le  parole umane servono  per le cose umane e la  parola muore dove comincia  l’Infinito…Ogni dolore, ogni  sforzo,  sono un passo fuori dall’ombra  a vantaggio della Luce…Io vedo dappertutto  sforzo  ed  equilibrio,  tutto segue immutabilmente   l’ordine   eterno.   L’Illimitato   non  è un condizionale.  L’Assoluto non sa che farsene  del relativo… No, qui non ci sono né dimensioni, né calcoli. L’algebra crolla sulla soglia  dell’Incalcolabile. L’Infinito si  aggiunge all’Immenso, l’Immenso all’Insondabile,  l’Insondabile  all’Assoluto,  ed  il totale di questa enorme addizione forma il piedistallo di Dio.”

 

( Brano tratto da M.C. e J.L.Victor “L’Appel des Etoiles”, Ed. du Phare, Cahors, Francia, 1967).                                 

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