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Madre come Maria

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Madre come Maria

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Possiamo parlare di una sorta di “mal di madre” che si instaura nella  relazione e che coinvolge la donna e la sua creatura. Già al momento del concepimento inizia una interazione nell’ambiente intrauterino che continuerà in tutte le età successive.   I primi scambi avranno, pertanto, un peso decisivo nel formarsi della personalità che avverrà attraverso varie tappe e che sarà condizionata dalle scelte fatte.

 

Maria, Madre di Dio, è il fulgido esempio del dialogo esistente con quel Figlio nato anche per opera delle Sue carni. E’ la madre per eccellenza, Colei per la quale Cristo Gesù giunge a “trasgredire” nel compito affidatogli dal Padre e sui tempi stabiliti, compiendo, il primo miracolo della Sua missione terrena.

 

 Ricordiamo la supplica alle nozze di Cana: “Figlio, non hanno più vino”.   Questo amore porta Maria ai piedi della croce, sul Golgota. Quale colloquio si intreccia tra Maria e Gesù sull’altare del dolore? Quella profondità di amore vissuto nel dialogo di nove mesi di attesa, prima della nascita, ora ritorna con intensità. Da questa comunione dolcissima nascono le parole di Gesù a Giovanni: “Donna, ecco tuo figlio!”.   E’ il riconoscimento alla Madre Sua di un ruolo fondamentale nell’opera di salvezza; la proclamazione della maternità universale di Maria che termina con la consegna a Giovanni: “Figlio, ecco tua madre”!  

 

Nella madre, se il presente viene vissuto quale un completamento corporale di cui lei possiede l’attitudine, il futuro è legato all’ indeterminatezza dell’immagine del figlio.   E’ questo, per lei, motivo di una profonda debolezza che avverte di fronte alla difficoltà di “prevedere”, perciò di anticipare, con qualche precisione, quale sarà il corso della vita.  

 

Ed ecco allora, l’ineluttabile che quando giunge improvviso ed imprevisto spezza, in maniera dirompente, questa armonia, questo amplesso fatto di parole e di gesti, di sensazioni e di stati d’animo, di silenziose complicità di amorevolezza infinita.   Parlo della morte e di come la madre vive l’evento che la spezza perché a differenza di altre sofferenze, questa porta con sé la nebbia del mistero, perché invade un campo che è oscuro ed insieme sacro e solenne.   Di fronte a questo accadimento essa non trova risposta alla domanda: “Quale sorte è toccata al figlio che ho generato, che ho creduto fosse di mia proprietà  Dov’è andato quel soffio, quell’energia vitale?”  

 

La madre è attonita davanti al fatto che la coinvolge e si rende conto della caduta di tutte le certezze: cambia il modo di essere, di pensare, di vivere la quotidianità dell’ esistenza che, inesorabilmente, momento per momento, vede trascorrere e rinnovarsi, in tutte le sue forme.   Nasce in lei la lotta con il tempo della memoria che sembra voler coprire di un velo pietoso il mondo degli oggetti e delle immagini ad esso collegati, in una lacerazione che richiama il concetto junghiano di complesso nella connessione tra vissuto e simbolo.   Le situazioni, legate agli affetti, si caricano di un’emotività a volte esasperata, che si fa defluire nelle sfere della vita quotidiana svuotata di ogni senso, fino alla messa in dubbio cosmica del reale.  

 

Eppure una creatura tanto amata non può venire vissuta nelle forme e nelle rappresentazioni legate ad un’esperienza ormai perduta, contraffatta, che non si vuol dimenticare; l’io che si adopera per creare situazioni in cui ritrovare le immagini non rimane soddisfatto da ciò che lo porta a rivivere l’antica ferita.  

 

 Quando tutto sembra irrimediabilmente perduto, nella palude dove ci si trova invischiati, non rimane che appellarsi alla fede e al messaggio presente nella rivelazione che ci conforta e ci richiama alle radici profonde del nostro vivere e dell’esistenza che può e deve essere ancora vissuta in tutta la sua pienezza.  

 

E’ la disponibilità della madre che soffre qui, ma sa di essere davanti agli occhi del suo Dio, che fa pensare a Maria, Madre dei dolori di tutti gli uomini.   La preghiera assidua rigenera, allora, la vera immagine di Dio, a dispetto del male  che ci tocca sperimentare, perché quel Dio che ci è apparso come il nemico che ha distrutto la nostra esistenza, non può volere il male, altrimenti non sarebbe Dio. Egli può solo permetterlo sì senza alzare un dito.   Percepire   Dio   come  un  miraggio  inaffidabile ed attribuirgli la causa dei nostri mali ci darebbe l’immagine di un Dio infido la cui promessa sarebbe frustrante. 

 

Ed ecco allora che nella solitudine dell’attesa fiduciosa può accadere che la madre, io madre, nella profondità del mio essere, avverta una voce che mi parla e mi invita a procedere, ad andare avanti, perché quella creatura che credevo perduta per sempre non è mai partita e la ritrovo partecipe della mia vita nella “comunione dei Santi” che si estrinseca nel Corpo mistico di Cristo.  

 

Dall’esperienza quotidiana traggo elementi per testimoniare che avverto parole e ricevo segni di presenza inconfondibili: quel figlio, carne della mia carne e spirito tanto simile a me per affinità affettiva, quel figlio che ho tanto amato, giunge a me attraverso sensazioni profonde e strumenti, diciamo inconsueti, ma certamente reali.   Come io ho parlato a lui quando lo portavo in grembo, pur non vedendolo, ora ne percepisco la presenza in un’ampiezza di sfumature planetarie che si rapporta e si completa in un abbraccio universale che non teme, questo sì veramente, né rotture né limiti. 

 

Ho visto Andrea, pochi giorni dopo la sua dipartita, al mio fianco, nel dormiveglia, ai piedi del mio letto. Mi ha guardato sorridente e mi ha detto: “Sono partito per una missione di pace. Ho tanti incarichi da svolgere”.   Lui, ufficiale dell’Esercito Italiano, amava profondamente la sua missione e aveva pregato: “Signore che hai costituito di tanti popoli l’umana famiglia, guarda benigno a noi che abbiamo lasciato le nostre case per servire l’Italia” .   Anch’io ora procedo con questo obiettivo, al suo fianco, implorando Dio, creatore con me della mia creatura, secondo quanto ho dichiarato subito, la sera stessa dell’incidente mortale:  

 

“Ecco Signore, questo figlio che mi hai donato per ben 22 anni io te lo offro, ma servitene, come meglio vuoi, come tu sai. Lui è capace; l’ho educato buono e generoso. Ora è uno strumento nelle tue mani”.

 

 

 

 

Così quel Dio di amore, nella Sua grande misericordia ha permesso che il dialogo continuasse, perché l’amore non ha limiti o confini.   La mia vita perciò continua, in Dio e per Dio, al di là delle barriere spazio-temporali ed il lamento si è tramutato in fiduciosa attesa.   Vivo come realtà la presenza di mio figlio, visibilmente trapassato, che conserva verso di me le stesse premurose attenzioni, mi indica la strada da percorrere, mi protegge con indicazioni che sono peculiari del suo modo di essere e della sua personalità.   C’è  una  premura  costante,   nel  fare   appello  alla mia sensibilità e al  mio intuito, per farsi capire e comunicarmi messaggi indicativi di una  realtà parallela a noi molto vicina, anche se difficilmente immaginabile, di cui non possiamo avere più di tanti chiarimenti. Altrimenti perché la fede?  

Il  mio tormento  e la mia  caduta di senso vengono a trovare pace: attraverso il figlio giungo a percepire una Presenza benefica che mi offre un solido aiuto; che si interessa a me, nonostante  i miei fallimenti; una Presenza che non è una persona qualsiasi, ma la Persona di Dio al quale posso affidarmi totalmente, perché Egli è capace di soddisfare tutte le mie esigenze di verità e di amore.  

 

Trovo conferma di questa infinitezza, di questo stato di grazia, di completezza, di dinamicità in cui mio figlio vive nelle visioni descritte dai mistici contemporanei e, nella consapevolezza che ogni espressione è parziale, desidero leggere una comunicazione attribuita ad uno spirito elevato:     

“Come  descriverti lo  splendore della Via,  la Luce crescente ove gli astri perdono il  loro fulgore,  questo incendio fatto di tutti i soli, ma soprattutto di tutti gli splendori e di tutte le fiamme? Che termini adoperare per tradurti gli  accordi dell’Infinito; perché tutto brilla,  tutto  vibra,  tutto risplende  e risuona, tutto si  irradia e canta?  Le  parole umane servono  per le cose umane e la  parola muore dove comincia  l’Infinito…Ogni dolore, ogni  sforzo,  sono un passo fuori dall’ombra  a vantaggio della Luce…Io vedo dappertutto  sforzo  ed  equilibrio,  tutto segue immutabilmente   l’ordine   eterno.   L’Illimitato   non  è un condizionale.  L’Assoluto non sa che farsene  del relativo… No, qui non ci sono né dimensioni, né calcoli. L’algebra crolla sulla soglia  dell’Incalcolabile. L’Infinito si  aggiunge all’Immenso, l’Immenso all’Insondabile,  l’Insondabile  all’Assoluto,  ed  il totale di questa enorme addizione forma il piedistallo di Dio.”

 

( Brano tratto da M.C. e J.L.Victor “L’Appel des Etoiles”, Ed. du Phare, Cahors, Francia, 1967).                                 

Edda CattaniMadre come Maria
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Solo una madre

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SOLO UNA MADRE

Non si può dimenticare chi hai considerato “madre” anche se sono passati gli anni e tante situazioni sono mutate.

Anniversario 8 gennaio

Anche questa  pagina web vuole essere  un ricordo per te, Mamma Maria, che mi hai dato la possibilità di conoscerti , con il tuo esempio mi hai arricchito e che so, anche ora, continui a seguirmi… come tanti altri, in quel soffio d’aria che mi circonda, nel mio cercare di trasmettere, con il mio modesto modo di essere, la speranza necessaria, a tante Mamme come te!

La conoscevo da tempo e ne avevo ammirato, emozionata, l’abnegazione, la determinazione, l’accettazione della sofferenza, la dignità e il silenzio… immagini di una madre che ha perso una figlia bambina, agli albori della sua vita coniugale.

Sono stati lunghi anni nell’attesa di questa ricongiunzione, una comunione d’anime vissuta con quei pochi che non l’hanno abbandonata… eppure quel cordone ombelicale non si era mai spezzato… L’ho pensata tante volte simile alla madre di Cecilia del Manzoni, una figura esemplare di una sfera superiore, avvolta da un senso di spirituale regalità, riuscita a sottrarsi alla incalzante degradazione fisica. Anche lei, simile a  quell’immagine, scolpita nelle memorie fra i corpi ormai senza vita ammucchiati nei carri, ha voluto mostrare come la morte non si fa portatore di una totale vittoria quando viene contrastata dall’innocenza delle vittime e dalla pietà dei sopravvissuti.

Ho spesso pensato, guardando Mamma Maria,, ormai accartocciata nella sua poltrona, completamente disabile, a come,  avrà “tutta ben accomodata, co’ capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l’avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio…” la sua piccola Carmela… Pur non disdegnando di fronte al male posto in ogni forma, penso che questa madre non si sia lasciata sopraffare, ma, che attraverso gli anni, pur passando da episodi tristi ad altri più lieti dell’esistenza, non abbia mai perso la speranza attendendo quel momento nella condizione di chi “s’affaccia a quella porta, entra sotto la volta e rimane un momento a mezzo del portico”.

 

Ho pensato ancora a Mamma Maria simile alla protagonista di un articolo ricevuto:

“Solo una madre.

Una donna, il cui destino si è incrociato con quello di altre donne, in un reparto di Oncologia Pediatrica, scrive…

E’ alle madri che ho incontrato, conosciuto, sfiorato con lo sguardo che voglio dedicare il mio pensiero. Vi ho incrociate tante volte quando arrivavo in ospedale, di corsa, come al solito, di buon mattino. Vi ho a malapena osservate in quelli che ora mi sembrano lontani giorni di ottobre e di novembre. Accecata da una gioia inaspettata, di cui ero gelosa e orgogliosa al tempo stesso, sono passata nei corridoi bianchi tante volte e non ho mai guardato i vostri occhi. Ma qual bianco d’ospedale è diventato poi per me, come per voi, un’attesa, uno spazio indefinito, una sospensione dell’anima. All’improvviso, nella mia vita, sono piombati frustrazione, dolore, angoscia; poi più nulla. E’ da quel momento che ho iniziato a vedere. I vostri gesti sicuri, dolci e precisi al tempo stesso. I vostri passi, che percorrono distanze brevissime, immense come galassie. I vostri corpi, forti come querce, piegati come canne al vento. Il vostro mondo è tutto lì, in quei corridoi. E la vostra felicità è il sorriso di una speranza che non osate chiedere. Il vostro amore è unico, inafferrabile, inesprimibile. E’ quello di cui solo una madre è capace e che finalmente conosco anche io.”

Edda CattaniSolo una madre
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MARIA Madre e Donna

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 Dedichiamo questo mese a Maria, Madre delle Madri e Regina della Pace.

  13 Gennaio

Sul dolore (Kahlil Gibran)

 

Il dolore è lo spezzarsi del guscio

… che racchiude la vostra conoscenza.

Come il nocciolo del frutto deve spezzarsi

affinché il suo cuore possa esporsi al sole,

così voi dovete conoscere il dolore.

E se riusciste a custodire in cuore la meraviglia

per i prodigi quotidiani della vita,

il dolore non vi meraviglierebbe meno della gioia;

accogliereste le stagioni del vostro cuore

come avreste sempre accolto le stagioni

che passano sui campi.

E vegliereste sereni durante gli inverni del vostro dolore.

Gran parte del vostro dolore è scelto da voi stessi.

È la pozione amara con la quale il medico che è in voi

guarisce il vostro male.

Quindi confidate in lui e bevete il suo

rimedio in serenità e in silenzio.

Poiché la sua mano, benché pesante e rude,

è retta dalla tenera mano dell'Invisibile,

e la coppa che vi porge,

nonostante bruci le vostre labbra,

è stata fatta con la creta che il Vasaio

ha bagnato di lacrime sacre.

 

 

Ho trovato queste pagine scritte da un sacerdote che profuma di santità. Leggiamole con calma, sono bellissime e ci invitano a sentire Maria come una di noi.  Non sempre troviamo parole indicative della personalità di una donna così lontana… nel suo vissuto… eppur così vicina a noi perchè "scelta" ad essere la Madre del Dio Vivente.

BUONA LETTURA!   e …

 

Ecco a voi il libro al completo… click …qui sotto!

 

MARIA donna dei nostri giorni  (continua…click!)

Un preambolo …  

MARIA Donna dei nostri giorni    

Monsignor Antonio Bello (affettuosamente chiamato don Tonino) è stato vescovo di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi dal 4 settembre 1982 fino alla morte avvenuta il 20 aprile 1993. …

Maria, donna feriale

 

Chi sa quante volte l'ho letta senza provare emozioni, L'altra sera, però, quella frase del Concilio, riportata sotto un'immagine della Madonna, mi è parsa così audace, che sono andato alla fonte per controllarne l'autenticità.

Proprio così. Al quarto paragrafo del decreto del Concilio Vaticano II sull'Apostolato dei Laici c'è scritto testualmente: …….

Edda CattaniMARIA Madre e Donna
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Maria “madre delle madri”

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Maria "madre delle madri"

Sono stati giorni particolari questi con tutta una serie di ricorrenze che, sebbene si vogliano trascorrere come tutte le altre giornate, segnano dei passi indelebili nella storia della mia vita. La Santa Vergine sembra avere avuto un legame particolare in ogni tappa ed a lei ho affidato i miei figli, la mia famiglia e le persone care come riferimento importante, imprescindibile. Ed ora con l’avvicinarsi dell’Immacolata, a Lei, Madre delle madri affido ancora una volta queste liriche.

Ave Maria di Fabrizio De André

 

Questa canzone è stata cantata e suonata dalla "mamma di Francesco" e dedicata a tutte le Mamme, durante la celebrazione e la S.Comunione della Messa nei nostri congressi A.C.S.S.S.

 


E te ne vai, Maria, fra l'altra gente
che si raccoglie intorno al tuo passare,
siepe di sguardi che non fanno male
nella stagione di essere madre.

Sai che fra un'ora forse piangerai
poi la tua mano nasconderà un sorriso:
gioia e dolore hanno il confine incerto
nella stagione che illumina il viso.

Ave Maria, adesso che sei donna,
ave alle donne come te, Maria,
femmine un giorno per un nuovo amore
povero o ricco, umile o Messia.

Femmine un giorno e poi madri per sempre
nella stagione che stagioni non sente. 

 

Edda CattaniMaria “madre delle madri”
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Ogni Figlio è “parola”

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Ogni Figlio è “parola”

 

 

 

Giorni tristi per le numerose vicende passate attraverso i mass media che hanno colpito giovani vite: adolescenti rapite e orribilmente massacrate, bimbi innocenti raggiunti da eventi nefasti, ragazzi volati in gruppo, in seguito a terribili incidenti … E poi la guerra e i massacri che inviano alle nostre coste migliaia di rifugiati; alcuni soccombono senza raggiungere la riva … resti umani … carne “macellata” …. figli di mamme!  Oggi guardavo in TV donne di colore con in mano le foto dei loro figli che vanno cercando nei “campi profughi” e che forse non hanno mai raggiunto l’Italia.

 

Dalle città distrutte della Libia, alle macerie afghane, vengono alla luce tanti fatti, testimonianza di un dramma umano che non ha precedenti con l’efferatezza dell’odio che esiste da sempre fra gli uomini e che la Genesi attribuisce a Caino, quale detentore del primo assassinio dei figli di Adamo.

 

Nel testo sacro Dio stesso introduce il concetto e il termine di “peccato”, forse perché non poteva dire “reato”, in quanto non vi erano ancora i comandamenti ma anche perché il termine “peccato” connota una forza antitetica al sentimento dell’amore.

 

La vita umana è il fondamento di tutti i beni, la sorgente e la condizione necessaria perché ogni uomo possa espletare, in assoluta parità, le proprie scelte di comunione sociale. Oltre a questo, chi crede intuisce un mistero sacro di origine divina e sa che ogni uomo viene da Dio e a Dio ritorna, nell’ora da Lui voluta, padrone della vita e della morte. Perciò l’omicidio è un attentato contro Dio stesso.

 

Ritornando ai recenti episodi, mentre l’occhio degli spettatori assistono attoniti a questi incredibili disastri, un cronista, di una TV di stato, interrompeva lo scorrimento degli edifici cadenti per soffermare le telecamere sulla immagine di una madre, in ginocchio, che teneva in braccio il figlio ferito. Una vicenda politica e un quadro umano della disperazione: una storia piccola, personale, ma pregna di un dolore indicibile.

 

  

 

Mi ha fatto pensare questa immagine, nella sua apparente inadeguatezza, ma grande simbolo della realtà del nostro quotidiano vivere. Ho rivisto, una alla volta l’efferatezza di tanti crimini, le stragi e le violenze sui bambini, alle tante morti per turpi storie, alle giovani vittime della strada e alla giustizia degli uomini che non aiuta a comprendere e a perdonare.

 

E’ questo il tempo della pietà, della “pietas” come “compassione” “patire insieme” e la solidarietà che si sente dichiarare in questi giorni, l’attesa del 2012 come anno del cambiamento, da parte delle grandi potenze, dei politici e della gente comune, lascia sperare in una trasformazione del vivere quotidiano e, forse, me lo auguro, di una nuova era della storia, quella che la Madonna aveva dichiarato, nelle sue apparizioni, avrebbe dovuto caratterizzare questo terzo millennio.

 

 

La “pietas” è anche silenzio davanti ad una grande tragedia, quella che tocca gli affetti più sacri, quella delle foto ostentate, delle parole sommesse, dell’immobilismo dello sguardo, dell’impotenza davanti all’ineluttabile.

 

 

Ben a ragione i grandi artisti hanno intitolato le loro opere indicative del Cristo morto alla “Pietà”. Chi ha avuto la ventura di recarsi in S.Pietro, ha sostato sicuramente davanti al primo altare di destra per ammirare il capolavoro di Michelangelo. Quella madre con il capo chino, in mesta contemplazione del Figlio adagiato sulle sue braccia è simile alle tante madri in attesa dietro alle macerie, a quella che abbiamo visto stringere fra le braccia il figlio ferito, alle madri della speranza che si muovono con l’effige del figlio sul petto e la foto fra le mani.

 

 

Una madre… colei che dà la vita… e che assiste all’avvio di quel legame così dipendente, irripetibile, unico. Morte e vita, dunque, agli antipodi, estremi di un filo nel cui centro è lei, la madre.

 

 

Non è necessario appartenere a una chiesa, essere biologi o fisici per considerare come unico e sacro il legame che unisce madre e figlio fin dal concepimento. Un giornalista ha osato scrivere: “Non è necessario per la donna sapere in quale momento un piccolo ovulo è diventato, nel suo grembo, un essere umano”.

 

 

Un giorno, dopo tre settimane, alcune cellule si mettono a “pulsare”. Dapprima separatamente. Poi tutte insieme, allo stesso ritmo, instancabili. Un cuore comincia a battere, e non smetterà più fino alla morte.

 

 

Dipendente, e destinato ad esserlo ancora per anni, dalla vita e dalla volontà della madre, l’ovulo fecondato è tuttavia autonomo. Ci troviamo già di fronte a un figlio d’uomo ben distinto, a un individuo. Questo è il parere unanime degli studiosi.

 

 

 

 

 

 

Sentiamo cosa racconta Edelmann:

 

“All’improvviso, abbiamo trattenuto il respiro: il cuore del bambino batteva. Era là, davanti ai nostri occhi, palpitante nel suo scrigno di carne color anemone, illuminato in trasparenza dai nostri apparecchi. Quel bambino, appena più grande di una virgola su un foglio di carta, era già un uomo in potenza”. A due mesi, il feto misura tre centimetri; ci starebbe comodamente nel cavo di una mano. “Ma è già quasi completo, mani, piedi, testa, organi, cervello, tutto è al suo posto e non farà altro che crescere. Guardate più da vicino, potrete distinguere le linee della mano e leggervi il futuro. Guardate ancora più da vicino con un comune microscopio, e potrete decifrare le sue impronte digitali. Ci sono già tutti i dati che figureranno sulla sua carta d’identità. L’incredibile Pollicino, l’uomo grande come il pollice di una mano, esiste realmente”.

 

Ogni donna che diventa madre mette al mondo il suo bambino attraverso questa ed altre fasi che si concludono con quella più dolorosa del parto, ma se gli altri, avvalendosi delle moderne strumentazioni, ne hanno una visione esteriore, sia pure affascinante, la madre vive dall’interno tutti gli aspetti del concepimento e della sua crescita. La donna nutre, accarezza, parla con quel piccolo essere prima di chiunque altro e in lui riversa tutto il suo amore.

 

Simile a Maria, madre di Dio, rimane complice ed è partecipe dell’atto meraviglioso e divino della nascita, come afferma il Consiglio episcopale per la XXI giornata per la vita, l’essere umano che si affaccia alla terra  è “parola” detta da Dio. “PAROLA”, perciò è un essere portatore di significato che va oltre il percorso terreno in quanto disegno di Dio, da Lui voluto, da Lui donato. Ricordiamo perciò Maria che “contempla” Gesù nel miracolo dell’incarnazione e pensiamo che ogni figlio che nasce è un riflesso di questi, un’eco della Parola eterna “In principio era il  Verbo… tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto” (Gv 1,1 – 3.4).

 

Nel testo giovanneo che riscopre il valore della parola di Yhavé, il Logos-Dio, principio fondamentale della realtà cosmica, bene Supremo che genera il Figlio “Lux”, salvezza per tutti gli uomini, emerge quel carattere creativo della parola che oggi noi scopriamo e approfondiamo.

 

Il tentativo di S.Agostino di correlare la conoscenza delle cose che si acquisiscono attraverso le parole nel parallelismo verba-res indica che la verità è già dentro l’uomo unita intimamente al verbum divino, e i “signa” le parole, aiutano solo a scoprirla. Persino l’atto educativo, quello dell’insegnare è esprimere “signa”, cioè cogliere l’essenza della realtà (De Magistro 40).

 

Ecco allora che l’atto educativo è dominante nel creare l’intelligenza. Afferma Eccles, premio Nobel della neurofisiologia, autore di “Evoluzione cerebrale, evoluzione culturale e coscienza” : “ Si può affermare del tutto categoricamente che i cervelli si formano tramite i complessi processi che risultano dal patrimonio genetico e da tutte le istruzioni secondarie che ne derivano durante la vita fetale”… Nel mondo esperienziale “…sta, quindi, l’unicità personale che ciascuno di noi conosce solo relativamente a se stesso. Questa unicità si è realizzata in noi, in ciascuno di noi nel corso della nostra vita. E’ qualcosa di cui siamo a conoscenza soltanto entro noi stessi. Possiamo parlarne ad altri se lo desideriamo, ma gli altri non possono avere alcuna esperienza del nostro mondo. Esso è riservato a noi”.

 

 

 

 

     A questo punto possiamo dire che fede e scienza si congiungono: l’essere singolare e irripetibile, come parola detta da Dio è, per le scienze biologiche, la neurofisiologia e la filosofia personalistica, un essere unico che diviene, attraverso la conoscenza e l’educazione una persona completa capace di vivere un’esistenza con capacità di amare, sentire, valutare in modo unico e singolare. Idea falsa e distorta è quella di coloro che credono di disporre di essa, di manipolarla o di eliminarla.

 

Ora possiamo trarre tutte le conclusioni che vogliamo: quel Figlio che abbiamo concepito, cresciuto ed amato è stato creato ad immagine di Dio stesso ed in Lui solo può trovare la sua beatitudine. Ripetiamo dunque: Dio che si è fatto PAROLA  e ha preso carne nel grembo di Sua madre, la Madonna, e, per Cristo ed in Cristo mi ha dato questo mio Figlio come PAROLA sua, di Dio stesso, in me e per me.

 

 

Abbiamo percorso un lungo cammino per giungere ad affermare quanto mirabile sia il disegno voluto da Dio per tutti noi e per i Figli nostri che, nel corso dei tanti messaggi, confermano la meravigliosa realtà dell’esistenza.

 

      

 

 

 

 

Ricordo il mio primo intervento, a Cattolica, quando riportai uno dei primi messaggi del nostro Andrea:“Senti come l’universo parla” e, mentre cercavo, nella mia pochezza, di commentare la vastità di questo concetto, pian piano, fin da allora, cercavo di addentrarmi nel significato profondo dell’essere. Da quel tempo quanti contenuti sono entrati a far parte della mia mente, concetti che mai avrei pensato di potere ritenere ed esprimere, studiare e discutere nella loro verità estremamente appagante.

 

Ben a ragione, la comunicazione, “Se tu sapessi con chi sono, non piangeresti!” vuol farmi comprendere quanto fosse vuota la mia distorta idea di possesso della vita che mio Figlio ha iniziato nel mio grembo, vivendo in intima simbiosi con me. Come pensare di poterlo tenere imbrigliato con le mie lamentazioni?

 

Ho visto un libro esposto, dal titolo: “I rinati” ed ho pensato che se voglio veramente non arrestarmi, non arenarmi nella mia stretta personale, debbo guardare in alto. Mio Figlio, bene prezioso a me donato, mi chiede di essere ascoltato; è una parola che viene a tutti, che si prende cura della mia vita e di quella degli altri: delle sue sorelle, dei parenti, degli amici… passato, presente, avvenire sono tutt’uno per chi ha valicato i limitati confini dell’esistenza terrena. Per noi tutto questo è importante: siamo qui per questo, per imparare a rinascere!

 

Non siamo soli a vivere, a gioire, a soffrire; una grande speranza si intuisce dall’individuazione di una realtà cosmica in continuo divenire unitamente ai nostri Cari che si manifestano a noi con fenomeni straordinari. Ed è consolante per noi umani, ancora partecipi della realtà terrena, poter costatare che non solo essi sono vivi più che mai, ma che hanno mantenuto intatta la loro peculiare individualità.

 

Se, nel momento della disperazione, possiamo aver pensato che, per un atto arbitrario, quell’essere da noi tanto amato, a cui avevamo dato tutta la nostra attenzione, ha irrimediabilmente perduto tutto il beneficio ricevuto, abbiamo sbagliato! Noi genitori abbiamo rappresentato uno strumento prezioso per la sua crescita di cui conserva indelebilmente il marchio profondo.

 

La parola di mio Figlio mi torna perciò ancora familiare, per il suo accento, le sue attenzioni, la sua rinnovata disponibilità di cui mi dà testimonianza in plurime occasioni, è parola di Dio stesso che si fa amore per me.

 

Un grande compito ci è stato dato: quel Figlio che pensavamo di avere perduto per sempre, che non stringiamo più fra le nostre braccia carnali, è un essere immortale che si libra nell’infinità. Fra le migliaia di migliaia di miliardi di esseri che si sono succedute nel corso della storia degli uomini, egli è persona unica, distinta e tutt’uno con i suoi genitori. E’ quindi da dividere con lui, incondizionatamente la realtà che vive e che ci vuol comunicare, è parola da ascoltare e dono da accogliere, ancora una volta con amore.

 

Se avremo compreso tutto questo la nostra vita tornerà ad essere un percorso bello da continuare e i nostri progetti che credevamo interrotti acquisteranno un senso.

 

 

Mi ritrovo per concludere con le parole di Kirk Kilgour –

  

Chiesi a Dio di essere forte per eseguire progetti grandiosi, ed Egli mi rese debole per conservarmi nell’umiltà.

Domandai a Dio che mi desse la salute per realizzare grandi imprese, ed Egli mi ha dato il dolore per comprendere meglio.

Gli domandai la ricchezza per possedere tutto, e mi ha lasciato povero per non essere egoista.

Gli domandai il potere perché gli uomini avessero bisogno di me ed Egli mi ha dato l’umiliazione perché io avessi bisogno di loro.

Domandai a Dio tutto per godere la vita e mi ha lasciato la vita perché io potessi essere contento di tutto.

Signore, non ho ricevuto niente di quello che chiedevo, ma mi hai dato tutto quello di cui avevo bisogno e quasi contro la mia volontà.

Le preghiere che non feci furono esaudite.

Sii lodato o Signore: fra tutti gli uomini nessuno possiede più di quello che ho io.

 

  

 

 

 

 

 

Edda CattaniOgni Figlio è “parola”
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