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Allarme terrorismo

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ALLARME TERRORISMO

Alla notizia dei morti precipitati con l’aereo diretto al Cairo ricordiamoli con la preghiera di Papa Francesco, al termine della Santa Messa a Lampedusa, rivolte a Maria, Stella del Mare:

maria

O Maria, stella del mare, ancora una volta ricorriamo a te, per trovare rifugio e serenità, per implorare protezione e soccorso.

Madre di misericordia, implora perdono per noi che, resi ciechi dall’egoismo, ripiegati sui nostri interessi e prigionieri delle nostre paure, siamo distratti nei confronti delle necessità e delle sofferenze dei fratelli.

Rifugio dei peccatori, ottieni la conversione del cuore di quanti generano guerra, odio e povertà, sfruttano i fratelli e le loro fragilità, fanno indegno commercio della vita umana.

Modello di carità, benedici gli uomini e le donne di buona volontà, che accolgono e servono coloro che approdano su questa terra: l’amore ricevuto e donato sia seme di nuovi legami fraterni e aurora di un mondo di pace.

Edda CattaniAllarme terrorismo
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Nessuno ha il diritto…!!!

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Da chi difendere i  nostri  bambini ?

Esistono gli “orchi”???

Dedicato a tutti i piccoli toccati dall’ ORCO

e a te piccolina caduta o buttata da un balcone…

aspettare1

Nel folclore e nelle fiabe dei paesi europei, specialmente nordici, gli orchi (ogre in inglese) sono mostri antropomorfi giganteschi, crudeli e divoratori di carne umana.

L’orco del folclore è correlato a quello della mitologia germanica (orc in inglese); non sempre è possibile distinguere chiaramente queste due figure, sebbene l’orco della mitologia sia in generale un essere descritto come più simile a una bestia o a un demone. Gli orchi nella fantasy sono talvolta ispirati alla figura dell’orco del folclore (per esempio gli orchi di Piers Anthony), e talvolta a quella dell’orco della mitologia (gli orchi di J. R. R. Tolkien); in alcuni casi, fanno riferimento a elementi tipici di entrambe queste figure.

LE STORIE RACCONTATE DAI BAMBINI

 IL BIMBO E L’ORCO
C’era una volta un orco che mangiava solo carne in scatola, fagioli in scatola, piselli in scatola e beveva solo birra in lattine. Nessuno però lo sapeva e tutti avevano paura di lui. -Non andate nel bosco- dicevano le mamme-perchè c’è un orco cattivo che mangia i bambini.
I ragazzi più grandicelli, per sembrare più coraggiosi, andavano fino al confine del bosco e si nascondevano tra i cespugli. Aspettavano che arrivasse l’orco e poi, quando lo vedevano da lontano, scappavano a gambe levate…

 

 

 

E’ di ieri sera la puntata  di “mi manda rai tre” in onda alle 21.10

 

Reclusi e costretti a mangiare vomito ed escrementi per allontanare il demonio. Queste e altre sevizie avrebbero subìto i bambini vittime di una setta, detta ‘della porta accanto’, e di una persona indagata assieme a 17 adepti con ipotesi di reato gravissime. Il conduttore di Mi Manda Raitre raccoglie le rivelazioni dell’ex compagno della ‘santona’ e di un ‘pentito’ della setta.

Tra clamore mediatico e gesti come il lancio delle molotov di ieri sera, il futuro delle due maestre del ‘Cip e Ciop’ di Pistoia, in attesa che si esaurisca il processo in rito abbreviato, è divenuta una questione d’ordine pubblico. Dopo la convocazione in Prefettura di un “Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica”, le forze dell’ordine vigilano davanti alle abitazioni delle maestre incriminate per abusi. La questura di Pistoia ha inoltre fatto scattare un piano di sorveglianza per le scuole di vario ordine e grado. In un altro asilo nido, sono apparse scritte intimidatorie contro altre maestre. Le due imputate erano state trasferite al carcere di Sollicciano, a Firenze, dopo la prima udienza del processo che si celebra a Genova ed hanno ottenuto, pochi giorni dopo, i domiciliari. Timori contro il “rischio di spirale di violenza” sono stati espressi per la crescita di odio verso le maestre che non trova concordi molte delle mamme dei bambini dell’ex “asilo degli orrori”, decise a “condannare l’uso della violenza contro la violenza”.

Poi si parla del caso del piccolo Francesco Pio Martinisi, il bimbo di 4 anni morto un anno fa assieme alla nonna per l’esplosione di una camera iperbarica dell’Ocean Hyperbaric Center di Miami, dove era in cura per una tetraparesi spastica. Dopo quasi 12 mesi dalla tragedia, i genitori di Francesco  Pio sono ancora in attesa di giustizia.

Scandalo preti pedofili, il Vaticano : «Per loro l’inferno sarà più terribile»

Il promotore di giustizia della Congregazione della Fede: «Meglio per loro che quei crimini fossero causa di morte»

Monsignor Charles Scicluna lo ha detto durante una preghiera a San Pietro

Il promotore di giustizia della Congregazione della Fede: «Meglio per loro che quei crimini fossero causa di morte»

MILANO – Forse la giustizia umana non li raggiungerà ma quella divina sicuramente. «Sarebbe davvero meglio» per i sacerdoti colpevoli di abusi sessuali su minori che i loro crimini fossero «causa di morte» perchè per loro «la dannazione sarà più terribile». Lo ha detto il promotore di giustizia della Congregazione della Fede, monsignor Charles Scicluna, incaricato di seguire tutti i casi di preti abusatori, in una preghiera di riparazione a San Pietro per lo scandalo di pedofilia nella Chiesa.

LA CITAZIONE – Monsignor Scicluna ha citato il passo del Vangelo di Marco, nel quale Gesù afferma «Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare» e ha riproposto l’interpretazione che del passo diede SAN Gregorio Magno. «Gregorio Magno – ha detto il promotore vaticano – così commenta queste terribili parole di Gesù: “Misticamente espresso nella macina d’asino è il ritmo duro della vita secolare mentre il profondo del mare sta a significare la dannazione più terribile”. Perciò – ha spiegato -, chi dopo essersi portato ad una professione di santità distrugge altri tramite la parola o l’esempio, sarebbe davvero meglio per lui che i suoi malfatti gli fossero causa di morte essendo secolare, piuttosto che il suo sacro ufficio lo imponesse come esempio per altri nelle sue colpe, perchè tendenzialmente se fosse caduto da solo il suo tormento nell’inferno sarebbe di qualità più sopportabile».

Diventerobambino 

 
Edda CattaniNessuno ha il diritto…!!!
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Abbiamo bisogno di pazzi

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ABBIAMO BISOGNO DI PAZZI.

Louis-Joseph Lebret

 

Indonesia

Indonesia


Abbiamo bisogno dei pazzi
Ci sono oggi troppo saggi, troppo prudenti,
indaffarati a calcolare, a misurare.
O Dio! Mandaci dei pazzi (facci conoscere
quelli che ci sono già), gente che si impegna
a fondo, che sa dimenticarsi, giovani che
amino non solo a parole, che si danno
sul serio fino in fondo.
Abbiamo bisogno di pazzi, di gente che
sragiona, di appassionati, di ragazzi capaci
di un salto nell’insicurezza
nell’ignoto sempre più beante
della povertà, che accettino gli
uni di perdersi nella massa anonima
senza alcun desiderio di farsi un
piedistallo, gli altri di non
utilizzare la loro superiorità che
per servire.
Non si tratta sempre di romperla
col proprio ambiente o genere di vita.
Si tratta di una rottura di altra
profondità, rottura con l’io
egocentrico che aveva finora
dominato.

Edda CattaniAbbiamo bisogno di pazzi
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L’amato del mio cuore

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Mi sono imbattuta quasi per caso in questo libro e sono giunta ad approfondire questa tematica tanto affine alla mia ansia di spiritualità contemplativa. Come si saluta una Madre? Una Badessa? Una donna con il velo? Forse tacendo. Forse scrutandone il volto, leggendovi una pace sconosciuta, una delicatezza che medica ogni remora, ogni caduta, una speranza che ha il respiro di una sua lirica: «Ho tanto taciuto / sepolta nel grande silenzio / buio. / Oggi risalgo / dal fondo di tanta pazienza / perché sento che in alto / dev’esserci il mandorlo in fiore».


Madre Anna Maria Cànopi è la pietra angolare dell’Abbazia Mater Ecclesiae. Da quarant’anni, da quando scelse di rinnovare la Croce nell’isola di San Giulio d’Orta. Dove fede e leggenda (e storia) insieme stanno, nei secoli dei secoli. Assistendo, prima, alla resa di draghi e serpi, poi alla rinascita (alla risurrezione) del rodariano Barone Lamberto.

 

La badessa vive da quarant’anni a Orta: tra ricordi e poesia, meditando Sant’Agostino, Turoldo e Edith Stein

È nata nel Piacentino, Madre Cànopi, ma è cresciuta nel Pavese. Laureandosi alla Cattolica, una tesi sul filosofo cristiano Severino Boezio, ovvero «la bellezza è consolatrice». Ulteriori sue bussole? «Sant’Agostino, la verità, l’amore, che è sete di Dio. E le mistiche: Gertrude, Ildegarda, Teresa…E Edith Stein. Mi si propose di scrivere una lettera agli ebrei. Declinai l’invito, già ne esiste una… Immaginai, però, una lettera a un’ebrea, a Edith, magistrale la sua scientia crucis. Mi impegnò dal 9 agosto all’Assunta».

Donna di Parola, Madre Cànopi, che ha tra l’altro collaborato alla nuova versione della Bibbia. Biblista princeps, il cardinal Martini: «Un lettore, un traduttore, un ese­geta splendido». E padre Michele Pellegri­ no, come Lei studioso egregio di Patristica? La mano della Badessa si leva, non benedi­cente, ma allontanante qualsiasi refolo d’orgoglio: «Ne sarà fraintesa l’attenzione al mondo operaio, che i tempi gli ispiraro­no. Ma era un sicuro uomo di Dio».

 

Descrizione

«Partendo dal Cantico dei Cantici e leggendo nel nostro cuore, vogliamo cercare di scoprire qual è l’itinerario dell’anima verso Dio, dopo che è stata toccata dalla sua grazia». Così Madre Cànopi apre questa lunga e puntuale meditazione su uno dei libri più belli e misteriosi della Bibbia, sul quale i più grandi mistici hanno sparso parole appassionate e sconvolgenti. Con la sua semplicità profonda, l’autrice ci conduce a cogliere il mistero del “libro d’amore” biblico, che può essere raccolto in un’unica frase, che dà il carattere della stessa carità divina: «L’amore discende, attira ciò che è in basso e lo solleva» a sé. «Chi non è preparato a patire, a soffrire rimanendo fedele a colui che ama, non è degno di essere chiamato “amatore”».

PREFAZIONE

È nota l’affermazione di Rabbi Aqiba a proposito del Cantico dei Cantici: «Il inondo intero non è tanto prezioso quanto il giorno in cui fu dato a Israèl il Cantico dei Cantici, perché tutti gli scritti sono sacri, ma esso è il sacro per eccellenza» (Mishnà Jadayim, 3,5).

Se questo è vero, chi oserebbe accostarsi a questo canto senza sentirsi sopraffatto dall’emozione e dal timore di profanarlo? Esso racchiude tutta la poesia, la musica e la bellezza dell’Amore, di quell’Amore fontale da cui trae origine ogni cosa e al quale ogni creatura anela a ritornare per immergersi nella sua beatitudine e nella sua pace. Soltanto i mistici possono comprendere e gustare questo Cantico; è perciò con umiltà e tremore che esprimiamo quanto l’ascolto, la meditazione e la contemplazione di esso ha suscitato in noi.

In questo poema insieme idilliaco e drammatico, Israele scorgeva la sua storia d’amore con Hashèm, il suo Signore, dal tempo del fidanzamento — l’uscita dall’Egitto e la traversata del deserto — all’alleanza sancita nella Terra promessa, ma è ancora in attesa del giorno delle nozze… A noi cui è stato dato di credere all’Amore pienamente svelato — poiché in Cristo Gesù, Verbo Incarnato, Dio si è misticamente unito all’umanità — rimane solo di attendere l’ora in cui il velo sottile del mistero si squarcerà per lasciarci vedere l’Amato nel suo pieno splendore.

Questi spunti meditativi — nati all’interno di un ritiro spirituale — sono davvero una inezia di fronte ai preziosi commenti del Cantico che già esistono, ma se giovassero almeno a tener viva in noi e in qualche altro pellegrino sulla terra la nostalgia del Volto che vedremo in Cielo, potremmo cantare con gratitudine e gioia: «Così sono ai suoi occhi I come colei che ha trovato pace» (Ct 8,10).

Isola San Giulio, 25 marzo 2000

ESTRATTO DAL PRIMO CAPITOLO 

Il tocco misterioso di Dio

Partendo dal Cantico dei Cantici e leggendo nel nostro cuore, vogliamo cercare di scoprire qual è l’itinerario dell’anima verso Dio, dopo che è stata toccata dalla sua grazia.

Ricercheremo innanzitutto dentro di noi il cammino che, nel suo amore, il Signore ha compiuto, e ancora va compiendo, per attirarci a sé. L’amore discende, attira ciò che è in basso e lo solleva, lo fa salire.

Il primo momento di questo itinerario è quello della improvvisa folgorazione, del tocco misterioso e profondo di Dio nell’anima, il momento inesprimibile che ciascuno sente e ricorda come quello più decisivo della sua esistenza, ma che non sa descrivere né ridire, anzi non lo sa nemmeno spiegare a se stesso. È come un tocco di calamita che orienta per sempre, decisamente, un’esistenza verso il suo fine, che dà al fiume di una vita il suo corso e lo conduce verso la sua foce, riversandolo nell’oceano dell’amore infinito.

Come sappiamo, il Cantico dei Cantici è stato già commentato e interpretato misticamente da molti Padri della Chiesa e del monachesimo, da Origene a Gregorio di Nissa, da Bernardo di Chiaravalle a Guglielmo di Saint-Thierry; ma anche nel nostro tempo uomini spirituali hanno dato suggestive e profonde interpretazioni di questo Cantico che Israele introdusse nella Sacra Scrittura, anche se nel suo linguaggio realistico e persino sensuale sembra piuttosto un’appassionata esaltazione dell’amore umano. Qualunque sia la sua origine, poiché una sola è la fonte dell’amore, il Cantico dei Cantici è comunque una rivelazione dell’amore divino. Tutta la tradizione, infatti, è concorde nel vedere rappresentato in esso il dramma dell’amore di Dio per il suo popolo, l’Israele dell’Antica Alleanza e — nell’ambito cristiano l’unione sponsale di Cristo e della Chiesa.

Letto in questa chiave, il suo già audace linguaggio risulta persino ancora inadeguato a esprimere l’intensità e la grandezza della realtà che vi è sottesa.

 

Edda CattaniL’amato del mio cuore
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Resta nella mia barca

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Resta nella mia barca!

(Da FB Alessandro Dehò. Come non condividere… anche per me… ora più che mai…)

 

Due barche lasciate a dondolarsi stancamente alla sponda di quel lago inaspettatamente avaro. Io di quella giornata la prima cosa che ricordo sono questi gusci vuoti appoggiati ai bordi della vita. Vuoti. Non barche sconfitte, segnate dalle intemperie, non barche con i segni della lotta in mare no, tutto quello fa poesia, erano solo barche stanche. E terribilmente vuote. Io di quel giorno ho in mente la rete. Rete che devi ripulire anche se non hai preso nulla. E la sentivo ridere quella rete, giuro, quasi a prendersi gioco del carico di niente tirato a riva. Io ho in mente quella rete che ride, una beffa trascinata per una notte intera senza portare a casa nulla. Io di quel giorno ho in mente che ho capito, ho capito che io ero quel guscio vuoto, io quella rete piena di niente.  In quel momento ho capito che la sofferenza vera è quando il mondo si nasconde, quando non si concede più, quando non ti considera più degno neanche della lotta. In quel momento ho capito che la mia vera paura non è quella di perdere ma quella di stare, vuoto e inutile appoggiato alla sponda della vita, senza poter più combattere. Ho capito, in quel momento là ho capito bene, che non era questione di pesci. Conoscevo abbastanza la vita, bastava aspettare e il giorno dopo e avrei portato a casa la dose minima di pesce per continuare a vivere. No, non era questione di pesce, era che quelle barche erano lo specchio più vero del vuoto che mi portavo dentro. E me lo urlavano addosso, e io, chino, a pulire il vuoto, morivo. Poi lui entra nella barca. E io non potevo dirgli di no. Come se avesse capito che io aspettavo solo qualcuno che volesse abitarmi. Sì ho proprio detto abitarmi. Avevo tanto spazio dentro e avevo bisogno di qualcuno che nel vuoto profondo della mia storia prendesse casa. Lo vidi salire sulla barca, sentii che mi pregava. Pregava di poter stare dentro di me. No so se potete capire quello che sto dicendo ma in quel momento i miei nervi vacillarono come la barca stessa sotto il suo peso… mi guardavo allo specchio e vedevo la mia vita abitata da un uomo nuovo. Non so se potete capire ma quella barca ero io. Lasciai le reti senza troppo rimpianto e salii. Rientrai dentro di me. Non più solo. Io delle Sue Parole non ricordo niente. Giuro, niente. Solo vedevo una speranza negli occhi della gente che non avevo mai visto prima. Io di questo avevo bisogno. Io di questo volevo vivere. Loro ascoltavano e lui parlava e la vita sembrava, almeno per un attimo, avere senso. Poi mi chiese di prendere il largo. Non ebbi il minimo dubbio. Poteva chiedermi tutto, anche la follia più atroce e io là avrei fatto, pur di non lasciarlo uscire dalla mia vita. Non so se potete capire ma io avevo terrore di tornare ad essere solo. Mi chiedeva di pescare dopo che non avevo preso niente? Avrei pescato. Perché lui era dentro di me. Perché lui ormai mi abitava. E io volevo trattenerlo. La barca che si riempie è quello che tutti raccontano. Pesce abbondante con il minimo sforzo. Un miracolo. Sapete cosa vedevo io? Sempre meno vuoto. Io non guardavo i pesci, io guardavo il niente che si lasciava mangiare da quell’abbondanza di vita. Io non guardavo i pesci, io ero concentrato sullo spazio che mi veniva tolto. I pesci mi buttarono fuori dalla mia barca. Lo stupore mi fece indietreggiare: allontanati da me! Lui mi guardò e sorrise, ormai era dentro di me. Io pescatore e lui uomo nuovo. Pescatore di uomini. Qualcuno ha scritto che ho abbandonato tutto per seguire Gesù, non è corretto, solo non avevo più spazio per vivere, da solo, sulla mia barca. Quella vita non mi bastava più. E poi io ero diventato la barca e lui il pescatore, era cambiato il vento, e io mi lasciavo condurre volentieri lontano da lì. Ci aspettavano tempeste, lotta, lotta dura lui non mi abbandona mai. Io so mi sono capovolto, mi sono opposto, quasi inabissato, credo di averlo ferito e deluso. Ma lui…lui non mi ha più lasciato. E mi abita ancora.

Edda CattaniResta nella mia barca
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Una barca in tempesta

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Siamo barche in tempesta!

.. c’è un mistero, buon Dio, nella banalità che ci rende furiosi e strappa cuori pieni di stanchezza e vuoti di passione .. un mistero che Tu, però, spingi in un angolo sacro che per noi è un abisso, ma per Te è ascensione .. allora sentiamo salire un dolore lento, forte, e una lenta nostalgia di lotta che diventa rabbia .. mentre Tu ancora a dirci di prendere il largo e che di noi non sei mai stanco ..(B.F.)

 

 

 

Tempi duri per tutti anche se siamo in clima festaiolo. I commenti sono i medesimi: spesa troppo cara, gente senza lavoro, figli disoccupati, famiglie allo sfascio…  Per chi, come me, ha vissuto il dopoguerra sembrerebbe un richiamo alla congiuntura del passato… ma non è così: si viveva in ristrettezze ma c’era la speranza. Ora questa sembra essersi dissolta e più che mai ci si ritrova poveri fra i poveri in un mare in tempesta… Il Vangelo di questa domenica è un richiamo a tirare i remi in barca e a ricominciare da capo:

 

Il Commento del Vescovo emerito Mons. A.Riboldi:

“In quel tempo, mentre Gesù, levato in piedi, stava presso il lago di Genezareth e la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù vide due barche ormeggiate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì su una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: ‘Prendi il largo, e calate le reti per la pesca’.

Simone rispose: ‘Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla, ma sulla tua parola getterò le reti’. E avendolo fatto presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: ‘Signore, allontanati da me che sono un peccatore’. Grande infatti era lo stupore che aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo, Giovanni, figli di Zebedeo che erano soci di Simone. Ma Gesù disse a Simone: ‘Non temere, d’ora in poi sarai pescatore di uomini’. Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono”. (Lc. 5, 1-11)

Pietro era un pescatore che veniva da una pesca fallimentare. Aveva faticato tutta una notte sul lago di Tiberiade che conosceva palmo per palmo. Era in fondo una sua scelta di vita fare il pescatore. E un buon pescatore non esce mai in mare se non ha la quasi certezza di tornare con le reti piene. Tornare a mani vuote non voleva dire solo confessare una incapacità, ma anche e soprattutto non avere il sufficiente per vivere e fare vivere.

Ma quella notte, davanti al Maestro che aveva scelto di essere spettatore, era stata la notte del fallimento che è così ben espresso da Pietro: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla».

E Gesù vuole dare un segno a Pietro, proprio sul campo della sua competenza. «Prendi il largo e cala le reti». Pietro, dopo la confessione del suo fallimento, obbedisce dicendo: «Sulla tua parola getterò le reti».

Questa è la fiducia di coloro che si affidano, che sanno di non potere nulla in presenza di situazioni allo sbando, nella caduta delle prospettive… e soprattutto nella fame che c’è di solidarietà, di amore, di speranza.

Continua il Vescovo Riboldi:

Per me è stupendo questo atteggiamento di Pietro. Aveva mille e una ragione per essere furibondo contro se stesso, il mare e contro ogni speranza: perché trovarsi con le mani vuote dopo una grande fatica è come avere le gambe rotte. Supera se stesso e con la docilità di un bambino, fidandosi della parola di Uno che in fondo conosceva appena di vista o di fama, ma con il quale non aveva ancora alcuna familiarità, torna in mare avventurandosi al largo dove si misura capacità e coraggio. «E presero una quantità enorme di pesci che le reti si rompevano».

Il risultato perciò non viene dalle nostre capacità, ma dalla fede sulla Sua Parola.

 

Sali sulla mia barca, Signore!

Sali sulla mia barca, Signore!
Tante volte ho avuto l’impressione
che la mia vita
sia come una notte trascorsa
in una pesca fallita.
Allora mi assale la delusione,
mi prende il senso dell’inutilità.
Sali sulla mia barca Signore,
per dirmi da che parte
devo gettare le reti,
per dare fiducia ai miei gesti,
per capire che non devo
lavorare da solo,
per convincermi che il mio lavoro
vale niente senza di Te,
senza la Tua presenza.
Sali sulla mia barca Signore,
per donare calma e serenità.
Prendi Tu il timone:
accetto di essere tuo pescatore.
Insieme pescheremo, Signore,
e giungeremo sicuri
al porto della vita

 

Ma tutto questo riesce strano… quando non difficile… e a tal proposito mi è stato scritto:

Come sei strano Gesù. Già è difficile credere alla Tua venuta, dalla sola testimonianza dei Vangeli. E Tu, cosa fai?! Ti vai a mascherare nelle persone più lacerate, quelle che puzzano; nei malati che ossessionano le nostre ore con la cantilena della propria sofferenza; nel ghigno beffardo di quell’uomo che ha sparato nel viso a una donna.

Come sei strano Gesù. Perché fai questo? Vuoi forse ricomporre ogni cosa? Prenderti in braccio tutti i nostri scarti e dirci che, dal momento della Tua venuta, non si butta via più nulla? Sei qui, perché per seguirti, dobbiamo perdere la nostra reputazione, il nostro buon nome, la nostra pace? E la porta è stretta da attraversare.

Sei anche un tipo “ganzo” Gesù. Perché avvicinarsi a Te, significa essere prossimi alla libertà. Assaporare il nomade soffio dello Spirito. Così ci troviamo scrollati dalle catene che gli altri, e noi stessi, abbiamo stretto intorno agli occhi del nostro stare al mondo.

 

 

 

 

Edda CattaniUna barca in tempesta
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Dalla Terra dei Fuochi

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E domani ci torno… fra queste Mamme che sanno manifestare con forza la loro disperazione…

La testimonianza delle Mamme Coraggio!

Da Facebook

Ieri a Porta a Porta ospiti in studio due mamme che vivono in Campania e hanno perso i loro figli per colpa di un tumore. Eppure il conduttore durante la trasmissione non ha mai usato la parola cancro. Marzia Caccioppoli: «In trasmissione per esempio non sono riuscita a parlare del problema dell’evasione fiscale o del fatto che in Campania non esiste la terapia del dolore. In queste terre la camorra esegue quello che lo Stato colluso le comanda».

Marzia Caccioppoli con suo figlio Antonio morto a nove anni e mezzo

Ieri in seconda serata è andata in onda una puntata di Porta a Porta dove si è parlato di Terra dei fuochi. Tra gli ospiti in studio Beppe Fiorello, protagonista della prima puntata della fiction andata in onda in prima serata, sempre su Rai1, “Io non mi arrendo” che nella mini-serie interpreta il ruolo di Roberto Mancini, il poliziotto che per primo indagò sulla questione dei rifiuti tossici in Campania, Loredana Musmeci dell’Istituto Superiore della Sanità e la moglie di Roberto Mancini Monika Dobrowolska. Poi due “mamme delle terra dei fuochi” che fanno parte dell’associazione “Noi genitori di Tutti”, Anna Magri e Marzia Caccioppoli; i loro figli sono morti a 22 mesi e nove anni e mezzo per colpa di un tumore.
Ma alle due mamme è stata davvero data la possibilità di denunciare tutto?
Vita.it intervista Marzia Caccioppoli che racconta quello che avrebbe voluto aggiungere…

Dopo la puntata di Porta a Porta si sono sollevate alcune polemiche. Prima tra tutte, il conduttore Bruno Vespa non ha mai utilizzato, neanche una volta, la parola cancro o tumore. Ha sempre parlato di malattia grave e ha sottolineato più volte che la percentuale della terra inquinata “è solo una piccolissima parte della Campania”…
Quando io e Anna Magri abbiamo accettato l’invito eravamo consapevoli che non avremmo avuto modo di ribattere molto o di raccontare la gravità dei fatti. Queste sono le regole di quel format televisivo.

Allora perché avete accettato lo stesso l’invito?
Per due ragioni. La prima è che se non fossimo andate noi avrebbero potuto invitare qualcuno dei medici negazionisti che non fa altro che peggiorare la nostra situazione. La seconda è che il nostro obiettivo è mantenere alta l’attenzione mediatica sulla tragedia che si consuma ogni giorno nella nostra terra. Saremmo volute andare in trasmissione con qualcuno dei dottori che collabora con l’associazione. Ma questo non è stato possibile.

Cosa avrebbe voluto aggiungere ieri sera?
Che quel 3% di cui tanto si parla e che si tende a banalizzare come una percentuale piccolissima non è poi così insignificante se si considera che è tutta concentrata tra i comuni a Nord tra Napoli e Caserta.
Che quello per cui ci stiamo battendo non è solo il numero di morti per tumore ma soprattutto il numero dei bambini morti per tumore. Sono due cose differenti. Ieri è stato ripetuto da Loredana Musmeci, dirigente di ricerca all’Istituto Superiore di Sanità, che ci sono altre zone d’Italia come Brescia, Gela, Taranto, nella stessa situazione della terra dei fuochi…Il problema è anche questo: la Campania non è una regione industrializzata. Qui si vive ancora di agricoltura. Com’è possibile che ci si ammali allo stesso modo? I rifiuti tossici sono stati sversati per 30 anni tutti i giorni in queste terre. La camorra ha eseguito ed esegue quello che lo Stato colluso le comanda.

Quale altra questione doveva essere approfondita?
Quella dei roghi. Che invece di diminuire aumentano. Avevano parlato di 800 militari da mandare nelle Terra dei Fuochi. Io non ne ho visto nemmeno uno. Però quello che penso io è che le forze dell’ordine devono essere rafforzate sul posto. E che quei soldi invece potrebbero essere investiti nella prevenzione della salute dei bambini.

TINA ZACCARIA

Io non mi arrendo seconda puntata
Una madre della terra dei fuochi e un corteo di altre madri rompe il discorso della propaganda politica dell’ avvocato della monnezza
Hanno tutte in mano le foto dei loro figli morti di cancro
Quei tredici anni per sempre riecheggiano nelle coscienze di tutti quelli che vogliono ascoltare
Per altri è solo una fiction
Ognuno di noi sceglierà da domani, come sempre, da che parte stare
Io sto con chi quei tredici anni avrebbe dovuto viverli, con chi avrebbe dovuto diventare grande e con tutte le madri e i padri che vivono senza i loro piccoli accanto
Io sto con Alessia Mancini, che ha dovuto rinunciare troppo presto al suo papi
Io sto con Monika Dobrowolska Mancini
che quel giorno ai funerali di Roberto era con la mia gente e già lottava con noi
Continuate a parlare di Roberto, non lo dimenticate, continuate a parlare dei nostri tredici anni per sempre, non dimenticate i nostri figli
Non li usate, vi supplico, ma non li dimenticate
Perché certe ferite non smetteranno mai di sanguinare
Perché i figli che ci restano hanno il diritto di conoscere la verità e di essere protetti affinché diventino grandi

ANTONIO MARFELLA

 

IO NON MI ARRENDO, NOI NON CI ARRENDIAMO…..MA RENDIAMOCI CONTO DI QUANTO SIA DURA , PERICOLOSA E GRANDE QUESTA GUERRA…….
ho finito di assistere alla seconda puntata della realtà di “IO NON MI ARRENDO” SULLA VITA , LA MALATTIA E LA MORTE del tenente Roberto Mancini e della sua meravigliosa famiglia. Sto ancora piangendo, ma sono felice che’ non sara’ sporcata di nuovo da Porta a Porta. Senza la voce delle nostre mamme, senza la voce dei nostri profeti come padre maurizio patriciello, Avvenire e la Chiesa tutta, “pazzi” come il tenente Roberto Mancini o il medico Marfella starebbero a morire nel silenzio del loro lavoro e del sacrificio supremo del rispetto dell’etica professionale chi come poliziotto, chi come medico. NON CI DEVONO SPORCARE LE NOSTRE MAMME, NE’ I NOSTRI PRETI. NON CI DEVONO PROVARE AD ANNACQUARE IL NOSTRO DOLORE PER LO SFACELO CERTO DELLA NOSTRA TERRA E QUINDI, OBBLIGATORIAMENTE, DELLA NOSTRA SALUTE…..NON LO TOLLERO….NON SMETTERO’ MAI DI COMBATTERE….pero’ rendiamoci conto tutti che il nostro principale nemico non sono quindi i camorristi, tra i quali qualcuno si pente, ma sono certamente i potentissimi imprenditori, che oggi lavorano e guadagnano almeno tre volte in piu’ di quando mancini indagava, e il nostro stesso Stato che non puo’ e non potra’ mai ammettere ne’ di essere stato e di essere ancora complice o colluso . vi prego di leggere il libro IO MORTO PER DOVERE perche’ ci troverete tutti i nomi veri . stiamo vivendo la guerra civile piu grande nella nostra regione dopo la seconda guerra mondiale, con danni di lunga portata di gran lunga maggiori di quelli dei bombardamenti nazisti ed alleati perche quasi tutto quello sversato non potrà piu’ essere bonificato realmente. dobbiamo riuscire a conviverci ma senza farci prendere in giro dai complici mai pentiti di quegli assassini…e i medici che non appaiono mai nel film sono ancora oggi i principali complici di fatto con la questione ormai del tutto irrilevante del nesso di causalità. il mio grazie imperituro e totale non solo al tenente mancini ed alla sua famiglia, ma anche al sacrificio delle nostre mamme, dei nostri preti, della nostra Chiesa….ma che non vadano mai in giro senza CAVALIERI DI SCORTA……specie A PORTA A PORTA…..un bacio di profonda gratitudine a tutti, stringiamoci insieme nella preghiera e nel ringraziamento per eroi che anche essi esistono oggi in rai solo grazie alla vostra lotta……asciughiamo il pianto e ridendo di sfida, alla mancini, affrontiamo tutti i nostri occulti o palesi nemici della nostra terra e dei nostri figli, negazionisti compresi…ormai possono solo cercare di evitare di sprofondare dalla vergogna….ma a quanto pare….NON HANNO VERGOGNA…..TOCCA A TUTTI NOI UNITI A COORTE…….OGNUNO NEL PROPRIO RUOLO, essere pronti alla morte, PER DIFENDERE LA VITA………..ITALIA SVERSO’!…….SI………che nessuna mamma vada in giro senza cavaliere di scorta……e rispettiamo l’appello della signora mancini “continuate la battaglia di roberto”….e specie cavalieri come me rispettino l’appello della figlia di roberto , come leggo tante volte ogni giorno negli occhi e nel silenzio di mia figlia : non deve accadere che anche io cada nella stessa debolezza che ha ucciso il tenente mancini…..non devono avere questa soddisfazione…..ognuno di noi serve in battaglia….

Edda CattaniDalla Terra dei Fuochi
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Il soffio dello Spirito rende «unici»

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Il soffio dello Spirito rende «unici»

 

La sera di quel giorno, il primo della settimana, […] venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». La casa fu piena di vento, e apparvero loro come lingue di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno. E ognuna accende un cuore, sposa una libertà, consacra una diversità. Lo Spirito dà a ogni creatura una genialità propria, una santità che è unica.

A noi che cosa compete? Accogliere questo straordinario respiro di Dio che riporta al cuore Cristo e le sue parole e ci trasforma; accoglierlo, perché il mio piccolo io deve dilatarsi nell’infinito io divino. E poi la missione: a coloro cui perdonerete i peccati saranno perdonati, a coloro cui non perdonerete non saranno perdonati. Il perdono dei peccati è l’impegno di tutti coloro che hanno ricevuto lo Spirito, donne e uomini, grandi e bambini. Perdonate, che vuol dire: piantate attorno a voi oasi di riconciliazione, piccole oasi di pace in tutti i deserti della violenza; tutto intorno a voi create strade di avvicinamenti, aprite porte, riaccendete il calore, riannodate fiducia. Moltiplichiamo piccole oasi e queste conquisteranno il deserto. «Perdonare significa de-creare il male» (Panikkar). Allora venga lo Spirito, riporti l’innocenza e la fiducia nella vita, soffi via le ceneri delle paure, «consolidi in ciascuno di noi la certezza più umana che abbiamo e che tutti ci compone in unità: l’aspirazione alla pace, alla gioia, alla vita, all’amore» (G. Vannucci). (Letture: Atti degli Apostoli 2,1-11; Salmo 103; 1 Corinzi 12,3b-7.12-13; Giovanni 20,19-23)

(dal Centro G.Vannucci)

 

 

Edda CattaniIl soffio dello Spirito rende «unici»
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Avere nuovi occhi

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Avere nuovi occhi

 

“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre ma nell’avere nuovi occhi e imparare a vedere con occhi diversi da quello che ciascuno vede e ciascuno è” (M.Proust)

 

E’ un aforisma che mi va a genio… poi Proust lo conosco … ma questa volta ha segnato il mio cammino in questi giorni di riflessione.

 

In cosa consiste per me “avere nuovi occhi”.  Essere in cerca di una chiave…magari quella di Sol, trovarla e usarla per udire le note spesso inudibili, quelle di uno “spartito” che non viene sempre considerato.

La chiamerei , la chiave della comunicazione.

 

Perché in questa citazione mi ci ritrovo? Mi ritrovo proprio perché la mia comprensione mi porta ad avere “nuovi occhi”, nel mio viaggio di scoperta che può rappresentare il mio nuovo cammino. Sono certa che quando il “mio” mondo giunga ad essere cambiato, i miei occhi vedranno molto, molto diversamente da prima.

 

Mi piacerebbe infine, non ritrovarmi sola, ma che le più varie sinfonie nelle persone che ho incontrato in questo “mio” mondo, anche con ritmi diversi e strumenti sconosciuti o rari, formassero solo una vera polifonia…

 

Si può pensare che questo sia un sogno ?

Eh, eh, senz’altro…ma questo è per me “avere nuovi occhi!”

 

 

“Spesso il male di vivere ha incontrato il mio povero cuore nel tempo” scrive Proust, che, possiamo dire con Leopardi, abbia un comune male di vivere, la tristezza e il loro povero cuore malandato attraverso il tempo.

 

Il punto comune della prosa di Proust e della poesia di Leopardi non è solo nel povero cuore, nel male di vivere, ma in quella volontà di non scambiare l’essenziale col transitorio, non confondere, ciò che conta da ciò che non conta, da ciò che non è importante.

E ciò che non è importante,  dobbiamo tenerlo in considerazione: non dobbiamo perderci, perdere il tempo dietro a ciò che non conta.

 

Ma che cos’è l’essenziale? Il sogno. E’ il sogno l’essenziale; sia in Proust che in Leopardi.

 

“Chi potrebbe”, infatti, “affermare tranquillamente di non esser che un tentativo nel vuoto, se non il sognatore di un tale sogno, tale sognatore particolare di un sogno specifico, che egli è il solo a poter raccontare in questi termini – e quel sogno è anche universale, è il sogno di tutti e di chiunque?”

 

Ci si conosce, allora, anche se si è lontani, anche se i corpi non si sono mai toccati e gli occhi mai incontrati, ci si conosce perché si sogna un sogno specifico che è anche universale; è il sogno di tutti che si sogna.

Ma che cos’è il sogno? Qual è, o meglio, che caratteristiche ha questo sogno specifico, individuale ma di tutti, universale?

Il problema del sogno è l’irrealizzabilità e, soprattutto, la solitudine: si sogna ma si è soli.

 

Quel sogno di cui si parlava prima è sì universale e di tutti, ma il sognatore, l’uomo, nel sognare è perfettamente solo.  E solo rimane perché, il sogno non si realizza, non può concretizzarsi, mai.

“Il sogno è oblio del mondo” è la prima caratteristica, il fattore primo, la spinta e lo start alla solitudine.

 

C’è un aspetto tremendamente pericoloso nel sogno: il mondo viene temporaneamente ‘cancellato’, dimenticato. Ci si isola, allora, dal mondo, da quella che tutti considerano la realtà e si è soli con il proprio sogno, “il sogno disgrega il soggetto”, lo spartisce, e questo non può durare più d’un attimo.

 

Insomma, alla fine di un viaggio, di un sogno, di una lettura, di una riflessione bisogna tornare. Ritornare, quindi, a questa realtà, non per ricevere indifesi i suoi attacchi al nostro ‘povero cuore’, ma certi che ora, alla fine del viaggio, il viaggiatore, il sognatore è tornato forte del suo sogno e sa, magari, in qualche modo, tenere a debita distanza, non lasciarsi del tutto invischiare, infangare dalla realtà.

 

A questo punto il sognatore conosce, forse, qualcosa che prima non aveva assaporato (non poteva) in questa misera realtà: il gusto di vivere.

 

Attivare lo sviluppo di tutte le capacità insite nell’essere umano, sincronizzando la propria parte femminile con quella maschile e divenendo canale per l’energia cosmica. Permettere la conoscenza e l’utilizzo di tecniche di meditazione e di rilascio emozionale per poter guarire i condizionamenti nascosti nel subconscio. Ritrovare la missione della propria Anima, attribuendo ad essa il vero e profondo significato della propria vita.

 

Ho sentito proporre la “benattia” in sostituzione del termine “malattia” e a tal proposito riportare l’aneddoto “Dio esiste? Risponde Albert Einstein?”

 

DIO ESISTE?

Durante una lezione, un professore lanciò una sfida ai suoi alunni con la seguente domanda:

“Dio creò tutto quello che esiste? “ ”Un alunno rispose con coraggio:” Sì, Lui creò tutto… “

“Realmente Dio creò tutto quello che esiste?” domandò di nuovo il maestro.

Sì signore, rispose il giovane.

Il professore rispose: “Se Dio ha creato tutto quello che esiste, Dio ha fatto anche il male, visto che esiste il male! E se stabiliamo che le nostre azioni sono un riflesso di noi stessi, Dio è cattivo!”

Il giovane ammutolì di fronte alla risposta del maestro, inorgoglito per aver dimostrato, ancora un volta, che la fede era un mito.

Un altro studente alzò la mano e disse: “Posso farle una domanda, professore?”

“Logico, fu la risposta del professore.

Il giovane si alzò e chiese:” Professore, il freddo esiste?”

“Però che domanda è questa?… Logico che esiste, o per caso non hai mai sentito freddo?”

Il ragazzo rispose: “ In realtà, signore, il freddo non esiste. Secondo le leggi della Fisica, quello che consideriamo freddo, in realtà è l’assenza di calore. Ogni corpo o oggetto lo si può studiare quando possiede o trasmette energia; il calore è quello che permette al corpo di trattenere o trasmettere energia. Lo zero assoluto è l’assenza totale di calore; tutti i corpi rimangono inerti, incapaci di reagire, però il freddo non esiste. Abbiamo creato questa definizione per descrivere come ci sentiamo quando non abbiamo calore ”.

“E,… esiste l’oscurità?”, continuò lo studente. Il professore rispose: “Esiste”.

Il ragazzo rispose: “Neppure l’oscurità esiste. L’oscurità, in realtà, è l’assenza di luce. La luce la possiamo studiare, l’oscurità, no! Attraverso il prisma di Nichols, si può scomporre la luce bianca nei suoi vari colori, con le sue differenti lunghezze d’onda. L’oscurità, no!… Come si può conoscere il grado di oscurità in un determinato spazio? In base alla quantità di luce presente in quello spazio. L’oscurità è una definizione usata dall’uomo per descrivere il grado di buio quando non c’è luce”. Per concludere, il giovane chiese al professore: “Signore, il male esiste?”

E il professore rispose: “Come ho affermato all’inizio, vediamo stupri, crimini, violenza in tutto il mondo. Quelle cose sono del male”

Lo studente rispose: “ Il male non esiste, Professore, o per lo meno non esiste da se stesso. Il male è semplicemente l’assenza di bene… Conformemente ai casi anteriori, il male è una definizione che l’uomo ha inventato per descrivere l’assenza di Dio. Dio non creò il male…

Il male è il risultato dell’assenza di Dio nel cuore degli esseri umani. Lo stesso succede con il freddo, quando non c’è calore, o con l’oscurità, quando non c’è luce“.

Il giovane fu applaudito da tutti in piedi, e il maestro, scuotendo la testa, rimase in silenzio.

Il rettore dell’Università, che era presente, si diresse verso il giovane studente e gli domandò: “Qual è il tuo nome?” La risposta fu: “Mi chiamo Albert Einstein”.

Dio è una realtà “non tangibile” ma abita nel nostro cuore impariamo ad ascoltarlo…

 

E’ questa la proposta di una nuova filosofia del vivere quotidiano, inglobando emozioni, sensazioni, percezioni, gesti, pensieri, azioni, abitudini, convinzioni spesso inconsce, che, vissute nella piena consapevolezza della Vita, portano ad una dimensione nuova dell’esistenza e ad un contatto con il divino che è in noi.

 

Lo scopo della vita è tornare all’Amore, in ogni momento e per realizzarlo ciascuno deve comprendere di essere responsabile della propria vita per quello che è. Noi siamo creatori del IO SONO, perfetto, come tutti e tutto, ma spesso siamo vittime di ciò che perfetto non è, cioè il ricordo come giudizio, rabbia, sensi di colpa. Abbiamo bisogno di perdono e come dice F.Oliviero dobbiamo chiederlo a Dio. Certamente il Padre d’amore non ha bisogno della nostra richiesta di perdono, ma se la richiesta ci porta ad una “pulizia” interiore riusciamo a vivere l’amore allo stato puro.

 

Ecco arrivati all’assioma: TUTTO E’ AMORE ma sta a noi ripulire i programmi della nostra esistenza per vivere in pienezza il dono della vita che ci è stato dato. Ognuno deve suonare il proprio strumento nella sinfonia della vita ed è allora che il mondo funziona e noi siamo in grado di emanare quella luce di cui c’è tanto bisogno.

 

Tutto quanto ho elaborato vorrà dire per me “avere nuovi occhi”? Lo spero … Non per nulla la consapevolezza del divino che è in noi faceva dire a Madre Teresa di Calcutta: “Non sono altro che una piccola matita nelle mani di Dio”:

 

 

 

 

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I sogni: linguaggio segreto di Dio

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I sogni: linguaggio segreto di Dio

 

Impariamo a decifrare i nostri sogni come “linguaggio dimenticato di Dio”. I sogni hanno una grande rilevanza per la nostra vita. Non ci indicano solamente come stiamo e che passi dobbiamo compiere sulla strada della maturazione e del cambiamento. Possono anche essere delle guide alla consapevolezza interiore e – come linguaggio segreto di Dio – trasformarsi in luogo di esperienza profonda.

Possiamo farlo guardando innanzitutto alla sapienza dell’Oriente e dell’Occidente, alla tradizione biblica sui sogni e le visioni come rivelazioni divine, alla tradizione antica dei secoli cristiani, ma tenendo conto anche della interpretazione dei sogni data dalla psicologia junghiana. Nel loro linguaggio misterioso, irrazionale, numinoso, i sogni ci sollecitano a camminare nella direzione che corrisponde al nostro essere. Non sono regolati dalle leggi naturali e neanche dai nostri criteri morali. Possono essere molto importanti per il nostro percorso spirituale inteso come processo di trasformazione. Il mondo onirico svela la mia verità interiore e mi dice come sto. Con le loro immagini, i sogni indicano che passi devo compiere e, spesso, sono un monito a vivere con maggiore consapevolezza interiore. Sono, infine, una promessa di ulteriorità e un luogo dove fare esperienza di Dio.

Il fatto di sognare unisce gli uomini a tutto il mondo. Infatti, in tutti i popoli e in tutte le culture e le religioni, gli uomini fanno sogni. Secondo C.G. Jung con i sogni ci immergiamo nell’unus mundus, nell'”unico mondo”, nel quale siamo tutti uniti tra noi, nel quale tutto è uno. Da millenni gli uomini di tutte le culture si sono occupati dei sogni. E sull’argomento hanno scritto interi libri.

Le affermazioni sui sogni e sul modo di interpretarli si differenziano a seconda della cultura, a seconda dell’epoca storica e a seconda della prospettiva in cui li si osserva. Questo vale anzitutto per l’Occidente: gli scritti sui sogni dell’antichità greca o dei padri della chiesa comprendono i sogni diversamente dagli studi sui sogni dei nostri giorni, e anche in diverse scuole psicologiche di oggi si approda a interpretazioni differenti. E questo vale anche per l’Oriente. I primi testi sui sogni apparvero in Cina già mille anni prima di Cristo. Essi presentano sui sogni una visione diversa da quella dei curatori d’anime e degli psicologi dell’Asia contemporanea.

Un aspetto però hanno in comune tutti gli studi sui sogni e tutti i tentativi di comprenderli e interpretarli: il fascino prodotto da ciò che l’uomo incontra di notte nel sogno. Tutte le culture sono concordi nell’affermare che si deve prestare attenzione ai sogni perché portano in sé un messaggio importante per l’essere umano. È buona cosa ascoltare i sogni e non liquidarli come semplici “scorie” come si è fatto all’epoca del razionalismo.

Ogni volta che abbiamo avvicinato il sogno lo abbiamo fatto con la nostra personale intuizione. La nostra intuizione, però, è determinata naturalmente anche dalla nostra provenienza. Per me non è soltanto la tradizione cristiana, ma anche la tradizione della filosofia e della psicologia occidentale e, soprattutto, la trattazione dei sogni con la psicologia di C.G. Jung. È stimolante per noi guardare i sogni con occhi diversi.

Ne esce quanto segue: noi occidentali guardiamo il sogno considerando soprattutto ciò che i vari simboli dicono della nostra psiche, quali problemi interni segnalano e quali strade ci mostrano che potrebbero aiutarci nel proseguire sulla nostra strada dell’individuazione o — detto in termini cristiani — nel nostro percorso spirituale, nella nostra sequela di Cristo. Gli asiatici — soprattutto quelli influenzati dal daoismo — si domandano invece che cosa ci vorrebbe dire il sogno a proposito della nostra natura di esseri umani. Per loro i sogni sono parabole che trasmettono un messaggio importante sul nostro essere uomini. Qui non si tratta tanto dell’evoluzione dell’uomo, quanto piuttosto del suo essere, della sua natura. Le due prospettive hanno una loro giustificazione.

Il futuro del nostro mondo dipende dal dialogo, dal dialogo tra le religioni e le culture e dal dialogo tra le diverse scienze, tra teologia e psicologia, biologia e ricerche sul cervello. Per noi il dialogo sulle nostre diverse provenienze e prospettive è appassionante e stimolante. Può essere un arricchimento per tutti quando osserviamo i nostri sogni e cerchiamo di comprenderli. Osserviamoli con sentimenti di gratitudine. Dio stesso ce li manda o — come spesso dice la Bibbia — un angelo viene a noi nella notte e ci parla nel sogno. Osserviamo i sogni con una certa curiosità. Ogni notte l’angelo ci trasmette un messaggio importante, un messaggio che riguarda noi e il nostro essere uomini, ma anche un messaggio per come proseguire il nostro cammino. Cerchiamo di comprendere il messaggio e di rispondere ad esso come Matteo ci racconta di Giuseppe: «Quando si destò dal sonno, fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore» (Mt 1,24). Potremo confidare allora che anche la vostra storia sarà una storia di salvezza, nella quale l’Emmanuele — il Dio con noi — ci insegna la strada e ci accompagna finché il nostro cammino si trasformi in via di redenzione e di salvezza.

 

 

 

Edda CattaniI sogni: linguaggio segreto di Dio
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