Il pensiero è calamita: esso attira energia su ciò che pensi.
Dove va il pensiero là porti energia.
Ti giova ospitare pensieri che danno fiducia, speranza e aiuto.
Considera il corpo e la mente come due amici che si aiutano.
Quando la mente è abitata da emozioni spiacevoli
mettila a riposare e attiva il corpo.
Puoi valorizzare questo collegamento per guarire emozioni malate e promuovere serenità. Anticipa con le azioni del corpo quello che vuoi essere con le emozioni della mente. Puoi imitare i gesti delle persone calme,serene,tranquille.Che cosa stai dicendoti per essere arrabbiato, triste o depresso? Esplora le emozioni come una lingua da apprendere e praticare. Considera questi inviti:
Quando sei triste, depresso…esci da te, fa movimenti energici e mirati, lavora, cammina, canta…và a incontrare persone.
Quando senti rancore verso qualcuno, slanciati nell’ emozione opposta per fare equilibrio. Spegni il fuoco della rabbia perchè non ti faccia male. La riconciliazione prima di essere un favore all’altro è un regalo a te. Immagina le buone ragioni dell’altro con empatia. Fai gesti di rispetto e affetto… anche se sei poco convinto l’azione porta energia al pensiero corrispondente.
Quando uno stormo di pensieri tristi ti invade batti le mani per farli scappar via e chiama pensieri positivi che ti fanno buona compagnia.
Quando attraversi una avversità, pensa che puo essere una opportunità.
ed ora, amato mio, posso ricordare ed annunciare che questo mi hai lasciato!
Accettare il dolore
“Tu sei venuto a piangere, perché ciò che ti mancava era il pianto”
Riflettiamo:
“Portare i pesi gli uni degli altri” (Gal 6,2). La legge di Cristo è una legge del “portare”. Portare vuol dire sopportare, soffrire insieme. Il fratello è un peso per il cristiano. Solo se è un peso, l’altro è veramente un fratello e non un oggetto da dominare. Il peso degli uomini per Dio stesso è stato così grave che egli ha dovuto piegarsi sotto questo peso e lasciarsi crocifiggere. Nel portare gli uomini Dio ha mantenuto la comunione con loro. È la legge di Cristo che si è compiuta sulla croce. E i cristiani partecipano a questa legge. Essi devono sopportare il fratello; ma quello che è più importante, essi sono anche in grado di portare il fratello, sotto la legge che è compiuta in Cristo.
La Scrittura parla spesso di “portare”. Essa esprime con queste parole tutta l’opera di Cristo: “Erano le nostre malattie che egli portava; erano i nostri dolori quelli di cui si era caricato” (Is 53,4) (10).
AIUTIAMOCI A SPERARE!
Una storiella che si narra nella vita di Abba Bishoi, un monaco copto del IV-V secolo (morì nel 417 d.C.), dice che, poiché egli fruiva di frequenti visioni di Cristo, alcuni monaci gli chiesero di guidarli a incontrare Cristo. Avendo egli ricevuto un messaggio dal Signore, disse ai monaci di recarsi in un certo posto nel deserto, dove avrebbero trovato Cristo ad attenderli. Lungo il cammino essi videro, ai lati della strada, un uomo anziano, malato e sfinito, che chiedeva loro di portarlo perché non ce la faceva più a camminare. Ma essi, desiderosi di incontrare Cristo, ignorarono le suppliche dell’anziano. In coda al loro gruppo giunse Bishoi che, quando vide l’anziano malato, se lo caricò sulle spalle portandolo lungo la strada. Giunto là dove i monaci attendevano Cristo, sentì il peso dell’uomo farsi più leggero, poté rialzare la schiena e constatare che l’anziano era scomparso. Allora rivelò: Cristo era seduto lungo la strada, e aspettava qualcuno che lo aiutasse. Nella loro fretta di vedere Cristo, gli altri monaci si erano dimenticati di essere cristiani. Lui, portando di peso l’anziano malato, aveva portato Cristo stesso.
Portare il malato, portare il fratello
Insegnare ai bambini cosa significhi il rispetto per gli anziani e gli ammalati è educarli all’amore per il prossimo.
È frequente, nei vangeli, l’annotazione che dei malati “vengono portati” a Gesù. Se essi hanno una certa autonomia di movimento, se riescono a camminare dovendo tutt’al più essere sostenuti, essi sono semplicemente “accompagnati”, “condotti”, “guidati” fino a Gesù. È così che gli vengono presentati “malati oppressi da varie malattie e sofferenze” (Mt 4,24) e “molti indemoniati” (Mt 8,16). In alcuni casi si può esitare circa il significato esatto del verbo utilizzato, potendo questo designare sia l’atto di “condurre”, “accompagnare”, sia quello di “portare”: dipende dal livello di autonomia del malato in questione. Questo vale per il verbo phérein (letteralmente “portare”) usato in Marco 1,32 (tutti i malati e gli indemoniati), in 7,32 (una persona sorda e muta), in 8,22 (un cieco), in 9,17. 19-20 (un giovane che ha uno spirito muto). Ma in alcuni casi è assolutamente certo che il malato viene portato, essendo egli steso su un giaciglio, su una barella. In Marco 6,55 si annota che, giunto Gesù a Genesaret, gli abitanti della zona “cominciarono a portargli malati sulle barelle”. Interessante è soprattutto il brano di Marco 2, 1-12 (con i paralleli in Matteo 9, 1-8 e Luca 5,17-26). Dice il testo di Marco:
Essendo entrato di nuovo a Cafarnao, alcuni giorni dopo, si seppe che era in casa. E si radunarono molti, così che non c’era più posto neppure davanti alla porta; ed egli annunziava loro la Parola. E vennero, portando a lui un paralitico, sorretto da quattro persone. E non potendolo presentare a lui a causa della folla, scoperchiarono la terrazza dalla parte dove era [Gesù] e, fatta un’apertura, calarono la barella dove giaceva il paralitico. E Gesù vedendo la loro fede, disse al paralitico: “Figlio ti sono rimessi i tuoi peccati” (Mc 2,1-5).
… e ancora un invito alla pace e … alla speranza
Albero dall’ombra lieve…
Di P. David Maria Turoldo
Albero ramato di voti e speranze come non altro,
pianta dell’uomo che sogna olio fluente,
olio da versare sopra le ferite, olio
che consácri sempre un messia: olivo,
non del tuo legno son fatte le croci!
Albero di Cristo: “Anche gli olivi piangevano
quella Notte, e le pietre erano più pallide
e immobili, l’aria tremava tra ramo
e ramo: e Lui, tutto un sudore di sangue
– la bocca senza voce – mentre abbracciava la terra”.
Ma gli stessi olivi lo vedranno salire in alto
e sparire nel sole: gli stessi olivi
dai quali i fanciulli avevan strappato i rami
per corrergli incontro: una selva di rami
e di voci a cantargli d’allora l’osanna e alleluia.
Olivo, albero essenziale, dall’ombra lieve come
una carezza; e pure ossuto, e nodoso, e carico
di ferite, uguale alla vita: immagine
di ciò che più amiamo! Sempre un tuo ramo
trovi la colomba in volo dopo i diluvi! E siano
i figli virgulti d’olivo intorno a ogni
mensa; e perfino la cenere fatta
di sue foglie d’argento plachi
le tempeste; come le stesse
del mercoledì delle ceneri mettano
in fuga anche la nostra morte.
E papa Giovanni, il padre del mondo, torni
col suo ramo d’olivo in mano
Impegnati a nutrire la mente con pensieri che danno luce, energia ed armonia; esempio:
Vivi il presente con consapevolezza e gratitudine.
Apprezza ciò che c’è metti armonia in ciò che vivi.
“Tu sei ciò che pensi, dal pensiero torbido viene l’azione torbida che crea sofferenza e ti seguirà come le ruote del carro seguono gli zoccoli del bue. Dal pensiero limpido viene l’azione limpida che ti seguirà come l’ombra inseparabile”. (Dhammapada – IV Sec. A.C.)
Mente e Corpo sono due amici che si aiutano a vicenda… se sai come fare.
Quando la mente è sofferente, mettila a riposare. Sfiata lo stress dei pensieri pesanti col respiro vigoroso. Evita la pigrizia stagnante con attività fisiche muscolari: lavoro manuale, cammino, attività artistiche, canto…
Quando il corpo è sofferente chiedi aiuto alla mente: essa è medico, medicina e terapia.
I pensieri sani aiutano la salute del corpo. Il pensiero muove energia, crea realtà, dispone i neuroni del cervello e conduce alle azioni corrispondenti… I pensieri ti modellano!
Il pensiero di stare bene produce benessere, l’effetto placebo è confermato dai neuroscienziati. I farmaci aiutano il corpo, ma non possono insegnarti a vivere meglio.
C’è bisogno di luce che orienti e volontà che dia coraggio a esistere e amore per la vita.
La realtà è quello che è, l’interpretazione dipende da te: la vita è per te ciò che immagini che sia. Dove una persona si dà risposte di malessere un’altra può trasforma le ferite in perle. Esplora pratiche che danno luce, energia e serenità al tuo stile di vita; esempio:
1) coltiva l’arte meditativa per pulire la mente e arredarla con pensieri positivi.
La meditazione pacificante e la scrittura biografica aiutano a chiarirti, a prenderti cura e a farti compagnia. Coltiva il quaderno dei pensieri importanti: nel silenzio meditativo puoi consultare l’intimità della coscienza, il buon consigliere interiore.
2) frequenta il gruppo degli amici sicuri e perseveranti, il confronto e il dialogo ti migliora.
3) apriti al volontariato, per aprirti alla solidarietà sociale e all’amicizia civile.
Qualcuno dice: Sono libero di pensare quello che voglio, nessuno può frugare nel mio cervello e spiare quel che penso…
“Invece… guarda bene i tuoi pensieri… diventeranno le tue parole… diventeranno le tue abitudini…diventeranno il tuo destino”. (Gandhi)
RACCONTA PENSIERI CHE TI DANNO SALUTE FISICA, PSICHICA E SPIRITUALE esempio:
Il tuo cuore è contento quando accogli ogni persona come messaggio per te: ogni uomo è una stella e ogni stella ha il suo splendore…
Il passato se n’è andato, il futuro non è ancora arrivato, vivi la fioritura del presente più armoniosamente che puoi, è il tesoro a tua disposizione. Qui, ora tocca la vita che scorre dentro e attorno a te.
Sii consapevole delle parole che rivolgi a te… l’inconscio ti ascolta!
Le parole dette o pensate: muovono energia, costruiscono realtà, dispongono i neuroni del cervello e conducono alle azioni corrispondenti… sono profezie che si auto-avverano. Questo messaggio viene dai neuroscienziati.
Se tu dici “sono sfortunato, stressato, depresso, non ce la faccio…” stai auto-limitandoti. Se dici “ho fiducia, speranza, apprezzo ciò che c’è, ce la farò…” regali energia positiva a te. Cambiando parole puoi cambiare stile di vita. Le parole che dici ti modellano. La realtà è quello che è, l’interpretazione dipende da te. Chi è positivo, consciamente o inconsciamente farà in modo che ciò accada; chi è negativo, inaridisce, incupisce, incattivisce, stressa e inquina l’ambiente. Perciò diventa consapevole e responsabile delle parole che partono da te o arrivano a te. Il timoniere decide la rotta!
Accogli le parole spiacevoli con distacco, non identificarti con emozioni di rabbia-risentimento, gelosia-invidia. Nella rabbia sii come morto. Puoi pensare: “Tu mi colpisci, ma io non esisto”. Con calma valuta ciò che accade e tieni quello che è giusto. Volgi l’ostilità in opportunità.
Accogli le parole belle con entusiasmo:
Loda in pubblico, rimprovera in privato;
Fa’ tre domande prima di un giudizio;
Fa’ tre lodi prima di un rimprovero;
Crea cielo dove altri possano volare.
La mente non conosce il negativo: se ti domando “come stai?” e tu rispondi “non c’è male”, “non mi lamento”, “non c’è problema”… la mente lavora con le parole ‘male’, ‘lamento’, ‘problema’. Invece posso dire “sto bene”, “sono sereno”, “ti incontro con gioia”, “dimmi una parola bella”. Quando usi parole di fiducia, speranza, apprezzamento, fai un regalo a te e un favore agli altri.
Puoi sostituire parole di comando con parole di invito. Esempio: proporre e non imporre, convincere e non vincere, analizzare e non giudicare.
IMPARA A MEMORIA: il silenzio dà valore alle parole; la calma dà valore ai gesti, il sorriso dà valore alla sincerità, quando guardi negli occhi ottieni fiducia.
Dove c’è fede, c’è speranza..
Dove c’è speranza, c’è fede;
Dove c’è amore, c’è pace..
Dove c’è pace, c’è amore;
Dove c’è fratellanza, c’è condivisione…
Dove c’è condivisione, c’è fratellanza;
E dove c’è fede, speranza, amore,
pace, fratellanza e condivisione,
c’è prosperità e giustizia per tutti.
Stiamo preparando il convegno di settembre a Cattolica da cui torneremo con il cuore sereno, abbracciandoci così, in totale condivisione dei sentimenti di amore e fraternità. Mi auguro che questo nostro atteggiamento di disponibilità possa continuare e dare calore al nostro cuore e alle nostre famiglie!
Vi raggiungiamo quando le vacanze sono terminate ed iniziano le scuole. Sappiamo quanti impegni hanno le famiglie in questi giorni ma ci auguriamo che la pausa estiva sia stata di conforto.
Naturalmente abbiamo tutti condiviso tanti eventi drammatici che sono accaduti e ci auguriamo che possa tornare la serenità e la pace, soprattutto per le nuove generazioni che sappiamo quanto bisogno hanno di speranza in un avvenire migliore.
Sono spesso mancati gli aggiornamenti sul sito in quanto è stata molto seguita la pagina FB a nome di ‘Edda Cattani’ che riceve più immediatezza per i molti contatti in tutte le ore della giornata, anche con messaggi privati.
Un invito che ci giunge gradito da Ermes Ronchi, il Servita che ha fatto innamorare Papa Francesco.
Dolce è la vita a chi bene le vuole.
Voler bene alla vita è scoprirne l’implacabile grandezza che conosce luce e tenebra, riso e lacrime ma che comprende soprattutto il mistero trascendente che si cela in ognuno di noi.
E’ scoprirne la dolcezza, mistero delle relazioni che si rivela solo a chi vuole bene. E si può applicare alle persone, a Dio stesso. Il voler bene rende dolce e rende bello ciò che ci circonda.
E per dire come l’amore trasforma la realtà un’ultima citazione della poetessa Saffo:
“La cosa più bella? Io dico: Chi uno ama La cosa più bella è colui che ami”.
Ho pensato più volte a quanto gradita a Dio o quanto importante fosse la preghiera nella mia vita di ogni giorno. Pregare significa trovare il tempo per farlo. Il tempo è sempre quell’entità astratta eppur così concreta con cui fare i conti. E’ uno degli elementi che oggi non basta mai!
Sempre tante cose da fare … forse troppe, troppi oneri, sempre di corsa, sempre maggiori richieste! Una giornata finisce e già una ricomincia … il riposo non é sufficiente e i “conti” non tornano. Alle volte mi dico che la mia giornata dovrebbe essere di trentasei ore, ma forse, nell’organizzarmi non basterebbero nemmeno quelle. La suora che mi ha seguito fin da bambina mi ripeteva: “Ringrazia Dio che tu abbia tanto da fare … Verrà il tempo che anche tu ti ritroverai a “non potere fare”. Saggia testimonianza … Mentore ha percorso tante scale, tutte in salita … ma quando si è fermato non c’era più il tempo …
Mi hanno sempre affascinato le parole dell’abate Quoist che trovai nella mia antologia scolastica:
Sono uscito, Signore, fuori tutti andavano venivano camminavano correvano.
Correvano le bici, le macchine, i camion, la strada, la città, tutti…
Arrivederci…scusi…non ho tempo.
Non posso attendere, ripasserò…non ho tempo.
Termino questa lettera perché non ho tempo.
Avrei voluto aiutarti…ma non ho tempo.
Non posso accettare perché non ho tempo.
Non posso riflettere, leggere non ho tempo .
Vorrei pregare, ma non ho tempo.
Tu comprendi, Signore, vero?… non abbiamo tempo…
Riposo sul cuscino e tengo vicino il crocefisso … E’ un reperto importante, di quelli che sogliono tenere appesi alla corona i francescani. Lo lasciò ad un convegno un religioso che era venuto a spiegarci la vita di Sant’Antonio … Lo dimenticò sotto il tavolo e Mentore mi disse di tenerlo, che era un “segno”. Ora il corpo del Cristo di ferro si va staccando dal legno, ma lo rimetterò in sesto (ci sono tanti collanti che servono allo scopo) e terrò questo simbolo di un percorso lungo, di una strada difficile e tortuosa …
Il mattino presto ho da una parte sul cassettone una copia del “La preghiera dell’abbandono” di P.Charles de Faucould:
Non è la stessa cosa iniziare la giornata di corsa perché è tardi, o iniziarla con calma pregando e mettendo tutto nelle mani del Signore. E’ impensabile affrontare tutti i problemi della vita relegando all’ultimo posto Dio. Anche il tempo è nelle sue mani e mettere Dio al primo posto, significa conquistare il tempo.
Ma come, quando e perché pregare? Mi sono spesso posta questa domanda e a chi l’ho rivolta mi ha risposto che la vita si sfascia giorno dopo giorno… rimane solo l’adorazione e la lode.
E’ vero questo? Dove sta la mia adorazione? Quanto prego il Signore durante la giornata? Gli riserbo uno spazio, un tempo speciale? In tutta sincerità posso dire che nella mia vita non ci sono più programmi … Ho sognato di avere questo tempo, di ritagliarlo dagli impegni, anche nel momento presente, mentre sto scrivendo potrei fermarmi e dire: “Signore voglio pregarti, voglio dirti che ti amo”.
Ma il non farlo è forse venire meno a questo amore? Avrei potuto sabato scorso lasciare sola la madre che piangeva in associazione e ritornare a casa recitando il rosario? Eppure, mentre l’abbracciavo Dio era presente, vivo come non mai. Lo sentivo palpitante, tenero come solo un Padre può essere verso questa creatura che simile alla pecorella tenta di condividere un sentiero percorribile. Dio c’è anche quando non mi fermo per dichiarargli il mio amore … Lui non è come noi umani che vogliamo sentircelo dire … Lui sa, Lui vede, Lui comprende … grazie a Dio!!!
Gabriel José de la Concordia García Márquez, soprannominato Gabo, è stato uno scrittore e giornalista colombiano, insignito, nel 1982, del Premio Nobel per la letteratura.
Data di nascita: 6 marzo 1927, Aracataca, Colombia
Data di morte: 17 aprile 2014, Città del Messico, Messico
Coniuge: Mercedes Barcha Pardo (s. 1958–2014)
Premi: Premio Nobel per la letteratura, Premio Rómulo Gallegos, Neustadt International Prize for Literature
Film: L’amore ai tempi del colera, Cronaca di una morte annunciata, Nessuno scrive al colonnelloIn questi giorni questa riflessione la dedico a tutti coloro che sono andati via innanzi tempo e che la vita avrebbero voluto averla..
“Se per un istante Dio. . . mi regalasse un pezzo di vita, probabilmente non direi tutto quello che
penso, ma sicuramente penserei molto a quello che dico.
Darei valore alle cose, non per quello che valgono, ma per quello che significano.
Dormirei poco, sognerei di più. Capisco che per ogni minuto che chiudiamo gli occhi, perdiamo
sessanta secondi di luce. Mi attiverei quando gli altri si fermano, e mi sveglierei quando gli altri si
addormentano. Ascolterei quando gli altri parlano e mi godrei un buon gelato di cioccolata.
Se Dio mi regalasse un pezzo di vita, vestirei in maniera semplice, mi sdraierei beato al sole,
lasciando allo scoperto non solo il mio corpo ma anche la mia anima.
Dio mio, se io avessi un cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio e aspetterei l’uscita del sole.
Dipingerei sulle stelle un sogno di Van Gogh, una poesia di Benedetti, e una canzone di Serrat;
sarebbe la serenata che offrirei alla luna.
Annaffierei con le mie lacrime le rose, per sentire il dolore delle loro spine e l’incarnato bacio dei
loro petali…
Dio mio, se avessi un pezzo di vita… non lascerei passare un solo giorno senza ricordare alla gente
che le voglio bene, che l’amo. Convincerei ogni donna e ogni uomo che sono i miei preferiti e
vivreiinnamorato dell’amore.
Agli uomini dimostrerei quanto sbagliano nel pensare che si smette di innamorarsi quando si
invecchia, senza sapere che si invecchia quando si smette di innamorarsi.
Ad un bambino darei delle ali, ma lascerei che impari a volare da solo. Ai vecchi insegnerei che la
morte non arriva con la vecchiaia ma con la dimenticanza.
Tante cose ho imparato da voi, uomini…
Ho imparato che tutto il mondo vuole vivere in cima alla montagna, senza sapere che la vera felicità
è nella maniera di salire la scarpata.
Ho imparato che quando un neonato prende col suo piccolo pugno, per la prima volta, il dito di
suopadre, l’ha afferrato per sempre.
Ho imparato che un uomo ha il diritto di guardare un altro uomo dall’alto, soltanto quando deve
aiutarlo ad alzarsi.
Sono tante le cose che ho potuto imparare da voi, anche se più di tanto non mi serviranno, perché
quando leggerete questa lettera purtroppo starò morendo.
Dì sempre ciò che senti e fa’ ciò che pensi.
Se sapessi che oggi è l’ultima volta che ti guardo mentre ti addormenti, ti abbraccerei fortemente e
pregherei il Signore per poter essere il guardiano della tua anima.
Se sapessi che oggi è l’ultima volta che ti vedo uscire dalla porta, ti abbraccerei, ti darei un bacio e
ti chiamerei di nuovo per dartene altri.
Se sapessi che oggi è l’ultima volta che sento la tua voce, registrerei ogni tua parola per poterle
ascoltare una e più volte ancora.
Se sapessi che questi sono gli ultimi minuti che ti vedo, direi “ti amo” e non darei scioccamente per
scontato che già lo sai.
Sempre c’è un domani e la vita ci dà un’altra possibilità per fare le cose bene, ma se mi sbagliassi e
oggi fosse tutto ciò che ci rimane, mi piacerebbe dirti quanto ti amo, che mai ti dimenticherò.
Il domani non è assicurato per nessuno, giovane o vecchio.
Oggi può essere l’ultima volta che vedi chi ami. Perciò non aspettare oltre, fallo oggi, perché se il
domani non arrivasse, sicuramente compiangeresti il giorno che non hai avuto tempo per un
sorriso,un abbraccio, un bacio e che eri troppo occupato per regalare un ultimo desiderio.
Tieni chi ami vicino a te, digli quanto bisogno hai di loro, amali e trattali bene, trova il tempo per
dirgli “mi spiace”, “perdonami”, “per favore”, “grazie” e tutte le parole d’amore che conosci.
Nessuno ti ricorderà per i tuoi pensieri segreti.
Chiedi al Signore la forza e la saggezza per esprimerli.
Dimostra ai tuoi amici e ai tuoi cari quanto li ami”.
Silenzio significa anche “ascoltare”. Certo, sappiamo bene come sia difficile ascoltare se ascoltare indica l’atto di aprirsi e accogliere la sofferenza dell’altro: “La maggior parte degli orecchi si chiude alle parole che cercano di dire una sofferenza” . Si innalzano barriere per evitare che la sofferenza passi da chi la vive e la esprime a chi la ascolta. Eppure, senza questa cultura dell’ascolto del sofferente noi condanniamo l’altro alla solitudine e all’isolamento mortale e precludiamo anche a noi la possibilità di: una consolazione e di una comunicazione nella nostra sofferenza.
Ascoltare non è prestare l’orecchio, è farsi condurre dalla parola dell’altro là dove la parola conduce. Se poi, invece della parola, c’è il silenzio dell’altro, allora ci si fa guidare da quel silenzio. Nel luogo indicato da quel silenzio è dato reperire, per chi ha uno sguardo forte e osa guardare in faccia il dolore, la verità avvertita dal nostro cuore e sepolta dalle nostre parole. Questa verità, che si annuncia nel volto di pietra del depresso, tace per non confondersi con tutte le altre parole’.
La domanda che qui si deve porre è: sappiamo dare tempo, attenzione ed energie all’ascolto di chi soffre? E sappiamo ascoltare la sofferenza profonda che è in noi, premessa indispensabile per porci sempre più attentamente in ascolto della sofferenza dell’altro? Ascoltare significa dare la parola, dare tempo e spazio all’altro, accoglierlo anche in ciò che egli rifiuta di sé, dargli diritto di essere chi lui è e di sentire ciò che sente e fornirgli la possibilità di esprimerlo.
Ascoltare è atto che umanizza l’uomo e che suscita l’umanità dell’altro. Ascoltare è far nascere, dare soggettività, permettere all’uomo di realizzare il proprio nome e il proprio volto. Ovvero la propria umanità.
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