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Sul fine vita

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Sul fine vita

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Per Papa Francesco è “moralmente lecito rinunciare all’applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico che verrà in seguito definito ‘proporzionalità delle cure’…”. Tanti i commenti alle parole di Bergoglio. Frate Alberto Maggi, intervistato da Repubblica, sottolinea: “Il punto è: è sacra la vita o l’uomo? Se è sacra la vita si deve difendere a oltranza anche quando diviene accanimento; se, invece, è sacro l’uomo gli si deve riconoscere la sua dignità e in alcuni casi lo si può anche aiutare ad andarsene serenamente”

Sta inevitabilmente facendo discutere la lettera inviata da Papa Francesco a Monsignor Vincenzo Paglia e ai partecipanti al Meeting Regionale Europeo della World Medical Association, in cui il Pontefice cita, tra l’altro, la Dichiarazione sull’eutanasia del 5 maggio 1980. Per Bergoglio è “moralmente lecito rinunciare all’applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico che verrà in seguito definito ‘proporzionalità delle cure’”. Bergoglio, che con le sue parole si inserisce prepotentemente nel dibattito sul “fine vita”, sottolinea la necessità di “un supplemento di saggezza, perché oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona”.

 

 

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Tra i commenti seguiti all’intervento di Bergoglio, segnaliamo l’intervista a Repubblica del biblista Alberto Maggi, che parte da un episodio personale: “Ero ricoverato in ospedale per dissezione aortica. Non sapevo bene che malattia fosse. Accesi l’iPad e lessi che dava alta possibilità di morte. Parlai coi medici prima dell’operazione chirurgica che di lì a poco dovevo subire. Fui chiaro: se fossi rimasto paraplegico volevo vivere, ma se fossi incorso in danni cerebrali permanenti, come era altamente probabile, no, dovevano lasciarmi morire.Parlai anche col mio confratello Ricardo e gli dissi di far sì che le mie volontà fossero in tutto e per tutto esaudite: ‘Per carità — gli dissi — se succede aiutami a staccare’”.

Nel corso dell’intervista il teologo si sofferma anche sulle parole del Papa: “Dicono della sua passione per l’umanità. Il Papa alla dottrina preferisce l’uomo. Non vuole portare gli uomini verso Dio, sennò ci sarebbe bisogno di leggi, di norme, quanto portare Dio verso gli uomini. E vuole farlo, appunto, non con una dottrina ma con una carezza, un linguaggio insomma che tutti possono capire…”.

(da il libraio.it)

Edda CattaniSul fine vita
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Coraggio e fermezza

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CORAGGIO E FERMEZZA

(dalle pagine degli anni precedenti)

 

Vengo da una generazione in cui nelle scuole, per imparare a scrivere, non si usava il computer, ma penna e calamaio … ed infine la pagina veniva ‘asciugata’ con la ‘carta assorbente’.  In questa rimanevano i caratteri fondamentali con un po’ di inchiostro in eccesso.  Anche nella vita si può essere ‘carta assorbente’ di ciò che di ‘fondamentale’ viene rilevato nella nostra quotidianità, perché questo può insegnarci a vivere. Io penso proprio di essere una di queste in quanto sono sempre stata  ‘carta assorbente’ nell’ ascoltare e cercare di rilevare dalle parole degli altri quanto occorre nella mia meditazione e riflessione quotidiana per crescere interiormente. Non si tratta perciò di fare ‘copia e incolla’ ma di estrapolare da una frase quel succo, quel messaggio profondo, che porta ad un cambiamento nelle opinioni e, pertanto, mi è di aiuto.

 

Questa mattina, dell’occhiello dell’articolo nella mia pagina di vita metto quanto ha detto il Presidente  nel discorso del 25 aprile, giorno della Resistenza (e la parola può essere tutto un programma) dopo aver deposto la corona di alloro all’altare della Patria:

“… abbiamo molto da imparare sul modo di affrontare i momenti cruciali: coraggio, fermezza…” ed ha aggiunto: “Dobbiamo fare tutti la nostra parte con realismo, consapevolezza, senso di responsabilità…”

 

A queste parole mi aggancio con quanto ha detto, Papa Francesco nell’udienza del mercoledì: “Il cristiano che tiene nascosti i suoi doni non è un cristiano. La storia della Chiesa è una storia d’amore perché alla fine saremo giudicati sulla carità.”

 

Unisco le due asserzioni… ed eccone la mia riflessione:

 

La vita ci mette sempre davanti a delle scelte e a secondo della strada intrapresa la nostra vita acquista il suo significato ed il suo peso.

 

Mi sembra inutile e superfluo aggiungere che dovremmo nelle nostre pur sempre infinite possibilità avere il coraggio giusto di percorrere la strada che porta ai nostri sogni.. non sempre ci si riesce è questo è un limite imposto dalle nostre paure e dalla nostra poca voglia di ricominciare a mettersi in gioco.

 

Ma la vita è fatta anche di questo, di azzardo, imprevedibilità coraggio, spontaneità ecc. tutti requisiti che perdiamo per strada e che dovremmo riacquistare se vogliamo vivere con la consapevolezza  di aver vissuto in pienezza.

 

Che cos’è, in fondo, una scelta di vita? Si tratta semplicemente di una decisione che non riguarda un aspetto particolare e limitato di noi, ma la nostra intera esistenza. Quel che non comprendiamo è che spesso le scelte di vita sono piccole catene di decisioni, apparentemente di poco valore, che trasformano la nostra vita giorno dopo giorno.

 

Ogni scelta, per quanto piccola possa sembrare, indica la strada che abbiamo deciso di seguire, ciò che riteniamo giusto o sbagliato e rafforzano questa consapevolezza interiore ogni giorno. Magari consideriamo queste piccole scelte insignificanti, ma ogni giorno esse rafforzano le convinzioni che poi ci guidano anche in decisioni molto più rilevanti.

 

Una scelta di vita non passa solo nei grandi momenti, ma soprattutto in quelli piccoli, quelli in cui, cioè, si forma la nostra forza, la nostra sicurezza, ciò a cui attingeremo nei momenti in cui la decisioni da prendere saranno determinanti ai nostri occhi. In realtà, proprio quando crediamo di scegliere la direzione in cui andare, non faremo che confermare quella che, ogni giorno in modo quasi invisibile, abbiamo già scelto.

 

La miglior scelta di vita possibile è l’amore: amare come modo di vivere è la decisione che tutti dovremmo prendere, che tutti dobbiamo compiere se vogliamo una vita felice, ricca di senso e valore, degna di essere vissuta. Imparare ad amare è così una decisione che trasforma la nostra vita, e non è una di quelle che ci appaiono monumentali, anzi, essa è fatta quasi soltanto di piccole scelte, decisioni quotidiane che ci indirizzano verso l’amore.

 

Amare è una scelta di vita che passa dall’ascolto sincero ad un amico, dal complimento onesto ad un collega, dal perdonare una svista al mio compagno, al dare fiducia a chi abbiamo di fronte. Possiamo fare queste cose ogni giorno, spesso in modo decisamente silenzioso, senza squilli di tromba, ma queste decisioni sono le fondamenta di una scelta di vita che cambia il nostro mondo, pur senza troppo clamore.

 

Alla fine vivere significa scegliere di amare. Tutto qui, senza trofei da ritirare o premi da mettere nel curriculum. Forse non riempiremo pagine di giornale o non avremo un sedile d’onore al prossimo concerto di capodanno, ma fare dell’amore la nostra scelta di vita renderà la nostra vita ricca come nulla al mondo potrebbe fare.

 

 

Non lascio che neanche un singolo fantasma del ricordo

svanisca con le nuvole,

ed è la mia perenne consapevolezza del passato

che causa a volte il mio dolore.

Ma se dovessi scegliere tra gioia e dolore,

non scambierei i dolori del mio cuore

con le gioie del mondo intero.

 

Kahlil Gibran “Self-Portrait”

 

 

 

Edda CattaniCoraggio e fermezza
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Non si spenga mai la speranza

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 Non si spenga mai la speranza nei nostri cuori

 









Come potremo riaccendere le altre candele se non crediamo nell’amore di Dio?

 

La speranza

Qual è la sorgente della speranza cristiana?

In un tempo in cui spesso si fatica a trovare delle ragioni per sperare, coloro che mettono la propria fiducia nel Dio della Bibbia hanno più che mai il dovere di «rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in loro» (1 Pietro 3,15). Spetta a loro cogliere ciò che la speranza della fede contiene di specifico, per poter viverlo.

Ora, anche se per definizione la speranza guarda al futuro, per la Bibbia essa si radica nell’oggi di Dio. Nella Lettera 2003, frère Roger lo ricorda: «[La sorgente della speranza] è in Dio, che non può che amare e che instancabilmente ci cerca».

Nelle Scritture ebraiche, questa Sorgente misteriosa della vita che noi chiamiamo Dio si fa conoscere perché chiama gli esseri umani a entrare in una relazione con lui: stabilisce un’alleanza con loro. La Bibbia definisce le caratteristiche del Dio dell’alleanza con due parole ebraiche: hesed e emet (per es. Esodo 34,6; Salmi 25,10; 40,11-12; 85,11). Generalmente, si traducono con «amore» e «fedeltà». Dapprima ci dicono che Dio è bontà e benevolenza senza limiti e si prende cura dei suoi, e in secondo luogo, che Dio non abbandonerà mai quelli che ha chiamati ad entrare nella sua comunione.

Ecco la sorgente della speranza biblica. Se Dio è buono e non cambia mai il suo atteggiamento né ci abbandona mai, allora, qualunque siano le difficoltà – se il mondo così come lo vediamo è talmente lontano dalla giustizia, dalla pace, dalla solidarietà e dalla compassione – per i credenti non è una situazione definitiva. Nella loro fede in Dio, i credenti attingono l’attesa di un mondo secondo la volontà di Dio o, in altre parole, secondo il suo amore.

Nella Bibbia, questa speranza è spesso espressa con la nozione di promessa. Quando Dio entra in relazione con gli esseri umani, in generale questo va di pari passo con la promessa di una vita più grande. Ciò inizia già con la storia di Abramo: «Ti benedirò, disse Dio ad Abramo. E in te saranno benedette tutte le famiglie della terra» (Genesi 12,2-3).

Una promessa è una realtà dinamica che opera delle possibilità nuove nella vita umana. Questa promessa guarda verso l’avvenire, ma si radica in una relazione con Dio che mi parla qui e ora, che mi chiama a fare delle scelte concrete nella mia vita. I semi del futuro si trovano in una relazione presente con Dio.

Questo radicamento nel presente diventa ancora più forte con la venuta di Gesù Cristo. In lui, dice san Paolo, tutte le promesse di Dio sono già una realtà (2 Corinzi 1,20). Certo, ciò non si riferisce unicamente a un uomo che è vissuto in Palestina 2000 anni fa. Per i cristiani, Gesù è il Risorto che è con noi nel nostro oggi. «Sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del tempo» (Matteo 28,20).

Un altro testo di san Paolo è ancora più chiaro. «La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Romani 5,5). Lungi dall’essere un semplice augurio per l’avvenire senza garanzia di realizzazione, la speranza cristiana è la presenza dell’amore divino in persona, lo Spirito Santo, fiume di vita che ci porta verso il mare di una piena comunione.

Come vivere della speranza cristiana?

 

La speranza biblica e cristiana non significa una vita nelle nuvole, il sogno di un mondo migliore. Non è una semplice proiezione di quello che vorremmo essere o fare. Essa ci porta a vedere i semi di questo mondo nuovo già presente oggi, grazie all’identità del nostro Dio che si manifesta nella vita, morte e risurrezione di Gesù Cristo. Questa speranza è inoltre una sorgente di forza per vivere in un altro modo, per non seguire i valori di una società fondata sul desiderio di possesso e sulla competizione.

Nella Bibbia, la promessa divina non ci chiede di sederci e attendere passivamente che si realizzi, come per magia. Prima di parlare ad Abramo di una vita in pienezza che gli è offerta, Dio gli disse: «Vattene dal tuo paese e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò» (Genesi 12,1). Per entrare nella promessa di Dio, Abramo è chiamato a fare della sua vita un pellegrinaggio, a vivere un nuovo inizio.

Così pure, la buona novella della risurrezione non è un modo per distoglierci dai compiti di quaggiù, ma una chiamata a metterci in cammino. «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? … Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura… Voi mi sarete testimoni… fino agli estremi confini della terra» (Atti 1,11; Marco 16,15; Atti 1,8).

Sotto l’impulso dello Spirito del Cristo, i credenti vivono una solidarietà profonda con l’umanità priva dalle sue radici in Dio. Scrivendo ai Romani, san Paolo evoca le sofferenze della creazione in attesa, paragonandole alle doglie del parto. Poi continua: «Anche noi che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente» (Romani 8,18-23). La nostra fede non ci fa dei privilegiati fuori dal mondo, noi «gemiamo» con il mondo, condividendo il suo dolore, ma viviamo questa situazione nella speranza, sapendo che, nel Cristo, «le tenebre stanno diradandosi e la vera luce già risplende» (1 Giovanni 2,8).

Sperare, è dunque scoprire dapprima nelle profondità del nostro oggi una Vita che va oltre e che niente può fermare. Ancora, è accogliere questa Vita con un sì di tutto il nostro essere. Gettandoci in questa Vita, siamo portati a porre, qui e ora, in mezzo ai rischi del nostro stare in società, dei segni di un altro avvenire, dei semi di un mondo rinnovato che, al momento opportuno, porteranno il loro frutto.

Per i primi cristiani, il segno più chiaro di questo mondo rinnovato era l’esistenza di comunità composte da persone di provenienze e lingue diverse. A causa di Cristo, quelle piccole comunità sorgevano ovunque nel mondo mediterraneo. Superando divisioni di ogni tipo che li tenevano lontani gli uni dagli altri, quegli uomini e quelle donne vivevano come fratelli e sorelle, come famiglia di Dio, pregando insieme e condividendo i loro beni secondo il bisogno di ciascuno (cfr. Atti 2,42-47). Si sforzavano ad avere «un solo spirito, uno stesso amore, i medesimi sentimenti» (Filippesi 2,2). Così brillavano nel mondo come dei punti di luce (cfr. Filippesi 2,15). Sin dagli inizi, la speranza cristiana ha acceso un fuoco sulla terra.

Lettera da Taizé: 2003/3

 

 

 

 
 
 


 


 

Edda CattaniNon si spenga mai la speranza
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Le cose che ho imparato dalla vita

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Le cose che ho imparato dalla vita

 

Ecco alcune delle cose che ho imparato nella vita:


Che non importa quanto sia buona una persona, ogni tanto ti ferirà. E per questo, bisognerà che tu la perdoni.
Che ci vogliono anni per costruire la fiducia e solo pochi secondi per distruggerla.
Che non dobbiamo cambiare amici, se comprendiamo che gli amici cambiano.
Che le circostanze e l’ambiente hanno influenza su di noi, ma noi siamo responsabili di noi stessi.
Che, o sarai tu a controllare i tuoi atti, o essi controlleranno te.
Ho imparato che gli eroi sono persone che hanno fatto ciò che era necessario fare, affrontandone le conseguenze.
Che la pazienza richiede molta pratica.
Che ci sono persone che ci amano, ma che semplicemente non sanno come dimostrarlo.
Che a volte, la persona che tu pensi ti sferrerà il colpo mortale quando cadrai, è invece una di quelle poche che ti aiuteranno a rialzarti.
Che solo perché qualcuno non ti ama come tu vorresti, non significa che non ti ami con tutto te stesso.
Che non si deve mai dire a un bambino che i sogni sono sciocchezze: sarebbe una tragedia se lo credesse.
Che non sempre è sufficiente essere perdonato da qualcuno. Nella maggior parte dei casi sei tu a dover perdonare te stesso.
Che non importa in quanti pezzi il tuo cuore si è spezzato; il mondo non si ferma, aspettando che tu lo ripari.

 (Paulo Coelho)

 

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Il silenzio e la parola

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Il silenzio e la parola

SIGNORE TU DAI LUCE ALLA MIA LAMPADA!

“Mio Dio, rischiari la mia tenebra.” Esiste un tempo in cui si vorrebbe solo fare il vuoto interiore per ascoltare la voce di Dio. Ci sono luoghi preposti in cui ci si può ritirare e fare silenzio per ascoltare quanto il Padre e la Sua Parola hanno da dirci. Questa bellissima, direi straordinaria esperienza mi è stata comunicata da un’amica di FB  che ringrazio per la cortese condivisione. Dopo un lutto traumatico non solo i convegni della speranza aiutano… ma questi momenti di intensa riflessione per l’anima!

Nella solitudine e nella semplicità operosa
il Signore ci conceda
di rinnovare le forze
e attingere luce per il cammino.

Il Signore rallegri quelli che amiamo
e quelli che non sappiamo amare,
doni lo Spirito santo a quanti si raccomandano alle nostre preghiere.

Pax! State allegri!
I fratelli e le sorelle di Bose

La nostra amica mi scrive: “ …Monastero di Bose… non so se ne hai sentito parlare..ci sono arrivata perché cercavo un monastero che praticasse l’accoglienza per ritirarmi qualche giorno dopo che e’ morto il mio papà ( questo a dicembre…) poi la vita mi ha portato altrove… fino a che non ho scoperto per caso questo monastero che è vicino a Biella…silenzio assoluto… Il silenzio vero… è nelle colline …c’é una passeggiata fino a una chiesa romanica che hanno restaurato loro.  Ti accolgono… ma ti accolgono davvero col cuore … se vuoi segui i loro ritmi di preghiera se no, no…Molto, molto toccante…difficile la solitudine e il silenzio per certi versi, ma lì ho registrato e hanno detto cose che non sempre ho capito… penso.

Tutti gli strumenti che noi stessi ci siamo creati ci invitano alla dimensione così profonda del silenzio, che è il rapporto essenziale con la parola, come il deserto è un termine di rapporto essenziale con la società, la socialità; per cui abbiamo il ritiro nel deserto, l’esperienza del deserto, il raccoglimento nel silenzio: sono parti essenziali dell’esperienza religiosa, fin dalle origini, oltre che esempio tratto dalla vita di Cristo stesso.

 

Stamattina alle 6 in un salmo questa frase “Dio tu accendi la mia lampada”…Enzo Bianchi ha tradotto insieme ad altri dall’ebraico i salmi e la versione che c’è nel solo testo di preghiera : e’ questa!

È stato faticoso in certi momenti …più di quanto pensassi …la solitudine e lo stare da sola con Dio;  ma dopo che ho saputo che mio papa’ era vivo per me e’ cambiato tutto…sono in cammino e sentivo di avere bisogno anche di questo e intendo tornare…

in questi giorni ho letto tutto quello che potevo saltando da una cosa all’altra…dice cose molto molto interessanti che incontrano il mio modo di sentire e il modo in cui cerco Dio…

«Quale tremendo debito d’amore,
di rispetto, di compassione
verso ciascuno dei nostri fratelli.
Signore Gesù,
Tu porti con noi questo fardello,
altrimenti si verrebbe meno,
e Tu sei il compagno di chi spera
e di chi dispera»

una monaca d’occidente

Lì mi hanno detto cose che non ho capito e altre che ho capito dopo (… i nostri amici dell’oltre) …ad esempio una sera “il Vangelo di Luca” …solo questo …e io ho pensato..ok? e cosa ci faccio con questa frase? e’ lunghissimo il vangelo di Luca…l’ho aperto ma cosa potevo leggere…ecco il mattino dopo c’era il vangelo di Luca durante la preghiera delle 6…

Registrando io dico ” ci sto provando mio Signore con tutte le mie forze ma tu leggi nel mio cuore e sai che sono piena di dubbi, aiutami a trovare la strada” risposta ( prima delle parole che non arrivo a cogliere bene) poi mi dice “la strada è in me”…

Gesù amava ritirarsi in disparte, sul monte o nel deserto. Ma tornava presto in mezzo agli uomini, commosso dalla folla che attendeva il suo ritorno. Dio è ovunque noi siamo, non dobbiamo cercarlo altrove, non dobbiamo evadere…

Ho chiesto di dirmi le parole che sapevamo… silenzio…in questi casi spesso non spiegano…hanno parlato …sta a te capire… allora ho riascoltato con calma e capivo distintamente… “david ti aspetta qua…”

Il giorno dopo uno dei salmi era di David ( il re) moltissimo Salmi del Salterio sono “di David.” Mi sono fatta anche un’altra idea ma forse questa e’ una mia interpretazione… resta lo stupore del testo. Loro sanno, sanno prima o comunque sanno.

Non so con quanto anticipo scelgano i testi in monastero…

Fare ritiro significa sostare, chiudere un attimo gli occhi non per dimenticare ma, al contrario, per ritrovarsi, per radunare le forze, per far ordine nei pensieri, per calmare l’angoscia. Ma non è un semplice esercizio di autodisciplina. Fare ritiro è come prepararsi a un appuntamento: si resta in disparte solo per essere più sicuri di incontrare il volto di Dio…

 

Se mi è concessa, ho provato invidia per te amica mia, per questa opportunità di fare questo silenzio che mi manca e che posso a mala pena percepire e anche con una certa vertigine. In questi giorni avevo pensato di raggiungere Montefano per un week-end al Centro Studi biblici di Padre Alberto Maggi, ma le condizioni climatiche e la mia precarietà fisica l’hanno fatta da padrone… Ho però potuto rallentare il ritmo del mio vivere, trovandomi in assoluta inattività. Ho compreso che fra le mie “mura protette” lontana dall’inquietudine quotidiana, posso fare “silenzio” perché è silenzio la presenza del Cristo che si manifesta quando siamo disposti a riceverlo, tra i momenti in cui ognuno di noi si concentra sul proprio destino, sulla propria natura e sensibilità, sul proprio compito.

 

Questo silenzio è anche, secondo me, un’esigenza imponente che va preservata come il diritto divino dell’ineffabile; c’è qualcosa in questo mio stare che non si può descrivere, che non si può dire con parole e che però fa parte ancora di più di quel linguaggio più vasto che lo stesso P.Alberto, nei suoi incontri del giovedì, ci invita a cogliere perché il Vangelo appunto non è solo verbale. Questa condizione è splendida, questa potenza che il silenzio ci comunica vuole quasi garantirci che c’è questo incomunicabile, qualcosa che non può essere sacrificato dalle consuete parole del vocabolario degli uomini, ma che comunque si manifesta nell’economia delle parole stesse, come tempo interno delle parole che invece si possono pronunciare.

 

Dio mio, se è vero che tu sei dappertutto
come mai io sono così spesso altrove?

Se vai in capo al mondo, trovi le tracce di Dio
se scendi nel tuo profondo, trovi Dio stesso.

 

 

Questo inesprimibile è ciò che ha avvertito la nostra amica e che ha sperato, nel silenzio, di cogliere e, forse, c’è riuscita… questo stesso è espresso nel Vangelo, quando Gesù, a volte, non risponde ai suoi, discepoli o comuni ascoltatori, che si alza qualche volta anche tra l’uno e l’altro dei discepoli e vi è pure qualche passo in cui rimane il non detto che occorre però saper cogliere.

 

C

 

Grazie Signore per questi giorni di silenzio che mi hai donato!

 

Signore accendi la mia lampada! 

 

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Il mese del raccolto

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Il mese del raccolto

giugno

È il mese del raccolto, del pane da condividere, dell’amore da dare e da ricevere. Mi piace farlo vivere con questa bella lirica d’autore.

Passammo ne la notte profumata,
per l’alta via tra taciti giardini,
tu su l’omero mio leve poggiata
la bella testa da i capelli fini,
io su le labbra tue volto a succhiare,
come dal fresco calice d’un fiore,
coi lunghi baci il pieno oblio dei mali.
Ma non udisti tu de i vegetali
in torno a noi, per l’aria tutta aulente,
il fremito d’amore,
le stelle non vedesti palpitare
allor piú intensamente,
e l’indistinte voci, onde ai mortali
nei momenti propizî al dolce inganno,
la Terra parla, pietosa madre,
e a sempre amar consiglia,
tu non sentisti, o innamorata figlia.

Ben io l’intesi, e ne diceano: Vanno
con passo lento i secoli nel nulla,
e si portan con loro
le umane genti (noverarle è in vano):
Amate, amate, amate,
né mai, tranne l’amore, altro tesoro
su me grama cercate.
In un attimo vano,
se in un bacio d’amore lo chiudete,
intera accoglierete
e vivrete la vita
dei secoli, dei secoli infinita.


(“Intermezzo lieto”, Luigi Pirandello)

 

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Mente amica

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Mente amica

 

Nessun uomo è un’isola. Insieme siamo interconnessi e interdipendenti. Siamo quello che siamo per merito di ciò che siamo insieme nelle collaborazioni quotidiane (Ubuntu).

La vita è una scuola continua, stai imparando dalle occasioni e dalle provocazioni.
Il cervello è plastico, i pensieri modellano la mente, quando apprendi qualcosa di nuovo o fai nuove esperienze il cervello cresce.
Continua a far palestra con la mente costruendo bozze, schemi, collegamenti, formule brevi per aiutarla a ricordare.

La scrittura può aiutarti a chiarire pensieri ed emozioni e a guardarti dentro con sincerità.
Scrivere può aiutarti a comprendere te stesso e a guarirti.

La mente è la tua migliore amica se sai come governarla.

Scrivo per chiarirmi, per farmi compagnia, per abitare con i miei pensieri e allargare la consapevolezza delle mie risorse. Scrivo per trovare i fili conduttori nel labirinto intricato delle esperienze. A volte sono visitato da pensieri che illuminano, parlano, toccano… li accolgo con diligenza, li deposito sulla carta per poterli ri-trovare e perfezionare. Trasformo pensieri improvvisi in scritture spontanee. Scrivo a me con benevolenza, contemplo ciò che scrivo per comunicare bene con me e con gli altri. In questo modo riesco a stabilire un contatto più intimo con ciò che realmente sento e penso“.

La pratica della lettura-scrittura collettiva di testi è una variante del racconto auto-biografico, che raccoglie la creatività dei partecipanti e rafforza relazioni significative.

Nell’era di internet c’è il pericolo di perdere la scrittura personale-manuale, tra varie tastiere. C’è il pericolo che il cervello diventi macchina e il cuore sia inaridito dall’intelligenza artificiale. Per prevenire tutto ciò, è bene dare importanza alla scrittura bio-grafica: scrivi per pensare, scrivendo vengono pensieri che svelano te a te, attivano la capacità contemplativa e fanno crescere la comunione con la gente e con l’ambiente.

(da La Scuola del Villaggio)

 

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Non c’è amore senza rispetto

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Non c’è amore senza rispetto

Non c’è amore senza rispetto. E il rispetto nasce sempre e solo quando si ha la consapevolezza del proprio valore e della propria dignità. Quel valore e quella dignità che ogni essere umano possiede, e che non dipendono affatto da quello che si fa o non si fa, si dice o non si dice, si è o non si è. Il rispetto è ciò che è dovuto ad ogni persona in quanto persona. Rispetto di sé prima ancora che rispetto dell’altro. Anche se le due cose, in fondo, vanno sempre insieme. Come si fa d’altronde a rispettare un’altra persona quando non ci si rispetta da soli, o a rispettarsi quando non si è rispettati? Come si fa ad amare quando non ci si ama?
Tutto comincia molto presto. Quando si è piccoli e indifesi, e non si può fare altro che essere se stessi, semplicemente se stessi e nient’altro. Tutto nasce da lì. Da quell’amore che dovrebbe essere senza «perché» e senza «ma». Quell’amore incondizionato che è poi la base della fiducia in se stessi e dell’amore per gli altri. Perché ci si sente riconosciuti per quello che si è, e allora si può anche correre il rischio di aprirsi agli altri e di andare incontro al futuro certi che, prima o poi, si incontrerà colui o colei con cui si sarà di nuovo liberi di essere se stessi.
Ma di rispetto, oggi, ce n’è ben poco. Fin dall’inizio. Quando si è ancora piccoli e indifesi. Anche se si capisce già che non basta essere se stessi per essere accolti. Con tutte quelle aspettative che ci cadono sulle spalle. Con tutta quell’ansia di perfezione e di dovere che ci costringe a crescere in fretta. Perché niente viene da sé. E anche il rispetto ce lo si deve guadagnare. «Quando sarai grande capirai». «Quando sarai grande mi ringrazierai». Frasi buttate lì come un’evidenza. Anche se di evidente non hanno niente. A parte la minaccia recondita di sentirsi diseredati da chi avrebbe invece il dovere di amarci nonostante tutto.
«Ti rispetto se tu mi rispetti», dicono oggi tanti giovani. Abbandonati troppo presto a loro stessi. In un mondo che forse insegna a battersi per ottenere qualcosa, ma che non insegna mai la gratuità dell’amore e del rispetto. Ecco perché l’amore sembra un’incognita e si confonde con la passione. Non riconosce e non accetta. Fino a contraddirsi. Sciogliendosi come neve al sole nel momento in cui cadono le maschere e la verità appare nuda.
Ma non è certo questo l’amore di cui parlo ormai da tante settimane. E che quando arriva non passa mai. Nonostante le storie d’amore possano anche terminare. Perché lo si porta dentro di sé come un pezzo di identità. Ricordandoci che ne vale sempre la pena, che non importa se abbiamo sbagliato, che siamo importanti e preziosi e unici…
Quest’amore che copre sempre tutto, nonostante sia pieno di fratture, è oggi molto raro. Forse perché siamo tutti troppo concentrati sull’immagine che diamo di noi stessi. Forse perché siamo un po’ tutti alla ricerca disperata di un senso e di una direzione. E ci accontentiamo di lottare per meritare rispetto, invece di capire che il rispetto è già in noi, e che basterebbe accoglierlo e riconoscerlo per poi amarci e amare.
E invece no. Giuriamo e spergiuriamo, proclamiamo grandi verità e poi ci contraddiciamo, ci vantiamo di essere coerenti e poi crolliamo sotto il peso dell’impostura. Come se per amare e lasciarsi amare dovessimo per forza contemplarci in uno specchio e innamorarci anche noi della nostra immagine. Sempre più narcisi e sempre meno sicuri di noi stessi. Sempre più egoisti e sempre meno tolleranti. 

Edda CattaniNon c’è amore senza rispetto
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Trasformare le ferite in perle

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TRASFORMARE LE FERITE IN PERLE

Il pensiero è calamita: esso attira energia su ciò che pensi.

Dove va il pensiero là porti energia.

Ti giova ospitare pensieri che danno fiducia, speranza e aiuto.

Considera il corpo e la mente come due amici che si aiutano.

Quando la mente è abitata da emozioni spiacevoli

mettila a riposare e attiva il corpo.

Puoi valorizzare questo collegamento per guarire emozioni malate e promuovere serenità. Anticipa con le azioni del corpo quello che vuoi essere con le emozioni della mente. Puoi imitare i gesti delle persone calme,serene,tranquille.Che cosa stai dicendoti per essere arrabbiato, triste o depresso? Esplora le emozioni come una lingua da apprendere e praticare. Considera questi inviti:

Quando sei triste, depresso…esci da te, fa movimenti energici e mirati, lavora, cammina, canta…và a incontrare persone.

Quando senti rancore verso qualcuno, slanciati nell’ emozione opposta per fare equilibrio. Spegni il fuoco della rabbia perchè non ti faccia male. La riconciliazione prima di essere un favore all’altro è un regalo a te. Immagina le buone ragioni dell’altro con empatia. Fai gesti di rispetto e affetto… anche se sei poco convinto l’azione porta energia al pensiero corrispondente.

Quando uno stormo di pensieri tristi ti invade batti le mani per farli scappar via e chiama pensieri positivi che ti fanno buona compagnia.

Quando attraversi una avversità, pensa che puo essere una opportunità.

(da ‘La Scuola del Villaggio’)

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La sofferenza salva

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DALL’ALBUM DEI RICORDI

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 ed ora, amato mio, posso ricordare ed annunciare che questo mi hai lasciato!

Accettare il dolore

“Tu sei venuto a piangere, perché ciò che ti mancava era il pianto”

 Riflettiamo:

“Portare i pesi gli uni degli altri” (Gal 6,2). La legge di Cristo è una legge del “portare”. Portare vuol dire sopportare, soffrire insieme. Il fratello è un peso per il cristiano. Solo se è un peso, l’altro è veramente un fratello e non un oggetto da dominare. Il peso degli uomini per Dio stesso è stato così grave che egli ha dovuto piegarsi sotto questo peso e lasciarsi crocifiggere. Nel portare gli uomini Dio ha mantenuto la comunione con loro. È la legge di Cristo che si è compiuta sulla croce. E i cristiani partecipano a questa legge. Essi devono sopportare il fratello; ma quello che è più importante, essi sono anche in grado di portare il fratello, sotto la legge che è compiuta in Cristo.
La Scrittura parla spesso di “portare”. Essa esprime con queste parole tutta l’opera di Cristo: “Erano le nostre malattie che egli portava; erano i nostri dolori quelli di cui si era caricato”
(Is 53,4) (10).

AIUTIAMOCI A SPERARE!

Una storiella che si narra nella vita di Abba Bishoi, un monaco copto del IV-V secolo (morì nel 417 d.C.), dice che, poiché egli fruiva di frequenti visioni di Cristo, alcuni monaci gli chiesero di guidarli a incontrare Cristo. Avendo egli ricevuto un messaggio dal Signore, disse ai monaci di recarsi in un certo posto nel deserto, dove avrebbero trovato Cristo ad attenderli. Lungo il cammino essi videro, ai lati della strada, un uomo anziano, malato e sfinito, che chiedeva loro di portarlo perché non ce la faceva più a camminare. Ma essi, desiderosi di incontrare Cristo, ignorarono le suppliche dell’anziano. In coda al loro gruppo giunse Bishoi che, quando vide l’anziano malato, se lo caricò sulle spalle portandolo lungo la strada. Giunto là dove i monaci attendevano Cristo, sentì il peso dell’uomo farsi più leggero, poté rialzare la schiena e constatare che l’anziano era scomparso. Allora rivelò: Cristo era seduto lungo la strada, e aspettava qualcuno che lo aiutasse. Nella loro fretta di vedere Cristo, gli altri monaci si erano dimenticati di essere cristiani. Lui, portando di peso l’anziano malato, aveva portato Cristo stesso.

 

Portare il malato, portare il fratello

Insegnare ai bambini cosa significhi il rispetto per gli anziani e gli ammalati è educarli all’amore per il prossimo.

È frequente, nei vangeli, l’annotazione che dei malati “vengono portati” a Gesù. Se essi hanno una certa autonomia di movimento, se riescono a camminare dovendo tutt’al più essere sostenuti, essi sono semplicemente “accompagnati”, “condotti”, “guidati” fino a Gesù. È così che gli vengono presentati “malati oppressi da varie malattie e sofferenze” (Mt 4,24) e “molti indemoniati” (Mt 8,16). In alcuni casi si può esitare circa il significato esatto del verbo utilizzato, potendo questo designare sia l’atto di “condurre”, “accompagnare”, sia quello di “portare”: dipende dal livello di autonomia del malato in questione. Questo vale per il verbo phérein (letteralmente “portare”) usato in Marco 1,32 (tutti i malati e gli indemoniati), in 7,32 (una persona sorda e muta), in 8,22 (un cieco), in 9,17. 19-20 (un giovane che ha uno spirito muto). Ma in alcuni casi è assolutamente certo che il malato viene portato, essendo egli steso su un giaciglio, su una barella. In Marco 6,55 si annota che, giunto Gesù a Genesaret, gli abitanti della zona “cominciarono a portargli malati sulle barelle”. Interessante è soprattutto il brano di Marco 2, 1-12 (con i paralleli in Matteo 9, 1-8 e Luca 5,17-26). Dice il testo di Marco:

Essendo entrato di nuovo a Cafarnao, alcuni giorni dopo, si seppe che era in casa. E si radunarono molti, così che non c’era più posto neppure davanti alla porta; ed egli annunziava loro la Parola. E vennero, portando a lui un paralitico, sorretto da quattro persone. E non potendolo presentare a lui a causa della folla, scoperchiarono la terrazza dalla parte dove era [Gesù] e, fatta un’apertura, calarono la barella dove giaceva il paralitico. E Gesù vedendo la loro fede, disse al paralitico: “Figlio ti sono rimessi i tuoi peccati” (Mc 2,1-5).

… e ancora un invito alla pace e … alla speranza

Albero dall’ombra lieve…

Di P. David Maria Turoldo


1-uomo-albero

Albero ramato di voti e speranze come non altro,
pianta dell’uomo che sogna olio fluente,
olio da versare sopra le ferite, olio
che consácri sempre un messia: olivo,
non del tuo legno son fatte le croci!
Albero di Cristo: “Anche gli olivi piangevano
quella Notte, e le pietre erano più pallide
e immobili, l’aria tremava tra ramo
e ramo: e Lui, tutto un sudore di sangue
– la bocca senza voce – mentre abbracciava la terra”.
Ma gli stessi olivi lo vedranno salire in alto
e sparire nel sole: gli stessi olivi
dai quali i fanciulli avevan strappato i rami
per corrergli incontro: una selva di rami
e di voci a cantargli d’allora l’osanna e alleluia.
Olivo, albero essenziale, dall’ombra lieve come
una carezza; e pure ossuto, e nodoso, e carico
di ferite, uguale alla vita: immagine
di ciò che più amiamo! Sempre un tuo ramo
trovi la colomba in volo dopo i diluvi! E siano
i figli virgulti d’olivo intorno a ogni
mensa; e perfino la cenere fatta
di sue foglie d’argento plachi
le tempeste; come le stesse
del mercoledì delle ceneri mettano
in fuga anche la nostra morte.
E papa Giovanni, il padre del mondo, torni
col suo ramo d’olivo in mano

Edda CattaniLa sofferenza salva
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