2020

Quando inizia il giorno

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Quando inizia il giorno

Non è la stessa cosa iniziare la giornata di corsa perché è tardi, o iniziarla con calma pregando e mettendo tutto nelle mani del Signore. E’ impensabile affrontare tutti i problemi della vita relegando all’ultimo posto Dio. Anche il tempo è nelle sue mani e mettere Dio al primo posto, significa conquistare il tempo.

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Ma come, quando e perché pregare? Mi sono spesso posta questa domanda e a chi l’ho rivolta mi ha risposto che la vita si sfascia giorno dopo giorno… rimane solo l’adorazione e la lode.

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E’ vero questo? Dove sta la mia adorazione? Quanto prego il Signore durante la giornata? Gli riserbo uno spazio, un tempo speciale? In tutta sincerità posso dire che nella mia vita non ci sono più programmi … Ho sognato di avere questo tempo, di ritagliarlo dagli impegni, anche nel momento presente, mentre sto scrivendo potrei fermarmi e dire:  “Signore voglio pregarti, voglio dirti che ti amo”.

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Ma il non farlo è forse venire meno a questo amore? Avrei potuto sabato scorso lasciare sola la madre che piangeva in associazione e ritornare a casa recitando il rosario? Eppure, mentre l’abbracciavo Dio era presente, vivo come non mai. Lo sentivo palpitante, tenero come solo un Padre può essere verso questa creatura che simile alla pecorella tenta di condividere un sentiero percorribile. Dio c’è anche quando non mi fermo per dichiarargli il mio amore … Lui non è come noi umani che vogliamo sentircelo dire … Lui sa, Lui vede, Lui comprende … grazie a Dio!!!

 

 

Edda CattaniQuando inizia il giorno
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Il Family Day

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Si rinnova anche quest’anno!

Un piacere riproporre una bella circostanza e un bel ricordo.

Il VII° Incontro Mondiale delle Famiglie si tenne nel 2012, sul tema “La Famiglia, il lavoro e la festa”.

 

Ognuno ha un suo “modo” di sentirsi “famiglia”; io ho fatto festa con Andrea, nell’unica possibilità che mi è data, andando in cappella e portandogli un fiore, a nome di tutte le famiglie in difficoltà… che in questo momento… ahimè … sono tante. Gli ho fatto il nome delle persone care, accarezzando la nuda lapide dove è stato posato il suo capo ed ho rivolto una preghiera a Dio Padre d’amore, perché protegga tutte le creature nella prova… In quel momento, alla porta della cappella, si è affacciato saltellando un piccolo passerotto cinguettante… cosa insolita per quel luogo e in quel particolare istante… e l’ho inteso come una conferma di essere stata ascoltata.

 

Mi attendeva la Santa Messa che si celebrava in una chiesa vicina e dove ho trovato che era in corso la cerimonia del battesimo di due piccole creature. Questo evento rende le comunità sempre molto partecipi e si sente risuonare: “ Cristo è presente… è ovunque… ove scorre il Giordano”.

 

Ma l’emozione più grande l’ho vissuta all’uscita della chiesa: una giovane madre era in attesa con il bimbo addormentato in braccio… Maria di Nazareth e il piccolo Gesù!

Edda CattaniIl Family Day
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Inno alla vita

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“Se avessi un pezzo di vita…”

Gabriel José de la Concordia García Márquez, soprannominato Gabo, è stato uno scrittore e giornalista colombiano, insignito, nel 1982, del Premio Nobel per la letteratura. 

Data di nascita: 6 marzo 1927, Aracataca, Colombia

Data di morte: 17 aprile 2014, Città del Messico, Messico

Coniuge: Mercedes Barcha Pardo (s. 1958–2014)

Premi: Premio Nobel per la letteratura, Premio Rómulo Gallegos, Neustadt International Prize for Literature

  Film: L’amore ai tempi del colera, Cronaca di una morte annunciata, Nessuno scrive al colonnelloIn questi giorni questa riflessione la dedico a tutti coloro che sono andati via innanzi tempo e che la vita avrebbero voluto averla.. 

    

 

 

 “Se per un istante Dio. . . mi regalasse un pezzo di vita, probabilmente non direi tutto quello che

penso, ma sicuramente penserei molto a quello che dico.

Darei valore alle cose, non per quello che valgono, ma per quello che significano.

Dormirei poco, sognerei di più. Capisco che per ogni minuto che chiudiamo gli occhi, perdiamo

sessanta secondi di luce. Mi attiverei quando gli altri si fermano, e mi sveglierei quando gli altri si

addormentano. Ascolterei quando gli altri parlano e mi godrei un buon gelato di cioccolata.

Se Dio mi regalasse un pezzo di vita, vestirei in maniera semplice, mi sdraierei beato al sole,

lasciando allo scoperto non solo il mio corpo ma anche la mia anima.

Dio mio, se io avessi un cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio e aspetterei l’uscita del sole.

Dipingerei sulle stelle un sogno di Van Gogh, una poesia di Benedetti, e una canzone di Serrat;

sarebbe la serenata che offrirei alla luna.

Annaffierei con le mie lacrime le rose, per sentire il dolore delle loro spine e l’incarnato bacio dei

loro petali…

Dio mio, se avessi un pezzo di vita… non lascerei passare un solo giorno senza ricordare alla gente

che le voglio bene, che l’amo. Convincerei ogni donna e ogni uomo che sono i miei preferiti e

vivrei innamorato dell’amore.

Agli uomini dimostrerei quanto sbagliano nel pensare che si smette di innamorarsi quando si

invecchia, senza sapere che si invecchia quando si smette di innamorarsi.

Ad un bambino darei delle ali, ma lascerei che impari a volare da solo. Ai vecchi insegnerei che la

morte non arriva con la vecchiaia ma con la dimenticanza.

Tante cose ho imparato da voi, uomini…

Ho imparato che tutto il mondo vuole vivere in cima alla montagna, senza sapere che la vera felicità

è nella maniera di salire la scarpata.

Ho imparato che quando un neonato prende col suo piccolo pugno, per la prima volta, il dito di

suo padre, l’ha afferrato per sempre.

Ho imparato che un uomo ha il diritto di guardare un altro uomo dall’alto, soltanto quando deve

aiutarlo ad alzarsi.

Sono tante le cose che ho potuto imparare da voi, anche se più di tanto non mi serviranno, perché

quando leggerete questa lettera purtroppo starò morendo.

Dì sempre ciò che senti e fa’ ciò che pensi.

Se sapessi che oggi è l’ultima volta che ti guardo mentre ti addormenti, ti abbraccerei fortemente e

pregherei il Signore per poter essere il guardiano della tua anima.

Se sapessi che oggi è l’ultima volta che ti vedo uscire dalla porta, ti abbraccerei, ti darei un bacio e

ti chiamerei di nuovo per dartene altri.

Se sapessi che oggi è l’ultima volta che sento la tua voce, registrerei ogni tua parola per poterle

ascoltare una e più volte ancora.

Se sapessi che questi sono gli ultimi minuti che ti vedo, direi “ti amo” e non darei scioccamente per

scontato che già lo sai.

Sempre c’è un domani e la vita ci dà un’altra possibilità per fare le cose bene, ma se mi sbagliassi e

oggi fosse tutto ciò che ci rimane, mi piacerebbe dirti quanto ti amo, che mai ti dimenticherò.

Il domani non è assicurato per nessuno, giovane o vecchio.

Oggi può essere l’ultima volta che vedi chi ami. Perciò non aspettare oltre, fallo oggi, perché se il

domani non arrivasse, sicuramente compiangeresti il giorno che non hai avuto tempo per un

sorriso, un abbraccio, un bacio e che eri troppo occupato per regalare un ultimo desiderio.

Tieni chi ami vicino a te, digli quanto bisogno hai di loro, amali e trattali bene, trova il tempo per

dirgli “mi spiace”, “perdonami”, “per favore”, “grazie” e tutte le parole d’amore che conosci.

Nessuno ti ricorderà per i tuoi pensieri segreti.

Chiedi al Signore la forza e la saggezza per esprimerli.

Dimostra ai tuoi amici e ai tuoi cari quanto li ami”.

                        

(Gabriel Garcia Marquez)

 

Edda CattaniInno alla vita
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Mondo musulmano

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Ricevo dal Dott. Aldo Preda (RA) – Senatore nella XIII legislatura:

Lettera aperta al mondo musulmano

 

Abdennour Bidar

Abdennour Bidar è filosofo, specializzato in evoluzione contemporanea dell’Islam e delle teorie di secolarizzazione e post-secolarizzazione

 

Caro mondo musulmano, sono uno tra i tuoi figli allontanati, che ti guarda dal di fuori e da lontano, da questa Francia dove tanti dei tuoi figli vivono oggi. Ti guardo con occhi severi, occhi di un filosofo cresciuto con il taçawwuf (sufismo) e il pensiero occidentale. Ti guardo pertanto dalla mia posizione di barzakh, di istmo tra i due mari d’Oriente e d’Occidente.

E che cosa vedo? Che cosa vedo meglio che altri, siccome ti guardo da lontano con il distacco della distanza? Ti vedo in una condizione di miseria e di sofferenza che mi rende tremendamente triste, ma che rende ancora più duro il mio giudizio di filosofo! Questo poiché vedo che stai mettendo al mondo un mostro che preferisce essere chiamato Stato islamico e al quale qualcuno preferisce dare il nome di demonio: DAESH. La cosa peggiore è che ti vedo perdere il tuo tempo e il tuo onore, rifiutando di riconoscere che questo l’hai fatto nascere tu, è frutto dei tuoi vagabondaggi, delle tue contraddizioni, della tua interminabile scissione tra passato e presente, della tua duratura incapacità a trovare un posto nella civiltà umana.

Che cosa dici davanti a questo mostro? Qual è il tuo discorso? Tu urli “Non sono io!”, “Non è l’Islam”. Rifiuti che i crimini commessi da questo mostro siano commessi sotto tuo nome (hashtag #NotInMyName). Sei indignato davanti ad una tale mostruosità, insorgi quando il mostro usurpa la tua identità, e hai sicuramente ragione di farlo. È indispensabile che davanti al mondo proclami, ad alta voce che l’islam denuncia le barbarie. Ma è assolutamente insufficiente! Poiché tu ti rifugi nel riflesso dell’autodifesa senza assumerti anche, e soprattutto, la responsabilità dell’autocritica. Ti accontenti d’indignarti, quando invece questo momento storico sarebbe stata un’occasione incredibile per rimetterti in discussione! E come sempre, tu accusi invece di prenderti la tua responsabilità: “Smettetela, voi occidentali e tutti voi nemici dell’Islam, di associarci a questo mostro! Il terrorismo non è l’islam, il vero islam, l’islam buono che non vuole la guerra, ma la pace!”.

Sento questo grido di rivolta che sale dentro di te e ti capisco, oh mio caro mondo musulmano. Si, hai ragione, come ciascuna delle grandi idee sacre del mondo, l’Islam durante la sua storia ha creato della Bellezza, della Giustizia, del Senso, del Bene, e ha potentemente illuminato l’essere umano nel cammino del mistero dell’esistenza… Combatto qua in Occidente, in ognuno dei miei libri, affinché tale saggezza dell’islam et di tutte le religioni non sia dimenticata e neanche disprezzata! Ma dalla mia posizione distante, vedo anche qualcos’altro, qualcosa che tu non riesci a vedere o che non vuoi vedere… E questo suscita in me una domanda, LA grande domanda: perché questo mostro ti ha rubato il volto? Perché questo mostro ignobile ha scelto il tuo viso e non un altro? Perché ha preso la maschera dell’islam e non un’altra? La verità è che dietro quest’immagine del mostro si nasconde un immenso problema che tu non sembri pronto a guardare in faccia. Tuttavia è necessario, è necessario che tu abbia il coraggio.

Questo problema è quello delle radici del male. Da dove provengono i crimini di questo cosi detto “Stato islamico”? Te lo dirò, amico mio. E questo non ti farà piacere, ma è mio dovere di filosofo. Le radici di questo male che oggi ti ruba il volto risiedono in te, il mostro è uscito dal tuo ventre, il cancro è nel tuo corpo. E cosi tanti nuovi mostri, peggiori di questi, usciranno ancora dal tuo ventre malato, fintanto che tu ti rifiuterai di guardare in faccia questa verità e che impiegherai del tempo a ammettere e ad attaccare finalmente questa radice del male!

Anche gli intellettuali occidentali, quando dico loro questo, lo vedono con difficoltà: la maggior parte ha talmente dimenticato che cos’è la potenza della religione, nel bene e nel male sulla vita e sulla morte, che mi dicono ” no, il problema del mondo musulmano non è l’islam, non è la religione ma la politica, la storia, l’economia, etc.”. Vivono in società cosi secolarizzate che non si ricordano per niente che la religione può essere il cuore del reattore di una civilizzazione umana! E che nel domani il futuro dell’umanità passerà, non soltanto attraverso la risoluzione della crisi finanziaria e economica, ma in maniera più essenziale anche attraverso la risoluzione della crisi spirituale che attraversa tutta la nostra umanità, senza precedenti! Sapremo unirci tutti, a livello planetare, per affrontare questa sfida fondamentale? La natura spirituale dell’uomo ha paura del vuoto, e se non trova nulla di nuovo per riempirlo lo farà domani con delle religioni sempre più inadatte al presente e si metteranno quindi a produrre dei mostri, come fa l’islam attualmente.

Vedo in te, o mondo musulmano, grandi energie pronte a liberarsi per contribuire a questo sforzo mondiale che consiste nel trovare una via spirituale per il XXI secolo! In effetti, malgrado la gravità della malattia e l’entità delle ombre d’oscurantismo che vogliono ricoprirti interamente, vedo in te una molteplicità straordinaria di donne e di uomini pronti a riformare l’islam, a ricreare il suo genio al di là delle se forme storiche e a partecipare ugualmente al completo rinnovamento del rapporto che l’umanità mantiene fino ad adesso con i suoi dei! Nei miei libri mi sono rivolto à tutti coloro, musulmani e non musulmani, che sperano tutti insieme nella rivoluzione spirituale! Per dare fiducia, con le mie parole da filoso, a quello che intravede la loro speranza.

Nella Oumma (comunità di musulmani) ci sono delle donne e degli uomini civilizzati che sostengono l’idea di un futuro spirituale per l’essere umano. Ma questi uomini non sono ancora abbastanza numerosi e la loro parola non è ancora cosi potente. Onoro la lucidità e il coraggio di tutti loro, i quali hanno capito perfettamente che la nascita dei mostri terroristici dal nome di Al Qaida, Al Nostra, AQMI o dello “Stato islamico” è il risultato della condizione generale della profonda malattia del mondo musulmano. Hanno capito bene che risiedono là, su di un immenso corpo malato, i sintomi più gravi e più visibili delle seguenti malattie croniche: incapacità di istituire delle democrazie durature nelle quali la libertà di coscienza sui dogmi della religione, è riconosciuta come un diritto morale e politico; prigione morale e sociale di una religione dogmatica, idiomatica et ogni tanto totalitaria; fatiche croniche nel migliorare la condizione delle donne riguardo a uguaglianza, responsabilità e libertà; incapacità di distinguere a sufficienza il potere politico dal suo controllo da parte dell’autorità religiosa; incapacità d’istituire un rispetto, una tolleranza e un vero riconoscimento del pluralismo religioso e delle minorità religiose.

Sarebbe pertanto tutto ciò un errore dell’Occidente? Quanto tempo prezioso, quanti anni cruciali perderai ancora, o mio caro mondo musulmano, à causa di questa accusa stupida alla quale tu stesso non credi più e dietro alla quale ti nascondi per continuare a mentire a te stesso? Se ti critico in modo cosi severo non è perché sono un filosofo “occidentale”, ma perché sono uno tra i tuoi figli consapevoli di tutto ciò che hai perduto, della grandezza sbiadita da cosi tanto tempo che è diventata un mito!

In particolare dal XVIII secolo, è giunto il momento di confessartelo insomma, sei stato incapace di rispondere alla sfida dell’Occidente. O ti sei rifugiato nel passato in modo infantile e mortificato, con l’intollerante e cupa regressione del wahhabismo la quale continua a fare dei danni praticamente ovunque all’interno dei tuoi confini, un wahhabismo che tu diffondi a partire dai tuoi luoghi santi dell’Arabia Saudita come un cancro che partirebbe anch’esso dal tuo cuore. Oppure hai seguito il peggio di questo Occidente, producendo com’esso dei nazionalismi e un modernismo che è caricatura della modernità, voglio parlare di questa frenesia di consumo o meglio ancora di questo sviluppo tecnologico incoerente insieme ai loro arcaismi religiosi, che rende le tue ricchissime “élites” del Golfo soltanto delle vittime consenzienti della malattia oramai mondiale che è il culto del dio argento.

Che cos’hai di ammirevole oggi, amico mio? Che cosa rimane in te che sia degno di suscitare il rispetto e l’ammirazione degli altri popoli e civiltà della Terra? Dove sono le tue persone sagge? Hai ancora una saggezza da proporre al mondo? Dove sono i tuoi grandi uomini, chi sono i tuoi Mandela, i tuoi Gandhi, chi sono i tuoi Aung San Suu Kyi? Dove sono i tuoi grandi pensatori, i tuoi intellettuali i cui libri dovrebbero essere letti nel mondo intero come al tempo in cui i matematici e i filosofi arabi e persiani facevano riferimento dall’India alla Spagna? In realtà sei diventato cosi debole, cosi impotente dietro la certezza che risiede sempre in te… Non sai più chi sei né dove vuoi andare e ciò ti rende tanto infelice quanto aggressivo… Ti ostini a non ascoltare coloro che ti invitano a cambiare liberandoti finalmente dalla dominazione, che hai regalato alla religione, della vita intera. Hai scelto di considerare che Mohammed fosse profeta e re. Hai scelto di definire l’islam una religione politica, sociale, morale che deve regnare come un tiranno tanto sullo Stato quanto sulla vita civile, tanto per strada e in casa quanto all’interno di ciascuna coscienza. Hai scelto di credere e d’imporre che l’Islam significa sottomissione quando invece il Corano stesso proclama che “non c’è costrizione nella religione” (La ikraha fi Dîn). Tu hai fatto del suo Richiamo alla libertà l’impero della costrizione! Come può una civiltà tradire il suo testo sacro, fino a questo punto? Penso che sia il momento, nella civilizzazione dell’islam, di istituire questa libertà spirituale, la più sublime e difficile di tutte, al posto di tutte le leggi inventate da generazioni di teologici!

Oggi nella Oumma si sentono numerose voci che tu non vuoi sentire, che insorgono contro questo scandalo, che denunciano questo tabou di una religione autoritaria e indiscutibile di cui si servono i capi per diffondere la loro dominazione all’infinito… Al tal punto che troppi credenti hanno talmente interiorizzato una cultura della sottomissione alla tradizione e ai “maestri della religione” (imams, muftis, shouyoukhs, etc.), che non capiscono neanche che si parla loro di libertà spirituale et non ammettono che si osi parlare loro di scelte personali a proposito dei “pilastri” dell’islam. Tutto ciò costituisce per loro una “linea rossa”, qualcosa di troppo sacro perché possano dare alla loro coscienza il permesso di rimetterlo in discussione! E ce ne sono tante di queste famiglie, di queste società musulmane nelle quali tale confusione tra spiritualità e servitù è radicata nelle loro menti dalla più giovane età e nelle quali l’educazione spirituale è talmente misera che tutto quello che riguarda la religione, in un modo o nell’altro, rimane pertanto qualcosa su cui non si discute!

Adesso questo non è sicuramente imposto dal terrorismo di qualche pazzo, da qualche gruppo di fanatici inviati dallo Stato islamico. No, questo problema è infinitamente più profondo e infinitamente più vasto! Ma chi lo vedrà e chi lo pronuncerà? Chi vuole ascoltarlo? C’è silenzio a questo proposito nel mondo musulmano e nei media occidentali si sente solo più parlare di questi specialisti del terrorismo che aumentano giorno dopo giorno la miopia generale! Bisogna fare in modo che tu, amico mio, non ti illuda credendo e facendo credere che quando si finirà con il terrorismo islamico, l’islam avrà risolto i suoi problemi! Poiché tutto quello che ho evocato, una religione tirannica, dogmatica, letteraria, formalista, maschilista, conservatrice, regressista, è troppo spesso, non sempre, ma troppo spesso, l’islam ordinario, l’islam quotidiano che soffre e fa soffrire troppe coscienze, l’islam della tradizione e del passato, l’islam deformato da tutti coloro i quali lo utilizzano politicamente, l’islam che riesce ancora a mettere a tacere le Primavere arabe e la voce di tutti i giovani che chiedono qualcos’altro. Allora quando farai la tua vera rivoluzione? Questa rivoluzione che nelle società e nelle coscienze farà definitivamente rimare religione con libertà, questa rivoluzione senza ritorno che si accorgerà che la religione è diventato un fatto sociale tra altri ovunque nel mondo, e che i suoi esorbitanti diritti non hanno più alcuna legittimità!

Sicuramente nel tuo immenso territorio ci sono degli isolotti di libertà spirituale: delle famiglie che trasmettono un islam di tolleranza, di scelta personale, di approfondimento spirituale; dei contesti sociali nei quali la gabbia della prigione religiosa si è aperta o semi-aperta; dei luoghi in cui l’islam da ancora il meglio di sé che corrisponde ad una cultura della condivisione, dell’onore, della ricerca di sapere e una spiritualità alla ricerca di questo luogo sacro dove s’incontrano l’essere umano e la realtà ultima chiamata Allah. In Terra islamica e ovunque nelle comunità musulmane del mondo ci sono delle coscienze forti e libere, ma esse sono condannate a vivere la loro libertà senza certezza, senza riconoscenza di un diritto veritiero, lasciate a loro rischio e pericolo di fronte al controllo comunitario o addirittura talvolta di fronte alla polizia religiosa. Fino ad ora non è mai stato riconosciuto il diritto di dire “Io scelgo il mio islam”, “Ho il mio proprio rapporto con l’islam” da parte dell’ “islam officiale” di coloro che hanno una dignità. Questi ultimi invece si ostinano a imporre che “la dottrina dell’islam è unica” e che “l’obbedienza ai pilastri dell’islam è la sola soluzione”.

Questo rifiuto del diritto alla libertà religiosa è una delle fonti del dolore di cui tu soffri, o mio caro amico mondo musulmano, uno dei ventri oscuri dove crescono i mostri che fai infuriare da qualche anno davanti ai volti spaventati del mondo intero. Poiché questa religione del fare impone una violenza insostenibile interamente a tutte le tue società. Questa rinchiude sempre troppe delle tue figlie e tutti i tuoi figli in una gabbia di un Bene e di un Male, di un lecito (halâl) e di un illecito (harâm) che nessuno sceglie ma che tutti subiscono. Imprigiona le volontà, condiziona gli spiriti, impedisce o ostacola qualsiasi scelta di vita personale. In troppi dei tuoi paesi tu associ ancora religione e violenza, contro le donne, contro i “cattivi credenti”, contro le minoranze cristiane o altre, contro i pensatori e gli spiriti liberi, contro i ribelli, in modo tale da arrivare a confondere questa religione e questa violenza , tra i più squilibrati e i più fragili dei tuoi figli, nella mostruosità del jihad!

Pertanto, ti prego, non ti stupire, non fare più finta di stupirti che dei demoni come il cosi detto Stato islamico ti abbiano rubato il volto! Poiché i mostri e i demoni rubano solo i volti già deformi a causa di troppe smorfie! E se vuoi sapere come fare per non mettere più al mondo tali mostri, te lo dirò. È allo stesso tempo semplice e molto difficile. Devi iniziare dal riformare tutta l’educazione che fornisci ai tuoi bambini, è necessario che tu riformi ciascuna delle tue scuola, ciascuno dei tuoi luoghi di sapere e di potere. È necessario che le riformi per dirigerle secondo dei principi universali (anche se non sei il solo a non rispettarli o a persistere nella loro ignoranza): la libertà di coscienza, la democrazia, la tolleranza e il diritto di cittadinanza per ogni diversità nella visione del mondo e nelle credenze, l’uguaglianza dei sessi e l’emancipazione delle donne sotto tutela maschile, la riflessione e la cultura critica del religioso nelle università, la letteratura, i media. Non puoi più tornare indietro, non puoi più fare di meno di tutto ciò! Non puoi più fare meno della rivoluzione spirituale la più completa! È il solo modo per te per non mettere più al mondo tali mostri e se non lo fai sarai ben presto distrutto dalla potenza della distruzione. Quando avrai correttamente portato a termine questo compito colossale, invece che rifugiarti ancora nella malafede e nell’accecamento volontario, allora più nessun mostro spregevole potrà venire a rubarti il volto.

Caro mondo musulmano… Sono solo un filosofo e come sempre alcuni diranno che il filosofo è un eretico. Pertanto io cerco soltanto di far risplendere di nuovo la luce, è il nome che mi hai dato ad ordinarmelo, Abdennour, «Serviteur de la Lumière».

Non sarei mai stato cosi severo in questa lettera se non credessi in te. Come si dice in francese: “Chi ama profondamente, castiga bene”. Al contrario, tutti coloro i quali non sono abbastanza severi con te attualmente, che ti scusano sempre, che ti voglio considerare sempre una vittima, o che non vedono la tua responsabilità in quello che ti accade, tutti loro in realtà non ti fanno del bene! Credo in te, credo nel tuo contributo nel fare del nostro pianeta un universo più umano e allo stesso tempo più spirituale! Salâm, che la pace sia in te.

 

Huffingtonpost 10.02.2015

 

Edda CattaniMondo musulmano
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Il “perdono”: riflessioni

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Nella cronaca, di qualche anno fa due casi tanto diversi

di “richiesta di perdono”

Un Papa che chiede perdono:

“Mai più abusi”

 CITTA’ DEL VATICANO – Come il pastore, che “ha bisogno del bastone” per proteggere il suo gregge, e del “vincastro che dona sostegno ed aiuta ad attraversare passaggi difficili”, anche la Chiesa “deve usare il bastone del pastore, il bastone col quale protegge la fede contro i falsificatori, contro gli orientamenti che sono, in realtà, disorientamenti”. Lo ha detto papa Benedetto XVI alla messa per la conclusione dell’Anno sacerdotale. “Proprio l’uso del bastone – ha aggiunto – può essere un servizio di amore. Oggi vediamo che non si tratta di amore, quando si tollerano comportamenti indegni della vita sacerdotale”.
Un chiaro riferimento ai sacerdoti colpevoli di abusi in passato coperti da alcune componenti della gerarchia cattolica. E proprio parlando dei casi di pedofilia, nel corso della celebrazione il Papa aveva chiesto “perdono a Dio e alle persone coinvolte” e promesso “di voler fare tutto il possibile affinché un tale abuso non possa succedere mai più”.

  

Caso Onofri, Alessi: «Chiedo perdono, ma non ho ucciso io Tommy»

«CHIEDO PERDONO» – Alessi ribadisce la sua «innocenza» in un’intervista alla Gazzetta di Parma. Da fine marzo, l’uomo è rinchiuso nel carcere di Prato (è da solo in cella, legge e lavora a un nuovo memoriale): chiede perdono alla mamma di Tommy, Paola Pellinghelli, «per tutto il male che le abbiamo fatto e che io le ho fatto». La risposta della donna è un «no»: «Non me la sento di perdonare, e forse non lo farò mai. Voglio solo che sconti la sua pena. Vorrei che lui e gli altri pagassero fino in fondo e dicessero la verità».

 

Un motivo per trarre alcune riflessioni:

 

 

Il perdono cristiano

 
[NADIA BONALDO]
Ci sono sempre parole che feriscono, suscettibilità che si urtano. Chiedere e accogliere il perdono è un processo umano e un percorso divino. Comincia con un atto di coraggio e, trasformando le relazioni umane, possiede la capacità di rivelare il volto originale di Dio.

Chiedere perdono come anche perdonare non sono azioni spontanee, naturali. Sono valori entrati a far parte della cultura cristiana e che il cristiano è chiamato a vivere con la forza che scaturisce dalla vita nuova ricevuta con il Battesimo.

 “Ma lei ha perdonato coloro che hanno ucciso, il figlio… il marito?…”
“ E lei ha chiesto perdono alla famiglia?”.
Quante volte, a seconda dei casi, abbiamo sentito porre dai giornalisti questi tipi di domande  a coloro che sono ancora straziati da un dolore o che hanno appena commesso un reato!
E quante volte abbiamo disapprovato la mancanza di tatto in momenti così delicati avvertendo, anche inconsciamente, che il perdono da chiedere o da ricevere non è automatico ma un processo lento, progressivo, che coinvolge tutta la sfera della persona. Ci risulta faticoso chiedere perdono perché la nostra società incoraggia a salvare la faccia, a giustificarci in ogni caso, a dare prova di spirito di potenza, a non incontrare la propria debolezza. Ammettere di aver sbagliato, infatti, presuppone una grande attenzione alla propria interiorità e ai propri valori, tanto morali quanto spirituali.

Per un perdono senza equivoci

Perdonare non significa pronunciare la parola magica del perdono  e magari aspettarsi un effetto istantaneo, anch’esso magico. Può essere facile pronunciare la parola perdono, ma ha poco valore se non c’è il cuore, se non è coinvolta tutta la persona. L’atto della volontà è necessario (come diceva sant’Agostino)  ma non è sufficiente. Sono indispensabili risorse come l’intelligenza, il cuore, la sensibilità, il buonsenso, altrimenti risulta un perdono artificioso. Ciò richiede una generosità tale che ci si deve rimettere a un’istanza superiore , a un Altro, a Dio per poterlo realizzare.
Il perdono dipende quindi da un’azione umana e da un’azione divina in cui ciascuna vi apporta il proprio contributo, ed entrambe sono indispensabili.

Perdonare non significa dimenticare il torto subito. Spesso sentiamo dire: «Va bene, dimentichiamo, voltiamo pagina, perdoniamoci… ». In questo caso non si avrebbe niente da perdonare. Esercitare il perdono esige invece una buona memoria e una coscienza lucida dell’offesa. Anzi, alcuni suggeriscono di ricordare, anche dettagliatamente, il torto ricevuto per poterci liberare delle ferite che esso può aver provocato. In effetti, se si giunge a perdonare un’offesa ciò significa che il suo ricordo non ci causa più sofferenza ma sarà un ricordo come un altro che contribuirà ad acquistare maggiore saggezza. “Il perdono non è dimenticare le colpe del passato, ma un dilatarsi del cuore in uno scambio di vita” (Giovanni Vannucci).

Perdonare non significa negare o sminuire l’offesa subita dicendo: «Non è grave! Ho le spalle larghe, ci vuol ben altro per lasciarmi abbattere! ». Quando si riceve un duro colpo, specie da persone a noi care, una delle reazioni più frequenti consiste nel difendersi dal tumulto di emozioni che emergono in noi, negando che ci sia stata l’offesa. Ma questa reazione non si chiama perdono bensì rimozione e non c’entra nulla con il perdono cristiano.

Perdonare non significa abdicare ai propri diritti. Nel vangelo Gesù dice:
“Sapete che fu detto: occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due” (Mt 5,38-41).

Charles Duquoc, commentando questo brano, afferma che Gesù non è un ingenuo, non comanda la passività, non chiede di rinunciare alla lotta contro il male. Egli vuole mostrare che l’equivalenza nel male, fosse anche nel nome della giustizia, non trasforma la società umana. Ci vuole un atteggiamento che non si misuri su quanto è già stato fatto: occorre un gesto innovativo, un gesto creatore.
Il perdono rappresenta questa innovazione.
Il credente imita Dio creatore quando, tralasciando l’imperativo della giustizia legale, apre un’altra relazione con colui al quale egli perdona. Così il perdono, trasformando le relazioni umane, possiede la capacità di rivelare il volto originale di Dio. Il perdono comincia con un atto di coraggio.
Perdonare e accogliere il perdono sono gesti creatori che manifestano gli effetti della vita nuova che lasciamo emergere in noi.

Dai Padri della Chiesa
“L’animo sia ben disposto, umile, pieno di misericordia, facile a perdonare. Chi sa di avere offeso, chieda perdono. E’ indubbiamente assai meritevole perdonare le colpe al fratello, come il Signore perdona le nostre. E’ solo questione di volontà. Qualcuno può dire: “Ho mal di stomaco: non posso digiunare”, oppure: “vorrei dare qualcosa ai poveri, ma non posso, ho appena il sufficiente per me”. Ma chi oserà dire:”Non concedo il perdono a chi me lo chiede perché la salute non me lo permette, o mi manca la mano con cui stringere la sua?” . Perdona e sarai perdonato. Non si richiede uno sforzo fisico: L’anima non ha bisogno di fatica muscolare per compiere quanto le viene richiesto. Essendo scritto: Non lasciate tramontare il sole, senza che abbiate prima perdonato (Ef 4,26) ditemi, fratelli carissimi, se può chiamarsi cristiano colui che non vuol finirla con i rancori, che non avrebbe mai dovuto alimentare” (Agostino, Sermone 210,12).

Edda CattaniIl “perdono”: riflessioni
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Silenzi

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Silenzi

 

 

Il prodigio del silenzio

è giungere a parlare tacendo,

a essere espressivi senza usare le parole,

ad avere una vita

silenziosamente eloquente.

Il silenzio

è un modo diverso di comunicare

e, più in profondità,

un modo diverso di essere… e di vivere.

 

 

Silenzio significa anche “ascoltare”. Certo, sappiamo bene come sia difficile ascoltare se ascoltare indica l’atto di aprirsi e accogliere la sofferenza dell’altro: “La maggior parte degli orecchi si chiude alle parole che cercano di dire una sofferen­za” . Si innalzano barriere per evitare che la sofferen­za passi da chi la vive e la esprime a chi la ascolta. Ep­pure, senza questa cultura dell’ascolto del sofferente noi condanniamo l’altro alla solitudine e all’isolamento mortale e precludiamo anche a noi la possibilità di: una consolazione e di una comunicazione nella nostra sofferenza.

Ascoltare non è prestare l’orecchio, è farsi condurre dalla parola dell’altro là dove la parola conduce. Se poi, invece della parola, c’è il silenzio dell’altro, allora ci si fa guidare da quel silenzio. Nel luogo indicato da quel silenzio è dato reperire, per chi ha uno sguardo forte e osa guardare in faccia il dolore, la verità av­vertita dal nostro cuore e sepolta dalle nostre parole. Questa verità, che si annuncia nel volto di pietra del depresso, tace per non confondersi con tutte le altre parole’.

La domanda che qui si deve porre è: sappiamo dare tempo, attenzione ed energie all’ascolto di chi soffre? E sappiamo ascoltare la sofferenza profonda che è in noi, premessa indispensabile per porci sempre più at­tentamente in ascolto della sofferenza dell’altro? Ascol­tare significa dare la parola, dare tempo e spazio all’al­tro, accoglierlo anche in ciò che egli rifiuta di sé, dargli diritto di essere chi lui è e di sentire ciò che sente e fornirgli la possibilità di esprimerlo.

Ascoltare è atto che umanizza l’uomo e che suscita l’umanità dell’al­tro. Ascoltare è far nascere, dare soggettività, permet­tere all’uomo di realizzare il proprio nome e il proprio volto. Ovvero la propria umanità.

Edda CattaniSilenzi
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