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Prima siediti

(Alessandro Dehò)

XXIII domenica del tempo ordinario (Luca 14, 25-33)

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Certo che la odierei la vita, se tu non fossi l’orizzonte del mio cammino, se tu non fossi almeno ipotesi, tentazione, fissazione. La odierei la vita se non potessi cercarti e traditi, amarti e bestemmiarti, se non potessi feriti e tornare a piangerti addosso. Io, la vita, l’avrei in odio se non avessi le tue tracce da cercare, indizi di te da ritrovare. E non vorrei padre e non vorrei madre perché, semplicemente, vorrei non essere mai nato. E non vorrei moglie, perché non ci si può innamorare senza futuro. E non vorrei figli perché unico desiderio sarebbe interrompere la logica della dolorosa illusione generativa. E non potrei chiamare nessuno fratello, vedrei accanto a me solo naufraghi imbarcati a forza verso la fine, illusi e disperati marinai del nulla. Se tu non fossi, almeno come intuizione, smarrimento, vago presagio, io non vorrei essere. Io non sarei, avrei la vita in odio, maledirei ogni respiro e sputerei rabbia a ogni contrazione cardiaca. Se tu non fossi, se non fossi il mio cammino e la mia tenera ossessione, non ci sarebbe ipotesi di vita.

Gesù, è questo che la tua vita ha raccontato. E quando ti volti a osservare i nostri cammini fatti di masse senza pensiero è per dirci che non basta camminare confusi tra la folla, non basta la consumistica ricerca di te. Non basta a noi, non basta a te. Non sei tu ad essere esigente, non è la tua parola a essere gelosa e possessiva, è la vita a essere così. E la fede non è altro che il modo per vivere la nostra storia. E allora continua a fermarti, come nella pagina evangelica di oggi, e a voltarti e a narrarci la tua bruciante ricerca del Padre, continua a sanguinare passione per ognuno di noi e per questa vita che se non riposa negli occhi di Dio diventa un soffio vuoto, una risata tragica, una menzogna promessa. Continua Signore a voltarti verso di noi, popolo confuso e impaurito, cercatori di consenso e di promesse a basso costo, voltati ancora verso di noi e inchiodaci alla nostra responsabilità con quei tuoi occhi capaci di scassinare le porte del futuro. Parlaci di quell’amore che tutto sostiene, che tutto riempie, che tutto riscalda. Parlaci di quella forza che costruisce montagne, fa sbocciare fiori, sospende le nuvole in cielo, fa nascere bambini e innamorare uomini e donne. Mostrarci quella forza, quel sangue vitale che rende vivo e sensato l’Universo perché senza quell’orizzonte noi siamo vuoti e vuota la vita e insensata ogni ora. “Egli si voltò e disse loro…”. Dentro i tuoi occhi noi raccoglieremo il tempo dalle rughe dei nostri padri, dentro i tuoi occhi innamorati noi cercheremo ancora la forza di baciare e di consegnare figli al mondo e il mondo ai nostri figli. Dentro le tue parole che parlano di Dio, di Vita, di Eterno, noi troveremo il coraggio di ringraziare per questo miracolo che chiamiamo vita.

“Colui che non porta la propria croce”, un brivido percorre la schiena perché noi sappiamo il prezzo della croce, perché il sangue non lo dimentichi, perché la Resurrezione non cancella l’abbandono. E noi a chiederci perché, per dare Senso, servono sempre i chiodi e la pelle strappata dalla carne? Perché nel cuore dell’Amore deve sempre aggrapparsi la croce? E intanto dimentichiamo che il Vangelo parla di croce ben prima del Calvario. Tu, Signore, hai preso la tua croce fin dalla capanna di Betlemme, quando hai deciso di affidarti, nudo, alle cure di una ragazzina in lacrime, ai dubbi di Giuseppe e alle attenzioni rozze dei pastori. C’era la croce a Cana e in tutti i tuoi miracoli, c’era la croce in ogni tua parola, nelle beatitudini, nella tenerezza di Maria e di Marta, nel dolore di Lazzaro, nei pani moltiplicati e nelle tempeste sedate. Croce non è solo Calvario, croce è un modo per dire amore senza compromessi, sul Calvario ha preso il tono drammatico, definitivo, terribile e sublime dell’esecuzione. E il suo nome è diventato Croce, ma era da leggere Amore. Il Calvario è solo l’esecuzione più estrema di quella partitura di fedeltà all’uomo. Ad ogni uomo. Tu, Gesù, la croce, l’hai sempre avuta dentro. Sei nato sotto il segno della croce e hai vissuto sotto questo segno, perché la croce è la capacità di far emergere l’amore ad ogni istante, è graffiare il visibile, è scoprire che anche la terra più arida può far germogliare amore. E se osiamo parlare d’amore è solo perché ogni giorno qualcuno decide di crocifiggersi nell’aridità del nostro cuore convinto ancora che sboccerà un fiore. La croce non è improvviso contrattempo, la croce è lo stile di uno sguardo è il paradigma di una vita. Dramma vero è non avere la forza di crocifiggersi innamorati nella storia di nessuno, vero dramma è avere le mani vuote, è chiamarsi fuori, è risparmiarsi, è non trovare un pezzo di legno su cui incidere il nostro personalissimo modo di rendere regale la vita. E se anche non avrà i contorni del dramma inarrivabile del Nazareno, perché inarrivabile è il suo amore, sarà però il nostro modo unico e irripetibile di provare a fecondare quel pezzo di mondo che ci ha amato, magari anche osannato, quasi sicuramente tradito. Sarà qualcosa di piccolo, di minimo, di invisibile, ma sarà il nostro modo di aprire ancora un varco al divenire della vita. Solo il Signore che è Padre vedrà, a lui di commuoversi per ogni nostro amore balbettato. Non possiamo vivere senza prendere la nostra croce, e non è una minaccia, è una visone profonda del mondo che Gesù vuole condividere con noi, perché se riuscissimo a piantare la croce in qualche brano della nostra storia, in un momento qualsiasi, vedremo sgorgare acqua dalla roccia.

Poi Gesù parla di torri lasciate a metà, di battaglie che non val la pena intraprendere e qualcuno dice che lo fa perché al Signore non piacciono le cose lasciate a metà, ma io non ci credo, non mi sembra lo stile del Vangelo. Io credo che moriremo in tanti con le nostre torri incompiute, ruderi abbozzati più che lavori completi. Moriremo senza aver compreso tutto, senza aver portato a termine, senza aver chiuso i conti. Speriamo almeno di morire con un sogno di torre ancora in piedi. No, non sei il Dio del perfezionismo, ti innamori anche di camini solo iniziati, di conversioni non provate, di promesse impossibili da verificare. Non è nella torre incompiuta che dobbiamo cercare risposta ma in quel tuo consiglio che viene prima, consiglio lasciato scivolare a una folla che stava venendoti dietro, consiglio seminato in corpi abitati dal furore dell’entusiasmo… tu ti sei voltato indietro e hai detto “prima, siediti”. Prima del cammino metti silenzio attorno alle tue decisioni, ferma la fretta, interrompi ogni domani. Prima, siediti. E lascia scorrere avanti la folla, esci dalla mischia, non dire di “sì” imitando patetici meccanismi di seduzione, non farti travolgere da niente e da nessuno. Fermati, siediti. E poi decidi di te. Gesù non ha paura delle torri non finite ma delle costruzioni, anche perfette, che non hanno dentro il brivido fermo della decisione personale. Decisione che non è data una volta per sempre, decisione che chiede una fedeltà al pensiero, alla meditazione quotidiana, alla responsabilità. fermiamoci, sediamoci, lasciamo scorrere avanti la folla e chiediamoci, ogni giorno: “ma io sto amando qualcuno?”.

 

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Edda CattaniPrima siediti!

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