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Naufragi e soglie

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Naufragi e soglie

(Luca 7,11-17)
X domenica Tempo Ordinario C

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Qualcuno dice che Nain significhi “sorriso” ma oggi Nain vorrebbe cambiare nome. Il sorriso è cariato dal padre di tutti i dolori, una donna ha perso tutto, prima il marito e ora l’unico figlio. Un corteo sta spingendo lontano dalla città la madre e il figlio, emorragia dolorosa, due detriti portati alla deriva da una folla che non può far altro che rifiutare ciò che non può comprendere. Una donna non più madre ed un ragazzo non più vivo sono segno di quel naufragio che diventa la vita quando non rispetta i patti più elementari della natura: i padri devono essere seppelliti dai figli, non viceversa.

L’impressione è che quella donna, a Nain, non farà più ritorno. Non ci sarà più “sorriso” per lei, solo la folla refluirà, come onda che ha esaurito lo sfogo del rabbioso dolore, a continuare, in fondo sollevati per non essere stati toccati dalla tragedia, in fondo in muta attesa che qualcosa capiti anche a loro, prima o poi. Così è la vita. Il morto, intanto, è spinto fuori dalla porta, per adesso ci si può illudere di aver rubato qualche passo alla morte.

Un altro naufrago, relitto sospinto da un corteo altrettanto inutile, sta camminando, ma in direzione opposta. Ma non sarà per sempre così. Anche lui sarà spinto fuori da una città fortificata, anche lui lascerà una donna, già senza marito, anche senza figlio. Relitto aggrappato a un pezzo di legno lotterà per mettere in salvo e non per salvarsi. Forse è per questo che Gesù, alla vista del corteo funebre non chiude gli occhi ma: “vede”. Forse perché, guardando, anche, “si vede”. Si vede per quel che sarà, vede quella madre e pensa a Maria, vede quel corteo e pensa alla Via Crucis, vede quel dolore e pensa che lo conoscerà da vicino. Gesù vede e decide di raccogliere la sfida e raccontare a quei tristi cortei il Senso profondo della vita. Quella vita a cui non basta un Nain, un “sorriso”, quella vita che deve fare i conti con la morte, con il dolore, con la sconfitta, con una vita che sembra contraddire se stessa.

Gesù vede. Ed è la prima soglia da oltrepassare. Perché sì, il segreto della vita è quello di oltrepassare soglie, andare oltre, entrare dentro. Gesù non fa parte del corteo superficiale, Gesù vede e, mettendo i suoi occhi a servizio del reale, supera la soglia. Lascia entrare la morte dagli occhi. Se nella vita vuoi solo sorridere gli occhi li chiudi, Gesù no, non gli basta “Nain”, non gli basta sorridere, lui vuole nutrirsi della vita, nutrirsene fino in fondo, scoprirne il senso. E allora lascia entrare tutto ciò che scorre, tutto ciò che respira, tutto ciò che soffre. I discepoli chiuderanno gli occhi sul Calvario, lui no, occhi aperti a forzare la prima reazione, quel riflesso condizionato dalla paura, quegli occhi che vorrebbero chiudersi, quei cortei che vorrebbero sbarazzarsi il più in fretta possibile della morte.

Poi la compassione. Gesù forza la seconda frontiera, oltrepassa il limite ed accetta di entrare nel cuore del dolore. La donna si lascia guardare, la donna lo lascia entrare. Credo si sia accorta, sempre ci si accorge se qualcuno entra fin nelle profondità del dolore. E se non dice nulla, la donna, è solo perché non ci sono parole. Gesù entra, accetta il rischio della “compassione” della sofferenza condivisa. Senza questo movimento qualsiasi tentativo di parola sarebbe stato violento. Perché il dolore, come l’amore, per non essere violentato, chiede di essere abitato dolcemente da dentro. Solo allora si possono osare parole che altrimenti non avrebbero senso, che avrebbero solo ferito, che avrebbero solo offeso.
Ora, da dentro, dal cuore, Lui osa persino sussurrare: “non piangere”. E mentre consola la vedova di Nain Gesù sembra piangere per sua madre. La terza soglia da forzare è quella delle lacrime. Non possiamo permettere al dolore di svuotarci lo sguardo, il rischio è quello di perdere la verità, di confondere vita e morte, di non riconoscere la resurrezione.

Poi il corteo si ferma. Entrambi i cortei si fermano. Siamo alla porta della città. Il corteo di morte è fermato da un sguardo, da un cuore e da parole coraggiose. Quello che accompagnava Gesù è bloccato perché non è possibile raggiungere il “sorriso” senza immergersi nel dolore, la gioia evangelica è possibile solo per cuori provati dalla vita, senza dolore rimane solo lo stordimento del divertimento, ma divertirsi è “divergere”, cambiare strada, non passare attraverso la porta. Fermi, silenziosi, immobili. Davanti alla porta. Si guardano Gesù e quella donna, i due cortei sono svuotati di senso, senza movimento diventano umanità smarrita. Dal basso, dalla terra, salgono le domande e le paure. Gesù e la donna si guardano. C’è una porta da attraversare e Gesù lo sa, Lui che sta attraversando le porte della vita per andare a raggiungere il cuore di quella donna, Lui che conosce bene il rischio di questi passaggi di soglia, Lui che sente il dolore che si prova ad immergersi nell’umano, Lui che non resiste e che addirittura si definirà “porta”, luogo di passaggio unico, battesimo definitivo del mistero del mondo. Da quel silenzio immobile fiorisce un tocco. Uno spostamento minimo di aria, un cenno, un battito d’ali, una rivoluzione. Gesù tocca la bara. Con la stessa solenne ordinarietà del Dio di Genesi: tocca la morte. Ed è questo l’attraversamento più rischioso: ci si può perdere in quel ventre buio. A Nain è solo un tocco, preludio di quell’attraversamento lungo tre giorni. Della vita non puoi dire niente se non confrontandoti con la morte. Per gli ebrei era impuro toccare un cadavere, per Gesù è impuro tenersi a distanza. Tocca e permette alla donna di continuare a essere madre. Stavolta non serve specificare, dalla croce dovrà trovare le parole: “madre ecco tuo figlio”.

Il ragazzo si siede e parla. Siede sulla morte come un angelo e racconta la vita. Siede sul confine su quel sepolcro in equilibrio. E noi capiamo che a Nain la storia ha camminato incontro a Gesù, gli è come venuta incontro. Il tocco su di Lui sarà quello del Padre, la chiameremo Resurrezione e quando qualcuno porterà la notizia alla madre ritrovata di Nain lei risponderà con un sorriso materno, uno di quelli che teneramente dice, senza parole, “non avevo dubbi”.
A noi rimane una pagina splendida, rimane un invito: camminare incontro alla vita come ha fatto Gesù. Uscire dal corteo e fermarsi. Poi vedere e commuoversi e aggrapparsi alle lacrime e infine toccarla, la morte. Che se non la tocchi Nain rimane un sorriso troppo insicuro. Superarle tutte le soglie, che poi sono le paure che ci portiamo dentro. È solo toccando il dolore che si impara la vita. Fa male, è una passione. Il prezzo è altissimo. La posta in gioco però è semplicemente “Tutto”. Vivere la vita lasciandosi trascinare prima di venire trascinati al sepolcro oppure farsi male ma vivere, vivere lasciando entrare tutto ciò che scorre, tutto ciò che respira, tutto ciò che soffre.

(Alessandro Dehò)

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