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La luce della Resistenza

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La Resistenza e la sua luce

(P.Paolo Pasolini)

Così giunsi ai giorni della Resistenza
senza saperne nulla se non lo stile:
fu stile tutta luce, memorabile coscienza
di sole. Non poté mai sfiorire,
neanche per un istante, neanche quando
l’Europa tremò nella più morta vigilia.
Fuggimmo con le masserizie su un carro
da Casarsa a un villaggio perduto
tra rogge e viti: ed era pura luce.
Mio fratello partì, in un mattino muto
di marzo, su un treno, clandestino,
la pistola in un libro: ed era pura luce.
Visse a lungo sui monti, che albeggiavano
quasi paradisiaci nel tetro azzurrino
del piano friulano: ed era pura luce.
Nella soffitta del casolare mia madre
guardava sempre perdutamente quei monti,
già conscia del destino: ed era pura luce.
Coi pochi contadini intorno
vivevo una gloriosa vita di perseguitato
dagli atroci editti: ed era pura luce.
Venne il giorno della morte
e della libertà, il mondo martoriato
si riconobbe nuovo nella luce…
Quella luce era speranza di giustizia:
non sapevo quale: la Giustizia.
La luce è sempre uguale ad altra luce.
Poi variò: da luce diventò incerta alba,
un’alba che cresceva, si allargava
sopra i campi friulani, sulle rogge..
Illuminava i braccianti che lottavano.
Così l’alba nascente fu una luce
fuori dall’eternità dello stile…
Nella storia la giustizia fu coscienza
d’una umana divisione di ricchezza,
e la speranza ebbe nuova luce.

Pier Paolo Pasolini

 

Edda CattaniLa luce della Resistenza
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La Casa Comune

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Perle di saggezza indiana

Ancor prima di Papa Francesco…

Vi e’ molto di folle nella vostra cosiddetta civilta’. Come pazzi voi uomini bianchi correte dietro al denaro,  fino a che non ne avete così tanto, che non potete vivere abbastanza a lungo per spenderlo.  Voi saccheggiate i boschi e la terra,  sprecate i combustibili naturali,  come se dopo di voi non venisse piu’ alcuna generazione, che ha altrettanto bisogno di tutto questo.  Voi parlate sempre di un mondo migliore, mentre costruite bombe sempre piu’ potenti, per distruggere quel mondo che ora avete.  (Bufalo che Cammina, Stoney)

«Laudato si’, mi’ Signore», cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba».

Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22). Dimentichiamo che noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora.

(da Laudato sì del Santo Padre Francesco sulla cura della casa comune)

 

 

 

Edda CattaniLa Casa Comune
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Maria Divina Provvidenza

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Maria Divina Provvidenza

Papa Francesco  ritorna sovente sulla condizione della donna-madre, paragonandola alla  divina Provvidenza. Ed è il profeta Isaia che tale la rappresenta piena di tenerezza, dicendo  «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (49,15).  Continua poi ricordandoci che Dio non si dimentica di noi, di ognuno di noi! Di ognuno di noi con nome e cognome. Ci ama e non si dimentica. Che bel pensiero … Questo invito alla fiducia in Dio trova un parallelo nella pagina del Vangelo di Matteo: «Guardate gli uccelli del cielo – dice Gesù –: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. … Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro» (Mt 6,26.28-29).

 

UNA TESTIMONE:   Madeleine Delbrel

Madeleine Delbrel 1904 -1964) è stata una mistica francese, assistente sociale e poetessa. A diciassette anni Madeleine professò un ateismo radicale e profondo, al punto da scrivere: «Dio è morto… viva la morte».

L’incontro con alcuni amici cristiani e in particolare l’ingresso nei domenicani del ragazzo che amava, l’hanno spinta a prendere in considerazione la possibilità dell’esistenza di Dio. Questo passo, fondato sulla riflessione e sulla preghiera, la condusse alla conversione, a un incontro con Dio che da quel giorno – 1924 – ha occupato tutto l’orizzonte della sua vita. La sua causa di beatificazione è stata introdotta a Roma nel 1994.

Nella mia comunità

Signore aiutami ad amare,

ad essere come il filo

di un vestito. Esso tiene insieme

i vari pezzi e nessuno lo vede se non il sarto

che ce l’ha messo.

Tu Signore mio sarto,

sarto della comunità,

rendimi capace di

essere nel mondo

servendo con umiltà,

perché se il filo si vede tutto è

riuscito male. Rendimi amore in questa

tua Chiesa, perché

è l’amore che tiene

insieme i vari pezzi.

 

La passione, la nostra passione, sì, noi l’attendiamo.

Noi sappiamo che deve venire, e naturalmente intendiamo

viverla con una certa grandezza.

Il sacrificio di noi stessi: noi non aspettiamo altro che

ne scocchi l’ora.

Come un ceppo nel fuoco, così noi sappiamo di dover

essere consumati. Come un filo di lana tagliato

dalle forbici, così dobbiamo essere separati. Come un giovane

animale che viene sgozzato, così dobbiamo essere uccisi.

La passione, noi l’attendiamo. Noi l’attendiamo, ed essa non viene.

 

Vengono, invece, le pazienze.

Le pazienze, queste briciole di passione, che hanno

lo scopo di ucciderci lentamente per la tua gloria,

di ucciderci senza la nostra gloria.

Fin dal mattino esse vengono davanti a noi:

sono i nostri nervi troppo scattanti o troppo lenti,

è l’autobus che passa affollato,

 Il latte che trabocca, gli spazzacamini che vengono,

   I bambini che imbrogliano tutto.                                                       

Sono gl’invitati che nostro marito porta in casa

e quell’amico che, proprio lui, non viene;

è il telefono che si scatena;

quelli che noi amiamo e non ci amano più;

è la voglia di tacere e il dover parlare,

è la voglia di parlare e la necessità di tacere;

è voler uscire quando si è chiusi

è rimanere in casa quando bisogna uscire;

è il marito al quale vorremmo appoggiarci

e che diventa il più fragile dei bambini;

è il disgusto della nostra parte quotidiana,

è il desiderio febbrile di quanto non ci appartiene.

 

Così vengono le nostro pazienze,

in ranghi serrati o in fila indiana,

e dimenticano sempre di dirci che sono il martirio preparato per noi.

E noi le lasciamo passare con disprezzo, aspettando –

per dare la nostra vita – un’occasione che ne valga la pena.

Perché abbiamo dimenticato che come ci sono rami

che si distruggono col fuoco, così ci son tavole che

i passi lentamente logorano e che cadono in fine segatura.

Perché abbiamo dimenticato che se ci son fili di lana

tagliati netti dalle forbici, ci son fili di maglia che giorno

per giorno si consumano sul dorso di quelli che l’indossano.

Ogni riscatto è un martirio, ma non ogni martirio è sanguinoso:

ce ne sono di sgranati da un capo all’altro della vita.

E’ la passione delle pazienze.

 

E in un’altra parte: trampolini per l’estasi,

II gomitolo di cotone per rammendare, la lettera da scrivere,

il bambino da alzare, il marito da rasserenare,

la porta da aprire, il microfono da staccare,

l’emicrania da sopportare:

altrettanti trampolini per l’estasi,

altrettanti ponti per passare dalla nostra povertà,

dalla nostra cattiva volontà alla riva serena dei tuo beneplacito.

 

Facci vivere la vita non come una partita a scacchi dove tutto è calcolo

 non come una gara dove tutto è arduo

non come un problema da romperci la testa

 non come un debito da pagare

 

 

 

 

Edda CattaniMaria Divina Provvidenza
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Cristo è risorto!

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LA NOSTRA PASQUA

“Cristo Risorto invita tutti, cristiani ma anche chi è alla ricerca, a non scoraggiarsi nelle difficoltà della vita”.

Simili a colombe i nostri cari Figli volano liberi nella Luce. Lasciamoli

godere del miracolo della Resurrezione; certezza per tutti noi

della vita eterna!

Durante il tempo pasquale noi credenti, uniti ai nostri figli, angeli di Luce, ricordiamo il significato della santa Comunione, facendo in modo che tale rito sia il punto fermo di una partecipazione eucaristica che deve interessare tutta la nostra vita. L’Eucaristia è sacramento del sacrificio pasquale di Cristo. Dall’incarnazione nel grembo della Vergine fino all’ultimo respiro sulla croce, la vita di Gesù è un olocausto incessante, un perseverante consegnarsi ai disegni del Padre. Il culmine è il sacrificio di Cristo sul Calvario: «ogni volta che il sacrificio della croce, “col quale Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immolato” (1Cor 5,7), viene celebrato sull’altare, si effettua l’opera della nostra redenzione» (Lumen Gentium, 3; CCC, 1364).

Ad esso noi, Mamme della Speranza,  associamo il nostro sacrificio, per divenire un solo corpo e un solo spirito con i nostri Figli in Cristo. Partecipare all’Eucaristia, obbedire al Vangelo che ascoltiamo, mangiare il Corpo e bere il Sangue del Signore vuol dire fare della nostra vita un sacrificio a Dio gradito: per Cristo, con Cristo e in Cristo. In questo periodo di grandi tribolazioni per l’umanità, di guerre in ogni territorio, di faide, di miserie e di gravi perversioni, rivolte soprattutto a chi non ha colpa, ai bambini, agli anziani, ai più deboli, sentiamoci ancora una volta Chiesa militante, come lo sono i nostri Figli e vivendo nell’impegno e nella preghiera celebreremo, uniti a Loro, degnamente la nostra Pasqua. L’incontro con Cristo non è un talento da seppellire, ma da far fruttificare in opere e parole. L’evangelizzazione e la testimonianza missionaria si dipartono dunque come forze centrifughe dal convito eucaristico (cf. Dies Domini, 45). La missione è portare Cristo, in modo credibile, negli ambienti di vita, di lavoro, di fatica, di sofferenza, facendo in modo che lo spirito del Vangelo sia lievito della storia e “progetto” di relazioni umane improntate alla solidarietà e alla pace.

Conviene ritornare a ciò che è più essenziale. In effetti, tutte le cose che potremo fare avranno un senso se poste dentro l’ottica del dono di Dio. Le iniziative non dovranno essere che sentieri aperti, perché la grazia, sempre offerta dallo Spirito di Dio, scorra con abbondanza, accolta dai singoli e dalla nostra comunità. L’eccomi della Vergine Santa dovrà ancora una volta dare il tono all’eccomi di tutte noi che continuamente, con il corpo e il sangue di Cristo, riceviamo anche il dono della maternità di Maria: “Ecco tua Madre!”

Da primo messaggio ricevuto Andrea ci disse di essersi buttato ai piedi della Madre Celeste dicendole: “Madre poni fine a tanto dolore”! Così Dio, nella Sua misericordia, ci ha fatto ritrovare questo Figlio benedetto e ci ha ridato la Sua pace.

Che Dio benedica le nostre famiglie e la certezza della Sua Resurrezione ci sia di conforto e di aiuto. E’ l’augurio che faccio a tutti per un tempo di pace e di serenità!

 

“Gesù Cristo, morto in croce, è risorto. Questo il messaggio. Essere il testimone di questa lieta notizia, che dagli apostoli ad oggi viene proclamata nel mondo. Dire che Cristo è risorto, è dire tutta la nostra speranza nella vita. La vita che è la sconfitta del peccato, di quelle situazioni di miseria che ogni uomo porta con sé. Il Signore è venuto a farci dono della vita nuova che si deve tradurre in una pace interiore, in uno stile di vita nei confronti degli altri. Io ho voluto scrivere questo messaggio: Cristo risorto unica speranza del mondo doni giustizia e libertà agli oppressi. In questo momento il mio pensiero è rivolto agli uomini e alle donne che vivono la tragedia della guerra e dalle coste africane arrivano da noi in Sicilia, come primo approdo, e cercano di essere accolte. Per loro vorrei annunziare di non perdersi di animo, perchè possano realizzarsi per loro condizioni di giustizia, condizioni di potere condurre con dignità la propria vita, condizioni di libertà, ogni uomo è chiamato a vivere nella responsabilità. Come Chiesa annunciamo la Risurrezione di Cristo, ma la fede si può condividere con tutti gli uomini di buona volontà. Dobbiamo impegnarci per assicurare condizioni di maggiore giustizia e libertà agli oppressi. La Risurrezione di Cristo sia pace e salvezza per tutti gli uomini. Il mio augurio è rivolto ai cristiani ma anche alle persone che vanno alla ricerca della verità e del senso della vita”.  (Mons.Salvatore Pappalardo – Arcivescovo)

  Liturgia e tradizioni

La riforma della Settimana Santa, con il ritorno di ciascuna liturgia del Triduo Sacro ad un orario più consono non fu promossa dal Concilio, ma dal pontefice Pio XII, di venerata memoria.
L’uso di lavarsi la faccia e in particolare gli occhi a me sembra decisamente e tipicamente battesimale (l’acqua è evidente e lo sciacquarsi gli occhi mi ricorda tanto il cieco nato giovanneo!), più che vagamente pasquale.
 

Quando ero bambina al sabato santo,  si slegavano le campane a mezzogiorno, poi vi era la consuetudine di bagnarsi gli occhi “per allontanare i malanni”.

Le campane, che fino a quel momento erano rimaste in silenzio (sostituite dall’arcaico “crepitacolo”) suonavano a stormo, e la gente correva a bagnarsi gli occhi con l’acqua, compiendo una sorta di rito di purificazione…forse allo scopo di togliere il “velo” funebre che ancora copriva gli occhi e vedere il Cristo Risorto, non solo con gli occhi “fisici”, ma anche con gli occhi della fede!….

Tutto questo accadeva circa una cinquantina di anni fa…

 
Era una vecchia usanza preconciliare, me la raccontava anche mio nonno. A mezzogiorno del sabato si scioglievano le campane che si suonavano a festa e la gente correva al fiume per lavarsi gli occhi, simbolo del peccato vinto dalla Risurrezione di Cristo.
 

 

Mia mamma mi dice che la Pasqua si festeggiava a mezzogiorno del sabato. Suonavano le campane e la gente usciva per strada ad abbracciarsi.
 

La ricordo anch’io da bambino nella mattinata del sabato.
In effetti era una cosa che lasciava un po’ perplessi. Mio nonno diceva sempre:
“L’han faa resucitaa in anticip”.

Attualmente la Veglia giustamente si fa all’inizio liturgico del terzo giorno, cioè nella serata del sabato.

 

 

Edda CattaniCristo è risorto!
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Maria, donna del Sabato santo

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Maria, donna del Sabato santo

don Tonino Bello

Nelle feste c’è Lui.

Nelle vigilie, al centro, c’è Lei.

Discreta come brezza d’aprile che ti porta sul limitare di casa profumi di verbene, fiorite al di là della siepe.

Ci sono, a volte, degli attimi così densi di mistero, che si ha 1’impressione di averli già sperimentati in altre stagioni della vita. E ci sono degli attimi così gonfi di presentimenti, che vengono vissuti come anticipazioni di beatitudini future.

Nel giorno del Sabato santo, di questi attimi, ce n’è più di qualcuno. E come se cadessero all’improvviso gli argini che comprimono il presente. L’anima, allora, si dilata negli spazi retro stanti delle memorie. Oppure, allungandosi in avanti, giunge a lambire le sponde dell’ eterno rubandone i segreti, in rapidi acconti di felicità.

Come si spiega, infatti, se non con questo rimpatrio nel passato, il groppo di allusioni che, superata appena la “parasceve”, si dipana al primo augurio di buona Pasqua, e si stempera in mille rigagnoli di ricordi, fluenti tra anse di gesti rituali?

La casa, vergine di lavacri, che profuma d’altri tempi. L’amico giunto dopo tanti anni, nei cui capelli già grigi ti attardi a scorgere reliquie d’infanzie comuni. Il dono opulento, là in cucina, tra le cui carte stagnole cerchi invano sapori di antiche sobrietà… quando era viva lei, e la madia nascondeva solo stupori di uova colorate. Il grembo vuoto della chiesa, il cui silenzio trabocca di richiami, e dove nel vespro ti decidi finalmente a entrare, come una volta, per riconciliarti con Dio e sentirti restituire a innocenze perdute.

E come si spiega se non col crollo delle dighe erette dai calendari terreni, quel sentimento pervasivo di pace che, nel Sabato santo, almeno di sfuggita, irrompe dal futuro e ti interpella con strani interrogativi a cui sentì già di poter dare risposte di gioia?

C’è un tempo in cui la gente starà sempre a scambiarsi strette di mano e sorrisi, così come fa oggi? Verranno giorni sottratti all’usura delle lacrime? Esistono spazi di gratuità, dove non smetteremo più gli abiti di festa? Ci sono davvero delle stagioni in cui la vita sarà sempre così?

Fascino struggente del Sabato santo, che ti mette nell’ anima brividi di solidarietà perfino con le cose e ti fa chiedere se non abbiano anch’ esse un futuro di speranza!

Che cosa faranno gli alberi stanotte, quando suoneranno a stormo le campane? Le piante del giardino spanderanno insieme, come turiboli d’argento, la gloria delle loro resine? E gli animali del bosco ululeranno i loro concerti mentre in chiesa si canta l’Exultet? Come reagirà il mare, che brontola sotto la scogliera, all’annuncio della Risurrezione? L’angelo in bianche vesti farà fremere le porte anche dei postriboli? Oltre i cancelli del cimitero, sussulteranno sotto il plenilunio le tombe dei miei morti? E le montagne, non viste da nessuno, danzeranno di gioia attorno alle convalli?

Una risposta capace di spiegare il tumulto di queste domande io ce l’avrei. Se nel Sabato santo il presente sembra oscillare su passato e futuro, è perché protagonista assoluta, sia pur silenziosa, di questa giornata è Maria.

Dopo la sepoltura di Gesù, a custodire la fede sulla terra non è rimasta che lei. Il vento del Golgota ha spento tutte le lampade, ma ha lasciato accesa la sua lucerna. Solo la sua. Per tutta la durata del sabato, quindi, Maria resta l’unico punto di luce in cui si concentrano gli incendi del passato e i roghi del futuro. Quel giorno essa va errando per le strade della terra, con la lucerna tra le mani. Quando la solleva su un versante, fa emergere dalla notte dei tempi memorie di santità; quando la solleva sull’altro, anticipa dai domicili dell’ eterno riverberi di imminenti trasfigurazioni.

Santa Maria, donna del Sabato santo, estuario dolcissimo nel quale almeno per un giorno si è raccolta la fede di tutta la Chiesa, tu sei l’ultimo punto di contatto col cielo che ha preservato la terra dal tragico blackout della grazia. Guidaci per mano alle soglie della luce, di cui la Pasqua è la sorgente suprema.

Stabilizza nel nostro spirito la dolcezza fugace delle memorie, perché nei frammenti del passato possiamo ritrovare la parte migliore di noi stessi. E ridestaci nel cuore, attraverso i segnali del futuro, una intensa nostalgia di rinnovamento, che si traduca in fiducioso impegno a camminare nella storia.

Santa Maria, donna del Sabato santo, aiutaci a capire che, in fondo, tutta la vita, sospesa com’ è tra le brume del venerdì e le attese della domenica di Risurrezione, si rassomiglia tanto a quel giorno. È il giorno della speranza, in cui si fa il bucato dei lini intrisi di lacrime e di sangue, e li si asciuga al sole di primavera perché diventino tovaglie di altare.

Ripetici, insomma, che non c’è croce che non abbia le sue deposizioni. Non c’è amarezza umana che non si stemperi in sorriso. Non c’è peccato che non trovi redenzione. Non c’è sepolcro la cui pietra non sia provvisoria sulla sua imboccatura. Anche le gramaglie più nere trascolorano negli abiti della gioia. Le rapsodie più tragiche accennano ai primi passi di danza. E gli ultimi accordi delle cantilene funebri contengono già i motivi festosi dell’alleluia pasquale.

Santa Maria, donna del Sabato santo, raccontaci come, sul crepuscolo di quel giorno, ti sei preparata all’ incontro col tuo figlio Risorto. Quale tunica hai indossato sulle spalle? Quali sandali hai messo ai piedi per correre più veloce sull’erba? Come ti sei annodata sul capo i lunghi capelli di nazarena? Quali parole d’amore ti andavi ripassando segretamente, per dirgliele tutto d’un fiato non appena ti fosse apparso dinanzi?

Madre dolcissima, prepara anche noi all’ appuntamento con Lui. Destaci l’impazienza del suo domenicale ritorno. Adornaci di vesti nuziali. Per ingannare il tempo, mettiti accanto a noi e facciamo le prove dei canti.

Perché qui le ore non passano mai.

Edda CattaniMaria, donna del Sabato santo
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Pasqua di Resurrezione

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LA PASQUA e IL PERDONO

 

Quando era bambina, nella mia terra, gli uomini andavano a messa solo a Natale e a Pasqua e, in quelle circostanze,  che la cristianità ritiene le principali fra le solennità liturgiche, accadevano cose straordinarie. Le musiche dei vecchi organi, il profumo dei fiori, l’odore acre dei  ceri, i colori dei paramenti e degli abiti delle feste erano per noi piccoli motivo di osservazione e di curiosità, ma il momento più importante era quello della ”predica” del parroco. A quell’epoca la voce del sacerdote tuonava parole forti che scuotevano gli animi e lasciavano una traccia indelebile che, si sapeva, doveva durare per tutto il tempo che restava per la prossima occasione. Quell’anno, a Pasqua, la mamma ci si era messa d’impegno e mi aveva confezionato un abito celeste; papà aveva dipinto anche le mie scarpe dello stesso colore e io mi sentivo, fra i miei genitori, così belli ed uniti, una reginetta. Venne il momento dell’omelia ed il vecchio sacerdote, un gigante sull’altare, al termine del sermone tuonò: “Uomini, pace! Pace! Pace! Basta con l’odio, con il risentimento, con le vendette!”. Ci guardammo tutti l’un l’altro e in quel momento ognuno di noi fece un breve esame di coscienza, poi un uomo si staccò dal gruppo e lentamente si avvicinò ad un altro che stava più avanti, dall’altra parte. Bastarono brevi cenni, poi caddero, piangendo, uno nelle braccia dell’altro: erano vecchi nemici che si riconoscevano persone e chiudevano, in quel momento, una lunga parentesi di odio e rancore che durava da tempo. Vecchi parroci di frontiera, ce ne fossero ancora.!

    Oggi, un vecchio Papa parla di digiuno per cambiare il corso della storia e proclamare che non è possibile, per i credenti, a qualunque religione appartengano, essere felici gli uni contro gli altri e che mai il futuro dell’umanità potrà essere assicurato dal terrorismo e dalla logica della guerra. Ma può Dio dipendere dall’uomo? Saremmo sciocchi se lo pensassimo: è l’uomo che dovrebbe dipendere da Dio. Eppure, ce lo ha chiesto la Madonna nelle varie apparizioni a Fatima, a  Lourdes, a Garabandal, a Medjougorie; lo ha fatto con le lacrimazioni di acqua e sangue implorando la nostra conversione. Dio, allora, ha bisogno degli uomini, ha bisogno anche di noi, della testimonianza della nostra vita, dell’impegno della nostra coscienza che si riconosce nelle parole del Papa.

     Con la nostra presenza attiva possiamo fare molto e, se saremo capaci di perdonare, il nostro gesto accarezzerà tutti i mazzi di fiori lungo le strade dove sono morti ammazzati i nostri giovani figli, spesso vittime dell’altrui violenza. Raggiungerà le case dove non si è assopito l’odio per una giustizia non ricevuta, per una follia non pagata, per una sopraffazione degenerata in tragedia.

     Dal mercoledì delle ceneri alla veglia pasquale trascorriamo questo tempo di quaresima preparandoci a vivere in pienezza il mistero della resurrezione di Cristo. La conversione quaresimale è perdono delle offese ricevute, è cammino di amore verso Dio Padre, di solidarietà verso i fratelli, di condivisione con i nostri Cari dell’oltre,  per la salvezza di tutti.

Buona e serena Pasqua a tutti!

 

 

Edda CattaniPasqua di Resurrezione
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Riti del Giovedì Santo

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Ricordando… 

Giovedì santo: Lavanda dei piedi

Nel 2016 Papa Francesco per 12 profughi

Per la prima volta il rito si è svolto fuori Roma a Castelnuovo di Porto

“Tutti noi, insieme, musulmani, indi, cattolici, copti, evangelici, fratelli, figli dello stesso Dio, che vogliamo vivere in pace, integrati: un gesto. Tre giorni fa un gesto di guerra, di distruzione, in una città dell’Europa, da gente che non vuole vivere in pace, ma dietro quel gesto” “ci sono i fabbricatori, i trafficanti delle armi che vogliono il sangue non la pace, la guerra, non la fratellanza”. Il Papa ha spiegato così la lavanda dei piedi che stava per compiere nel CARA di Castelnuovo di Porto. “Due gesti, – ha riflettuto – Gesù lava i piedi e Giuda vende Gesù per denaro, noi tutti insieme diverse religioni, di diverse culture ma figli dello stesso padre, fratelli, e quelli che comprano le armi per distruggere”. Papa Francesco ha voluto imprimere il sigillo della unità dei credenti per la pace, e della fratellanza contro l’odio, le guerre e il traffico di armi, al rito della lavanda dei piedi che ha compiuto al CARA, acronimo per Centro di accoglienza per richiedenti asilo, cioè dove i profughi vengono ospitati in attesa che vengano espletate le procedure per accogliere o meno la loro domanda di protezione internazionale. Bergoglio ha lavato i piedi a 11 profughi e una operatrice del CARA, in tutto cinque cattolici, quattro musulmani, un indù e tre cristiani copti. 

I riti del Giovedì Santo 2015

 

Settimana Santa, Bergoglio celebra la messa del Crisma a San Pietro e parla ai sacerdoti: “Non chiudetevi in uffici o auto oscurate”. Poi sceglie di stare “dalla parte degli ultimi” e va nel carcere romano per la lavanda dei piedi. Ai baci e agli applausi dei reclusi risponde: “Grazie per la calorosa accoglienza”. E si china a baciare i piedi a dodici detenuti.

 

 

Prima il mònito ai sacerdoti. Poi i baci e gli abbracci ai detenuti del carcere di Rebibbia. Nel Giovedì Santo che precede la Pasqua,  Papa Francesco sceglie di stare, come lo scorso anno, “dalla parte degli ultimi”. E nell’omelia che accompagna la messa crismale a San Pietro – durante la quale i sacerdoti rinnovano le promesse fatte al momento della sacra ordinazione – il Pontefice ha detto: “La stanchezza dei sacerdoti! Sapete quante volte penso a questo, alla stanchezza di tutti voi? Ci penso molto e prego di frequente, specialmente quando ad essere stanco sono io”.
Il messaggio ai sacerdoti. Per un prete, ma questo probabilmente vale per ogni persona umana, “la stanchezza di se stessi è forse la più pericolosa”, ha proseguito, elencando i diversi tipi di stanchezza che possono affliggere la vita pastorale, a partire “dalla stanchezza della gente, delle folle, spossante come dice il Vangelo, ma buona, piena di frutti e di gioia”. “Una stanchezza – dunque – buona e sana: la stanchezza del sacerdote con l’odore delle pecore, ma con sorriso di papà che contempla i suoi figli o i suoi nipotini. Niente a che vedere con quelli che sanno di profumi cari e ti guardano da lontano e dall’alto”. “Siamo – ha osservato Francesco – gli amici dello Sposo, questa è la nostra gioia”.

Papa Francesco: “Penso alla stanchezza dei sacerdoti. E anche alla mia”

 

Il Pontefice si è poi soffermato su “quella che possiamo chiamare la stanchezza dei nemici”. “Il demonio e i suoi seguaci non dormono e, dato che le loro orecchie non sopportano la Parola di Dio, lavorano instancabilmente per zittirla o confonderla. Qui la stanchezza di affrontarli è più ardua. Non solo si tratta di fare il bene, con tutta la fatica che comporta, bensì bisogna difendere il gregge e difendere sè stessi dal male”.


 

“E per ultima, perché questa omelia non vi stanchi”, Papa Bergoglio ha affrontato la “stanchezza di se stessi, che forse è la più pericolosa perché le altre due provengono dal fatto di essere esposti, di uscire da noi stessi per ungere e darsi da fare, siamo quelli che si prendono cura”. “Questa stanchezza invece – ha rilevato Bergoglio – è più auto referenziale: è la delusione di se stessi ma non guardata in faccia, con la serena letizia di chi si scopre peccatore e bisognoso di perdono: questi chiede aiuto e va avanti. Si tratta della stanchezza che dà il volere e non volere, l’essersi giocato tutto e poi rimpiangere l’aglio e le cipolle d’Egitto, il giocare con l’illusione di essere qualcos’altro”. “Questa stanchezza – ha concluso – mi piace chiamarla civettare con la mondanità spirituale: quando uno rimane solo, si accorge di quanti settori della vita sono stati impregnati da questa mondanità, e abbiamo persino l’impressione che nessun bagno la possa pulire. Qui può esserci una stanchezza cattiva”.

 

Con i detenuti a Rebibbia.

 

 

Nel pomeriggio, Papa Francesco raggiunge il carcere di Rebibbia per il rito della lavanda dei piedi: al suo arrivo, molti detenuti lo abbracciano e lo baciano. Bergoglio saluta e bacia uno ad uno i detenuti che lo attendono a centinaia per la messa del Giovedì Santo. Il Papa stringe le mani di 300 detenuti, li abbraccia, scambia con loro baci sulle guance e parole di conforto e di incoraggiamento. Ad accompagnarlo lungo la transenna è il cappellano di Rebibbia, don Pier Sandro Spriano, da cui è partito l’invito per la visita. Don Spriano gli parla delle situazioni e delle provenienze di alcuni dei reclusi. “Grazie per la calorosa accoglienza”, dirà loro il Papa prima di entrare nella chiesa del carcere. Poi nell’omelia: “L’amore di Gesù non delude mai perché lui non si stanca di amare come non si stanca di perdonare e di abbracciarci”. Poi si è chinato a lavare, asciugare e baciare i piedi a dodici detenuti, sei uomini e sei donne, per metà stranieri. Tra loro due nigeriane, una congolese, un’ecuadoregna, un brasiliano e un nigeriano. Gli altri sei, due donne e quattro uomini, sono italiani. A sorpresa, lavato i piedi anche del piccolo bambino, figlio di una delle sei detenute partecipanti al rito, che la mamma aveva in braccio. Diversi i volti rigati dalle lacrime tra i detenuti. E si congeda così: “Anche io ho bisogno di essere lavato. Il Signore lavi anche le mie sporcizie perchè io possa essere di più al servizio della gente, come lo è stato Gesù”.


 

 

 

 

Edda CattaniRiti del Giovedì Santo
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L’ulivo, simbolo di pace

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La domenica delle Palme

(dai ricordi)

Di ritorno dalla Santa Messa, con la palma in mano dono e simbolo di questa domenica, vi porgo i miei auguri con le parole di Papa Francesco. Sia pure con brandelli di pelle e a volte gocce di sangue, lasciate sul mio cammino, continuo a porgermi come testimone della salvezza. Dal messaggio del Santo Padre, vero grande dono dato a questi tempi di “crisi” d’identità possiamo recepire che tutto quanto facciamo è sempre e solo “servizio” dato ai fratelli e noi non siamo che uno strumento, con tutta la nostra precarietà e la nostra provvisorietà. Non contano le parole, la quantità delle preghiere, le lodi e gli inni recitati… Di tutto questo rimarrà solo l’amore che avremo donato.

Ed ora dalla bacheca di Fra Benito nella odierna ricorrenza: 

“.. Padre perdonali, perché io desidero che loro vivano ..” .. L’uomo ha vinto, lo dice la morte che ha ridotto il suo Dio nella vergogna e nell’infamia .. da ora Dio sarà solo un concetto o un dogma dispotico, comunque un’invenzione del potere, un inganno da somministrare agli umili, ai disperati, ai diversi, a tutti gli uomini … per chiamare poi ‘Dio’ quell’Uomo e continuare a uccidere in suo nome, e crederlo come un Dio che fa paura, staccato dall’uomo, che ascolta solo lodi e vespri … Il Dio degli sconfitti, degli incompresi, degli offesi è morto .. è stato ucciso in nome degli uomini pavidi e d ei comandamenti del potere .. rinasce così il Dio vendicativo e solenne che giustifica la liturgia umana di ogni potere e di ogni ipocrisia … Ma l’uomo del potere si illude: dove inizia la sua vittoria incomincia sempre il suo fallimento … perché quell’Uomo che muore e che sanguina in croce ha ancora una parola di suprema sfida: ‘Padre, perdonali perché io desidero che loro vivano, desidero la loro vita anche se io sto per perderla’ … Nessuno ferma l’Amore, niente ferma la giustizia amante, e niente ferma chi sa morire perdonando .. nessuno ferma chi perdona una croce fatta di peccati .. anche se fabbricata da poteri iniqui che crocifiggono innocenti … nessuno ferma l’Amore .. nessuno .. se stiamo vicini a Dio nella sua sofferenza .. Dio si ricorderà .. la Croce non ci è stata data per capirla, ma per abbracciarla .. e Dio ricorda ogni abbraccio ..”

Oggi è la domenica delle Palme… OSANNA AL FIGLIO DI DAVIDE! … ma non vedremo la Resurrezione se non saremo passati attraverso il crogiuolo della sofferenza… e noi ci siamo dentro… Tutto è compiuto…

Rendiamo omaggio ad Alda Merini con questa lirica

La pace

La pace che sgorga dal cuore
e a volte diventa sangue,
il tuo amore
che a volte mi tocca
e poi diventa tragedia
la morte qui sulle mie spalle,
come un bambino pieno di fame
che chiede luce e cammina.
Far camminare un bimbo è cosa semplice,
tremendo è portare gli uomini
verso la pace,
essi accontentano la morte
per ogni dove,
come fosse una bocca da sfamare.
Ma tu maestro che ascolti
i palpiti di tanti soldati,
sai che le bocche della morte
sono di cartapesta,
più sinuosi dei dolci
le labbra intoccabili
della donna che t’ama.

(a Enrico Baj)

 

Ecco io mando un angelo avanti a te,

perchè ti guidi durante il cammino

e ti conduca al luogo che ti ho preparato.

Rispetta la sua presenza e ascolta la sua voce

 

Il bambino e l’ulivo

 C’era una volta un bambino abbandonato dal mondo.

Il bambino abbandonato dal mondo si sentiva molto solo e infelice.

” Il mondo non mi vuole. Il mondo non mi vuole”

Ripeteva.

” Chi portà mai volermi?”

Il piccolo bambino passava le giornate sotto un grande ulivo a ripetersi:

“Nessuno mi vuole… Nessuno”.

Un giorno passò davanti all’ulivo un vecchio gnomo

che trascinava un grosso sacco.

” Vuoi aiuto?”

Chiese il bambino.

“Oh, te ne sarei molto grato”

rispose lo gnomo.

Così il bambino aiutò lo gnomo a trascinare il sacco.

Arrivarono a una cascata grandissima, dove sotto si vedeva la Terra.

Lo gnomo allora slacciò il sacco, e lo svuotò sulla cascata.

Dal sacco uscirono tantissime pietro grosse,

che dalla cascata finirono sulla terra.

“Perchè butti le pietre sul mondo?”

Ma lo gnomo non rispose.

Il secondo giorno passò davanti all’ulivo una graziosa fanciulla,

alta non più di un metro, con un vestito rosa pallido ,

un mantello lunghissimo e due piccole ali rosa-gialle.

“Mi aiuti a portare il mantello?”

disse l’allegra fanciulla

“Certo fatina”

Il bambino sollevò il mantello che le strisciava per terra

e proseguì dietro di lei.

Arrivarono sulle fronde dell’albero più alto che avesse mai visto.

Un albero che alle proprie radici stringeva la Terra.

La fanciulla allora si tolse il mantello

e ne fece scivolare il contenuto sul tronco dell’albero.

Dal mantello uscirono tantissimi fiori uno più bello dell’altro,

profumatissimi e coloratissimi.

ma intorno ai petali si ergevano delle spine orribili ed affilate.

Scivolando dal tronco finirono sulla radici e poi sulla Terra.

“Perchè fai cadere sul mondo quei fiori con quelle spine orribili?”

Disse il bambino.

Ma non ottenne risposta.

Il terzo giorno passò davanti all’ulivo un mendicante.

Era lacero, pieno di stracci.

” Bambino, vuoi aiutarmi?”

Il piccolo annuì.

“Porta una mano sul tuo cuore, stringila a pugno e seguimi senza aprirla”

Il bambino fece come da lui richiesto.

Cammina cammina, arrivarono sulla cima di una stella.

Sotto di loro vi era tutto l’universo, con i suoi pianeti, le sue stelle,

e la Terra.

Quando furono arrivati,

il mendicante si tolse gli stracci che aveva addosso,

rivelandosi in realtà un meraviglioso Angelo.

Sorridendo disse al bambino:

“Apri la tua mano piccolo”

Il bambino l’aprì, e da essa comparve una luce leggera.

L’Angelo aprì a sua volta la sua mano,

dalla quale uscì una luce immensa;

prese con se anche la luce del piccolo,

e la unì alla sua.

Quella luce si divise in tanti raggi,

tanti quante erano le stelle

e da esse si dipartirono altri raggi che andarono sulla Terra.

L’angelo disse:

“Lo gnomo ha buttato le pietre sulla Terra,

per ricordare agli uomini le Difficoltà che devono affrontare,

per liberarsi dalle loro catene”

“La fata vi ha fatto cadere i fiori con le spine,

per ricordare agli uomini quanto bella e temibile sia la Natura,

con chi non la rispetta”

“E io dono Luce a tutti quegli uomini che hanno ancora tempo per vedere le Stelle.

Dono loro Luce per far loro ricordare che con Essa niente è impossibile,

che anche la notte più buia,

ha la sua stella per quanto minuscola essa sia.”

Poi volgendosi al bambino con un sorriso disse:

“Che t’importa se il mondo non ti vuole?

Non vedi quanto bella è meravigliosa sia la Terra?

Le opinioni del mondo non sono importanti.

La Terra ti ha accolto dal momento stesso in cui vi sei nato.”

Da quel giorno in avanti,

il bambino non ripetè più che il mondo non lo voleva,

ma trovò finalmente il coraggio di staccarsi dall’ulivo,

e abbandonarsi all’abbraccio della Terra.

 

 

Edda CattaniL’ulivo, simbolo di pace
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L’Aquila : ancora un anno

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Ancora é l’anniversario del terremoto e ben poco è cambiato!

Ricordiamo tutte le vittime ancora una volta…

L’Aquila, questa sera:
una candela per ricordare

Noi dedichiamo questa pagina ad ILARIA e alle altre VITTIME del sisma, perché l’Aquila torni a volare!

Ricorre l’anniversario del terremoto in Abruzzo. Più di trecento persone persero la vita dopo il sisma devastante delle 3:32 della notte e il conseguente sciame sismico. Dopo la distruzione, gli aquilani hanno cercato di ricominciare una vita degna. Ma tra macerie, case inagibili, costruzioni di fortuna (e polemiche), non c’è più quotidianità. I cittadini stanno provando a voltare pagina, ma è impossibile fare finta di niente. Intanto si moltiplicano le iniziative per ricordare quanto accadde l’anno scorso: il sindaco della città ha istituito, per il 6 aprile, una giornata di lutto cittadino.


Commosse un’iniziativa nata su Facebook e  assunse proporzioni insperate. Un utente, Carlo Frutti, creò un gruppo e propose a tutti gli italiani di lasciare una candela accesa nella notte tra il 5 e il 6 aprile. In alternativa si può lasciare accesa la luce di una stanza. Frutti, inoltre, scrisse anche il programma di una piccola cerimonia che si svolgerà all’Aquila. Alle 23:30 del 5 aprile ci sarà un corteo tra la fontana luminosa e Piazza Duomo, nel centro della città. Dalle 3:32, minuto preciso del sisma, in Piazza Duomo verranno letti i nomi delle vittime. In seguito, nella Basilica di Collemaggio, verrà celebrata una Messa.


Quasi 17 mila persone si sono iscritte al gruppo. Probabilmente il numero aumenterà fino al 6. Con o senza candela, comunque l’Italia si stringerà attorno ai fratelli aquilani. Esattamente come anni fa.

 

Edda CattaniL’Aquila : ancora un anno
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S. Giuseppe, padre dei bambini

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Chi accoglie anche uno solo di questi bambini…”

 Oggi rinnovo questo articolo e lo dedico a Mentore Padre per sempre!

 

Finito il carnevale, con il  rito dell’imposizione delle Ceneri è iniziata la quaresima e lo sarà per tutto il mese di marzo. Una buona, lunga occasione che ci richiama alla riflessione sulla sacralità dell’esistenza e della vita.

Ancora una volta ci sentiamo invitati a considerare il tema dell’infanzia con le parole di Gesù: “Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me” (Mt 18,5) e per me, che ho dedicato gran parte della mia esistenza all’educazione dei minori, è un riscoprire la fiducia nella parola del Figlio di Dio e, ad un tempo, coltivare l’invito che mi fece il mio Andrea: “Fai per gli altri ragazzi quello che hai fatto per me”.

Condividere la sorte dei piccoli e dei poveri. è  opportunità di riflettere sulla condizione dei bambini, è un’esortazione a esaminare come sono trattati nelle nostre famiglie e nella società civile,  è urgente  richiamo alla semplicità e alla fiducia che il credente deve coltivare. Le parole del Santo Padre divengono esplicite: “Gesù amò i bambini e li predilesse per la loro semplicità e gioia di vivere, per la loro spontaneità, e la loro fede piena di stupore (Angelus del 18.12.1994)”.  Ai bambini Gesù affianca i “fratelli più piccoli”, cioè i miseri, i bisognosi, gli affamati e assetati, i forestieri, i nudi, i malati, i carcerati. Accoglierli e amarli, o invece trattarli con indifferenza e rifiutarli, è riservare a Lui lo stesso atteggiamento, perché in loro Egli si rende particolarmente presente.

            Fra tutti i miseri ci siamo anche noi, perché provati dalla perdita più grave che possa esistere, molto più di una lacerazione fisica, del dissolvimento della nostra integrità corporea. Abbiamo sentito in questi tempi della piccola tredicenne, campionessa di ginnastica, ritrovata morta in un campo di sterpaglie…. E ancora prima un’altra adolescente gettata in un pozzo e poi che ne è stato delle gemelline? Di fronte a drammi così evidenti, mi sono chiesta cosa avrei provato io al posto di quei genitori e quale sarebbe stata la mia risposta ad un dilemma di questo tipo

”… di quale morte vorresti aver perduto tuo figlio? Preferiresti aver tu perduto un arto…”.

Sebbene la stampa di questi giorni ci riporti a casi di  persone disposte a morire pur di non avere un piede tagliato,  “mio figlio”  è una parte di me! E non c’è arto che lo possa sostituire.

            Esempi di Madre Coraggio ne esistono a decine, forse centinaia e migliaia sono sconosciuti e la risposta è ovvia: qualsiasi madre rinuncerebbe alla propria integrità pur di vedere sopravvivere il proprio figlio: Allora dove sta il problema? Sono forse morti i nostri figli? Noi mamme disperate, alle prime armi con un dilemma che ci consuma e ci travalica, siamo proprio convinte della loro sopravvivenza?… diciamolo con franchezza …o piuttosto vogliamo essere ancora madri a tutti gli effetti con possibilità di comunicare, di consigliare, di accudire… Sì, lo so, sarebbe tanto bello per noi averlo in braccio, sentirne il calore, il suo particolare profumo, ma non dimentichiamo Gesù fanciullo che scompare e viene ritrovato fra i dottori, nel tempio e mentre Maria e Giuseppe chiedono:“Ma figlio dov’eri? Io e tuo padre eravamo in ansia!” e la risposta: “ Ma non sapete che debbo occuparmi delle cose del Padre mio ?”(Luca 48-50).

 

            Ecco è comparso Giuseppe… Tua madre ed io eravamo in ansia… Ecco la preoccupazione dei Padri… prima vedono il dolore delle madri e poi il loro. Come ha fatto mio marito…. La sera in cui venne annunciato l’incidente di Andrea andò solo…. poi il primo pensiero fu per me… “Andrea vado dalla mamma, proteggila!” Un San Giuseppe per la nostra famiglia. Questo giorno lo dedico a Lui: distrutto nel corpo e condannato ad una morte  lacerante… per il troppo dolore. “AUGURI papà di Andrea! AUGURI e GRAZIE per quanto hai fatto per tuo Figlio, per i tuoi figli e anche per me….”

            Allora torniamo a quanto i nostri Ragazzi ci dicono; anch’essi si stanno occupando delle cose del Padre ed hanno bisogno di noi per aiutarli nel loro compito. Dagli innumerevoli messaggi pervenuti a tante Mamme, sappiamo che essi si occupano dei bambini non nati, dei piccoli mancati prematuramente, di altri ragazzi come Loro. Raccogliamo dunque l’invito di Gesù: “Diventare” piccoli e “accogliere” i piccoli: sono questi due aspetti di un unico insegnamento che il Signore rinnova ai suoi discepoli in questo nostro tempo. Solo chi si fa “piccolo” è in grado di accogliere con amore i fratelli più “piccoli”.

Penso con grata ammirazione a coloro che si prendono cura della formazione dell’infanzia in difficoltà e alleviano le sofferenze dei bambini e dei loro familiari causate dai conflitti e dalla violenza, dalla mancanza di cibo e di acqua, dall’emigrazione forzata e da tante forme di ingiustizia esistenti nel mondo.

Accanto a tanta generosità si deve però registrare anche l’egoismo di quanti non “accolgono” i bambini. Ci sono minori che sono feriti profondamente dalla violenza degli adulti: abusi sessuali, avviamento alla prostituzione, coinvolgimento nello spaccio e nell’uso della droga; bambini obbligati a lavorare o arruolati per combattere; innocenti segnati per sempre dalla disgregazione familiare; piccoli travolti dal turpe traffico di organi e di persone. E che dire della tragedia dell’AIDS con conseguenze devastanti in Africa? Si parla ormai di milioni di persone colpite da questo flagello, e di queste tantissime sono state contagiate sin dalla nascita. L’umanità non può chiudere gli occhi di fronte a un dramma così preoccupante!

Durante la Quaresima ci prepariamo a rivivere il Mistero pasquale, che illumina di speranza l’intera nostra esistenza, anche nei suoi aspetti più complessi e dolorosi. La Settimana Santa ci riproporrà questo mistero di salvezza attraverso i suggestivi riti del Triduo pasquale.

Con la semplicità tipica dei bambini noi ci rivolgiamo a Dio chiamandolo, come Gesù ci ha insegnato, “Abba”, Padre, nella preghiera del “Padre nostro”.

Padre nostro! Ripetiamo frequentemente, nel corso della Quaresima, questa preghiera, ripetiamola con intimo trasporto. Chiamando Dio “Padre nostro”, avvertiremo di essere suoi figli e ci sentiremo fratelli tra di noi. Ci sarà in tal modo più facile aprire il cuore ai piccoli, secondo l’invito di Gesù: “Chi accoglie anche solo uno di questi bambini in nome mio, accoglie me” (Mt 18,5).

Edda CattaniS. Giuseppe, padre dei bambini
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