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Il mese del raccolto

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Il mese del raccolto

giugno

È il mese del raccolto, del pane da condividere, dell’amore da dare e da ricevere. Mi piace farlo vivere con questa bella lirica d’autore.

Passammo ne la notte profumata,
per l’alta via tra taciti giardini,
tu su l’omero mio leve poggiata
la bella testa da i capelli fini,
io su le labbra tue volto a succhiare,
come dal fresco calice d’un fiore,
coi lunghi baci il pieno oblio dei mali.
Ma non udisti tu de i vegetali
in torno a noi, per l’aria tutta aulente,
il fremito d’amore,
le stelle non vedesti palpitare
allor piú intensamente,
e l’indistinte voci, onde ai mortali
nei momenti propizî al dolce inganno,
la Terra parla, pietosa madre,
e a sempre amar consiglia,
tu non sentisti, o innamorata figlia.

Ben io l’intesi, e ne diceano: Vanno
con passo lento i secoli nel nulla,
e si portan con loro
le umane genti (noverarle è in vano):
Amate, amate, amate,
né mai, tranne l’amore, altro tesoro
su me grama cercate.
In un attimo vano,
se in un bacio d’amore lo chiudete,
intera accoglierete
e vivrete la vita
dei secoli, dei secoli infinita.


(“Intermezzo lieto”, Luigi Pirandello)

 

Edda CattaniIl mese del raccolto
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“Non abbiate paura…”

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Aprire un varco alla speranza. “Non abbiate paura…”

(dall’album dei ricordi)

 

 Mentre respiro ancora l’aria di questo periodo postpasquale, allietato dalla beatificazione del nostro amato Santo Padre Karol Wojtyla ma anche funestato da notizie di guerra, di omicidi efferati, di violenza e … ancora di morte per le strade … viene da chiedersi il perché di tanto male, di tanta malvagità quando un Dio mite si è sacrificato per noi sulla croce donandoci gratuitamente un grande messaggio di redenzione!

 

E’ iniziata per tanti genitori la ricerca disperata del “perché” che noi, Mamme della Speranza, ben conosciamo e l’inizio di un percorso che è alle origini dell’arte e della storia. Per l’uomo moderno la morte è tabù, a meno che non vada in televisione, ma ignorarla è quasi impossibile perché è strettamente legata con la natura e con la nostra vita. La fede stessa nell’aldilà non esisterebbe se non ci fosse la morte e, secondo alcune interpretazioni, le religioni nascono proprio dalla paura della morte. In natura la morte è normalità: muoiono le stelle nell’universo, ma muoiono anche i cosmonauti che hanno tentato di studiarle. Sulla terra muoiono i biosistemi, le specie e gli individui.

 

Morire vecchi e di morte naturale non fa notizia perché rispecchia un processo evolutivo, ma morire giovani, per incidenti, malattie o suicidi pone angosciose domande che sfociano nella ricerca di un contatto: dalla preistoria ad oggi.

In questi giorni è caduta anche la “festa della mamma”; un evento commerciale senza dubbio, ma che ha acutizzato i ricordi nelle numerose madri che scrivono su FB le loro angosce: mi sono allora affrettata a trasmettere il programma di Cattolica per rinnovare quella speranza che per noi tutti è fonte di conforto per l’anima e nuova Luce che compare all’orizzonte.

 

Mentre mi stavo occupando di confortare i partecipanti al gruppo del sabato sono stata raggiunta da lettere di madri della nostra A.C.S.S.S. che mi esponevano le loro incertezze sul nostro rapporto con la Chiesa Cattolica. Guardiamo ad esp. il documento del Pontificio Consiglio Della Cultura “Una riflessione cristiana sul NEW AGE” di non tanto recente pubblicazione. Nel testo, se lo si è letto correttamente, si trova un po’ di tutto: dal confronto con la chiesa  cattolica, ai temi centrali sulla persona umana, Dio e il mondo e non mancano le affermazioni sui medium e i contatti paranormali. Fughiamo ogni perplessità, in quanto già nella presentazione del documento, fatta da S.E.MONS. Michael L.Fitzgerald del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso si  afferma “Questo studio intende essere uno strumento di scambio … con i centri di formazione e di cultura … per cercare nuove forme di dialogo e di testimonianza”; nulla accomuna il Movimento della Speranza a quanto viene dichiarato sul NEW AGE.

 

Nel frattempo ho ricevuto pochi giorni fa una mail dopo che avevo spedito le news con il programma di Cattolica, in cui un lettore mi scrive:

“… questi convegni sono la fotocopia l’uno
dell’altro, con il solo scopo di lucrare sul dolore della gente, gente
purtroppo debole e in balia di farneticanti personaggi pronti a sparare
baggianate ridicole, una vera vergogna!!!”

 

         Quest’ultimo commento mi ha particolarmente addolorata e pensavo proprio a questo genitore al ritorno da Casa Madre Teresa, dove il mio amato sposo ha avuto l’ennesimo arresto cardiaco. Pensavo alle mie rette intenzioni nel cercare di aiutare chi è stato colpito da un lutto come il nostro. Pensavo a questo Cristo vivente che andava nelle case dove erano morti i figli per dire: “… sono un papà anch’io… vostro figlio non è morto… ma è vivo… ” Guardavo quelle membra martoriate, ormai non più coperte da umano pudore, esposte ad essere rivoltate, trafitte, ripulite e riavvolte in un sudario. Ho salutato il mio amato recitando:

“io mi parto da te, parto da questo altar,

 vieni Gesù con me, sola non mi lasciar ….”

 

Ed ho pensato che la sofferenza, ogni sofferenza, non merita inganni, perché di per sé è già troppo lacerante e che è ora di far chiarezza, ancora una volta, prima di partire per Cattolica con dubbi o incertezze…

 

Il Dr. Mario Mancigotti che mi ha preceduta nel coordinamento dei Congressi ha precisato più volte le finalità che si perseguono, ma anche l’Associazione che presiedo a Padova ed il cui spirito intendo aggiungere al lavoro svolto finora, ha precise connotazioni e formula definizioni che mi permetto di trascrivere:

 

·     SCIENZA E FEDE procedono in parallelo, con studio rigoroso ed obiettivo, senza ideologie pregiudiziali, ma con disponibilità verso tutte le ipotesi, verso un mondo nuovo che questi studi legittimano e ci spalancano davanti. La sopravvivenza è tra queste cose, non per scelta a priori, ma perché tante fenomenologie paranormali indicano ad essa; deriva da ciò lo stretto rapporto con la parapsicologia.

 

·        Il far conoscere a tante Madri, a tutte le persone provate da lutti gravi, che “la morte non è un atto finale e la Vita prosegue”. Qui il parapsicologo si ferma, ma dice “in cammino verso l’Infinito”, verso cioè una sempre maggiore comprensione della Realtà e dell’Essere, una espansione cosmica di cui sono inimmaginabili vertici raggiungibili.

·     Vi è necessità di un Movimento di rinascita, cioè la conversione alla nuova Realtà che diviene consapevolezza, studio attento, percezione di tanti piccoli segni, nuovi e veri di cui comprenderemo il valore. Perciò la Scienza, con i suoi studi e le sue riflessioni, fa assurgere la “Parapsicologia” non a divinazione di maghi e streghette che evocano l’aldilà per acquisire poteri sull’aldiqua, ma allo studio serio dei fenomeni parapsicologici.

·      Piena adesione sui grandi temi della Rivelazione con la Chiesa Cattolica e con la gerarchia che la rappresenta, con Teologi, con personalità degli Ordini Religiosi che, come riconoscono le fenomenologie religiose e paramistiche, riportate dall’agiografia e inconfutabili, non possono disconoscere le fenomenologie paranormali, anche se di origine diversa (spirituale per le prime, psichica per le seconde) che sono del tutto analoghe e corrispondenti.

 

                      

       Tutto questo serve ad affermare che il mondo e l’ umanità hanno iniziato il terzo millennio con il carico che si preannuncia pieno di promesse, ma anche di grandi timori e di mistero.

       Il nuovo millennio, è sorto sotto gli auspici del rinnovamento spirituale e di rinascita dell’ uomo. Rinascita nel segno dell’ amore e dell’ approfondimento dell’ interiorità, della scoperta e del viaggio verso lo studio dell’ altra dimensione, delle infinite altre dimensioni che sono intorno a noi e che sono tutte dentro di noi. Ci siamo accorti che non siamo soli e che non ci sono solo le cose e la vita di questo mondo materiale. Ci sono tanti altri esseri che, invisibili agli occhi del corpo,  si fanno presenti a quelli della mente, all’ intuizione e alla sensibilità del cuore e dell’ anima. Ci sono tante altre condizioni esistenziali, un numero incredibili di altre realtà che conosciamo con gli occhi dello spirito quando scendiamo dentro di noi. E’ l’ avanzare di queste, il loro rendersi evidenti e volersi far conoscere che caratterizza questo scorcio di secolo e di millennio e che dà impronta al nuovo.

 

         I segni di questa rinascita, di questa scoperta, di questo avanzare, di questo nuovo interesse per quest’ altra dimensione dell’ Essere ci sono tutti. La transcomunicazione strumentale – con le sue novità sempre più incalzanti: prima una psicofonia appena balbettante, poi, in un crescendo incontenibile, la metavisione, le telefonate dall’ aldilà, i colloqui e i messaggi al computer – sono la grande scoperta di questi anni e, con essa, lo sconvolgente, incredibile colloquio con coloro che sono passati dall’ altra parte e che credevamo e piangevamo come perduti è divenuto, o può diventare, quotidiano, continuo.

 

        Ma pensiamoci un po’! Sono stati considerati perduti, finiti per sempre i nostri morti, perché, ci era stato detto che tutto finisce con la morte e invece oggi sappiamo che non è così; i nostri Cari ci sono sempre e possiamo parlare con loro; una cosa incredibile! Il Movimento della Speranza, che è sorto e dilagato inarrestabile in questi anni, è un altro dei segni del trascendente che scende tra di noi, ma, nel nuovo millennio, tanti sono questi segni e si moltiplicano sempre più: apparizioni, Madonne che lacrimano, estasi visionarie…; e l’ interesse, sempre maggiore, per le discipline che studiano questi fenomeni.

 

   Non importa se tanta gente non ci crede e ci sbeffeggia, perduta dietro a certi programmi televisivi assordanti nei loro giochi, nel loro rumore, nei loro belletti e nel loro vuoto di ogni interiorità. E’ l’ ultimo grido di un mondo che muore, di un materialismo che non si rassegna alla propria fine.

 

  Il nuovo millennio è qui; folle sempre maggiori ricercano la spiritualità, per tante vie, si interessano della propria interiorità, si sono accorte del proprio Sé e lo cercano. Ne sono testimonianza, non ultima, certi immensi raduni di giovani, che si danno appuntamento, che pregano, che ballano e cantano assieme, che discutono, che cercano, che aiutano nel volontariato, che sempre più si diffonde, insoddisfatti del consumismo, dell’ edonismo, del sesso facile e vuoto e che guardano all’ Amore, al Prossimo, alla Vita.  La Vita e l’ Essere :  la riscoperta del loro significato è il segno della potenza  e del vento impetuoso del Sacro che avanza e ci investe.

 

     Ne sono il segno anche certi aspetti negativi che, purtroppo, vediamo nel mondo, con la loro cattiva e contorta interpretazione della spiritualità  e dei valori spirituali, della parola di Dio e del soffio di Lui che ci arriva nel cuore : gli integralismi e i fanatismi religiosi che uccidono nel nome di Dio – che invece vuole la vita; sette esoteriche che plagiano e rendono schiavi gli adepti – mentre l’ essenza dello spirito è la sua libertà, il suo libero arbitrio la piena disponibilità della propria decisione; droghe e allucinogeni; la ricerca di sensazioni forti e di contatti occulti, cose fatte solo per morbosità o con ambizione.

 

      Anche questi sono segni di uno spirituale che spinge nel fondo, che ci prende, che ci attrae, ma noi siamo Spiriti dotati di libertà e capaci di decidere, intelligenti e capaci di capire, che dobbiamo scegliere fra il Bene e il Male e dare il giusto indirizzo a questo soffio del Sacro che sentiamo dentro di noi. In questo sta la nostra responsabilità.

     L’ albero si riconosce dai frutti e noi dobbiamo saper trovare lo sbocco giusto alla nostra spinta interiore.

 

Cari amici, come dice il Santo Padre, il Beato Giovanni Paolo II° apriamo un varco alla speranza, non abbiamo paura di quanto si può dire di questo e di quello; cerchiamo con retta coscienza il bene innanzitutto, quel bene che i nostri Cari Figli ci insegnano attraverso le molteplici comunicazioni che ci raggiungono, direttamente o attraverso quei “segni” della cui veridicità non abbiamo alcun dubbio. Sgombriamo il campo dal loglio e affidiamoci alla misericordia del Padre che, anche in questo momento di forti decisioni per il destino dell’umanità, saprà far scegliere ai governanti il meglio per assisterci e guidarci.

 

Avanti, ancora una volta… quanto viene dichiarato non ci riguarda. Noi lo sappiamo e vogliamo meritare la fiducia che i nostri Cari ci offrono dall’oltre. C’è il Santo Padre che instancabilmente ricorda a tutti la sacralità, la bellezza e l’intangibilità della vita che ci è data come “dono”.  Ben sappiamo che “la goccia scava la roccia”. Spetta ad ognuno di noi, ad ogni genitore, ad ogni mamma, impegnarsi anche nel proprio piccolo ad una cultura della solidarietà e della speranza cristiana.

 

Lo dobbiamo a tante persone che non hanno ricevuto i nostri carismi, i nostri affettuosi messaggi d’amore e di pace; lo dobbiamo ai nostri amati Figli che un giorno ci verranno incontro con la veste candida e, prendendoci per mano ci diranno: “Brava Mamma, vieni, ti aspettavo!”

 

Edda Cattani“Non abbiate paura…”
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Il coraggio di credere

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La nostra ricerca infinita

“Sono io mamma quell’angelo…”

Il coraggio di credere

(estratto Convegno A.C.S.S.S. Padova 2014)


Questo titolo può portare a diverse interpretazioni. Per quanto mi riguarda il “credere” è vivere e  “credere” è anche comunicare, spezzare il pane della condivisione. Questa affermazione  non ha la pretesa di proporre quale sia la linea di vita praticabile e nemmeno che la proposta sia di per sé una vita di “valore”.

 L’espressione in sé non dice nulla sul significato della vita che si vuole rappresentare, né, tanto meno, descrive un indice della positività di tale significato.

 Da qualsiasi stato essa provenga non può condurre in maniera logica, consequenziale, al “valore” di un vissuto cui si fa riferimento. 

Per comprendere in maniera sufficientemente adeguata il “valore” di un’esperienza, occorre che il ricevente del messaggio si lasci coinvolgere in ciò che gli offre l’emittente, assumendone i valori. Il che dipende unicamente dalla predisposizione interiore del ricevente, che può essere più o meno favorita dalla forza attrattiva del messaggio e dello stesso emittente… in questo caso io stessa, con la mia storia e la mia condizione.

 

Narra un’antica storia orientale che a un uomo, da anni alla

ricerca del segreto della vita, fu detto che un pozzo possedeva la

risposta a cui egli così ardentemente aspirava.  Trovato il pozzo,

l’uomo pose la domanda e dalla profondità… giunse la risposta: “Vai

al crocicchio del villaggio: là troverai ciò che cerchi”.

Pieno di speranza, l’uomo obbedì, ma al luogo indicato trovò

soltanto tre botteghe: una bottega vendeva fili metallici, un’altra

legno e la terza pezzi di metallo. Nulla e nessuno in quei paraggi

sembrava avere a che fare con la rivelazione del segreto della

vita.

 

Credendo di essere stato ingannato l’uomo continuò le sue

peregrinazioni finché una notte sentì, in lontananza, suonare un

“sitar”. La musica era meravigliosa e l’uomo, affascinato, si

diresse verso il luogo dove era il suonatore e ne vide le mani che

suonavano abilmente uno strumento fatto di fili metallici, pezzi di

metallo e di legno.

 

L’indicazione datagli dal pozzo gli parve chiara: tutti abbiamo gli

elementi necessari per comporre la meravigliosa musica della nostra

vita, ma ogni elemento, ogni evento, ogni circostanza a sé stante é

vuota se viene separata dagli altri elementi.

 

Una melodia è qualcosa di completo perché composta da tante note,

in armonia tra loro. Così la psiche umana, composta di vari

elementi come impulsi, desideri, emozioni, intuizioni e via

dicendo, se non disposti in maniera organica, non possono creare

quella sinergia (nel senso di azione simultanea e coordinata) che é

necessaria per saper vivere.

 

Ecco allora il significato e la figura di sfondo del titolo:  una parola o  un’immagine portano in seno un aspetto di mille altre parole o  immagini. Il nostro linguaggio è una cascata: genera  di volta in volta  evocazioni e collegamenti. Beato chi li scopre e li vive.

 Ognuno comprenda bene dove mira il discorso: a rendere un po’ più manifesto, prima di illustrare il contenuto, a che cosa si riduca la capacità di instaurare mutui richiami fra quelle che ho chiamato «parole, immagini», ma che meglio dovrei definire  «simboli». Sono questi, i grandi unificatori del creato.

Pensavo a queste o a simili cose, il momento in cui mi sono raccolta per elaborare alcune idee circa il  modo di soffermarsi SUL VIVERE E SAPER VIVERE… e sul senso della VITA E SULLA MORTE /.

 Mi sono detta: può intuire e capire meglio IL SENSO DELLA VITA e sull’impulso religioso che essa promana, solo chi è disposto mentalmente a creare contatti tra una parola e l’altra, a instaurare  richiami  fra immagini, a uscire dal suo pragmatismo.

 E’ evidente che su una cosa siamo d’accordo tutti ed è che non

tutti siamo d’accordo, cioè tutti non condividiamo le stesse scelte. Ma

le opinioni diverse sono il risultato di quello che ciascuno di noi

è e vuole essere, cioè ciò che vuole per sé.

Da questa “volontà” di scegliere, siamo arrivati alla parola

chiave: libertà di vivere.

Tutte le religioni ci parlano della divinità, di una qualche divinità, in una maniera o nell’altra. Ma il superamento della morte fisica e il pensare ad una vita eterna per noi, ci può venire solo da un vero Dio, da un Dio nel senso pieno e assoluto, il quale non si limiti a creare un universo per poi lasciarlo a sé, ma veramente vi si incarni.

La vita eterna è molto, molto di più della sopravvivenza.

Profonda vocazione dell’uomo è di conseguire ogni bene, ogni perfezione, ogni pienezza di essere e felicità senza fine. È perseguire la creatività stessa del supremo Artista dell’universo.

 

Solo le visioni delle sfere superiori, quelle che sono state date come dono a rari uomini nella storia, vengono a noi per indicarci che la morte, ogni morte ha un suo significato e non avviene invano. E’ una causa determinante un effetto che non si limita al solo dolore, ma che reca qualcosa di più profondo.

 “CORAGGIO DI CREDERE”, nel mio caso, significa raccogliere

l’eredità di mio figlio, quanto ne è stato dei suoi ideali, delle

sue attese, delle speranze non concluse e farla nostra, perché se

la morte è portatrice di un effetto, essa non può essere solo

sottrazione o “nulla”, intendo il “nulla” nel quale stemperare,

come in un crogiolo, il nostro desiderio di vendetta o il nostro

nichilismo.

Il tempo è un dono che la vita ci fa. Lo è anche quando sembra non esserlo, quando stanchi affrontiamo il domani. Ed ogni anno che passa, ogni compleanno, è una tappa importante, un traguardo, una sorte di resa dei conti. Più gli anni passano e più i conti sballano anche se non ci rendiamo conto della fortuna che abbiamo.

A questa chiamata possiamo non rispondere, possiamo lasciar perdere e piangerci addosso fino alla fine dei nostri giorni terreni, ma se risponderemo dobbiamo farlo con coraggio, con dedizione totale e piena fiducia che saremo ripagati al centuplo.

 

L’uomo d’oggi, impregnato di materialismo ha perduto la capacità di

rapportarsi alla dimensione divina. Nella società del rumore ha

dimenticato i percorsi, non si è preso cura di ascoltare il

richiamo della coscienza e, nel momento dell’ostacolo ha fatto come

colui che, da alpinista alle prime armi, rimane nel crepaccio,

senza darsi da fare ed attende i soccorsi che forse non giungeranno

in tempo.

 

“Cammina” ci dice Gesù “Arrotola la corda intorno ai tuoi fianchi e

guardando su, in alto, dove splende il sole limpido delle alte

vette, risali in cordata. Non occuparti del sangue che via via ti

scarnificherà le mani e i piedi. Guarda avanti, figliolo, e se con

te, vi saranno altri compagni di cordata, aiutali e non dimenticare

che io sono al tuo fianco.”


 

Edda CattaniIl coraggio di credere
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L’eterno fascino del “Dolore”

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L’eterno fascino del “Dolore”

amore

Riflessioni che non si possono omettere sono quelle di come si giunga ad amare per “compassione”. Visto in questa prospettiva l’amore è malato perché recita una parte, è una farsa, un’ambiguità.

“Vorrei spiegare il significato della compassione, che è spesso mal compreso. La vera compassione non si basa sulle nostre proiezioni e aspettative, ma, piuttosto, sui diritti dell’altro: indipendentemente dal fatto che l’altra persona sia un amico intimo o un nemico, nella misura in cui detta persona vuole pace e felicità e vuole evitare la sofferenza, su questa base possiamo sviluppare una genuina preoccupazione per i suoi problemi.

Questa è la vera compassione. Di solito, quando siamo interessati alla sorte di un amico intimo, chiamiamo quest’interesse “compassione”; ma non è compassione, è attaccamento.

Se l’unico legame fra amici intimi è l’attaccamento, allora anche un’inezia può indurre un mutamento delle proiezioni. Non appena le proiezioni cambiano, l’attaccamento scompare, perché quell’attaccamento era basato solo sulle proiezioni e sulle aspettative.

È possibile avere compassione senza attaccamento e, similmente, provare rabbia senza odio. Di conseguenza dobbiamo chiarire le distinzioni fra compassione e attaccamento e fra rabbia e odio.

Tale chiarezza ci è utile nella vita quotidiana e nell’impegno per la pace nel mondo. Ritengo che questi siano i valori spirituali di base per la felicità di tutti gli esseri umani, che siano credenti o meno.” Dalai Lama

libro

Nella storia della letteratura italiana ha un posto di primo piano. E “La cognizione del dolore” di Carlo Emilio Gadda non smette mai di stupire i lettori che ancora non la conoscono.

Pubblicata per la prima volta a puntate sulla rivista “Letteratura” tra il 1938 e il 1941, “La cognizione” gaddiana appare adesso in una nuova, splendida edizione Adelphi (pagg. 381, euro 24). Con una ricca appendice che, oltre alla galleria fotografica, propone anche l’intervista

“Ricordo di mia madre”. Il libro mette a confronto nella villa isolata di Lukones il tormentato don Gonzalo, schiavo del male di vivere, e la malinconica vecchia madre: la Signora. In un minuetto di sentimenti in cui si fondono l’amore, la gelosia, la nevrosi e i sensi di colpa. 

In un minuetto di sentimenti in cui si fondono l’amore, la gelosia, la nevrosi e i sensi di colpa.

 

 

 
 
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Camminare, viaggiare, pellegrinare

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Camminare, viaggiare, pellegrinare

(Gabriele Gastaldello)

viaggio-insieme  

Ho ripreso vigore camminando… Quando posso mi concedo una camminata in solitaria tra i campi. Cadenzo l’andatura dei passi con il ritmo dei respiri (tre passi un respiro). Guardo, ascolto, tocco la natura intorno a me. Nella quiete rilassante la mente si riposa. Ho imparato a meditare camminando. Tengo in mente il messaggio del poeta Tagore: viaggiai per vasti mari alti monti e non mi accorsi della goccia di rugiada sulla spiga di grano accanto a casa mia!”.

Lo sguardo ordinario diventa straordinario quando guardi con attenzione.

Diventa consapevole delle gambe che ti trasportano e dei piedi che baciano la terra. Ringrazia i piedi per il servizio che ti fanno continuamente. Camminare è medicina di buona salute! Mediamente fai 15 Km al giorno. Il cammino energico e mirato dà energia ai muscoli, dà ossigeno ai polmoni, dà ritmo al cuore, dà creatività alla mente. Quando sei teso, preoccupato o quando sei annoiato dalla stancante pigrizia casalinga, puoi distenderti ed energizzarti camminando. Non ha importanza arrivare alla meta ma vivere durante il cammino: contempli, racconti, entri in contatto con persone e luoghi che incontri. A volte aspetti secondari diventano principali e viceversa. Camminare si dilata nel viaggiare (“viam agere” = “fare strada”) e nel pellegrinare (“per agros ire”= “andare attraverso campi”).

Il turista si interessa dell’estetica, fotografa, non si lascia coinvolgere.
Il viaggiatore si confronta con le persone, gli eventi, i luoghi che incontra.
Il pellegrino, si lascia coinvolgere dalla spiritualità delle persone e dei luoghi, assorbe le loro energie e si ricarica.
   La strada ti distanzia dalle solite occupazioni, ti educa ad essere aperto accogliente, flessibile e libero. Pace sono i tuoi passi, i tuoi respiri, i tuoi sentimenti, i tuoi sguardi, le illuminazioni, le esperienze di pienezza che la contemplazione ti regala. Puoi viaggiare per conoscere il mondo, ma più ancora più importante è conoscere il mondo intimo.
 

Camminando si apre il cammino, / la strada si fa con l’andare…
Il vero viaggio è interiore / la vera meta non è il viaggio,
ma un nuovo modo di guardare…
” 

Esplori il mondo per esplorare te; sei unico originale irripetibile, sei mistero, cioè una ricchezza così grande che non finirai mai di esplorare. “Per lontano che tu vada non raggiungerai i confini dell’anima, tanto è vasto il suo pensiero” (Eraclito, filosofo greco antico). Cresce l’entusiasmo per i pellegrinaggi eroici… Anche tu con i tuoi amici puoi organizzare mini-pellegrinaggi nei luoghi vicini, per contemplare ed esplorare persone e ambienti. Puoi dare ai piccoli spostamenti quotidiani la qualità del pellegrinaggio; con consapevolezza stai attento alle novità della strada.

 

 

Edda CattaniCamminare, viaggiare, pellegrinare
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Non gettare la spugna!

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In questo periodo  di grande sofferenza fisica, nella mia condizione di solitudine fisica e morale, mi sento di riproporre questo testo:

 

spugna

 L’autore è anche fondatore dell’organizzazione internazionale Teen Challenge,  a New York, che aiuta i drogati, i delinquenti e gli emarginati.

Wilkerson è un uomo che ha vissuto a stretto contatto con la sofferenza e che ha sentito una profonda spinta a scrivere questo libro per aiutare tutti coloro che soffrono a non gettare la spugna, cioè a non arrendersi, a non gettare via la propria fede, a non rinunciare alla speranza di vedere ancora Dio all’opera.

 
 
Quante Madri mi scrivono disperate dopo lutti inenarrabili… storie comuni che non trovano risposta!
 
 
QUANDO SI SOFFRE

 

In un modo o nell’altro, tutti soffriamo. Tutti siamo nella stessa barca, anche la folla che se ne va ridendo spensieratamente soffre. Le persone cercano di nascondere la loro sofferenza bevendo e scherzando, ma non passa.
Chi soffre? I genitori di un figliolo o di una figliola prodiga. Milioni di genitori sono stati profondamente feriti da figli che hanno rigettato i loro consigli amorevoli ed ora sono nel dolore per gli inganni e la delinquenza di questi figli un tempo teneri e buoni.

 

Le vittime di famiglie smembrate soffrono. Soffre la moglie abbandonata dal marito per un’altra donna; soffre il marito che ha perso l’amore di sua moglie; soffrono i figli che hanno perso il loro senso di sicurezza.
Altri soffrono per malattie: cancro, problemi di cuore e una miriade di altri malanni. Sentirsi dire da un dottore: “Lei ha un cancro e può morire” deve essere terrificante, eppure fra quanti leggono queste righe molti hanno sperimentato questo dolore e questa agonia.

 

Gli innamorati si lasciano calpestando quello che una volta era un bellissimo rapporto e ciò che rimane è il cuore spezzato, ferito.
E che dire dei disoccupati? Degli scoraggiati davanti al crollo dei loro progetti? E i segregati? I prigionieri? Gli omosessuali? Gli alcolizzati?
È vero! In un modo o nell’altro stiamo tutti soffrendo; ogni individuo sulla terra porta il proprio fardello di dolore e di sofferenza.

 

Non esiste una cura fisica


Quando sei colpito in profondità, nessuna persona al mondo può toglierti le intime paure e le angosce più profonde. Il migliore degli amici non può comprendere interamente la battaglia che stai passando o le ferite che ti sono state inflitte.
Solo Dio può chiudere l’accesso alle ondate di depressione e ai sensi di solitudine e fallimento che ti vengono addosso. Solo la fede nell’amore di Dio può trarre in salvo una mente che soffre. I cuori offesi e spezzati che soffrono in silenzio possono essere guariti solo dall’opera soprannaturale dello Spirito Santo, fuori della quale nessun altro intervento funziona realmente.

 

Dio deve intervenire e prendere in mano la situazione. Egli deve intercettare le nostre vite al punto di rottura, deve stendere le sue braccia amorevoli e portare quel corpo e quella mente sofferente sotto la sua cura e protezione. Dio deve farsi avanti come un Padre premuroso e dimostrare che egli è là per volgere le cose al bene. Egli deve dissolvere le nubi tempestose, cacciare via la disperazione e la tristezza, asciugare le lacrime e rimpiazzare l’afflizione con la pace della mente.


Perché proprio io, Signore?


Ciò che fa più male è sapere che il tuo amore per Dio è forte, e ciò nonostante non riesci a capire che cosa sta cercando di fare nella tua vita. Se tu fossi freddo nei confronti del suo amore allora capiresti perché le preghiere non sono state esaudite. Se tu ti stessi allontanando da Dio, probabilmente capiresti il perché delle prove e delle gravi afflizioni che ti sono ripetutamente venute addosso. Se tu fossi un peccatore incallito che ha disprezzato le cose di Dio, potresti arrivare a credere di avere meritato la grossa batosta. Ma tu non ti stai allontanando, non lo stai rigettando assolutamente; anzi, brami di fare la sua perfetta volontà e desideri ardentemente compiacerlo servendolo con tutto te stesso. Ecco perché la tua sofferenza è così debilitante; ti fa sentire come se ci fosse qualcosa di gravemente sbagliato in te e così metti in dubbio la profondità della tua spiritualità e, a volte, perfino la tua salute.

 

Una voce interiore, proveniente chissà da dove, sussurra: “Forse, in un modo o nell’altro, ho dei difetti. Forse sono stato ferito così profondamente perché Dio non può trovare molto di buono in me. Devo proprio essere fuori dalla sua volontà; egli deve disciplinarmi per rendermi obbediente”.


Gli amici fanno il possibile

 

Un cuore abbattuto o spezzato produce il dolore più atroce che l’uomo possa provare. La maggioranza delle altre sofferenze umane sono solo fisiche, ma un cuore ferito deve sopportare un dolore che è sia fisico sia spirituale.
Gli amici e coloro che amano possono aiutare a lenire il dolore fisico di un cuore a pezzi. Quando ci fanno compagnia ridendo, amandoci e interessandosi a noi, il dolore fisico viene alleviato e c’è un provvisorio sollievo. Ma scende la notte e con essa giunge il terrore dell’angoscia spirituale. La sofferenza è sempre maggiore di notte. La solitudine cala come una nube quando il sole scompare. Il dolore esplode quando sei completamente solo e pensi a come affrontare le voci e le paure che ripetutamente si affacciano.

 

I tuoi amici, che non comprendono pienamente che cosa stai passando, ti offrono molteplici soluzioni superficiali. Si mostrano impazienti con te. In queste occasioni sono generalmente allegri e senza preoccupazioni, e non riescono a capire perché non ti riprendi. Insinuano che ti lasci andare all’autocommiserazione, ti ricordano che il mondo è pieno di cuori afflitti, di sofferenti che, pure, sono sopravvissuti. Più spesso vogliono fare una di quelle preghiere-panacea che immediatamente risolvono tutto. Ti dicono di “lasciare agire la tua fede, rivendicare una promessa, dichiarare la guarigione e lasciarti dietro la disperazione”.

 

Tutto ciò è giusto e buono, ma è una predica che di solito viene da parte di cristiani che non hanno mai provato molte sofferenze nella propria vita. Sono come le balie di Giobbe, che conoscevano tutte le risposte, ma non potevano alleviare il suo dolore. Giobbe disse loro: “Siete tutti quanti dei medici da nulla” (Giobbe 13:4). Grazie a Dio per gli amici ben intenzionati, ma se essi potessero sperimentare la tua angoscia, anche solo per un’ora, il loro tono sarebbe ben diverso. Mettili al tuo posto, anche solo una volta, affinché provino ciò che senti tu e sperimentino l’intima sofferenza che ti porti dietro, allora ti diranno: “Ma come fai a resistere? Io non riuscirei a sopportare quello che stai passando tu!”


Il tempo non risolve niente

 

C’è poi la solita vecchia frase fatta: “Il tempo guarisce tutte le ferite”. Ti dicono di resistere, di forzare un sorriso e di attendere che il tempo sintetizzi il tuo dolore. Ma io sospetto che tutte le massime e i proverbi riguardanti la solitudine siano stati coniati da gente felice, senza grossi problemi. Suona bene, ma non è vero: il tempo non guarisce un bel niente, solo Dio guarisce!
Quando sei nella sofferenza il tempo non fa che aumentare il dolore. Trascorrono i giorni e le settimane, e l’angoscia è sempre lì. La sofferenza non se ne vuole andare, anche se lo dice il calendario. Il tempo potrebbe relegare il dolore in un angolo recondito della mente, ma un minimo ricordo può riportarlo a galla.

 

Ad essere sinceri, sapere che altri credenti hanno sofferto prima di te lungo la storia, non aiuta né te né loro. Ti puoi identificare con personaggi della Bibbia che hanno superato il dolore di terribili prove; ma sapere che altri son passati per dure battaglie non basta a calmare la ferita che brucia nel tuo petto.
Quando leggi come sono usciti vittoriosi dalle loro battaglie, e tu ancora no, questo non fa che aumentare la tua pena. Ti fa sentire come se essi ricevessero le risposte alle loro preghiere perché sono molto vicini a Dio. Ti fa sentire indegno del Signore perché il tuo problema ancora si trascina, malgrado tutti i tuoi sforzi spirituali.


Un duplice problema


Raramente si viene feriti solo una volta. Molti di quelli che stanno male possono mostrare anche altre ferite. Dolore si aggiunge a dolore. Un cuore spezzato di solito è tenero, fragile. Viene facilmente ferito perché non è protetto da una corazza resistente. La tenerezza, da chi ha un cuore ben corazzato, è considerata erroneamente vulnerabilità. La calma è giudicata una debolezza. Il fatto di dedicarsi totalmente a un altro è frainteso come l’essere diventati troppo forti. E il cuore che non si vergogna di ammettere il proprio bisogno d’amore è mal giudicato, quasi che fosse troppo tendente alla sessualità.

Ne consegue, quindi, che un cuore sensibile che cerca amore e comprensione è spesso il più facilmente intaccabile. I cuori aperti e fiduciosi sono di solito quelli più frequentemente feriti.

Il mondo è pieno di uomini e donne che hanno respinto l’amore offerto loro da un cuore gentile e dolce nei loro confronti. I cuori forti, corazzati, che non hanno bisogno di nessuno, i cuori che danno pochissimo, quelli che richiedono che l’amore sia loro costantemente manifestato, quelli che fanno sempre calcoli, quelli che manovrano e servono sé stessi, quelli che hanno paura di rischiare, sono cuori che raramente vengono infranti. Non vengono feriti perché non c’è niente da ferire; sono troppo orgogliosi ed egocentrici per permettere a qualcuno di farli soffrire in alcun modo. Vanno in giro ferendo altri cuori e calpestando le fragili anime che li avvicinano e questo semplicemente perché sono così induriti e ottusi di cuore da pensare che tutti dovrebbero essere come loro. I cuori indurti non amano le lacrime; odiano prendere impegni. Si sentono senza parole se chiedete loro di condividere qualcosa che venga dal cuore.


Chi ferisce un cuore non la passa liscia


Una parte del dolore che un cuore afflitto deve patire viene dal pensiero che l’offensore, colui che l’ha ferito, non ne avrà alcuna pena. Il cuore dice: “Io sono stato colpito e ferito, eppure sono quello che ne paga lo scotto. Il colpevole se la cava senza danno, mentre dovrebbe pagare per ciò che ha fatto”. Ecco il problema delle croci: di solito è la persona sbagliata che viene crocifissa. Ma Dio tiene in serbo i libri e, il giorno del Giudizio, tali libri saranno soppesati. Ma anche in questa vita coloro che affliggono e quelli che feriscono pagano un caro prezzo. Indipendentemente da come tentino di giustificare le loro azioni lesive, essi non riusciranno a sottrarsi alle grida di coloro che hanno ferito. Come il sangue di Abele che gridava dalla terra, le grida di un cuore straziato possono penetrare la barriera del tempo e dello spazio e terrorizzare il più duro dei cuori. Le ferite sono spesso causate da menzogne senza fondamento e ogni bugiardo alla fine deve essere condotto dinanzi alla giustizia.

 

Esiste un balsamo per un cuore spezzato? C’è possibilità di guarigione per le ferite profonde, interiori? Si possono rimettere assieme i pezzi e rendere il cuore ancor più saldo? Può la persona che ha conosciuto un tale tremendo dolore e una tale sofferenza risollevarsi dalle ceneri della depressione e trovare un nuovo e più vigoroso sistema di vita? Sì! Assolutamente sì! E se così non fosse la Parola di Dio sarebbe una beffa e Dio stesso sarebbe un bugiardo: e ciò non è possibile!
Permettimi di darti alcuni suggerimenti su come affrontare la tua sofferenza.


Non cercare di esaminare come e perché sei stato ferito. Ciò che ti è capitato è un guaio molto comune fra gli uomini. La tua situazione non è per niente unica: è la condizione tipica della natura umana.
Che tu abbia ragione o torto non significa assolutamente nulla a questo punto. Ciò che importa è la tua buona volontà di camminare in Dio e di avere piena fiducia nella sua azione misteriosa nella tua vita. La Bibbia dice:


“…non vi stupite per l’incendio che divampa in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano. Anzi, rallegratevi in quanto partecipate alle sofferenze di Cristo, perché anche al momento della rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare” (1 Pietro 4:12-13).


Dio non ti ha promesso una vita senza sofferenze: egli ti ha promesso una via d’uscita. Ti ha promesso l’aiuto per sopportare il dolore e la forza per riuscire a rialzarti quando la debolezza ti fa inciampare.
Molto probabilmente tu hai fatto ciò che dovevi fare. Ti sei mosso nella volontà di Dio, seguendo con sincerità l’impulso del tuo cuore. Ci sei finito dentro con un cuore ben disposto, pronto a donarti. Sei stato spinto dall’amore. Non hai abortito dopo un po’ la volontà di Dio; qualcun altro l’ha fatto. Se ciò non fosse vero non saresti proprio tu a stare così male. Sei ferito perché hai cercato di essere sincero.

Non riesci a capire perché le cose ti si siano rivoltate contro, quando sembrava che Dio le stesse guidando. Il tuo cuore si domanda: “Perché Dio ha permesso che mi succedesse, se sapeva che sarebbe finita male? Ma la risposta è evidente. Giuda, per esempio, fu chiamato dal Signore e destinato a diventare un uomo di Dio. Fu scelto direttamente dal Salvatore e avrebbe potuto essere potentemente usato da Dio, ma Giuda respinse il piano di Dio, spezzò il cuore di Gesù. Ciò che era partito come un meraviglioso, perfetto piano di Dio finì in un disastro, poiché Giuda scelse invece di seguire la sua strada. Orgoglio e irrigidimento hanno fatto naufragare il piano di Dio che era in corso.

 

Dunque, metti da parte i tuoi sensi di colpa; piantala di autocondannarti; smettila di ricercare che cosa hai fatto di male. È ciò che pensi in questo momento che ha importanza davanti a Dio. Non hai fatto un errore, molto più probabilmente, hai semplicemente fatto troppo. Devi dire come Paolo: “Se io vi amo tanto, devo essere da voi amato di meno?” (2 Corinzi 12:15).
Ricorda che Dio sa esattamente quanto puoi sopportare e non permetterà che tu raggiunga il punto di rottura. Il nostro caro Padre ha detto:


“Nessuna tentazione vi ha colti che non sia stata umana; però Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscirne, affinché la possiate sopportare” (1 Corinzi 10:13).

Il peggiore tipo di bestemmia è pensare che sia Dio l’autore del tuo dolore e della tua sofferenza, che sia il Padre Celeste a castigarti, che Dio ritenga tu abbia bisogno di un’altra o più afflizioni prima di essere pronto a ricevere le sue benedizioni. Non è così!

 

È vero che il Signore corregge colui che egli ama, ma questa correzione dura solo per un tempo e non è intesa a farci star male. Non è Dio l’autore della confusione presente nella tua vita, né lo sei tu. È l’insufficienza umana il nemico che semina zizzania nel tuo campo, è l’inganno ricevuto da qualcuno, vicino a te, che ha perso la fede in Dio. Il nemico cerca di farci del male tramite altri esseri umani, proprio come cercava di fare male a Giobbe mediante la moglie incredula.
Il tuo Padre celeste veglia su di te con uno sguardo attento. Ogni mossa è seguita, ogni lacrima è conservata. Egli si immedesima in te in ogni tuo dolore, sente ogni colpo. Egli sa quando sei stato esposto sufficientemente alla molestia del nemico; perciò interviene e dice: “Basta così!” Quando il dolore e la sofferenza non ti portano più ad avvicinarti al Signore e, al contrario, la tua vita spirituale comincia a venir meno, allora Dio interviene. Non permetterà, ad uno dei suoi figli che confidano in lui, di finire a terra a causa di troppo dolore e angoscia nel loro animo. Quando la sofferenza comincia ad agire a tuo discapito, quando essa comincia a frenare la tua crescita, Dio deve operare e tirarti fuori per un po’ dalla battaglia. Non permetterà mai che tu ti consumi in lacrime, non lascerà che il dolore ti faccia perdere la ragione. Egli promette di giungere, giusto in tempo, per asciugare le tue lacrime e darti gioia.

La Parola di Dio afferma: “…il pianto può durare per una notte, ma la mattina viene il giubilo” (Salmo 30:5, traduzione letterale dalla versione inglese KJV).


Quando il tuo dolore è massimo, vai a pregare nella tua cameretta e sfoga in lacrime tutta la tua amarezza. Gesù pianse, Pietro pianse amaramente! Pietro si portò dietro il dolore per avere rinnegato il Figlio di Dio stesso. Egli camminò solo, sui monti, piangendo di dolore e quelle lacrime amare operarono un dolce miracolo in lui: se ne tornò indietro, per attaccare il regno di satana.
Una donna che ha dovuto subire una mastectomia ha scritto un libro intitolato Prima piangi. Quanto è vero! Ho parlato recentemente a un amico che da poco era stato informato di avere un cancro all’ultimo stadio. “La prima cosa da fare”, diceva “è piangere finché non ti restano più lacrime, poi comincia ad accostarti maggiormente a Gesù, finché senti che le sue braccia ti stanno saldamente sostenendo”.

 

Gesù non ignora mai un cuore implorante. Sta scritto: “Tu, Dio non disprezzi un cuore abbattuto e umiliato” (Salmo 51:17). In nessun caso il Signore ti dirà: “Controllati! Rimettiti in piedi e inghiotta la pillola! Stringi i denti ed asciugati le lacrime”. No! Gesù conserva ogni singola lacrima nel suo contenitore eterno.
Stai soffrendo? Molto? Allora vai a farti un bel pianto! E continua a piangere finché hai lacrime da versare. Ma stai attento che quelle lacrime scaturiscono solo dal dolore e non da incredulità o da autocompassione.


Convinciti che sopravviverai, ne uscirai fuori; vivo o morto, tu appartieni al Signore. Saresti sorpreso nel costatare quanto puoi riuscire a sopportare, con l’aiuto di Dio. Felicità non è vivere senza dolori o sofferenze, assolutamente! La vera felicità è imparare a gioire nel Signore, qualsiasi cosa sia successa nel passato.
Ti puoi sentire respinto o abbandonato. La tua fede può essere debole. Puoi sentirti d’essere andato al tappeto. Il dolore, le lacrime, i mali e la sensazione di vuoto a volte possono soffocarti, ma Dio è ancora saldo sul suo trono. Egli è ancora Dio!

Non puoi farcela da solo. Non puoi frenare il dolore e la sofferenza. Ma il nostro benedetto Signore ti verrà incontro, ti raccoglierà con la sua mano amorevole e ti solleverà per farti nuovamente sedere nei “luoghi celesti”. Ti libererà dalla paura di morire e manifesterà il suo infinito amore per te.
Guarda in alto! Rassicurati nel Signore. Quando il buio ti circonda e non vedi alcuna via d’uscita per il tuo problema, abbandonati nelle braccia di Gesù e abbi semplicemente fiducia in lui. Deve fare tutto lui! Egli però vuole la tua fede, la tua fiducia. Vuole che tu proclami a voce alta: “Gesù mi ama! Egli è con me! Non mi abbandonerà! Sta risolvendo tutto, proprio adesso! Non sarò abbattuto! Non sarò sconfitto! Non sarò una vittima di satana! Non perderò la testa, né mi smarrirò! Dio è dalla mia parte! Io lo amo ed egli mi ama!”


La linea di partenza è la fede, e la fede si basa su questo assoluto: “Nessuna arma fabbricata contro di te riuscirà…” (Isaia 54:17).

tratto da: “Non Gettare la Spugna” di David Wilkerson

 

 

Edda CattaniNon gettare la spugna!
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Sta arrivando l’estate!

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Stanotte, alla finestra, ho sentito l’odore dell’estate e, in un attimo, mi sono ricordata del mare, del sole, dell’allegria e della freschezza tipiche di questa stagione!

Mi piace sentire l’odore delle emozioni….

Questi rossi papaveri mi ricordano i campi sterminati della mia Romagna; il rosso rappresenta il sangue del cuore e il verde la speranza che lo alimenta.

” AI  PREAT  LA  BIELE  STELE”

Ai preat la biele stele,  duc’ i sants del paradis. che il Signor fermi la uère, che il mio ben torni al pais…”

“Ho pregato le stelle ed i santi del paradiso perché il Signore fermi la guerra e perché il mio amato bene torni a casa”.  

Con queste parole inizia una dolcissima canzone friulana della tradizione del canto popolare; una vera e propria poesia, accompagnata da una melodia lieve e trepidante, ricca di sfumature melanconiche ma che non inducono alla tristezza, trasmettendo, invece, un senso di pace e serena tranquillità nell’accettare le vicende della vita. La preghiera è affidata alle stelle, perché la portino, là, dove c’è l’amor mio.

Qualche sera fa mi sono trovata a cantare sommessamente in macchina, al ritorno dal mio quotidiano peregrinare dalla Casa “Madre Teresa di Calcutta” dove il mio amato sposo trascorre le giornate, nella  speranza di poterlo vedere con qualche attimo di serenità. Il mio volto si è rigato di lacrime e, nella mia solitaria commozione, mi è tornata alla mente un reminiscenza del mio passato di adolescente. Ero in collegio, con tante mie coetanee ed era una calda serata di maggio. Un gruppetto di noi guardava con malinconia la finestra all’ultimo piano dove una giovane suora, nostra maestra di musica, affetta da un male incurabile, stava concludendo la sua breve esistenza circondata dalle consorelle. All’improvviso, una di noi intonò a bassa voce un canto: “Ai preat la biele stele…” che avevamo imparato insieme e, dopo qualche istante, vedemmo schiudersi le imposte della stanza che lasciarono filtrare la fioca luce di una lampada. Quale commozione nei nostri cuori e quale ringraziamento a Dio per averci permesso di accompagnare gli ultimi istanti di una creatura sofferente, verso la “buona morte”, un momento di enorme valore psicologico, emotivo, spirituale, un momento di passaggio.  Abbiamo capito, in quella circostanza che il rapporto con la morte dipende da quello con il dolore, con se stessi, con i cari e con la propria concezione del divino.

In questi giorni, in cui riaffiorano i ricordi in un’altalena di sentimenti diversi che vorrebbero annullare il tempo, sovrastarlo, riviverlo solo con esperienze positive, mi viene da pensare con la malattia che ha colpito Mentore, alla “morte” ormai alla soglia della nostra vita… basta un attimo…
La cosa più incredibile in questo mondo, a prescindere dalle credenze personali, è che sebbene tutti noi abbiamo visto morire, nel corso della nostra esistenza, i nostri Cari, a volte con un dolore atroce, come quando si perde un figlio,  moltissime altre persone, non pensano spesso che un giorno la stessa cosa accadrà a tutti, senza alcuna distinzione di età, di sesso, di ceto sociale… In fondo anch’io, quando mi sveglio al mattino e mi guardo nello specchio, per un attimo penso di avere i capelli biondi. Ovviamente non è vero, sono quasi tutti bianchi e se ci rifletto con attenzione, ho una coscienza sempre maggiore della morte che si avvicina. Ed allora ci si accorge che vorremmo per noi e per coloro che ci restano, ancora tanto, tanto da vivere e quanto sia difficile allontanarsi da questo pensiero.  

Ricordo ancora una cara amica, sempre una suora che mi aveva educata, che andai a trovare poco prima che mancasse, a novantaquattro anni. Rammento di lei questa espressione: “Vedi Edda, io sono stata la sposa di Cristo per tutto questo tempo… pensa che sono entrata in convento a quattordici anni! Eppure, quando penso a quel momento, a quel passetto che dovrò fare… mi sento sgomenta. Non è facile perciò per tutti pensare alla nostra fine, anche se a volte, a parole ce l’auguriamo, ma quando riflettiamo sul fatto che tutto cambia, tutto scorre, riusciamo a vedere le cose con maggior distacco, e possiamo persino pensare che sia accettabile abbandonare la vita. Per me la riflessione sulla morte e il contatto quotidiano con lei sono stati importantissimi per accettare questo concetto. Pertanto spero che, come me, consideriate il nostro tempo non solo come una cosa utile per aiutare chi soffre e sta morendo, ma anche come una lezione che in futuro potrà essere utilizzata da noi stessi e dagli altri. Parlo di questo tenendo alta l’impronta della mia sofferenza e della morte affinché gli altri si rendano conto della sua esistenza: ma il messaggio di fondo è l’importanza della vita.

Avere cura delle persone che stanno per morire non consiste soltanto nel sedersi accanto al loro letto, la cura del tempo della morte, è un processo di crescita e di trasformazione, la morte è qualcosa di più. E’ qualcosa che riguarda le relazioni: con noi stessi, con coloro che amiamo, con l’immagine che abbiamo di Dio, o di quello che Dio rappresenta per noi. Ma per comprendere a fondo queste relazioni dobbiamo oltrepassare il concetto classico di morte.

Qualche giorno fa, ho visto alla televisione, l’intervista ad una tassista che trasporta i bambini malati di tumore, dall’ospedale a casa, quando sono in terapia. Questa persona ha trasformato il dolore per la perdita del suo compagno in un gioioso peregrinare a fianco dei suoi piccoli malati ed ha trasformato se stessa ed il suo taxi in personaggi da fiaba: pupazzi, fiori, folletti, libri, fiocchi, colori… Lei ripeteva: “Per addormentare il dolore, non bisogna mai sottovalutare l’importanza della presenza umana.”
Credo che dovremmo fare tutto il possibile per creare dei luoghi piacevoli e accoglienti dove le persone possano prepararsi a morire con dignità, rispetto per sé stessi e i propri cari
. Abbiamo inventato dei luoghi meravigliosi come i musei, in cui sono racchiusi i capolavori dell’arte creata dagli uomini, le opere che hanno ispirato e ispirano la nostra vita. E’ arrivato il momento di creare dei luoghi simili per chi sta morendo. La cosa più triste è che la nostra cultura sta perdendo questa opportunità perché non ci permette di sperimentare questa cosa.

La sofferenza e l’avvicinarsi della morte hanno molto da insegnarci, perché aiutano a capire cosa è importante della nostra vita. In un modo o nell’altro ci mettono di fronte a due domande fondamentali: quanto ho amato? E ho amato bene? Tutto il resto è un di più. Ma se queste sono le due vere domande che ci poniamo al termine della vita, perché dobbiamo aspettare la fine per farcele? I luoghi della sofferenza e della morte vedono persone che hanno molto da insegnarci.

In conclusione, non si tratta soltanto di occuparci delle persone che stanno per morire. Ma di imparare da loro come vivere degnamente la nostra vita. Non ha senso attendere la fine per apprendere le lezioni che la vita ha pensato di impartirci. Non tutti, al momento della morte, hanno la forza fisica e la stabilità emotiva per affrontare questa cosa. Ecco perché la pratica Zen insegna: non aspettare!

Edda Cattani


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Sul fine vita

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Sul fine vita

maggi-libro

 

Per Papa Francesco è “moralmente lecito rinunciare all’applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico che verrà in seguito definito ‘proporzionalità delle cure’…”. Tanti i commenti alle parole di Bergoglio. Frate Alberto Maggi, intervistato da Repubblica, sottolinea: “Il punto è: è sacra la vita o l’uomo? Se è sacra la vita si deve difendere a oltranza anche quando diviene accanimento; se, invece, è sacro l’uomo gli si deve riconoscere la sua dignità e in alcuni casi lo si può anche aiutare ad andarsene serenamente”

Sta inevitabilmente facendo discutere la lettera inviata da Papa Francesco a Monsignor Vincenzo Paglia e ai partecipanti al Meeting Regionale Europeo della World Medical Association, in cui il Pontefice cita, tra l’altro, la Dichiarazione sull’eutanasia del 5 maggio 1980. Per Bergoglio è “moralmente lecito rinunciare all’applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico che verrà in seguito definito ‘proporzionalità delle cure’”. Bergoglio, che con le sue parole si inserisce prepotentemente nel dibattito sul “fine vita”, sottolinea la necessità di “un supplemento di saggezza, perché oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona”.

 

 

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Tra i commenti seguiti all’intervento di Bergoglio, segnaliamo l’intervista a Repubblica del biblista Alberto Maggi, che parte da un episodio personale: “Ero ricoverato in ospedale per dissezione aortica. Non sapevo bene che malattia fosse. Accesi l’iPad e lessi che dava alta possibilità di morte. Parlai coi medici prima dell’operazione chirurgica che di lì a poco dovevo subire. Fui chiaro: se fossi rimasto paraplegico volevo vivere, ma se fossi incorso in danni cerebrali permanenti, come era altamente probabile, no, dovevano lasciarmi morire.Parlai anche col mio confratello Ricardo e gli dissi di far sì che le mie volontà fossero in tutto e per tutto esaudite: ‘Per carità — gli dissi — se succede aiutami a staccare’”.

Nel corso dell’intervista il teologo si sofferma anche sulle parole del Papa: “Dicono della sua passione per l’umanità. Il Papa alla dottrina preferisce l’uomo. Non vuole portare gli uomini verso Dio, sennò ci sarebbe bisogno di leggi, di norme, quanto portare Dio verso gli uomini. E vuole farlo, appunto, non con una dottrina ma con una carezza, un linguaggio insomma che tutti possono capire…”.

(da il libraio.it)

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Mente amica

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Mente amica

 

Nessun uomo è un’isola. Insieme siamo interconnessi e interdipendenti. Siamo quello che siamo per merito di ciò che siamo insieme nelle collaborazioni quotidiane (Ubuntu).

La vita è una scuola continua, stai imparando dalle occasioni e dalle provocazioni.
Il cervello è plastico, i pensieri modellano la mente, quando apprendi qualcosa di nuovo o fai nuove esperienze il cervello cresce.
Continua a far palestra con la mente costruendo bozze, schemi, collegamenti, formule brevi per aiutarla a ricordare.

La scrittura può aiutarti a chiarire pensieri ed emozioni e a guardarti dentro con sincerità.
Scrivere può aiutarti a comprendere te stesso e a guarirti.

La mente è la tua migliore amica se sai come governarla.

Scrivo per chiarirmi, per farmi compagnia, per abitare con i miei pensieri e allargare la consapevolezza delle mie risorse. Scrivo per trovare i fili conduttori nel labirinto intricato delle esperienze. A volte sono visitato da pensieri che illuminano, parlano, toccano… li accolgo con diligenza, li deposito sulla carta per poterli ri-trovare e perfezionare. Trasformo pensieri improvvisi in scritture spontanee. Scrivo a me con benevolenza, contemplo ciò che scrivo per comunicare bene con me e con gli altri. In questo modo riesco a stabilire un contatto più intimo con ciò che realmente sento e penso“.

La pratica della lettura-scrittura collettiva di testi è una variante del racconto auto-biografico, che raccoglie la creatività dei partecipanti e rafforza relazioni significative.

Nell’era di internet c’è il pericolo di perdere la scrittura personale-manuale, tra varie tastiere. C’è il pericolo che il cervello diventi macchina e il cuore sia inaridito dall’intelligenza artificiale. Per prevenire tutto ciò, è bene dare importanza alla scrittura bio-grafica: scrivi per pensare, scrivendo vengono pensieri che svelano te a te, attivano la capacità contemplativa e fanno crescere la comunione con la gente e con l’ambiente.

(da La Scuola del Villaggio)

 

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Non c’è amore senza rispetto

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Non c’è amore senza rispetto

Non c’è amore senza rispetto. E il rispetto nasce sempre e solo quando si ha la consapevolezza del proprio valore e della propria dignità. Quel valore e quella dignità che ogni essere umano possiede, e che non dipendono affatto da quello che si fa o non si fa, si dice o non si dice, si è o non si è. Il rispetto è ciò che è dovuto ad ogni persona in quanto persona. Rispetto di sé prima ancora che rispetto dell’altro. Anche se le due cose, in fondo, vanno sempre insieme. Come si fa d’altronde a rispettare un’altra persona quando non ci si rispetta da soli, o a rispettarsi quando non si è rispettati? Come si fa ad amare quando non ci si ama?
Tutto comincia molto presto. Quando si è piccoli e indifesi, e non si può fare altro che essere se stessi, semplicemente se stessi e nient’altro. Tutto nasce da lì. Da quell’amore che dovrebbe essere senza «perché» e senza «ma». Quell’amore incondizionato che è poi la base della fiducia in se stessi e dell’amore per gli altri. Perché ci si sente riconosciuti per quello che si è, e allora si può anche correre il rischio di aprirsi agli altri e di andare incontro al futuro certi che, prima o poi, si incontrerà colui o colei con cui si sarà di nuovo liberi di essere se stessi.
Ma di rispetto, oggi, ce n’è ben poco. Fin dall’inizio. Quando si è ancora piccoli e indifesi. Anche se si capisce già che non basta essere se stessi per essere accolti. Con tutte quelle aspettative che ci cadono sulle spalle. Con tutta quell’ansia di perfezione e di dovere che ci costringe a crescere in fretta. Perché niente viene da sé. E anche il rispetto ce lo si deve guadagnare. «Quando sarai grande capirai». «Quando sarai grande mi ringrazierai». Frasi buttate lì come un’evidenza. Anche se di evidente non hanno niente. A parte la minaccia recondita di sentirsi diseredati da chi avrebbe invece il dovere di amarci nonostante tutto.
«Ti rispetto se tu mi rispetti», dicono oggi tanti giovani. Abbandonati troppo presto a loro stessi. In un mondo che forse insegna a battersi per ottenere qualcosa, ma che non insegna mai la gratuità dell’amore e del rispetto. Ecco perché l’amore sembra un’incognita e si confonde con la passione. Non riconosce e non accetta. Fino a contraddirsi. Sciogliendosi come neve al sole nel momento in cui cadono le maschere e la verità appare nuda.
Ma non è certo questo l’amore di cui parlo ormai da tante settimane. E che quando arriva non passa mai. Nonostante le storie d’amore possano anche terminare. Perché lo si porta dentro di sé come un pezzo di identità. Ricordandoci che ne vale sempre la pena, che non importa se abbiamo sbagliato, che siamo importanti e preziosi e unici…
Quest’amore che copre sempre tutto, nonostante sia pieno di fratture, è oggi molto raro. Forse perché siamo tutti troppo concentrati sull’immagine che diamo di noi stessi. Forse perché siamo un po’ tutti alla ricerca disperata di un senso e di una direzione. E ci accontentiamo di lottare per meritare rispetto, invece di capire che il rispetto è già in noi, e che basterebbe accoglierlo e riconoscerlo per poi amarci e amare.
E invece no. Giuriamo e spergiuriamo, proclamiamo grandi verità e poi ci contraddiciamo, ci vantiamo di essere coerenti e poi crolliamo sotto il peso dell’impostura. Come se per amare e lasciarsi amare dovessimo per forza contemplarci in uno specchio e innamorarci anche noi della nostra immagine. Sempre più narcisi e sempre meno sicuri di noi stessi. Sempre più egoisti e sempre meno tolleranti. 

Edda CattaniNon c’è amore senza rispetto
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