Edda Cattani

S.Agostino: Tardi ti ho amato

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Tardi ti ho amato!

 (prepariamoci alla S.Pasqua)


«Tardi ti ho amato, Bellezza tanto antica e tanto nuova; tardi ti ho amato!

Tu eri dentro di me, e io stavo fuori, ti cercavo qui, gettandomi, deforme,

sulle belle forme delle tue creature. Tu eri con me, ma io non ero con te.

Mi tenevano lontano da te le creature che, pure, se non esistessero in te,

non esisterebbero per niente.

Tu mi hai chiamato e il tuo grido ha vinto la mia sordita’;

hai brillato, e la tua luce ha vinto la mia cecita’;

hai diffuso il tuo profumo, e io l’ho respirato, e ora anelo a te;

ti ho gustato, e ora ho fame e sete di te; mi hai toccato,

e ora ardo dal desiderio della tua pace»

(S.Agostino di Tagore al Signore)

 

Lo sfondo del mare, espressione di bellezza e profondità,

è una ripresa  fatta a Ladispoli.

 


BLOG A PIU' VOCI


Penso sia bella la forma nuova di portare avanti questo spazio. Offrire agli amici la possibilità di postare è una forma di collaborazione, che darà una marcia in più al nostro andare  e divenire sempre più “testimoni digitali”.
La prima ad esprimersi oggi è S. L., con una sua originale riflessione sulla preghiera di S. Agostino “ Tardi ti ho amato”.Seguiamola con stima ed interesse, mentre personalmente la ringrazio del suo prezioso contributo.

Carissimi amici
Dopo aver letto sul Blog questa preghiera di S. Agostino ho continuato a meditarla facendola diventare parola mia. Da questo scritto emerge chiaramente come il Santo sia stato toccato da Dio in tutta la sua umanità. Nell’incontro con Dio tutta la sua persona è stata coinvolta. Dio non scavalca mai la nostra umanità ma la coinvolge per redimerla e realizzarla in pienezza. Agostino è toccato da Dio in tutti i suoi sensi, ed è per questo che mi permetto di offrirvi qualche riflessione proprio relativa ad ognuno di essi.
Bellezza tanto antica e tanto nuova […] hai brillato, e la tua luce ha vinto la mia cecita’
La prima realtà che ha affascinato S. Agostino è la bellezza ed in particolare la bellezza delle creature. In questo senso egli è molto vicino ai giovani d’oggi. Egli stesso afferma di essere stato ammaliato da questa bellezza fino a quando, continuando a ricercare la verità, la bellezza di Dio lo ha vinto. Fissando il volto di Dio, o meglio ancora, lasciando che quel Volto lo penetrasse in profondità, l’infinita Bellezza (che in greco è anche Bontà), come dice egli stesso lo “ha vinto”. I Santi spesso si sono soffermati a fissare il Volto di Cristo, S. Teresa d’Avila invitava spesso le sue figlie a “guardare” Gesù, il volto dell’Amato: “non vi chiedo altro che lo guardiate”. Sono sempre più numerosi i giovani che pongono domande di senso riguardo la propria esistenza. Come afferma il Santo Padre essi manifestano il desiderio di “voler vedere il Volto di Gesù” e spesso chiedono di insegnar loro ad avvicinarsi a Lui e di insegnar loro quella dinamica dell’incontro con Lui che è la preghiera.
Uno dei momenti iniziali della preghiera potrebbe proprio essere quello del guardare Gesù con amore, come si guarda l’immagine di colui a cui si vuole bene e da cui ci si sente amati. Agostino però in questa preghiera evidenzia ancora un’altra realtà. Egli afferma: “la tua luce ha vinto la mia cecità”. Solo quando Dio si presenta a noi siamo in grado di distinguere bene dal male, luce da tenebre, è solo “alla tua luce vediamo la luce” (Sl 35).
Agostino ha lottato con Dio ma solo nel momento in cui ha riconosciuto la sua cecità Dio ha potuto avvolgerlo con la Sua Luce. Come insegna il prologo del Vangelo di Giovanni la “Luce brilla nelle tenebre ma le tenebre non l'hanno sopraffatta”. Quando Agostino ha permesso alla Luce di invaderlo è stato un vero e proprio invaghimento e come Geremia ha potuto affermare: “mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza, e hai prevalso” (Ger 20,7). La luce di Dio ha infranto le tenebre del suo peccato e il suo essere, tutto il suo essere è divenuto luminoso.
La bellezza di Dio, il “pastore bello” attende di essere guardato, amato, attende di brillare anche in noi. Ognuno può diventare ciò che guarda.

Edda CattaniS.Agostino: Tardi ti ho amato
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1-2 Aprile: Bambini in disagio

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Ancora una volta la nostra attenzione va ai bambini, quelli meno fortunati, quelli a cui nessuno riesce pienamente a dare una vita serena e priva di tanti incubi e profondi perché…  http://www.genitoricontroautismo.org/

 

2 APRILE: GIORNATA MONDIALE DELL'AUTISMO

 

 

Ci appare veramente difficile che addirittura un bambino, un piccolo essere adagiato nella culla della vita, in quella fase ancora fatta di coccole e abbracci, di giochi sull'altalena e giornate dai colori arcobaleno intrise di sole dopo la pioggia, di risate che stringono la pancia fino a provocare le lacrime, di palloncini colorati e nuvole che si rincorrono nel cielo senza pensare a niente, possa trovarsi in situazioni psicologiche gravi.

Eppure, già così piccoli, ci si può ritrovare affetti da gravi patologie come le psicosi infantili. C'è da dire innanzitutto, che proprio come per le psicosi che interessano gli adulti, esistono diversi tipi di psicosi infantili. L'autismo ad esempio, è una di queste. Per quanto differenti possano essere, posseggono tutte un aspetto fondamentale comune: in ogni forma di psicosi il bimbo vive un rapporto alterato con la realtà.  

Cani e delfini per curare i bimbi autistici

 

  

Roma – Animali in soccorso dei bambini. Cani e delfini possono essere usati per cercare di abbattere la barriera emozionale che divide i bimbi autistici dal mondo. E spesso ci riescono più degli stessi esseri umani.
Sarà per questo che la Pet Therapy da qualche anno è diventata una via alternativa e parallela a quella percorsa dai principali esponenti della comunità scientifica, che si riuniscono proprio in questi giorni per celebrare la Giornata mondiale dell’autismo, fissata dalle Nazioni Unite per il 2 aprile prossimo.
La Pet Therapy in molti casi funziona, che sia fatta con Fido o con un delfino giocherellone. «Ho iniziato a lavorare con i bambini autistici su richiesta di alcune scuole e centri per disabili – racconta Renata Fossati, psicopedagogista e allevatrice esperta -. Da allora ho seguito, insieme al mio gruppo, una decina di piccoli, dai 5 ai 24 anni -. Prima di tutto bisogna dire che l’autismo, come ogni sindrome, non può essere categorizzata: ci si deve confrontare con il soggetto affetto dalla patologia oltre che con la patologia stessa. Pertanto, ci sono pazienti che traggono notevoli benefici dalla Pet Therapy e altri che, al contrario, potrebbero sviluppare fobie verso l’animale». Il rapporto cane-bimbo autistico coinvolge la sfera emozionale: il piccolo prima è attratto dal nuovo amico a quattro zampe, poi pian piano inizia a interagire. «Ho seguito per due anni un bimbo che ne aveva cinque durante alla scuola materna e poi un anno alle elementari – prosegue l’esperta -. Ha fatto molti cambiamenti, grazie all’interazione con il cane. Nella prima fase un bassotto, che se ne stava tranquillo in un cestino a farsi accarezzare. Poi un samoiedo, cane bianco, peloso, allegro e dolcissimo. Il bambino che non riusciva all’inizio a star seduto per più di 12 secondi, dopo cinque mesi passava anche 12 minuti vicino all’amico, spazzolandolo, dandogli da mangiare, accarezzandolo». Una conquista enorme, quasi come scalare il K2.
«Il secondo e terzo anno, abbiamo chiesto anche alle insegnanti di lavorare con un piccolo gruppo di coetanei – prosegue Renata Fossati -. E lì che il bimbo ha imparato a fare azioni in sequenza: stava seduto con tutti gli altri e aspettava il suo turno sorridendo per accudire il cane». Si possono usare bassotto, golden retriever, cocker e anche labrador. «Non c’è una razza da prediligere – conclude l’esperta -. Anche i meticci vanno benissimo, l’importante è che abbiamo buon temperamento, siano più grandi di 18 mesi ed educati a questa missione». Ma la Pet Therapy va anche oltre. Il professor Davide Moscato, direttore del Centro Cefalee e Disagio Psichico dell’ospedale San Carlo di Roma dal 2003 fa terapia con gli animali da fattoria. «Solitamente inseriamo due bimbi autistici in un gruppo di sei-otto coetanei con diverse patologie psichiatriche – spiega il professor Moscato -. Gli autistici in pratica restano isolati dal mondo nel momento in cui invece tutti gli altri bimbi crescendo sviluppano capacità cognitive e affettive. L’animale riesce a catturare la loro attenzione: il piccolo non guarisce ma può essere aiutato a uscire dall’isolamento». E che dire del leone marino? «Già, da maggio abbiamo dato il via anche a un progetto, questa volta riservato solo ai pazienti autistici – conclude il primario -. Un giorno a settimana, in gruppi da quattro, vengono accompagnati a Zoomarine a Torvajanica, dove hanno la possibilità di interagire con questi animali, in compagnia dei nostri specialisti e del personale del delfinario. Una terapia che è già un successo».

(da "Il Giornale) 

Edda Cattani1-2 Aprile: Bambini in disagio
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Notte Tricolore

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Unità d'Italia 1861 – 1961

Per festeggiare la Patria bisogna amarla e per amarla bisogna averla vissuta nei suoi avvenimenti più salienti. In questo valore molti giovani e non solo, hanno creduto e dato la loro vita, ed ancora oggi c'è chi si prodiga per portare la "solidarietà" italiana laddove non c'è giustizia o non c'è pace. Io appartengo ad una generazione in cui i nonni raccontavano i loro trascorsi storici, quelli della prima grande guerra, quando nelle pause si cantavano i cori degli alpini; ne riporto uno per tutti:

 

La tradotta che parte da Torino

a Milano non si ferma più,

ma la va diretta al Piave,

cimitero della gioventù.

 

Siam partiti siam partiti in ventisette,

solo in cinque siam tornati qua,

e gli altri ventidue

son morti tutti a San Donà.

 

A Nervesa a Nervesa c'è una croce,

mio fratello l'è disteso là,

io ci ho scritto su "Ninetto"

che la Mamma lo ritroverà.

 

Cara suora cara suora son ferito,

a domani non ci arrivo più;

se non c'è qui la mia mamma,

un bel fiore me lo porti tu.

 

Ecco com'è nato il mio amor patrio che poi si è trasformato dopo la lettura dei testi di Primo Levi sul ritorno dei nostri soldati dalla campagna di Russia. Poveri ragazzi, in gran parte della "Julia" che andavano alla guerra senza indumenti da coprirsi, ma animati da un solo ardore che li guidava ad eseguire gli ordini ad ogni costo.

 Per questo ho festeggiato anch'io, questa notte, in silenzio ed ho appeso la bandiera italiana alla bacheca dove conservo la spada del mio Andrea, ufficiale dell'Esercito Italiano, orgoglioso di appartenere al suo Corpo e a questa Patria.

Tanta era la sua convinzione che ancora oggi, in tante sue comunicazioni mi dice

"VIVA L'ITALIA, PATRIA MIA!"

 

Nella notte tra il 16 e il 17 marzo a Roma si festeggia la Notte Tricolore con iniziative ed eventi per celebrare l'anniversario dei 150 anni dell'Unità d'Italia. La capitale romana sarà il centro delle celebrazioni per l'Unità d'Italia con una lunga kermesse cittadina: concerti, bande, teatro, letture, animazione di strada, spettacoli di luce, proiezioni, lezioni magistrali, fuochi d'artificio sotto le stelle. Sono previste per tutta la notte, fino al mattino, aperture di spazi culturali e aree pubbliche, per finire con il "Nabucco" all'Opera diretto da Riccardo Muti. La Camera dei Deputati sarà aperta dalle 20 alle 2 e una diretta da Piazza del Quirinale con la trasmissione di RaiUno '150'.

Anche il Fai, nelle Giornate di Primavera il 26 e 27 marzo, dedica spazio a beni architettonici e culturali risorgimentali. Su un totale di 660 luoghi aperti, ben 150, come i 150 anni dell'Unità italiana, sono i luoghi dedicati al Risorgimento italiano per consentire agli italiani di scoprire e riscoprire gli eroi che hanno fatto la nostra Patria. Solo per fare qualche esempio, sarà possibile scoprire a Reggio Emilia il luogo dove nacque la bandiera nazionale o visitare a Savona la Fortezza Priamar dove Giuseppe Mazzini, imprigionato, ideò la Giovine Italia.

 

 

Edda CattaniNotte Tricolore
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I “carismi” di Padre Pio

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Ricevo da un amico navigatore oggi e pubblico:

       A Padre Pio

 Padre che del Gargano resti un sole,
accogli questa supplica sincera,
non c’è bisogno di molte parole
perché procacci a me la gioia vera.

 E mi giunge un profumo di viole
mentre rivolgo l’umile preghiera:
ancora esorti a seguir chi vuole
la via del Vangelo veritiera.

 Tu che d’ardor serafico colmasti
l’intera vita afflitta dal dolore,
ricordati di me di fronte a Dio.

 L’esempio dato a noi penso che basti
a meritar le grazie del Signore
perché Sei tanto grande, Padre Pio!

                       Domenico Caruso

S. Martino di Taurianova (R.C.)

 

 

 

 123 anni fa nasceva Padre Pio da Pietralcina:

il santo dei miracoli

I “carismi” di Padre Pio

 

 

 

 

 

Padre Pio diceva Messa sempre molto presto, alle prime luci dell'alba, se non prima.
Molto spesso all'altare laterale dell'Immacolata, ma anche a quello centrale e, in seguito, a quello di san Francesco. Dopo il ringraziamento, confessava gli uomini in sagrestia, poi nella chiesetta le donne.
Al termine di tutte le confessioni, tornava in sagrestia per indossare cotta e stola, e rientrava in chiesa per distribuire la comunione ai fedeli.
Non di rado l'ora era tarda, e poiché vigeva la norma che bisognava essere digiuni del tutto, acqua compresa, fin dalla mezzanotte, non era un sacrificio da poco per i fedeli.
Al pomeriggio, dopo il riposo, Padre Pio ridiscendeva in sagrestia per confessare gli uomini.
In certi periodi o in certi giorni c'erano abbastanza fedeli per impegnarlo tutta la giornata, in altri no.
Comunque tutto, confessione, eventuale incontro extra con Padre Pio, si esauriva di solito in giornata.
A poco a poco, intanto, qualche timida casetta cominciava ad apparire nella zona, fatta costruire da forestieri che venivano a risiedervi stabilmente o volevano una base propria per le loro venute periodiche; e anche da famiglie del paese desiderose di avvicinarsi di più al convento dov'era Padre Pio.
Perché egli era ormai al centro come di una famiglia, che si estendeva sempre più, guidando come un autentico padre, non solo spiritualmente, ma anche con consigli d'ordine pratico, oltre persone del posto assidue al suo confessionale e agli incontri extra, anche molte altre lontane.
Tutte avevano per lui un'autentica venerazione: pur considerandolo come una persona di famiglia, e avendone e ricevendone confidenza, vedevano in lui un sigillo soprannaturale.
E alcune si affidavano a lui in toto, in una sequela spirituale senza riserve, bevendo e meditando i suoi insegnamenti, ricevuti in confessione, e anche in brevi messaggi scritti che si aggiungevano alle numerose lettere dense di spiritualità, scritte fin quando poté farlo.

Il profumo

Ma che cosa aveva di speciale Padre Pio per catalizzare intorno a sé tanto interesse e tanta venerazione? oltre le piaghe come il crocifisso, che rimanevano nelle mani, abitualmente coperte da mezzi guanti color marrone, che si toglieva solo per celebrare? Sarebbero bastate solo queste per farlo apparire come un essere superiore, perché quelle piaghe emanavano a volte un profumo inconfondibile, che inondava i presenti, e veniva avvertito, in certe circostanze, anche da persone in paesi lontani.
E già questo era miracoloso. Si ambiva, subito dopo la messa, riuscire a baciarle prima che in sagrestia si rimettesse i guanti. E si ricercava sul bancone dove si vestiva e si spogliava le crosticine che nel togliere e nel rimettere i guanti vi cadevano sopra; conservate come reliquie, quelle crosticine continuavano ad emanare il caratteristico profumo di Padre Pio, e verıivano considerate miracolose.

L'introspezione delle anime

A parte i segni già di per sé eccezionali che portava sul suo corpo, era evidente in Padre Pio la sua capacità di vedere l'intimo delle anime, illuminato com'era da Dio. Ciò era abituale in confessione, dove i penitenti si sentivano non di rado ricordare dei peccati non detti. E se l'omissione era stata involontaria, e si trattava di cose veniali, tutto poi filava liscio. Ma se era stata fraudolenta e se si trattava di cose gravi i rimproveri di Padre Pio salivano per così dire alle stelle, tanto erano aspri e sferzanti, e il più delle volte il peccatore veniva scacciato in malo modo. Coram populo, perché Padre Pio non aveva mezze misure. L'umiliazione era grande, non tanto per la vergogna di quel ripudio pubblico, che intimoriva anche gli altri che attendevano il loro turno, ma il più delle volte per l'orgoglio ferito.
Come si permetteva quel frate di trattare in quel modo una persona umana? Con quale diritto? Con quale autorità? E c'era chi se ne andava sdegnato, giurando che non avrebbe rimesso più piede in quel posto; salvo poi a ripensarci, anche con l'aiuto di qualche samaritano che spiegava come stavano le cose, e li guidava e assisteva per una nuova confessione, con altri sacerdoti se non con Padre Pio. Per questi scaccioni in confessione, si vedeva gente piangere dopo. Un pianto che faceva bene, perché faceva loro vedere con più chiarezza tutti i loro comportamenti. Ma anche fuori della confessione spesso in Padre Pio si rivelava questo discernimento interiore: quando nel mezzo della folla rimproverava ad alta voce qualcuno, o senza dire nulla ritirava la mano a chi si disponeva a baciarla, o addirittura passava oltre nel fare la comunione ai fedeli. C'erano poi le volte che strapazzava di fronte a tutti una persona, lasciando di stucco gli altri.
E c'era sempre un motivo, che in genere sapeva solo il malcapitato.

La bilocazione

Di certo, la testimonianza del dono della bilocazione in Padre Pio ci viene da lui stesso.
Una volta, mentre stava con le sue prime figlie spirituali nella foresteria del convento per le consuete conferenzine, apparve a un tratto come assente.
La cosa si prolungava troppo a lungo perché si trattasse di una semplice concentrazione interiore.
Alla fine si riscosse, e alla domanda di che cosa gli fosse accaduto, rispose con semplicità che era stato in America a trovare il fratello Michele.
Troviamo poi negli Epistolari chiare rivelazioni di una sua visita a una figlia spirituale di Foggia inferma: Giovina, sorella di Raffaelina Cerase, con la quale Padre Pio era in corrispondenza quando si trovava a Pietrelcina e che era stata l'occasione della sua venuta a Foggia, e poi a San Giovanni Rotondo.
Noi ci limitiamo a questi due casi che vengono dallo stesso Padre Pio.
Ma dobbiamo aggiungere che anche il profumo era un segno della sua presenza, o per lo meno della sua assistenza nella preghiera. Lo avvertivano anche persone che non avevano mai avuto nessun contatto con lui.
Era di solito un buon odor di violette, intensissimo e inconfondibile. Ma a volte si sentiva un odore di tabacco, o anche di acido fenico.
Quest'ultimo, Padre Pio l'aveva usato per qualche tempo subito dopo la stimmatizzazione come disinfettante. In quanto al tabacco, Padre Pio usava annusarlo per liberare le narici intasate.
Vengono comunemente assegnati dei significati a una intera gamma di altri odori attribuiti a Padre Pio; ma, sinceramente, sono attribuzioni opinabili.
Quel che è certo è che Padre Pio anche da lontano faceva sentire la sua presenza o assistenza.
E' anche certo che il suo sangue non aveva un odore repellente, ma gradevole. Ne rimanevano intrisi anche i fazzolettini e le pezzuole poggiate sulle sue piaghe.
Chi riusciva ad averne uno, in qualche modo trafugato dalla sua cella, lo conservava gelosamente come una reliquia, ricorrendovi nei momenti di bisogno.

Le grazie

La preghiera d'intercessione di Padre Pio l'otteneva grazie non imputabili all'intervento umano.
Senza arrivare, nella stragrande maggioranza dei casi al miracolo vero e proprio.
I benefici che ottenevano quelli che ricorrevano a Padre Pio sono incalcolabili, e tuttora è così.
Quando gli si raccomandava di pregare per questa o quella cosa annuiva subito, e a sua volta esortava anche il ricorrente a pregare.
In particolare, la sua preghiera abituale, diffusissima tra ı suoi devoti, era la "coroncina al Cuore di Gesù". Che Padre Pio recitava ogni giorno.
A volte il profumo intenso che si avvertiva era il segno, oltre che della sua presenza, della grazia; e si vedeva subito.
Ma quando qualcuno lo ringraziava, Padre Pio in genere rispondeva: "Non me ringrazia, ma la Madonna".
Ma se qualche fedele lo metteva quasi alle strette, dopo qualche segno straordinario, chiedendogli: "Padre, eravate voi?" rispondeva di solito: "E chi volevi che fosse?".
Altre volte, da una osservazione che faceva su particolari della persona che non poteva umanamente conoscere, si capiva chiaramente il suo intervento.

 

 

Edda CattaniI “carismi” di Padre Pio
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C’è un senso di Te!

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Dedicato a te, piccola Yara, abbandonata in un campo di sterpaglie, divenute gigli del Cielo!

 

   …Eppure, Sentire…

Nei fiori tra l'asfalto…

Nei cieli cobalto c'è…

…Eppure, Sentire…

Nei sogni in fondo a un pianto…

…Nei giorni di Silenzio c'è…

 

 

 

 Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso. […]

 nel mio cuore c'era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo.

[ Geremia 20]  

Quando si può solo fare silenzio…

 

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Guardarsi intorno!

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"Noi ci vediamo!"

 

Dopo l'accorato appello di una madre che ha lanciato su facebook il suo richiamo, ecco il commento  di P.V. all'articolo sulla "Giornata della Memoria" pubblicato qui sotto. Guardiamone un passo:

 

…Accorgersi così della presenza di tante vite che ci vengono incontro da ogni lato,
ognuna con il suo percorso, in attesa di essere da noi conosciute e riconosciute.
Cos'altro é stato il cammino di Gesù e dei suoi discepoli se non un guardare intorno?
Come si sarebbe espressa la forza liberante dei suoi gesti, se non fosse stata sollecitata
da un guardare compassionevole? 
E noi? Forse potremmo fare spazio ad una goccia di vita se solo guardassimo davvero.
Il samaritano, guarda e presta soccorso all'invisibile.
Il ladro, dalla croce guarda e apre il suo ultimo battito alla speranza…

 

Ecco la goccia di vita: una madre che non ha denaro per comperare un panino alla figlia ammalata, destinata ad una fine precoce, perchè già segnata da una malattia incurabile! E noi cosa possiamo fare oltre che lamentarci delle istituzioni, delle promesse mancate, dell'insensibilità delle persone…

Certo, possiamo dire: "Ti sono accanto con la preghiera…" mentre le ore passano inesorabili e ad una bimba si spegne sempre più il sorriso! Guardiamo questa creatura dal corpicino piagato  che aspetta una nostra risposta… e la sua Mamma… così dignitosa che vuole solo un lavoro per fargliela…

 

 

 

 

C'è anche chi scrive sulla bacheca: "Ditemi come possiamo aiutare realmente questa ragazza e la sua famiglia: non ci sono parole per descrivere il mio dissenso…. Noi, amiche e amici di fb, insieme possiamo farcela, ci basta solo sapere cosa possiamo fare!!!!! "

 

Grazie infinite a TUTTI. Ecco qua ciò che occorre: AMBROSIO ANGELA – Via Malacarne, 2 S.Gennaro Vesuviano (NA) 80040   Conto Posta posta-pay è 4023 6105 6956 8968 Codice fiscale MBRNGL66A41H931T



 

 

"ASSISTENZA E DIGNITA' PER MIA FIGLIA"

 

 

 

 

L'accorato appello di una mamma che da sola lotta contro la Klippel Trenaunay Weber la malattia rara di cui è affetta sua figlia Anna destinata a morire. Angela Ambrosio, una signora di San Giuseppe Vesuviano che da sedici lunghi anni convive con una gioia immensa e con un dramma che le dilania l'anima e la mente. La gioia infinita è sua figlia Anna. Le sue piccole conquiste, le emozioni, i gesti, gli sguardi e l'innata vanità di una ragazzina che, grazie all'amore incommensurabile di sua sorella Pina e di mamma Angela si conquista ogni giorno dei suoi dolorosi 16 anni di vita. Il dramma è la Klippel Trenaunay Weber. Una malattia rara per la quale non vi sono cure e che in fine al percorso ha un solo triste e nefasto epilogo. Al momento Anna sta vivendo una fase della malattia similare ad un malato terminale di cancro. Dolori atroci, necrosi, sanguinamenti, infezioni, linfoangite, metastasi in tutto il corpo e aggressività in momenti dolorosissimi. "Mia figlia è dolcissima, nonostante l'afasia e il ritardo intellettivo che l'ha colpita dopo un vaccino, ma che non ho potuto mai provare a causa della sua patologia. – dice mamma Angela – Anna capisce tutto e vive una sofferenza atroce sin dalla nascita. E' stata seguita dal secondo policlinico di Napoli, che diagnosticò la Klippell Trenaunay Weber, ma non contenta scrissi al centro di informazioni di malattie rare, che mi ghiacciarono con una lettera, che conservo ben stretta. Mi dicevano che non sapevano come aiutare Anna così come tanti altri nel mondo. Non c'erano cure". Poi l'inizio del calvario. Prima i ricoveri che pian piano si diradarono nel tempo, poi mille scuse, poi indirizzarono Angela alla terapia del dolore. "Ci andai con Anna,e loro mi dissero se provavo con gli oppiacei. – ricorda la signora – Nel giro di 24ore mia figlia aveva un blocco renale e per poco non moriva. Poi l'allontanamento definitivo dall'ospedale anche se il professore Andria, mi disse che se avessero avuto riscontri, per aiutare Anna mi chiamavano. Ma quando?" Angela è una mamma coraggiosa e da anni combatte una battaglia di dignità per la sua Anna che è stata lasciata sola sia dalle strutture ospedaliere che da quelle assistenziali territoriali. Quasi come se, visto che non si salverà da questo triste destino, fosse stata cancellata dalle persone che hanno diritto all'assistenza ed alla dignità della malattia. Anna risiede a San Gennaro Vesuviano, ma non va a scuola ed occuparsi della sua assistenza continua sono mamma Angela e Pina la sorella maggiore, che ha rinunciato agli studi universitari pur di accudire la sorella. Due donne sole. Ed Anna. A cui lo stato riconosce 480euro al mese. "Pago 345 al mese di fitto più spese condominiali e bollette. Come dobbiamo vivere?" – con amarezza affermo: "Io no ho più fiducia nelle istituzioni, non mi sento cittadina italiana. E dov'è l'articolo 1 della Costituzione italiana?"Angela anela ad un lavoro. Sino ad oggi, invece, le istituzioni non hanno fatto nulla nonostante le dovute insistenze,ho lavorato presso una cooperativa della 328 ambito nove come figura di assistente ai minori.nei comuni vesuviani "Purtroppo i pagamenti avvenivano ogni 5mesi e non tutta la retribuzione, mentre a me i soldi necessitavano tutti i giorni e fui costretta a lasciare", ricorda in questi anni ho anche registrato la fine del mio matrimonio con il disinteresse del padre di Anna. Ha trovato porte chiuse dappertutto e qualche associazione si è avvicinata solo per cercare di approfittare della condizione di Anna. Quello che è riuscita ad ottenere lo ha fatto solo con l'aiuto di una rete di persone amiche che l'hanno aiutata ad arredare la piccola casa in cui vivono. Non ha l'auto anche se Anna ama uscire. "Ci sono belle giornate di sole e stamattina mi ha detto: "io uscire". Dove la porto se non ho i soldi per comprarle un panino? – dice con la voce tremante, ma determinata – Senza di me Anna non avrebbe dignità e sto facendo di tutto affinchè non la perdi mai". vorrei acquistarla l'auto..ma l'accompagno di Anna non è reddito e non ho una busta paga per accedere ad un finanziamento..come fare non so..e l'auto è essenziale per me.Se gli succede qualcosa devo chiamare l'autoambulanza…!!!!!!E il lavoro per Angela è la condizione essenziale affinchè questo possa accadere dal momento che a Napoli non valgono le agevolazioni, che il Nord eroga a chi vive condizioni di estrema difficoltà per malattie così gravi come una casa ed un sussidio di 500euro al mese.Anna ama tantissimo il mecdonald.

 

 Questo appello deve trovare risposta… se siete in tanti a leggere queste mie pagine, non passate oltre!

 Sentite cosa mi scrive questa Mamma speciale:

"Grazie cara Edda,le dolci parole,del Signore che escono da voci lontane,riempiono il cuore sempre,e devo dire che la mia fede è stata la medicina di Anna,perchè solo chi crede vede le meraviglie di Dio,e io sono felice che Dio mi ha affidato un compito molto difficile,vedere la sofferenza in Anna e dire,"grazie Dio di avermi scelta e vivere questi giorni sulla terra in tua compagnia"il sorriso che mi dono' ha avuto un grosso compito essere allegre nel giorno delle sofferenze è solo un dono di Gesù,ringrazio DIO di poter avere persone che mi stanno vicino anche da lontano,grazie per le affettuose parole,un abbraccio affettuoso. "
 
Edda CattaniGuardarsi intorno!
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“Dalle sue piaghe siete stati guariti”

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Chi avrebbe pensato che mentre veniva distribuita l'unzione a Casa Madre Teresa, un'altra tragedia toccava la mia famiglia:
 
Se n'è andata la sorella di Mentore per un banale incidente domestico ( le si è incendiata addosso una bomboletta di alcool trasformandola in una torcia umana). Questo ha riportato alla mia mente i tanti "perché"… Quando mi sembra di aver dato risposta ai miei interrogativi, mi causano grande sconforto le tragedie altrui e si ripresenta quella domanda che ricuso, ma che sovente sento ripetere:" Perché? Cosa aveva fatto di male per "meritare" una fine così atroce?" Poi su tutto si possono trovare infinite spiegazioni … ma la fede è difficile da testimoniare.
 
Mi scrive il nostro amico P.V.
 

Cara Edda, ricordo una piccola chiesa nella Bassa Padana che con una certa frequenza ospitò il mio sostare, all’inizio del tempo che mi vide emigrante. Sconsacrata durante l’occupazione francese, era stata adibita a ospedaletto per le truppe napoleoniche. Sotto quelle volte dalla francescana semplicità sembrava ancora di udire il vociare dei feriti e l’andirivieni dei soccorsi. L’unico segno visibile che risaltava dallo sfondo di quelle antiche e spoglie mura era un crocefisso di altezza naturale. Diverse erano le domande che mi frullavano in testa: “Ma che senso ha portare la mia vita ai piedi di questo corpo inerme e tumefatto, sconfitto e disonorato”? “Accostarci alla croce non ci pone ai margini della società”? “E la nostra fragilità, paura, il più delle volte non ci pone a guardar da lontano, da un margine di sicurezza”?…  

Ecco, ancora oggi sento che quel crocefisso ACCOGLIE TUTTI E TUTTO. Ciò che avverto come pesi, perdono in pesantezza, iniziano un po’ a dissolversi  ai piedi di quella Presenza e costato l’inconsistenza del male.

 

 
 
11 febbraio 2011
 
Il tema della XIX Giornata Mondiale del Malato è:
"Dalle sue piaghe siete stati guariti" (1 Pt 2,24)
 
 
 
Il tema si inquadra nel percorso triennale di programmazione pastorale “Educare alla vita nella fragilità. Sfida e profezia per la pastorale della salute”, sulla base degli Orientamenti Pastorali CEI per il prossimo decennio “Educare alla vita buona del Vangelo”.
 
Il materiale relativo alla Giornata è stato distribuito alle Diocesi. 
Il Messaggio del Santo Padre, pubblicato il giorno 18 dicembre 2010, è scaricabile in questa pagina 
Messaggio di Benedetto XVI per la 19ª Giornata Mondiale del Malato (11 febbraio 2011)
Mess_Giorn_Malato 2011[1]

    L’ Unzione  degli  infermi  

“Dov’è carità e amore…”

Il Sacramento dell’Unzione degli infermi agli Ospiti di Casa Madre Teresa di Calcutta

 

 

  Si è conclusa con questo canto, oggi 11 febbraio, "giornata del malato", la celebrazione del Sacramento dell’Unzione degli infermi che ha avuto luogo durante la Santa Messa prefestiva, nella cappella di Casa Madre Teresa di Calcutta.

 

Il Sacerdote celebrante aveva anticipato l’iniziativa con una lettera indirizzata a tutti i famigliari affinché potessero preparare i loro Cari a questa rito e, nel contempo, avessero l’opportunità  di prendervi parte cogliendola quale prezioso dono spirituale a vantaggio di chi è in qualche modo sofferente o ammalato, o anche non malato ma desideroso di partecipare.

 

 Gli ospiti, compresi della circostanza,  erano stati disposti nei banchi con le Suore e gli Operatori in mezzo a loro, mentre continuavano ad affluire parenti che non trovavano più spazio… un pellegrinaggio di fede e di amore.

 

 

 

Anche se il sacerdote aveva invitato a non pensare ad effetti magici o taumaturgici e a pregare per gli altri, sono certa che tanti avranno supplicato: “… pietà di me Signore…” Mentre guardavo il mio Mentore tendere le mani rattrappite al celebrante chino davanti a lui, pensavo alla parabola del Samaritano, a Gesù che continua per l’umanità sofferente e speranzosa il suo servizio di amore e di aiuto, iniziato un tempo in Palestina. Egli stesso  si piega su di  essa, pieno di misericordia e la solleva; egli dà nuova forza, speranza e perdono; è Gesù che diventa il buon Samaritano e si prende a cuore il malato che giace a terra.

Lontano dal frastuono cittadino rifletto sulla difficile situazione della malattia, che prostra il corpo e l’anima  – una esperienza primordiale dell’umanità – che rende l’uomo cosciente del suo limite e della sua dipendenza e può avere anche un senso se ci si riferisce al futuro. In un fraterno abbraccio mi ritrovo con tanti parenti come me, che seguono i loro Cari e che incontro quotidianamente in questa struttura dove il mio amato sposo ha chiesto “il dono della salute per i suoi nipotini” lui che ormai è leggero come un alito di vento… Sono certa che in questi momenti di preghiera e di abbandono, tutti avranno sentito aleggiare “il soffio dello Spirito” che è Luce, Fuoco e Vita.

Sono diverse le nostre storie dolorose, eppure la chiamata che ci viene rinnovata, oggi come ogni giorno, spalanca anche noi alla piena comunione con Dio Padre; il suo onore, la sua gloria in noi, danno peso, consistenza, senso e pienezza alla nostra vita. Lontano dal contesto di ogni giorno, dalla felicità che ogni uomo spasmodicamente cerca tra lifting, sport, investimenti, studio, affetti e sforzi e compromessi, c’è il desiderio più profondo del nostro cuore ed esso trova risposta nell'accettazione della nostra croce. Con Cristo sulla Croce la nostra vita unita a quella dei nostri Cari è ritrovata, conservata, realizzata. Dove si perde si ritrova, è questo il segreto della felicità.

 

Durante la distribuzione dell’Eucarestia si è ripetuto il miracolo in tutti noi che vi abbiamo partecipato ed il ritorno al nucleo è stato accompagnato da un garbato silenzio, pieno di significato.

Andiamo avanti dunque, e ringraziamo il Signore anche per questo dono che ci ha elargito non dimenticando che la vita stessa è un dono, una grande opportunità che ci è offerta affinché , in ogni momento si dia il meglio in ogni circostanza…

Me lo hanno insegnato i miei nipotini che,  guardando un  cartone animato, ripetevano con le parole di un personaggio saggio:

 

“ IERI E’ PASSATO, DOMANI E’  UN  MISTERO, MA L’OGGI  E’ UN DONO… PER QUESTO SI CHIAMA  PRESENTE !”

                                                                                     

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

Edda Cattani“Dalle sue piaghe siete stati guariti”
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Accettazione e morte dolce

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IL DOLORE DELL'UOMO E IL SILENZIO DI DIO

Desidero rinnovare questo articolo scritto con una problematica tanto discussa dalla politica e dalla religione. L’occasione mi viene data da un post di Fra Benito pubblicato su FB:


".. oggi ricordo Eluana .. e il suo papà Peppino .. e tutti coloro che della loro situazione drammaticamente sofferente hanno vissuto, e vivono, rumori inutili anziché silenzi indispensabili .. il loro è stato un grido sfinito come quello di Giobbe .. e noi siamo per loro solo dei "medici del nulla" .. perché l'urlo di reazione di chi sta male è sempre un grido di lotta e di resistenza a ciò che avviene coscientemente o incoscientemente alla propria vita ferità .. e al grido del dolore innocente che vuole spegnere la vita non ci sono risposte uguali e precise, neanche quelle che ci sembrano di Dio .. il quale pone 'il suo primo sguardo sempre sulla sofferenza delle persone, e non sul loro presunto peccato' .." (Fra Benito)

Il percorso di accettazione

 

 

Vivo in questi giorni una condizione di infermità che unita a quella del mio sposo mi ha portato a fare alcune riflessioni che desidero condividere con tutti voi cari amici del web.

Chi si scopre malato intraprende un cammino difficile e impervio per prendere atto della propria situazione e conviverci. La speranza a volte porta a cercare strade faticose e a volte impreviste, tortuose e poco sicure, ma chi può sapere a cosa porta la nostra corporeità? A volte, quando ti senti più sicuro, giungi a conoscere una diagnosi che conduce a niente di buono.

Scrivo quest’articolo sulla spinta, che con molta sensatezza si prefigge lo scopo di chiarire quanto realmente può succedere e si può pensare, in qualsiasi contesto, da giovani o anziani, da abbienti o indigenti ci si trovi a vivere (guardiamo il nostro amico Cassano… che Dio ce lo ridia presto guarito!). Ricevere una diagnosi sfavorevole impone all’individuo una strada che può deviare o interrompersi in alcune tappe. Chi si ammala si vede quasi all’improvviso scaraventato al di là di una sorta di confine del quale non conosceva neppure l’esistenza, ossia il confine tra chi è sano e chi non lo è.

UN ALTRO MONDO Questo confine è fatto soprattutto di una dolorosa incomunicabilità fra le persone che si trovano ai due lati. Chi sta vicino ad una persona affetta da una patologia seria non è in grado di capire fino in fondo ciò che succede nel proprio familiare, amico, compagno di vita e spesso non riesce neppure ad attivare un atteggiamento di sereno ascolto, che possa permettere a chi si ammala di esprimere le proprie emozioni e paure o, se preferisce, parlare di cose leggere per distrarre l’attenzione. Chi fa l’esperienza di una malattia seria entra concretamente e irrimediabilmente in contatto con la propria fragilità e con la prospettiva della morte. A quel punto la vita diventa da quel momento in poi un percorso a tappe, fatte di speranze, visite specialistiche, esami, indagini strumentali, disillusioni, paure, nuove speranze, terapie, effetti collaterali delle terapie. E poi di nuovo esami, controlli, valutazioni, altre terapie.

UNA DIFFICILE ACCETTAZIONE Se la malattia è cronica ma non mortale, la persona colpita ha bisogno di trovare un equilibrio che preveda l’accogliere la malattia stessa e inglobarla nella propria quotidianità. Per questo essere portatori di una malattia cronica significa sostanzialmente rivoluzionare la propria vita perché essa sia il più possibile protetta dagli effetti della malattia stessa. Nel caso delle malattie mortali o potenzialmente tali, comunque delle malattie progressive, si deve fare i conti con la finitezza della vita umana, con la paura della morte e soprattutto di come e quando essa possa avvenire. Si possono passare momenti di angoscia intensa, assolutamente non comunicabili, talvolta minimizzati dai propri cari che cercano di non affrontare, loro per primi, l’angoscia legata alla sofferenza a cui devono assistere.

 

La morte dolce

 

  Impossibilitata a recarmi quotidianamente dal mio sposo reso ormai un Cristo, senza più fattezze umane, consunto dalla sofferenza e allo stremo delle forze, mi sono chiesta quanto abbia contribuito l’assisterlo ogni giorno per questi lunghi anni nel ritrovarmi in questo mio stato e se sia giusto che una famiglia precipiti in un abisso così profondo per chi soffre e per chi assiste.

Ricordo che tempo fa, nello stato di Washington fu indetto un referendum per legittimare l’eutanasia, ma nonostante fossero molti i convinti sostenitori della legittimazione del “suicidio assistito” la maggioranza dei cittadini (il 55%) ha detto no a tale forma di intervento sull’esistenza umana. Ebbene anch’io mi sono chiesta se sia giusto o meno, in democrazia, e secondo coscienza, chiamare gli elettori a pronunciarsi sulla vita o sulla morte, sulla salute o sulla sofferenza, sull’accettazione della propria con dizione esistenziale o sulla «buona mor­te», al fine di non dover sostenere una lotta per sopravvivere.

Ho letto varie opinioni, di medici, di studiosi, di gente comune, laici e cattoli­ci, ne ho ricavato la convinzione che la maggioranza degli italiani è contraria ad un referendum che decida della vita de­gli altri. E poi, una volta che l'eutanasia fosse approvata e ammessa dalla legge, chi ci garantirebbe dagli abusi?

Infatti potrebbe diventare un facile mez­zo per liberarsi di persone anziane «sco­mode», di handicappati e malati cronici, di giovani drogati o affetti da AIDS che si sentono soli e abbandonati.

Sarebbe giusto tutto questo?

È terribile pensare che una legge possa disporre della vita di mio marito ancora cosciente, di una persona qualsiasi sia pure al limite della vita e che una maggioranza possa legittimare che vi sia un medico o un familiare, il quale sia disponibile ad assecondare una vio­lenza, una offesa fatta alla volontà della «non sofferenza».

Una cosa è cercare il consenso nel cu­rare il dolore, nel lenire le sofferenze, un'altra cosa è dare un senso diverso al­l'esistenza, magari qualificandosi maggior­mente come «atto d'amore».

Si è giunti addirittura a consegnare «una bustina» al paziente che lo chiede se colpito da una malattia inguaribile, af­finché possa bere qualche cosa che lo fac­cia morire in pochi minuti.

Questo accade in Olanda, dove a po­chi chilometri da Amsterdam c'è un ospe­dale moderno, che consente di praticare l'eutanasia senza distinzione di età, per­ché la «morte dolce» trovi spazio e liberi il mondo da gente ormai inutile.

Il medico che assiste gli ammalati a Casa Madre Teresa quando ho chiesto se sia giusto vederli soffrire così, intubati, alimentati artificialmente, totalmente paralizzati, ciechi, muti … mi ha risposto che mai e poi mai un’etica professionale permetterebbe loro di abbandonarli fino all’ultimo respiro.

“Questa è la vita” mi disse Mentore quando entrammo come “ospiti” ed è così!

 

Quanto vale la vita?

Se «soffrire non è un modo degno di vivere», vuol dire che la vita è qualitati­vamente valida soltanto nelle migliori condizioni di salute e di benessere, altrimenti è inutile assistere, sacrificarsi, es­sere generosi verso gli altri: è una perdi­ta di tempo, una spesa eccessiva senza risultati tangibili.

Stiamo attenti che, se si fa strada una simile convinzione, è facile ampliare lo spazio per affrettare il trapasso di tanti infelici, ai quali in questo modo si nega il diritto di lottare per prolun­gare l'esistenza e per avere vicino qual­cuno che mostra affetto nei momenti peg­giori.

Non mi sembra che, dal punto di vista morale e religioso, vi sia una giustifica­zione accettabile a procurare la morte a chi la chiede o a chi crede di poter finire di penare affrettando il trapasso.

Con l'eutanasia ci troveremmo a dover sostenere meno spese e minori difficoltà assistenziali, ma avremmo tanti problemi affettivi e psicologici da risolvere, che au­menterebbero le difficoltà per coloro che devono prendere decisioni vitali per gli altri.

Non è più conveniente dare impulso al­lo studio, alla ricerca, alla migliore con­vivenza ambientale piuttosto che fabbri­care strumenti di morte?

Quei bambini, quegli adulti, quegli an­ziani che, in tante parti del mondo sotto­sviluppato o industrializzato, muoiono ogni giorno senza cibo, medicine, cure, assistenza non rappresentano già una for­ma di eutanasia indirettamente voluta da coloro che stanno meglio e hanno per sé la maggior parte dei beni materiali e de­gli affetti?

Perché, dunque, voler legittimare «un genocidio» che avviene quotidianamente senza che neppure ce ne accorgiamo?

Perché non reagire e sentirsi in colpa, cercando di dare un senso migliore alla vita, specialmente di tanti, piccoli e gran­di, che non possono beneficiare di alcu­na felicità?

Vorrei che le mie modeste considera­zioni fossero condivise da qualcuno di buona volontà, che cominciasse a rea­gire efficacemente per dare al nostro sistema democratico un carattere meno liberticida e più coscienzioso verso problematiche che devono puntare alla libertà, ma con un senso di grande responsabilità.

E da ultimo, con coscienza religiosa vorrei come il piccolo fratel Carlo abbandonarmi al Padre perché faccia di noi quanto di meglio crede … lui sa ciò che è bene … perché è solo AMORE!

 

 La preghiera dell’abbandono

Padre mio,
Io mi abbandono a te:
fa’ di me ciò che ti piace!
Qualunque cosa tu faccia di me,
ti ringrazio.

Sono pronto a tutto,
accetto tutto,
purché la tua volontà si compia in me
e in tutte le tue creature.

Non desidero niente altro, mio Dio.
Rimetto la mia anima
nelle tue mani,
te la dono, mio Dio,
con tutto l’amore del mio cuore,
perché ti amo.

Ed è per me un’esigenza d’amore
il donarmi,
il rimettermi nelle tue mani
senza misura,
con una confidenza infinita,
poiché tu sei il Padre mio.

  

 



 

 

 

 

 

Edda CattaniAccettazione e morte dolce
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A te… che sei un essere speciale

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Il ritorno

 Ripropongo questa pagina e la dedico a Maria Grazia e a tutte le Mamme di FB che ricordano i loro angeli come esseri SPECIALI…

e  chi può dubitarne!

 

Questa sera il ritorno da "Casa Madre Teresa" non è stato facile. Il mio amato Sposo, fedele amico della mia vita per quasi mezzo secolo, è prossimo a raggiungere la Casa del Padre e a ricongiungersi con Andrea, nostro figlio che l'ha preceduto. Una vita trascorsa insieme, nelle tante gioie e negli inevitabili dolori ci ha visto uniti e inseparabili, sempre più accomunati da ideali condivisi, da quel coraggio e da quella fede che lui ha saputo infondermi. Ho pensato ai ricordi, alle speranze degli ultimi tempi… e alla certezza che non mi abbandonerà mai e non mi sentirò più sola. Voglio pensare al nostro essere, al nostro vivere la vita e al "ritorno" con questa canzone e queste immagini:

 

 

 

La cura
(Battiato)

Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie,
dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via.
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo,
dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai.
Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d'umore,
dalle ossessioni delle tue manie.
Supererò le correnti gravitazionali,
lo spazio e la luce
per non farti invecchiare.
E guarirai da tutte le malattie,
perché sei un essere speciale,
ed io, avrò cura di te.

Vagavo per i campi del Tennessee
(come vi ero arrivato, chissà).
Non hai fiori bianchi per me?
Più veloci di aquile i miei sogni
attraversano il mare.

Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza.
Percorreremo assieme le vie che portano all'essenza.
I profumi d'amore inebrieranno i nostri corpi,
la bonaccia d'agosto non calmerà i nostri sensi.
Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto.
Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono.
Supererò le correnti gravitazionali,
lo spazio e la luce per non farti invecchiare.
Ti salverò da ogni malinconia,
perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te…
io sì, che avrò cura di te.

 

 

 

 

Edda CattaniA te… che sei un essere speciale
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Alzheimer: la memoria azzerata

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I volti della demenza

Mercoledì 21 settembre 2011 si è celebrata la 18esima edizione della Giornata Mondiale dell'Alzheimer, il cui titolo è "I volti della demenza": in tutt'Italia si sono svolte iniziative da parte di diverse associazioni per sensibilizzare il più possibile, l'opinione pubblica. Il morbo (chiamato così in onore di Alois Alzheimer, il primo neuropsichiatra, che la descrisse) è la forma più frequente di demenza, cioè l'effetto di un progressivo declino della memoria e delle funzioni cognitive, tale da incidere sulla qualità della vita, scatenata da patologie che alterano sempre più le  funzioni cerebrali . Il morbo di Alzheimer attualmente colpisce 36 milioni di persone


 La solitudine nell'oblio assoluto
Una campagna Sms in aiuto delle famiglie

I malati sono oggi oltre 600 mila in Italia e 35 milioni in tutto il mondo. Un dato destinato a crescere come conseguenza dell'invecchiamento della popolazione. nei prossimi vent'anni raddoppierà. Fino al 13 febbraio si potranno donare 2 euro inviando un SMS al numero 45503 da tutti i cellulari privati.

Se ti fa piacere, ascolta anche la mia testimonianza:

Video Rai.TV – Sulla via di Damasco 2009 – 2010 – Viva la vita
Source: rai.tv

 

   

"Se perdi la memoria perdi tutto". Con questo slogan parte la campagna per sostenere, inviando un sms solidale, "Pronto Alzheimer", il primo servizio telefonico per i malati e i loro familiari. Non si tratta semplicemente di un telefono amico ma di un aiuto concreto gestito dalla Federazione Alzheimer Italia , la maggiore organizzazione nazionale no profit dedicata alla promozione della ricerca medica e scientifica sulle cause, la cura e l'assistenza per la malattia di Alzheimer. I malati di Alzheimer sono oggi oltre 600 mila in Italia e 35 milioni in tutto il mondo. Un dato destinato a crescere notevolmente come conseguenza dell'invecchiamento della popolazione. Secondo i dati della Federazione, il numero delle persone colpite da demenza nel mondo nei prossimi vent'anni raddoppierà.   

La famiglia è la seconda vittima. La maggior parte delle telefonate e delle mail  – circa settemila richieste d'aiuto l'anno – arriva da famiglie di ammalati che spesso non sanno dove andare, a chi rivolgersi. Per il pesante carico assistenziale ed emotivo cui sono sottoposte, sono considerate la seconda vittima dell'Alzheimer.  "Questo perché  –  spiega Gabriella Salvini, presidente della Federazione che coordina in tutto 47 associazioni – non esiste ancora una mappatura nazionale, ma neanche regione per regione, dei centri dove si può avere una valutazione dell'Alzheimer. Noi siamo riusciti a fare una mappatura delle unità di valutazione ma solo per la regione Lombardia. E'un lavoro enorme, spesso gli indirizzi non esistono neanche in internet, e richiede sostegni".
 

Non si sa a chi rivolgersi. Per attirare l'attenzione su questo enorme disordine che complica la vita delle famiglie dei malati, la Federazione, in occasione della giornata mondiale dell'Alzheimer ha chiamato a raccolta i responsabili regionali dei servizi socio sanitari. "Abbiamo proposto loro – spiega la Salvini – una collaborazione per fare un censimento in tutte le regioni. E' sconcertante, ma oggi non è possibile sapere neanche il numero esatto dei centri dove si può ricevere possibilità di diagnosi e di assistenza. Molte delle persone che ci telefonano e ci mandano mail per chiedere aiuto non hanno mai neanche sentito parlare delle unità di valutazione Alzhaimer. A volte, da regione a regione, cambia anche in nome, oltre che la collocazione. In certi casi si trovano negli ospedali, in altri nei distretti sanitari gestite da geriatri, in altri ancora si trovano in istituti di riabilitazione o case di riposo. Per fare un lavoro di orientamento ai servizi territoriali specifici (ASL, RSA, Centri Diurni di Assistenza integrata)  è quindi necessario avere una mappatura nazionale".
 

Non si guarisce, ma si può aiutare. Da quando è stato attivato, nel 1993, il servizio ha ricevuto più di 113mila richieste di aiuto, anche da parte delle figure professionali che a vario titolo si occupano del problema.  "La malattia è molto complessa – conclude la  Salvini – e non esiste una terapia per guarire. Quel che si può fare è dare il massimo aiuto ai malati e alle loro famiglie. Hanno bisogno di essere correttamente informate ed orientate su come comportarsi e dove andare".

La campagna solidale. Fino al 13 febbraio  si potranno donare 2 euro inviando un SMS al numero 45503 da tutti i cellulari privati Tim, Vodafone, Wind e 3 o da telefono abilitato Telecom Italia oppure chiamando lo stesso numero da rete fissa Fastweb, sarà inoltre possibile donare  5 o 10 euro chiamando da rete fissa Telecom Italia. La linea telefonica di "Pronto Alzheimer" (02-809767) è attiva dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 18, ed è gestita da una struttura dedicata composta da 2 persone affiancate da volontari.

(18 gennaio 2011)

 
 

Edda CattaniAlzheimer: la memoria azzerata
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