Edda Cattani

22 ottobre: Santo K.Wojtyla

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Giorno di Misericordia

Aggiornamento

 22 ottobre: oggi si festeggia

per la prima volta Giovanni Paolo II

Oggi, il calendario della Chiesa cattolica indica la memoria liturgica del beato Giovanni Paolo II. In altre parole, il “santo del giorno” di oggi è proprio il pontefice polacco scomparso nel 2005 ed elevato all’onore degli altari il primo maggio scorso. La data odierna è stata scelta nell’anniversario del primo giorno del pontificato di Giovanni Paolo II, il 22 ottobre 1978, giorno in cui celebrò la solenne messa in Piazza San Pietro per l’inizio di una missione che nel corso degli anni ha cambiato la storia. La memoria liturgica, da oggi in poi, sarà celebrata in tutto il mondo, in particolare dalla chiesa romana e da quella polacca, visto che il culto dei beati è una prerogativa delle chiese locali, anche se le conferenze episcopali di altri Paesi, tra cui quella italiana, hanno chiesto di potersi associare alla ricorrenza. In queste ore iniziative di preghiera sono previste dunque in ogni angolo d’Italia, anche a Sassari.

Intanto sul web circola la notizia di una seconda guarigione prodigiosa, avvenuta in Messico. Una giovane donna di origine cubana sarebbe la testimone dell’ultimo miracolo attribuito a papa Wojtyla: affetta da un tumore maligno alla gola, la donna racconta di essere guarita grazie all’intercessione del beato Giovanni Paolo II. A testimoniarlo le cartelle cliniche presentate dalla giovane, che parlano di una massa tumorale che le ostruiva la gola fino a non permetterle di mangiare. Dopo essersi affidata nella preghiera al papa, il tumore ha iniziato a regredire. Ora la donna è guarita completamente e la sua guarigione miracolosa, se confermata, potrebbe portare in breve tempo alla canonizzazione di Giovanni Paolo II.

Oggi è certamente una DOMENICA DI GRAZIA PARTICOLARE, perchè celebriamo 3 avvenimenti importanti: la ‘Domenica in Albis’, la Festa della Misericordia e la Beatificazione del grande Uomo e Papa Giovanni Paolo II.

Il Vangelo ci mostra un Gesù Risorto che DONA LA PACE….

+ DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI

 La sera di quel giorno, il primo della settimana…venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «PACE A VOI!».
Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «PACE A VOI! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo….

Oggi è la Festa della Misericordia: concretamente vuole dirci l’Amore con cui siamo stati amati in quella Morte in Croce, una Misericordia Infinita che non smette mai di amarci. E’ Gesù stesso a rivelarlo a Suor Faustina Kowalska:

“Questa festa è uscita dalle viscere della Mia Misericordia ed è confermata nell’abisso delle Mie grazie. Ogni anima che crede ed ha fiducia nella Mia Misericordia, la otterrà”.

•• E Giovanni Paolo II viene Beatificato in questa Festa voluta da lui, in un mese, Maggio, dedicato a Maria, e nel giorno di festa del lavoro…lui che ha lavorato da giovane, ma soprattutto è stato il grande e infaticabile ‘operaio di Dio’ per tutti gli uomini. Chiediamo la sua intercessione perchè tutto ciò che portiamo nel cuore, le fatiche, le prove, le sofferenze, i desideri e le attese,possano essere accolte ed esaudite da Dio passando attraverso il Cuore Immacolato e Materno di Maria, che tanto egli amava…   (Santo Sessa – Carmelitani Scalzi)

 

 

La mia Scuola intitolata al Beato Karol Wojtyla

Questo quadro con l’immnagine di KAROL WOJTYLA  è stata posta nell’atrio della mia Scuola il giorno della intitolazione

Ecco le immagini della cerimonia avvenuta il 13 maggio 2006:

 

Il Parroco, io come Dirigente Scolastico e il Sindaco

 Non mi fu facile ottenere l’intitolazione a pochi anni dalla morte del grande Papa per il quale ho sempre nutrito un profondo amore, ma oggi sono felice, con tutta la popolazione scolastica di avere fatto questa scelta. Inserisco il documento inviatomi dall’attuale Pontefice a conferma di quanto avvenuto.

 

 

 

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Questo amore

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Vi dono, per questa domenica, una delle poesie d’amore più belle di tutti i tempi.

Questo Amore

di Jacques Prevert

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Questo amore
Questo amore
Così violento
Così fragile
Così tenero
Così disperato
Questo amore
Bello come il giorno
E cattivo come il tempo
Quando il tempo è cattivo
Questo amore così vero
Questo amore così bello
Così felice
Così gaio
E così beffardo
Tremante di paura come un bambino
al buio
E così sicuro di sé
Come un uomo tranquillo nel cuore
della notte
Questo amore che impauriva gli altri
Che li faceva parlare
Che li faceva impallidire
Questo amore spiato
Perché noi lo spiavamo
Perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato
Perché noi l’abbiamo perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato
Questo amore tutto intero
Ancora così vivo
E tutto soleggiato
E’ tuo
E’ mio
E’ stato quel che è stato
Questa cosa sempre nuova
E che non è mai cambiata
Vera come una pianta
Tremante come un uccello
Calda e viva come l’estate
Noi possiamo tutti e due
Andare e ritornare
Noi possiamo dimenticare
E quindi riaddormentarci
Risvegliarci soffrire invecchiare
Addormentarci ancora
Sognare la morte
Svegliarci sorridere e ridere
E ringiovanire
Il nostro amore è là
Testardo come un asino
Vivo come il desiderio
Crudele come la memoria
Sciocco come i rimpianti
Tenero come il ricordo
Freddo come il marmo
Bello come il giorno
Fragile come un bambino
Ci guarda sorridendo
E ci parla senza dir nulla
E io tremante l’ascolto
E grido
Grido per te
Grido per me
Ti supplico
Per te per me per tutti coloro che
si amano
E che si sono amati
Sì io gli grido
Per te per me e per tutti
gli altri
Che non conosco
Fermati là
Là dove sei
Là dove sei stato altre volte
Fermati
Non muoverti
Non andartene
Noi che siamo amati
Noi ti abbiamo dimenticato
Tu non dimenticarci
Non avevamo che te sulla terra
Non lasciarci diventare gelidi
Anche se molto lontano sempre
E non importa dove
Dacci un segno di vita
Molto più tardi ai margini di un bosco
Nella foresta della memoria
Alzati subito
Tendici la mano
E salvaci.

 

Edda CattaniQuesto amore
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L’ultima beatitudine

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L’ultima beatitudine

un avvenimento da ricordare…

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Un avvenimento in cui siamo stati coinvolti e un libro da non dimenticare!

Frate Alberto Maggi offre parole ricche di serenità e speranza, lontanissime da quell’inesauribile repertorio di frasi fatte che non solo non consolano, ma gettano nel più profondo sconforto quanti sono nel lutto e nel pianto, anche quando vengono da uomini di fede. Grazie a queste pagine è possibile comprendere e accogliere l’aspetto naturale della morte, per renderla davvero una sorella come poeticamente suggeriva san Francesco, una compagna di viaggio nell’esistenza dell’individuo. In questa prospettiva viene scacciato tutto ciò che può deprimere o rattristare, permettendoci così di vibrare in un crescente, pieno accordo con quella grande sinfonia che è la vita.
( da Il libraio.it)
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Edda CattaniL’ultima beatitudine
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Scetammece: terra dei fuochi

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SCETAMMECE !

 

TERRA DEI FUOCHI

Una giornata sulla Terra dei veleni per sensibilizzare tutta la popolazione che vorrà partecipare sul “PARCO VERDE” di Caivano e la Terra dei Fuochi. Interventi delle Mamme degli ANGELI GUERRIERI con Tina Zaccaria.

Intervento di Edda Cattani: “Angeli Guerrieri: Solidarietà e Speranza”.

 

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…per chi si sta arrendendo o si è gia arreso
…per chi “aspetta” che gli altri risolvano il problema
…per chi critica e ridicolizza l’impegno di tanti
…per chi nega..”perché così si rovina l’economia campana e non si vende più niente”
…per chi “accussì vann’ e cos’ e nun ce putimm fa nient” 
…per chi “nun so fatt’ mie”
…per chi vive di “mi piace”( o di “non mi piace”) dietro una tastiera
…per chi non riesce a comprendere che il dramma di questa terra non ha bisogno di eroi ma della presa di coscienza, dell’impegno e dell’azione di TUTTI!
NON ABBASSIAMO LA GUARDIA, perché la LOTTA NON E’ FINITA… ed è ancora molto lunga! 
Teniamo alta l’attenzione e soprattutto NON LASCIAMO ASSOPIRE LE NOSTRE coscienze…
.cerchiamo insieme MODI e AZIONI NUOVE e DIVERSE per AGIRE, perché nessuno lo farà al posto nostro!
SCETAMMECE 
e “…non limitiamoci a sperare, ma organizziamo la speranza!”

 

terrafuochi

Edda CattaniScetammece: terra dei fuochi
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Madre per sempre

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Una bella “rivisitazione”

Ho ricevuto tempo fa, da un gentile amico “navigatore” questa splendida pagina che desidero condividere con tutti voi: si tratta di due storie ugualmente avvincenti

Madre per sempre

Non c’è gloria sotto terra

 

Madre per sempre,

nella stagione che stagioni non sente.

Nostro figlio Lorenzo.

 

Francesca e Riccardo Pesaresi

“Femmina un giorno e poi madre per sempre, nella stagione che stagioni non sente”.

 Ho ancora nelle orecchie quel canto di De Andrè per Maria, perché è in quegli anni che Lorenzo venne al mondo, figlio, come tanti allora, di Ogino-Knaus, ossia di uno dei pochissimi incontri felici sfuggiti alla rigida disciplina del controllo naturale delle nascite. Insomma, teoricamente potevamo far l’amore quel giorno senz’altro pensiero che la vicendevole gratitudine, e invece rimasi incinta, con qualche domanda in più rispetto alle altre volte.

Di figli ne avevamo già tre e ci eravamo appena trasferiti da lontano: ero davvero una vittima del potere fallocratico, come mi definì sbrigativamente una femminista incontrata per caso? Oppure quella prova avrebbe più compiutamente dato alla mia femminilità il caro nome di madre? Ora soltanto posso rispondere, alla maniera dolorosa però del “mio” santo Francesco che disse: “Ora sono certo di avere dei frati” quando alcuni gliene morirono martiri.

Ecco, ora anch’io sono certa di essere madre, perché Lorenzo, dopo vent’anni di vita sempre più precaria e difficile, già da tre riposa al riparo da ogni male e da ogni pericolo, ha varcato prima di noi il confine dell’umana conoscenza. E’ nella gloria, come afferma risolutamente la Chiesa? Io vedo solo quel fazzoletto di terra che mi ingegno di tenere decoroso e fiorito; il babbo sente quasi un po’ di fastidio anche per questa incombenza. Il corpo morto è per lui qualcosa di inutile da buttare, per me è invece l’ultima domanda, la più radicale di tutte, che questo figlio ci ha ben posto fin dal principio.

Forse un figlio è per un padre il naturale prolungamento del suo vigore ed è difficile doverlo accudire quando ormai è adulto e cominciano a mancare le forze. Per la madre invece un figlio è l’altro che nello stesso tempo è te, qualcuno che ti lega al mistero della vita e dell’amore al di là di ogni ragionamento ed istinto, di ogni parola che possa essere detta. Non è possibile dimenticarsi di lui, cercare dei propri spazi per non vederlo soffrire, allontanarsi dalla croce se lui ci è sopra. E’ questa la stagione che stagioni non sente. Né ragioni, forse. Mi rendo conto di aver privilegiato nel tempo il figlio rispetto al padre, ma non ho saputo fare di meglio e in fondo siamo fieri di ricordare Lorenzo capace di autoironia e perfino curioso di esplorare gli aridi spazi della solitudine e degli impedimenti in cui si trovava, una persona compiuta insomma, nonostante tutto.

E poi c’è il discorso della fede. Proprio nei giorni del parto, mentre ancora in ospedale tentavo di decifrare lo sconcertante sguardo interrogativo del mio piccolo nuovo, intercettai pure lo sguardo altrettanto misterioso e sconosciuto di chi semplicemente portava la comunione a una vicina di letto. Invidiai senza ritegno quella semplice fede in un gesto che mi era sì familiare da tempo, ma come dovere domenicale, non certo come felice gioia in cui tuffare liberamente ogni preoccupazione, opportunità offerta con amore e discrezione infinita, senza condizioni. Un campanellino suonato appena in una corsia di ospedale rimise in moto la mia tiepida fede, di quelle da vomitare per intenderci, anche se già allenata in qualche modo a resistere agli assalti del nulla. Improvvisamente mi divenne desiderabile e necessario ciò che avevo scartato come vecchio e bigotto. Dio solo sa quanto sia cresciuto da allora il mio bisogno di essere amata e perdonata nella mia singolarità ma insieme a tutti gli altri, resa così capace, a mia volta, di amare specialmente quella creatura segnata dalla sofferenza innocente che io stessa avevo messo al mondo.

Da Lorenzo ho imparato perfino la necessità di farmi perdonare la sollecitudine con cui l’ho accudito, mentre il babbo non conosce sollievo di preghiera. Forse è anche colpa mia che non ho saputo  capirlo e consolarlo fino in fondo e poi da troppo tempo non so ridere come Sara perché mi sento così vuota e consumata che mi sembra di avere mille anni.

Però ho l’inestimabile dono di guardare il mondo con occhi ormai trasparenti e puliti dal pianto, amo teneramente tutto ciò che è piccolo e buono, ed anche ciò che è grande e cattivo, spaventoso. E so segretamente che la fonte di questo amore benedetto e sempre nuovo è in quel piccolo boccone di pane bianco e insipido che raccoglie sull’altare tutta la pena del mondo per ridonarla trasfigurata in speranza rigogliosa a chiunque ne voglia.

Lorenzo mi ha fatto un ultimo dono prezioso morendo all’alba del santo giorno della Trasfigurazione, una festa così nascosta nel cuore dell’estate eppure a me già da tempo carissima. Mi è sembrata come una carezza di perdono, un ultimo grazie per averlo accompagnato fin lì lasciandolo in pace. Nei tre giorni (il segno di Giona!) dell’agonia, ci avevano proposto di avviare su di lui le procedure di espianto. Inizialmente mi era sembrato di dover acconsentire, ma poi ho pensato che non avevamo il diritto di disporre del suo corpo senza potergliene chiedere permesso. O forse non ho avuto il coraggio di soffrire anche l’allontanamento tecnologico da lui proprio nel momento più sacro della vita dopo averne condiviso ogni minuto. Mi è rimasta un’ombra di rimorso su quell’ultima notte che passai sola con lui, come se l’avessi rubata ad altre vite, ma a questo prezzo ho potuto vederlo morire, silenzioso e sottomesso come la mia preghiera che continua ad essere piena di lui anche se non so cosa sia la risurrezione e la gloria. Forse lui lo sa ormai, e questo mi basta per tentare di nuovo ogni giorno di rendere degna di essere vissuta la povera vita che ci resta nella nostra vecchia casa in cui rischiamo di stare soli in due.

E poi ci sono i bambini, i figli degli altri figli che sempre ricordano lo zio Lorenzo con una fiducia così semplice e sicura che non può andare delusa. E i “miei” bambini del catechismo che quest’anno faranno la prima comunione. Quale onore partecipare così da vicino alla maternità della chiesa, quale consolazione condividere con altre madri la fatica di credere anche quando i figli sono fonte di dolore! Gioia e dolore hanno il confine incerto nella stagione che illumina il viso: è sempre De Andrè.

Vorrei tanto che tutti i predicatori del Vangelo sapessero tradurre per noi, povere pecore vecchie e stanche, la buona notizia del regno che viene con la leggerezza pensosa e poetica di una bella canzone. Forse così anche le vite nascoste e sempre in pericolo come quella di Lorenzo troverebbero il loro giusto posto nella comunità parrocchiale, darebbero sale alla preghiera di tutti ricevendone dolce consolazione.

in: “Servitium”, III 157 (2005).

 Ed ora vorrei condividere con chi passerà …

una pagina di Enrico Peyretti…. così come si condivide un po’ di pane…

 Non c’è gloria sotto terra. Mio fratello Pier Giorgio.

 

Il cimitero dei miei vecchi, e ora anche di mio fratello Pier Giorgio, più giovane di me di quattro anni, è alla periferia del nostro paese d’origine, nella piana a occidente della città. Vicino c’è il vecchio  aeroporto, ora campo di volo turistico, dove doveva atterrare il Grande Torino, quando si schiantò a Superga, la notte del 4 maggio 1949, durante un nubifragio.

Nel largo cielo ora volteggiano silenziosi gli alianti, dal grande corpo leggero, tutto ali. Il campo del sonno dei morti è incoronato dal  perfetto semicerchio delle Alpi, 180 gradi dal Monviso al Gran Paradiso. Lo guardi con rispetto. Ti senti osservato, come al centro di un’aula ad anfiteatro. Dai primi di novembre è una corona bianca, quasi la chioma rispettabile di una nonna che sei sicuro di trovare sempre in casa. Una corona merlata, regale nobiltà degli umili – e chi più umile dei morti, anche quelli dalle ricche tombe? Come se fosse costruita, la magnifica corona, attorno a questi poveri fuorusciti dalla vita, privati e liberati da ogni onore regale, se mai l’hanno avuto. Il Viso si erge  a sinistra, come un’idea. Il Gran Paradiso è una lontana calma altezza, che ha meritato il suo nome. Il tema che mi avete suggerito, “corpi gloriosi”, mi evoca questa gloria sopra il mio cimitero: tanta luce; un’immensa cupola azzurro aperta, senza fine; il volo dolce degli alianti in braccio al vento-spirito; la corona alpina che è un abbraccio, non un’insegna di potere. E qui la distesa dei corpi, nel seno della terra, seminati continuamente dalla vita, come il grano gettato dai contadini nei solchi aperti, in questo novembre, per quando sarà il tempo. Nessuna gloria nei poveri corpi, tutta una bellezza attorno a loro, sopra di loro, come per consolarli, curarli, rallegrarli. So come si lava e si riveste di un bell’abito un corpo morto.

“Corpi gloriosi” non è un’espressione che mi piaccia.

Non mi piace  la parola gloria. Lo so che è importante

nella Bibbia, ma non mi piace. Preferisco credere a Dio in intima vicinanza più che in sfolgorante  gloria. Un Dio gran vincitore non mi fa simpatia. La parola è troppo  inquinata – anche nella Bibbia – di vittoria e di trionfo, di una luce  che fa troppa ombra attorno, di una forza che umilia qualcuno.

Parola umana, troppo umana.

Ma stiamo pure al tema. I corpi – compreso il mio, e il vostro – per i quali spero una più grande vita, dopo questa precaria, non li penso “gloriosi”. Li penso trasformati, trasfigurati, liberati dalle mille condizioni che ora li stringono. Leggo volentieri Paolo, in Prima Corinzi 15, ma come capirlo e dirlo nel nostro linguaggio?

Oggi sappiamo che il corpo è un flusso di materia viva, in ricambio  continuo. Non abbiamo un solo corpo, dunque. Ma è sempre il nostro, è noi stessi, quando gode e quando soffre, quando fiorisce e quando si ripiega e muore. Non potremo riavere questo corpo,  ovviamente. Non sarà questo mirabile e mortale complesso di organi vivi, più geniali di qualsiasi tecnologia, destinati a morire e marcire, che possiamo sperare di veder risorgere, quando diciamo “aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”;  “credo … la resurrezione della carne”.

Non sarà questo corpo, caduco come le foglie che calpestiamo ogni autunno, ma sarà, sì, questo qualcosa  che si modella nella forma fisica unica e nell’espressione del nostro  volto personale, il tuo e il mio, volto che è vertice e luce di tutto il corpo, che ha l’infinito linguaggio degli occhi, volto che è la cosa di noi a cui più teniamo, che di più siamo; sarà questo qualcosa che  vivrà in modo nuovo. Saranno i volti cari che non vediamo più, se non in fotografia e nella faticosa memoria, che avranno nuova vita.

E come?

Paolo fa le sue legittime ispirate immaginazioni,che sono  metafore dell’indicibile. Anche noi possiamo osare le nostre immaginazioni. Immaginare è necessario per dire in qualche modo questa speranza, anzitutto a noi stessi.

Come potrà essere il corpo risorto? Potrà avere della materia?

Sarebbe di nuovo un luogo limitato  nello spazio-tempo, sarebbe di nuovo questa vita.

Permettetemi di riprendere un discorso già osato in

“Dall’albero dei giorni” (Servitium editrice, 1998). Forse risorgere potrebbe essere avere la materia come corpo (perché senza corpo non potremo stare), essere in tutto l’universo materiale, non come puri spiriti (non saremmo noi) ma viventi nella materia intera.

I nostri corpi, ora, sono tremendamente localizzati, distanti tra loro. Gran parte del nostro tempo e delle nostre energie va nel cercare di superare queste distanze: guardarci, parlare, viaggiare, scrivere,  radunarci. Ogni nostra espressione cerca di essere un ponte su tali distanze, cerca di comunicare.

L’amore è contrastato  dalla distanza. Ma anche vicini, i corpi ci separano. Questo corpo è una solitudine tesa.

La distanza dei nostri corpi è superata, per qualche momento, nell’amore sessuale, che è un simbolo di compenetrazione, profezia di qualcosa di più, una breve estasi (uscita da sé), dalla quale ricadiamo però presto nel perimetro concluso dei corpi separati. Più dell’unione sessuale è compenetrazione dei corpi la gestazione materna; dal lato attivo privilegio delle donne, per questo più inclini alla solidarietà  concreta, dal lato passivo esperienza originaria di tutti. Quella condizione di essere corpo in un corpo, ma sempre meno confusi, è nella prima memoria di noi tutti. Da quella unità beata siamo precipitati fuori in questa vita e forse ci parve di morire, mentre  invece andavamo a vivere di più, ma con uno strappo di cui portiamo nell’anima, e persino nel corpo, la ferita. Forse, dopo la profezia della vita intrauterina, dell’amore sessuale, delle aggregazioni sociali e geografiche, delle somiglianze somatiche, delle comunicazioni umane fisiche e spirituali, cioè dopo  la fragile ma tenace profezia della pace, arriveremo attraverso  la morte ad essere così liberi e universali da essere insieme  dappertutto, sempre “compresenti” (il termine tipico di Aldo Capitini)  e pienamente comunicanti, con la memoria cara dei tentativi che ora facciamo di anticipare quella comunione  piena dei volti e dei cuori.

Forse avremo per corpo l’universo rinnovato, corpo vivo di ciascuno e di tutti, e le nostre identità non avranno più bisogno di separarsi per distinguersi, ma anzi, in quella grande unità,  il volto di ciascuno sarà conservato e realizzato in tutta bellezza.  Essere un solo corpo senza perdere l’identità può essere  la speranza cristiana di somigliare chiaramente all’uni-trinità di Dio, persone non confuse ma perfettamente unite.

Realizzare in modo universale, con tutti, l’amore e l’amicizia che ora riusciamo ad anticipare solo su piccolo raggio, sarà possibile ai nostri corpi diventati senza limiti né distanze.

Mi piace pensare che così sono già i nostri morti (è difficile porre la resurrezione lontana nel tempo, là dove il tempo non c’è più): i nostri sensi non sanno vederli né udirli, ma sono qui con noi, attorno a noi, nelle cose tutte, e ci accompagnano nei nostri  tentativi di vivere.

Così è, in grado massimo, di Gesù, nella fede cristiana.

Così è anche, in modo iniziale, di noi se desideriamo e crediamo nel più grande orizzonte della vita.

In questa metafora mi pare di vedere la verità del linguaggio antico “andare in cielo”, e anche dell’idea tanto diffusa della reincarnazione. Il nostro corpo attuale sarebbe un tentativo, un esperimento, ma anche un vero inizio, un embrione, che non va perduto. Chi ha fatto la vita e l’ha riempita di desiderio sa custodirla e portarla a compimento.

Risorgere sarebbe come nascere, dopo il travaglio del morire, crescendo da questo corpo limitato al corpo-di-corpi, universale e comune. L’aldilà, allora, sarebbe veramente qua, dietro lo schermo che ferma l’occhio, ma non la fede e il pensiero. Il mondo acquisterebbe, starebbe acquistando, tutte le sue componenti, il suo valore compiuto come corpo vivo dello spirito che lo pervade. Un corpo da custodire e proteggere, da non lasciar violare e uccidere.

E’ solo una metafora, tra molte possibili, che dice e non dice ciò che tuttavia non possiamo non pensare.

Ma dunque, il corpo che avremo sarà “glorioso”?

Chiamatelo così, se vi piace. Io esito. Immaginare è lecito, ma subito è necessario tenere a freno l’immaginazione. Si tratta di sperare la vita nonostante la morte, senza sapere come, senza vedere. Ma, se mi dite glorioso, io rischio di guardare

indietro, dove vedo, più che in avanti, dove non vedo.

Corpo glorioso è il corpo giovane, sano, forte.

Pier Giorgio era il più grande e forte di tutti noi. Gloriosa, se ha senso la parola, era la sua prestanza in montagna, il portare a spalla in discesa l’amico con due caviglie rotte, il reggere a due bivacchi nella bufera sulle Grandes  Jorasses, il gettarsi per primo in ogni fatica come nelle discussioni politiche e nell’abbraccio. Vivens homo gloria Dei. Non da morto, ma da vivo, l’uomo è una gloria di Dio. Quel suo corpo forte e generoso, io l’ho visto lungo tutto un anno roso inarrestabilmente dal tumore cerebrale, grande come un orecchio, incurabile. L’ho visto massacrato dal male, sconquassato come barca sfasciata dai marosi.

Ma quale gloria!…Nel cimitero luminoso, la gloria non è sotto terra, dove c’è solo buio.

Per sperare e attendere una vita più piena, di là dal buio, devo saper vedere la “gloria”, non la potenza, ma la forza e la bellezza di questa vita, che pure è un soffio. Devo difendere questo filo d’erba, assolutamente, perché chi uccide, noi tutti quando uccidiamo, uccidiamo l’universo – materia e spirito –

presente nella più piccola delle sue vite. Dio è il solo che non uccide, ma crea, cioè cura.

(in Servitium, III 157 (2005), 115-119).

 

Stamani ho incontrato queste parole del profeta Isaia:

“Io che apro il seno materno, non farò nascere?” dice il Signore;

“Oppure, chiuderò il seno io, che faccio nascere?” dice il tuo Dio.

Rallegratevi con Gerusalemme ed esultate con lei, voi tutti che

 l’amate; gioite con lei di vera gioia, voi tutti che portate il suo lutto,

 affinché succhiate, fino alla sazietà al seno delle sue consolazioni;

affinché beviate e vi dilettiate alle mammelle della sua gloria.

Poiché così dice il Signore: “Verserò su di lei, come un fiume,

la pace e, come un torrente in piena, la gloria delle nazioni.

I suoi piccoli saranno portati in braccio ed accarezzati sulle ginocchia.

Come una madre consola suo figlio, così io consolerò voi,

 e sarete lieti in Gerusalemme. Quando vedrete queste cose,

i vostri cuori saranno nelle gioia e le vostre ossa, come erba,

riprenderanno vigore”.

Ave Maria (testo – F.De Andrè)

 

E te ne vai, Maria, fra l’altra gente
che si raccoglie intorno al tuo passare,
siepe di sguardi che non fanno male
nella stagione di essere madre.

Sai che fra un’ora forse piangerai
poi la tua mano nasconderà un sorriso:
gioia e dolore hanno il confine incerto
nella stagione che illumina il viso.

Ave Maria, adesso che sei donna,
ave alle donne come te, Maria,
femmine un giorno per un nuovo amore
povero o ricco, umile o Messia.

Femmine un giorno e poi madri per sempre
nella stagione che stagioni non sente.

 


Edda CattaniMadre per sempre
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Auguri Figlio mio!

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Il 7 ottobre sei venuto a me!

…e mi è caro pensarti con questo stralcio…

 

Non pianger più. Torna il diletto figlio

 a la tua casa.

 

 Vieni; usciamo. Il giardino abbandonato

 serba ancóra per noi qualche sentiero.

 Ti dirò come sia dolce il mistero

 che vela certe cose del passato.

 

 Ancóra qualche rose è ne’ rosai,

 ancóra qualche timida erba odora.

 Ne l’abbandono il caro luogo ancóra

 sorriderà, se tu sorriderai.

 

 Ti dirò come sia dolce il sorriso

 di certe cose che l’oblìo afflisse.

 Che proveresti tu se fiorisse

 la terra sotto i piedi, all’improvviso?

 

 Perché ti neghi con lo sguardo stanco?

 La madre fa quel che il buon figlio vuole.

 Bisogna che tu prenda un po’ di sole,

 un po’ di sole su quel viso bianco.

 

Se noi andiamo verso quelle rose,

 io parlo piano, l’anima tua sogna.

 

 Sogna, sogna, mia cara anima! Tutto,

 tutto sarà come al tempo lontano.

 Io metterò ne la tua pura mano

 tutto il mio cuore. Nulla è ancor distrutto.

 

 Sogna, sogna! Io vivrò de la tua vita.

 In una vita semplice e profonda

 io rivivrò. La lieve ostia che monda

 io la riceverò da le tue dita.

 

 Tutto sarà come al tempo lontano.

 L’anima sarà semplice com’era;

 e a te verrà, quando vorrai, leggera

 come vien l’acqua al cavo de la mano.

Da “Consolazione” di G.D’Annunzio

 

 

 

Edda CattaniAuguri Figlio mio!
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Per ricordarti!

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Auguri Figlio mio!

 

 

 

Fu uno splendido autunno quello! A differenza degli anni precedenti vi furono giornate piene di sole; un buon auspicio per me che, godendo del congedo per maternità potevo dedicarmi interamente al mio bambino, nato proprio in quell’anno, il 7 ottobre, giorno della S.Vergine del Rosario, alla cui protezione avevo affidato la mia creatura.  

 

Nell’altalena dei ricordi pervade l’animo mio il momento della tarda mattinata, quando dopo aver terminato tutte le faccende domestiche, prendevo in braccio quell’involtino di lana calda e profumata da cui spuntava un visetto sorridente e guardandolo, parlandogli, con i termini non decodificabili che ogni madre usa, lo avvicinavo al mio seno per allattarlo.   In quell’istante, con quel rito sacro e arcano, una pace profonda, una dolcezza infinita mi avvolgeva: il divino e l’umano sembravano prendere corpo nella simbiosi di quell’atto di amore, mentre un raggio di sole, che penetrava attraverso le imposte socchiuse, ci illuminava entrambi, quasi a voler manifestare la mano benedicente del Creatore.  

 

Espressione della mia gioia interiore era la preghiera riconoscente: “…la mia mente esulta in Dio, mio Salvatore” mentre, con la mia partecipazione alla Creazione, mi sentivo vicina a Maria, Madre di tutti i viventi.   Quell’abbraccio profondo, intimo, spirituale, significava la continuità la stabilità del mio essere nel rapporto con la creatura da me nata: mio Figlio; legame forte, saldo, indissolubile che nessuna circostanza e nessuno mai avrebbero potuto spezzare.  

 

 “I figli sono frecce scagliate nell’universo”recita il poeta indiano Kahil Gibran. Quella creatura tanto amata avrebbe concluso il suo percorso terreno alla verde età di 22 anni. 

 

Fermarsi di tanto in tanto, alzare lo sguardo da ciò che ci tiene impegnati e fare delle riflessioni generali è molto importante, perché aiuta a vivere più pienamente la vita nella sua ferialità specialmente nel momento storico in cui ciascuno di noi è chiamato a percorrere delle scelte, quale è quella di essere genitori.  

 

In mezzo alla gente, fra la gente, la donna in particolare, a cui sono affidati i grandi ruoli di madre, di sposa, di educatrice, deve essere individuata come creatura privilegiata nel suo affrontare una condizione di vita che si presenta sempre più complessa; si deve rispettarne il suo “toccare con mano” il grande mistero della nascita, senza avere la pretesa di volere tutto comprendere e spiegare.  

 

Per consentire ad essa il riappropriarsi di questa dignità è necessario riconoscerle la peculiare condizione ed il suo ruolo, al di là degli aspetti consumistici che la presentano come simbolo dell’efficienza e della competitività senza dichiarare la valenza del grande progetto di cui è partecipe.   Si pone, a questo punto, il problema della donna e del suo completamento naturale, quale la maternità come profondità dell’evento di amore che si realizza nella coppia prima e nel rapporto madre-figlio poi.  

 

Amore, sessualità e concepimento di un figlio sono tappe obbligate di uno stesso discorso, ma l’evento miracolistico e il senso della sacralità si completano nell’atto dello sbocciare di una vita, perché esso è comprensivo del senso della vita stessa e dell’esistenza tutta.   Non solo la scienza dichiara questo, ma tutte le grandi religioni che accennano alla componente sacra dell’uomo che è in grado di riprodursi e si sente coinvolto nell’opera della creazione.  

 

 

 

Vorrei ricordare, a questo proposito, un esempio significativo riportatoci nelle Scritture: è il desiderio di Anna, colei che diverrà la madre di Samuele (1Sam 1, 1-2), per il dono di un figlio.   Anna è sterile e vive consapevolmente il suo stato di umiliante emarginazione, ma non perde il coraggio davanti al Signore, fino a giungere a fargli, con la sua supplica, una solenne promessa:   “Signore degli eserciti, se vorrai considerare la miseria della tua schiava e ricordarti di me e mi darai un figlio maschio, io te lo offrirò per tutti i giorni della sua vita.”   In questa promessa c’è un insegnamento sorprendente: Anna dice: “…concedimi un figlio ed io te lo ridarò. Sembra a noi che, posta in questi termini, la creazione avvenga per il concorso di una donna e di Dio. Anna non chiede un figlio per vezzeggiarlo e stringerlo al cuore per tutti gli anni della sua vita. Lo chiede per darlo e così riceve. Il Dio degli umili, degli afflitti, dei bisognosi si china verso di lei come si protende verso gli “anawim”, i poveri, “per rialzarli dalla polvere e proteggere il loro cammino”. 

 

La nascita di Samuele (nome che deriva dal verbo ebraico sha’al = domandare) premia la preghiera fiduciosa di Anna che innalza il suo inno di ringraziamento:   “Il mio cuore esulta nel Signore, la mia fronte s’innalza grazie al mio Dio…”   Questo canto ricorda il Magnificat di Maria, madre di Gesù si tratta di due donne a cui miracolosamente viene dato un figlio “come un dono”. Maria è la “vergine”, Anna è la “sterile”.   E Samuele, uomo straordinario, ultimo dei Giudici, realizzerà l’unità delle tribù di Israele.   Quanto grande deve essere stato il merito e quanta parte deve avere avuto nell’opera del figlio questa madre, sofferente, umile e disponibile ad offrire la propria creatura ancor prima che le sia stata data.   E immaginiamo come sarà stato forte il legame di Anna con suo figlio, Samuele, già destinato ad una missione così rilevante!  

 

 

Questa consapevolezza é in noi, già presente come immagine riflessa e tende a volere rendere tutt’uno la femminilità con la sacralità. Si sente perciò sacro il concepimento, la gravidanza, il parto, la nascita, come è sacra la vita del bambino che nasce e che non rimane, semplicemente, una condizione assegnata e registrata; è il fatto di esistere che diviene “progetto” e perciò scelta obbligata e percorribile.  

 

Quando una donna dice: “Aspetto un bambino”  è come se affermasse: “Io ho un figlio che vive da sempre dentro di me”. Il bambino che dovrà vedere la luce era già in noi, presente nella nostra coscienza disposta a generarlo, era nel pensiero della madre quando ha sentito il suo corpo come luogo adatto ad ospitare una vita.   La donna in attesa di un figlio ha pronta una culla nel suo cuore e nel suo seno. In essa dimora tutto il suo essere, il suo futuro, la sua speranza.  

 

E durante la gravidanza, la madre avvia un dialogo, una comunicazione, con quel bambino; questo accade, con sua “sorpresa”, quando riconosce il “meraviglioso” che sta accadendo nel figlio tramite la sua persona, anche al di là della sua intenzione.   La meraviglia crea una immagine promettente del mondo, perché essa riconosce il fatto straordinario che è premessa di quell’unione fisica, psicologica e spirituale, sopravvenuta dopo il concepimento.  

 

 

Sentiamo le espressioni usate in questa lirica da un poeta non noto, con cui viene sentita la maternità

   ” Istanti…forse secoli, in cui pulsa la coscienza   e il suo ritmo è gioia:  

gioia dentro, gioia fuori,   gioia ovunque.    

Cellule di vita, immense quanto l’universo,  

in esse tutto è presente: la notte dei tempi   e un futuro ciclico,

 meravigliosamente riassunti   in un istante cangiante.    

Energie sottili che vorticano in un centro,   che si individualizza e si nutre di sé espandendosi.    

Madre dentro, madre fuori, madre me, madre lei.  

Madre nella madre in un’esplosione a catena   che si espande al rallentatore   (o forse in istanti di sogno).     Lei diventa me, io ritornerò a lei.   

 Lei mi nutre dei suoi sentimenti e dei suoi pensieri;   i miei sentimenti e i miei pensieri torneranno a lei.     Come una vibrazione che percorre  un’unica coscienza  

come amore che effonde dall’indicibile.” 

Edda CattaniPer ricordarti!
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La festa dei nonni

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2 ottobre: Festa dei Nonni

I nonni ti vedono crescere, sapendo che ti lasceranno prima degli altri. Forse è per questo che ti amano più di tutti.

La Festa dei nonni è una ricorrenza civile introdotta in Italia con la Legge 159 del 31 luglio 2005, quale momento per celebrare l’importanza del ruolo svolto dai nonni all’interno delle famiglie e della società in generale.

Viene festeggiata il 2 ottobre, data in cui la chiesa cattolica celebra gli Angeli custodi.

 

Il brano dal titolo “Ninna Nonna”, scritto da Igor Nogarotto e Gregorio Michienzi, due autori astigiani (in arte I 2 Così), dal 2006 è stato ufficialmente riconosciuto come “Canzone Italiana dei Nonni”

 

 

Roma, 2 ottobre 2011 – Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha rivolto alle nonne e ai nonni d’Italia, nella giornata di festa a loro dedicata, un messaggio: “Celebriamo oggi la festa dei nonni, divenuta ormai un appuntamento fortemente sentito e ricco di iniziative per ricordare, nel segno dell’affetto e della riconoscenza, il loro insostituibile ruolo nella vita familiare.

I nonni, con il loro patrimonio di umanita’, saggezza ed esperienza, offrono quotidianamente generoso e prezioso sostegno alla crescita ed allo sviluppo dei piu’ piccoli, che seguono sin dalla nascita nel percorso educativo e formativo ed ai quali trasmettono conoscenze, tradizioni e valori della loro generazione.

Al peso e al ruolo assunti dagli anziani non puo’ non rispondere l’impegno nell’attuale contesto sociale da parte delle istituzioni e della collettivita’ a difendere e salvaguardare quei diritti che rappresentano una conquista fondamentale per la vita e la dignita’ della persona in quella fascia di eta’. Con questo auspicio e con sentimenti di vicinanza e di ideale condivisione dello spirito che anima questa giornata, rivolgo alle nonne e ai nonni d’Italia un caloroso saluto augurale”.

Per citare una bella frase di Maria Rita Parsi: ” I nonni sono coloro che vengono da lontano e vanno per primi, ad indagare oltre la vita; sono i vecchi da rispettare per essere rispettati da vecchi; sono il passato che vive nel presente ed i bambini sono il presente che vedrà il futuro

La psicologa Maria Rita Parsi a Cattolica 2012 

 

Edda CattaniLa festa dei nonni
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ARRIVEDERCI CATTOLICA 2024

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Ed ecco le immagini più significative che hanno fatto del nostro evento una manifestazione straordinaria!

Siamo tornati alle nostre case con bei ricordi e tanta speranza!
Grazie a tutti!
La HERMES ha prenotato il Centro Congressi Waldorf per l’ultimo week end di settembre 2022 e questo è già un riscontro al successo che l’evento ha ottenuto.
Condivido uno dei tanti commenti positivi :
“Sto tornando a casa e mi sento più ricca dentro dopo aver incontrato, ascoltato tanti genitori e ottimi relatori che probabilmente ci hanno aperto nuove strade nella consapevolezza della vita oltre la vita terrena. Prendo atto che bisogna lavorare molto su di noi per diventare migliori e vivere nella “benevolenza” (come ogni tanto diceva Edda Cattani), vivere come pellegrini del/nel mondo rispettando il creato e abbracciando ognuno il proprio dolore, di cui probabilmente avremmo fatto a meno, ma che ci ha resi più pensanti. GRAZIE a tutti.”

 

 

Edda CattaniARRIVEDERCI CATTOLICA 2024
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Noi Genitori di Tutti

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Esperienze da Cattolica

Noi Genitori di Tutti!

Questo il nome dell’Associazione e queste le Mamme Coraggio come Tina Zaccaria che ha fatto parte dell’iniziativa:  

Quando le Istituzioni non parlano c’è chi denuncia:

È una vergogna immensa. Uno scandalo senza fine. La situazione ambientale nella nostra zona sembra essere un pozzo di melma senza fondo. Ultime notizie. Per adesso. Solo per adesso. “ Veleni dagli scarichi ospedalieri” titola il quotidiano “ Avvenire”. E il caro Tony Mira inizia l’ articolo con queste parole: « Scarichi ospedalieri direttamente in fogna. Rifiuti ospedalieri sanitari pericolosi a rischio infettivo ammassati in modo irregolare, siringhe e garze usate, in mezzo ai rifiuti solidi urbani. Emissioni in atmosfera non autorizzate” Dove? Ad Aversa e a Marcianise. E pensare che ad Acerra, sabato, qualcuno ha tentato, ancora una volta, di gettare la colpa sui cittadini colpevoli di “ lanciare i sacchetti dai finestrini delle macchine”. Padre Maurizio Patriciello

Le Mamme della terra dei Fuochi

e “GLI ANGELI GUERRIERI”

…e la Mamma di Dalia Tina Zaccaria scrive:

Leggo le affermazioni della Lorenzin e una lama entra in una piaga mai rimarginata.Quando ho saputo del linfoma di mia fglia Dalia,per mesi ho spulciato tra le nostre abitudini e stili di vita alla ricerca d una causa che potesse averla fatta ammalare,mentre cio’ che accadeva da anni nella nostra terra era chiaro a tutti,tranne a noi cittadini.Come madre da vittima ora quelle parole circa stili di vita scorretti che portano un aumento di cancro nella nostra terra,mi spingono a sentirmi carnefice.Dalia uno stile di vita non ha fatto in tempo a sceglierlo,aveva solo 12 anni.E le mamme campane spero godano della stessa fiducia di tutte le altre madri che con amore allevano i loro figli,scegliendo per loro solo il meglio.Impossibile pensare che tutti i bimbi che hanno avuto la tua stessa sorte fossero alimentati con salsicce e soffritti tra una sigaretta e un’altra.Signora ministro,la prego,non ci appioppi pure il bollo di madri matrigne!Non lo meritiamo. Molte etichette attribuite alla mia gente,portano il marchio di uno stato assente e colluso,visto come nemico,sentito come ostile,certo!Se queste sono le prese di coscienza istituzionali ogni volta,sfido chiunque a no vedervi ostili. Certo a mia figlia non ho potuto evitare gli aereosol alla diossina che dal 2005 ad oggi hanno appestato l’aria che arrivava fin dentro casa o nell’abitacolo della mia auto mentre percorrevamo le strade provinciali. E non so cosa sia arrivato sulla mia tavola,non ne conosco la provenienza ne’ la sicurezza e genuinità. E non lo so perché non e’ mai stata e non e’ ancora vostra premura rendere tracciabili i prodotti in modo da tutelare la nostra salute e la nostra economia. So che nelle nostre campagne e’ stato sversato di tutto e non erano certo scarti prodotti dai nostri stili di vita. E so che oggi mentre le scrivo,su terreni interdetti all’agricoltura,ancora si coltiva e i prodotti entrano nella nostra catena alimentare e non possiamo scegliere se mangiarli o meno perché non li possiamo identificare. Capisce ministro queste cose?Andiamo,ha una licenza liceale,non dovrebbe esserle difficile,non bisogna essere scienziati per comprendere che la popolazione nostra e’ esposta a rischi seri di contrarre il cancro sia se fuma per scelta sia se respira l’aria ricca di diossina e veleno,sia se mangia fritti e soffritti sia se mangia verdure alimentate da fanghi e scorie…possibile che sia così complicato il discorso?La verità  e’ che il suo personale stile di vita e quello della politica di questi 30 anni non ci piace perché ci ha condannati a morte facendo credere al mondo intero che lo abbiamo scelto noi. Ma io non ci sto!io la verità la conosco e continuerò a gridarla. Dovstoieski afferma che la bellezza salverà il mondo e la foto di mia figlia insieme ai volti di troppi angeli per sempre bambini morti di cancro in questa terra più di mille parole spero la spingano ad un pentimento, prenda esempio dai camorristi….avrà pure il suo momento di gloria. Ma più che in un suo pentimento, spero che questo post induca tutte le madri a svegliarsi, a unirsi, ad indignarsi,a lottare per quel futuro che hanno promesso di dare ai loro figli e che qui da noi è ormai precario e incerto e per scelte vostre che non ci appartengono…..

 

 

Edda CattaniNoi Genitori di Tutti
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