Edda Cattani

Sul fine vita

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Sul fine vita

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Per Papa Francesco è “moralmente lecito rinunciare all’applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico che verrà in seguito definito ‘proporzionalità delle cure’…”. Tanti i commenti alle parole di Bergoglio. Frate Alberto Maggi, intervistato da Repubblica, sottolinea: “Il punto è: è sacra la vita o l’uomo? Se è sacra la vita si deve difendere a oltranza anche quando diviene accanimento; se, invece, è sacro l’uomo gli si deve riconoscere la sua dignità e in alcuni casi lo si può anche aiutare ad andarsene serenamente”

Sta inevitabilmente facendo discutere la lettera inviata da Papa Francesco a Monsignor Vincenzo Paglia e ai partecipanti al Meeting Regionale Europeo della World Medical Association, in cui il Pontefice cita, tra l’altro, la Dichiarazione sull’eutanasia del 5 maggio 1980. Per Bergoglio è “moralmente lecito rinunciare all’applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico che verrà in seguito definito ‘proporzionalità delle cure’”. Bergoglio, che con le sue parole si inserisce prepotentemente nel dibattito sul “fine vita”, sottolinea la necessità di “un supplemento di saggezza, perché oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona”.

 

 

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Tra i commenti seguiti all’intervento di Bergoglio, segnaliamo l’intervista a Repubblica del biblista Alberto Maggi, che parte da un episodio personale: “Ero ricoverato in ospedale per dissezione aortica. Non sapevo bene che malattia fosse. Accesi l’iPad e lessi che dava alta possibilità di morte. Parlai coi medici prima dell’operazione chirurgica che di lì a poco dovevo subire. Fui chiaro: se fossi rimasto paraplegico volevo vivere, ma se fossi incorso in danni cerebrali permanenti, come era altamente probabile, no, dovevano lasciarmi morire.Parlai anche col mio confratello Ricardo e gli dissi di far sì che le mie volontà fossero in tutto e per tutto esaudite: ‘Per carità — gli dissi — se succede aiutami a staccare’”.

Nel corso dell’intervista il teologo si sofferma anche sulle parole del Papa: “Dicono della sua passione per l’umanità. Il Papa alla dottrina preferisce l’uomo. Non vuole portare gli uomini verso Dio, sennò ci sarebbe bisogno di leggi, di norme, quanto portare Dio verso gli uomini. E vuole farlo, appunto, non con una dottrina ma con una carezza, un linguaggio insomma che tutti possono capire…”.

(da il libraio.it)

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Io e l’aldilà

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Io e l’aldilà

(intervista di L.Vaccari)

 

Vittorio Messori dice che per affrontare l’argomento dell’aldilà un piccolo aneddoto forse può essere utile. Quando faceva il giornalista a Tuttolibri, l’inserto settimanale del quotidiano La Stampa, ha pubblicato Ipotesi su Gesù. Nessuno, neanche l’autore, si aspettava il successo internazionale che ha avuto: traduzioni in tutto il mondo, un milione di copie vendute in Italia. “Gli editori mi sollecitano a scrivere ancora”, ricorda. “Per sei anni taccio”. Vuole fare, come farà, Scommessa sulla morte. Ed ecco il fatterello: “Presento il manoscritto alla Sei e in Casa editrice rimangono interdetti: “No. Non possiamo mettere la parola morte in copertina” “. Esplode addirittura una rivolta della Rete commerciale: “Mi chiedono di cambiare titolo, perché, secondo loro, librai e lettori, leggendo quel vocabolo, si sarebbero toccati i genitali o avrebbero afferrato altri amuleti”. Messori non cede. Il libro esce e vende immediatamente 350 mila copie. “Ho tenuto duro perché  Scommessa sulla morte sostiene che espellere o rimuovere la morte è il percorso migliore per avvelenare la vita”.

Pensa spesso all’ultimo atto, che, “per quanto sia stata bella la commedia”, scrive Blaise Pascal, “è sempre tragico”?

“Come tutti quelli che amano davvero la vita. Il modo per essere davvero necrofilo è cercare di dimenticare o di scacciare la morte: l’unico per dargliela vinta. Se non l’affrontiamo, e non cerchiamo di esorcizzarla, pensandoci, quest’ombra inquietante invade la nostra esistenza e la intossica”, risponde Messori, emiliano di Sassuolo (in provincia di Modena), 61 anni, scrittore di una quindicina di libri (l’ultimo: Conversione racconta il ritorno alla fede di Leonardo Mondadori), collaboratore del Corriere della Sera.

Pensa alla sua morte, in particolare, o anche alla morte dei suoi cari?

“Pensare alla morte per me vuol dire innanzitutto avere il senso della precarietà, della relatività del tutto, dello scorrere del tempo. La morte è una presenza indispensabile. Ma, come per tutti i credenti che non hanno perso la prospettiva cristiana, quale significato avrebbe la fede se non mi assicurasse che la vita terrena non è altro che una preparazione alla Vita: quella che c’è dopo la morte? Una delle ragioni della crisi del Cristianesimo è determinata dal fatto che anche molti credenti hanno rimosso la consapevolezza che ciò che conta è la Vita, alla quale si accede soltanto attraverso la morte”.

Che è comunque un dramma. “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”, grida Gesù, disperato, sulla croce, in quanto, essendo uomo, vuole vivere.

“La morte è l’atto più individuale e solitario che esista. Pascal ripete nei suoi Pensieri: “Ciascuno morirà solo”. Sono naturalmente inquieto di fronte alla prospettiva della morte dei miei cari, ma anche cosciente che ciascuno deve rispondere per sé. E quindi ciò a cui penso, in particolare, è la mia morte”.

Quali sentimenti accompagnano i suoi pensieri: abbandono (fiducioso), angoscia, apprensione, disagio, rifiuto, rassegnazione, sgomento, stupore, terrore?

“Come conferma Gesù nel Getzemani, la sera del giovedì: la morte è un’angoscia. Diceva Carl Gustav Jung, lo psicanalista, che chi non senta il dramma della morte va sdraiato sul lettino e curato. L’angoscia è la normalità. Ma, nella prospettiva di fede, si mescola alla speranza. Da un lato vorrei anch’io che la mia morte fosse la più lontana possibile. Dall’altro la fede mi assicura che il passaggio è duro, tuttavia oltre il passaggio c’è un’infinità di gioia, di luce, di piacere. Per cui devo dire che il credente guarda alla morte con un misto di angoscia e di speranza, di rifiuto e di attesa”.

Angoscia e rifiuto, nonostante il sostegno della fede. Perché?

“Per un motivo molto semplice. Io non temo la morte: io temo il giudizio. So che nell’aldilà mi aspetta un giudice. Attenzione: il credente sa che il giudizio di Cristo sarà un misto di giustizia e di misericordia. Se Gesù, come giudice, fosse soltanto giusto credo che non si salverebbe nessuno. Conto naturalmente nella misericordia”.

Ma ne ignora le dimensioni. Quanta ne sarà concessa?

“Eh, appunto. Non si conosce com’è fatto il cocktail. Io so, lo dice il Vangelo, che dovrò rendere conto di ogni mio atto. Allora: c’è, innanzitutto, l’angoscia di affrontare un mondo ignoto. La fede assicura che c’è; non sappiamo com’è: abbiamo soltanto alcune coordinate. Poi, più che l’atto del morire, temo ciò che viene dopo: il giudizio. Da qui anche l’ansietà”.

Oltre la fede nel Vangelo, dove nutre la fiducia  che la fine dell’uomo non sarà assoluta: dopo ci sarà qualcosa che durerà?

“Prima ancora che la fede cristiana, me lo assicura la Storia. L’archeologia è in gran parte uno studio delle tombe. Possiamo risalire fino ai tempi più oscuri della preistoria e sempre troveremo segni di speranza in una vita eterna: non sappiamo quale, comunque tutte le tombe in tutte le civiltà hanno sempre manifestato la loro fede in un aldilà. Soltanto a partire dal Settecento europeo appare qualcuno che, contraddicendo ciò in cui le culture hanno creduto fin’allora, dice: “Non c’è nulla”, “Finiremo nel buio eterno”, “Non esiste un aldilà”. E’ una posizione estremamente recente e ancora oggi minoritaria. C’è un istinto, in tutte le culture, sin dai tempi più remoti, che ha sempre portato a seppellire i propri morti con dei segni che la vita non finiva, ma cominciava”.

Conquistare questa speranza è stato faticoso? Ha avuto crisi di rigetto?

“Faticoso assolutamente no, perché non volevo diventare cristiano. Sono stato costretto. Vengo da un’esperienza fortemente laica, anticlericale, razionalista. Quando sono stato sospinto nella dimensione cristiana, che non conoscevo, e non cercavo, ho recalcitrato. Ho constatato come la fede sia un dono di Dio. Non c’è stata nessuna fatica da parte mia. Crisi di rigetto? Non ho mai dubitato che questo assurdo che è la vita può trovare una spiegazione soltanto nell’esistenza di un aldilà. Anche perché la condizione umana è disperante: quando è il momento per cominciare davvero a vivere, eh, beh, bisogna pensare a fare le valigie e andarsene. La fede a me serve per dare un significato a questo assurdo”.

Come può essere credibile chi predica la libertà in un’altra vita se, dopo il sacrificio di Cristo, e la reincarnazione, gli uomini continuano a essere oppressi, in questa, da egoismi, ingiustzie, sopraffazioni, umiliazioni, violenze?

“Proprio perché qui, nella Storia, non hanno diritto di cittadinanza alla giustizia, alla libertà vera, alla pace, c’è bisogno di un’altra Vita dove questi squilibri siano sanati. Ho sempre pensato che il Vangelo non sia affatto una manuale ideologico per organizzare il mondo migliore, per renderlo perfetto. Tutte le volte che si è cercato di creare il Paradiso in terra si sono creati degli inferni terribili. Pensi alla fine di tutte le ideologie. Il marxismo, a cui guardo con rispetto, era un’utopia che voleva creare in terra il luogo della giustizia e della pace. E la speranza si è rovesciata nel suo esatto contrario: nell’Inferno. Il Vangelo non è un messaggio di organizzazione politico-sociale, ma di speranza per l’aldilà. Non trovo alcuna contraddizione. Al limite: se fosse possibile creare il Paradiso in terra, non avremmo bisogno del Paradiso nell’aldilà”.

E’ possibile pensare un aldilà dove l’uomo sarà liberato, se non abbiamo raggiunto la certezza razionale dell’esistenza di Dio?

“Io so che buona parte di coloro che dicono di non essere credenti, poi non chiedono i funerali laici: chiedono i funerali religiosi. Credo che in ciascuno agisca questa consapevolezza, che ci viene dal nostro Dna umano: non tutto finisce qui, al di là delle porte bronzee della morte non c’è il buio. Questa coscienza esige, anche se non lo si vuole ammettere, di credere in una esistenza che vada al di là dell’umano. Senza Dio non è possibile pensare un aldilà”.

Ma quale aldilà? Come lo immagina?

“Il modo migliore, parlo in una prospettiva cristiana, per immaginare Paradiso, Purgatorio, Inferno, è di non volerlo descrivere. La Divina Commedia è poesia sublime, ma non ha nulla a che fare con la misteriosa realtà dell’aldilà (Dante stesso ne era consapevole). La prospettiva di fede ci assicura che esiste, ma siamo invitati a non pretendere di precisarlo. Il dogma cattolico si limita ad affermare che ci sono  un premio per i buoni, una punizione per i cattivi, uno stato intermedio dove ci si purifica in attesa di accedere a quello che tradizionalmente viene chiamato il Paradiso. Non aggiunge altro. Non ci descrive come sono le cose. Ignoriamo se ci sarà il fuoco, se ci saranno i diavoletti con le corna, il forcone e così via. Io cerco di credere nell’aldilà, non di immaginarlo: perché so che qualunque immaginazione umana verrà sconfitta dalla realtà”.

Qual è l’insegnamento della morte?

 

“Essenziale. Imparare a vivere. Soltanto se recuperiamo la consapevolezza, come dicevo, della precarietà, della relatività di tutto, dello scorrere del tempo, siamo in grado di dare un significato alla vita. In Scommessa sulla morte lo dico chiaro: i necrofili sono gli altri, quelli che non ci vogliono pensare. Io mi sono confrontato con la morte proprio perché amo la vita e vorrei che continuasse in eterno”. 

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Questa è la vita!

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Questa è la vita!

 

… e poi  ti capita di trovarti alla sbarra, al limite delle forze e ti accorgi di non essere nulla e che la vita non ha senso se non è inquadrata in un grande disegno in cui qualcun altro tira le fila…

Oggi, nonostante il tanto pane condiviso, mi ritrovo a pezzi…. ed il ritorno dalla terra del sole, mi ha lasciato un’eredità precaria difficilmente curabile…. QUESTA E’ LA VITA!!!!

“Ogni giorno ha il suo affanno” è stato detto, ma quando tu le hai provate tutte cercando di superare il tuo vuoto egoismo, quando hai dato tutto te stesso per superare limiti e apparenti dissensi e ti accorgi che con chi era simile a te, con le persone che avevano condiviso le tue gioie e i tuoi dolori, con coloro che credevi amici non c’è più dialogo, manca la condivisione e addirittura arrivi alle mortificazioni e al biasimo sul tuo operato, allora vale la pena di prendere in mano il Vangelo e provare ad approfondire temi conosciuti da sempre e che Gesù maestro ci ha indicato come lettura del nostro percorso. Vediamo come:

Un modesto fratello, incontrato sulle pagine di FB, presenta in questo modo la “Buona novella” della domenica e così la commenta:

 ‘Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua ..’ (Mc 6,4) La ragione è profonda…mente ‘politica’, con buona pace di coloro che intendono il Vangelo solo come una esortazione moralistica, privata, rituale. Infatti il profeta è sempre un disturbatore della vita ordinaria, quotidiana, dell’omologazione consolidata, e soprattutto della pigrizia del non-vedere, del non-sentire, del ‘si è sempre fatto così’ o del ‘bisogna fare così’. Il profeta apre al futuro, rompe l’oggi e lo riempie di domani, suscita speranze soffiate dal vento e dà luce ai cuori che attendono primavere impazienti. Il profeta chiede che si continui a domandare, a interrogarsi sul giorno e sulla notte, sul senso del tempo, della storia e della vita, portando nel suo cuore innamorato le paure e le attese della città su cui veglia, come ‘una sentinella del mattino’ che scruta i segni della nuova aurora senza cedere al sonno della ragione. Il profeta abita lo spazio ai margini della città dove la visuale è più sgombra e dove ‘le diversità si toccano e imparano a conoscersi’ .. E sa vivere e poi morire, nel disonore, ma soprattutto sa guarire gli occhi che non vedono e le ferite che sanguinano, e dare luce alle buie fessure di solitudine, facendo danzare la vita con passi sognati e ribelli, come crepe di luce di una nuova architettura del mondo ..  (fra Benito)

Dal mio quotidiano divenire

 

Gli scorsi anni, di questi tempi andavo e venivo dalla mia casa di residenza, sotto un sole rovente che rasentava i 40° in autostrada, al ritorno dal mare dove lasciavo i nipotini che accudivo, richiamata dalle condizioni fisiche di mio marito, convinta più che mai della mia condizione che doveva essere, com’é stata al suo fianco fino all’ultimo respiro. Quando si sono condivisi cinquant’anni di vita familiare, tutto diviene ovvio e non pesa la fatica, ma ha tanto sopravvento il dolore. Giungevo alla soglia di Casa Madre Teresa dove il mio Caro alloggiava  da un triennio, e tutto dovevo aspettarmi quale   immagine ormai evidente di una condizione al limite. Ora Mentore ha raggiunto Andrea e mi sovviene il ricordo di lui, ridotto ad uno scheletro che con quegli occhi, i suoi occhi …manifestavano una forza, un’energia, una determinazione non comune. Gli bastava vedermi arrivare stanca, spettinata, sconvolta per farsi capire e comunicarmi che mi aspettava, che voleva guardarmi e leggere nel mio volto non il suo, ma il “mio” sentire. Era lui, in quei brevi movimenti appena accennati che tendeva la mano a me e sembrava dirmi: “Io non ti lascio sola, ci sarò sempre, sarò con te anche quando tutti ti verranno a mancare!” Per dire questo non servivano tante parole… c’era, c’è e ci sarà nella vita e oltre. Questa è la vita… e questa è la vera espressione dell’amore! Ora mi ritrovo sola, ancora più stanca e a volte disarmata a fronte degli impegni sempre assillanti… ma lui c’è sempre… e c’é Andrea, felice di essere…finalmente… con il suo Papà!!!

 

Ora, nel ritorno alla mia abitazione penso a questo ed agli eventi di questi giorni e, nella mia solitudine, rifletto sulle parole di Fra Benito: “ Guarda, sono arrivata a questa età credendo di avere raggiunto un equilibrio e manifesto tanta fragilità! Ancora continuo a non capire e mi scontro con i mulini a vento della mia faticosa quotidianità!”

 

Vediamo un particolare: da tempo scrivo su FB, nelle varie bacheche di persone amiche i miei messaggi di conforto, di condivisione, di speranza… Passo a volo d’uccello, cercando fare sentire che condivido, che mi piace quando altri postano qualcosa di interessante ma alle volte tutto questo non basta. Mi sono imbattuta in una storia di violenza su un bambino e ho perso il controllo. La mia attività di psicologa che ho svolto e continuo a svolgere anche ora, mi porta a sentire come “nervo scoperto” qualunque intervento fatto da persone non qualificate… ed ecco che si rompe un’amicizia, perché non bastano le mie scuse successive, ma, come dice Fra Benito,  “nemo profeta in patria sua”… Fossi stata una persona non preparata mi si  poteva leggere come “caduta di stile” ma fatto da me è sembrato inqualificabile!

 

Ritorno sulle parole del nostro fratello che commenta:

… il profeta è sempre un disturbatore della vita ordinaria, quotidiana, dell’omologazione consolidata, e soprattutto della pigrizia del non-vedere, del non-sentire, del ‘si è sempre fatto così’ o del ‘bisogna fare così’

E penso ad un altro passaggio di questi giorni in cui individuo in una tragedia familiare una possibile causa di conflitto e lo dichiaro. Assumere posizione infrange le “regole” e mi mette fuori campo. Non avrei dovuto parlare, informare, prendere parte… a nulla vale richiamare lo sforzo, la fatica impiegata, la buona fede, i risultati ottenuti… Non c’è margine per la verità. Meglio occultare!

Potrei andare oltre e guardare con attenzione il pieghevole di invito al Convegno del Movimento della Speranza di settembre. Per non far torto a nessuno ho equiparato i partecipanti: la nota psicologa, come il cattedratico, il teologo con il laico medium spiritualista… ma c’è stato chi si è sentito non sufficientemente valorizzato.

 

Tre storie, tre episodi della mia quotidianità in cui una persona provata, attempata, animata da generosità, professionale … non riesce a raggiungere l’animo delle persone e a condividere con loro il pane quotidiano… Le mie parole esposte più volte in questo sito non hanno valore, sono canne al vento. Noi siamo nessuno… c’é chi al di là di noi, tira le fila…

 

Ma fra Benito continua:  Il profeta chiede che si continui a domandare, a interrogarsi sul giorno e sulla notte, sul senso del tempo, della storia e della vita, portando nel suo cuore innamorato le paure e le attese della città su cui veglia, come ‘una sentinella del mattino’ che scruta i segni della nuova aurora senza cedere al sonno della ragione.

E tutto questo mi conforta, perché c’è Mentore che mi richiama e vuol dirmi: “ Ti capisco, vedo la tua amarezza, ma non mollare! Sii te stessa e vai avanti per la tua strada… anche quando ti sentirai sola, affaticata e stanca ci sarà chi ti porgerà una brocca d’acqua al termine del tuo cammino e ne trarrai tanto conforto più di mille parole scritte su fogli sparsi al vento…”

Sì il profeta, ogni profeta, ciascuno di noi: …   sa vivere e poi morire, nel disonore, ma soprattutto sa guarire gli occhi che non vedono e le ferite che sanguinano, e dare luce alle buie fessure di solitudine, facendo danzare la vita con passi sognanti e ribelli, come crepe di luce di una nuova architettura del mondo ..

Grazie Fra Benito!

 

 

 

Edda CattaniQuesta è la vita!
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Giugno: devozione al S.Cuore

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Il sacro Cuore di Gesù

Una delle devozioni più diffuse tra il popolo cristiano è la devozione al sacro Cuore di Gesù. Non si tratta tuttavia di una devozione fra tante, perché è stata rivestita dalla Chiesa di una dignità tutta particolare e si situa al centro della rivelazione cristiana.

Le dodici promesse

1. Darò loro (alle persone devote del mio Cuore) tutte le grazie necessarie al loro stato.
2. Metterò la pace nelle loro famiglie.
3. Le consolerò in tutte le loro afflizioni.
4. Sarò il loro rifugio in vita e soprattutto nella loro morte.
5. Benedirò le loro imprese.
6. I peccatori troveranno misericordia.
7. I tiepidi diventeranno ferventi.
8. I ferventi saliranno presto a grande perfezione.
9. Benedirò il luogo dove l’immagine del mio Cuore sarà esposta e onorata. 10. Darò loro le grazie di toccare i cuori più duri.
11. Le persone che propagano questa devozione avranno il loro nome scritto nel mio Cuore e non sarà mai cancellato.
12. Io prometto nell’eccesso grande di misericordia del mio Cuore che il suo amore onnipotente accorderà a tutti coloro che si comunicheranno il primo venerdì del mese, per nove mesi consecutivi, la grazia della penitenza finale e non morranno in mia disgrazia né senza ricevere i sacramenti e il mio Cuore sarà per essi un asilo sicuro negli ultimi momenti.

 

Il documento guida in materia è certamente l’enciclica di Pio XII, Haurietis aquas (Attingerete alle acque) del 15 maggio 1956, testo che andrebbe letto e meditato per intero. Questa devozione – contenuta in germe nella Sacra Scrittura, approfondita dai santi Padri, dai Dottori della Chiesa e dai grandi mistici medioevali – ha avuto un particolare incremento e la sua configurazione odierna in seguito alle apparizioni di Gesù Cristo a santa Margherita Maria Alacoque, nel monastero di Paray-le-Monial, a partire dal 27 dicembre 1673.
Da allora, superate numerose difficoltà teologiche e liturgiche, si è diffusa rapidamente fra tutte le categorie del popolo cristiano, mentre la Chiesa la ha elevata alla dignità liturgica di «solennità». In effetti essa rappresenta il centro della spiritualità cristiana e la chiave di comprensione insieme più semplice e più profonda di tutta quanta la storia della salvezza.
Non è un caso che le apparizioni a santa Margherita Maria si situino nel momento cruciale di affermazione del mondo moderno e che il simbolo del sacro Cuore sia apparso sempre come il più caratteristico in tutti i movimenti di resistenza alle correnti anticristiane della modernità.
Pio XII sottolinea che – nonostante l’importanza di Paray-le-Monial per il suo sviluppo – l’origine della devozione è nella Scrittura. E’ lo stesso Gesù che per primo presenta il suo Cuore come fonte di ristoro e di pace: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11,28-30).
In san Giovanni si legge come venne trafitto il Cuore di Cristo, l’uscita da esso del sangue e dell’acqua e il particolarissimo significato simbolico che il quarto evangelista attribuisce al fatto (Gv 19,33-37). Anche nell’Apocalisse Gesù è presentato come un Agnello «ucciso», cioè «trafitto» (cfr. Apoc 5,6; 1,7).
Detto questo le apparizioni a santa Margherita Maria conservano un’importanza eccezionale. Si dovrebbe anzi dire che nella storia della Chiesa nessun’altra comunicazione divina – al di fuori della Bibbia – ha ricevuto tante approvazioni e incoraggiamenti dal magistero della Chiesa come le rivelazioni del Cuore di Cristo a Paray-le-Monial.
In esse sono particolarmente famose «le dodici promesse». Come nella Bibbia, Dio lega il suo intervento a delle «promesse». Se l’Alleanza in Gesù Cristo si è fatta definitiva, essa è tuttavia ancora aperta nella storia, perché continuamente offerta alla libertà dell’uomo, finché dura il tempo in cui si può meritare. Al «vero devoto» del sacro Cuore, cioè a chi è ben convinto di essere, con i propri peccati, colui che ha «trafitto» il Cuore di Gesù e, consapevole del suo amore immenso, vive la propria vita nella prospettiva della riparazione, queste promesse sono di nuovo offerte. E «Dio è fedele» (1 Cor 10,13). Eccole, secondo la prima antica lettura:

 

Ricevo dalla Cara Amica Daniela (v. link) questi bellissimi pdf:

DEVOZIONE AL SACRO CAPO DI GESU’

il sacro cuore

Edda CattaniGiugno: devozione al S.Cuore
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Ognissanti: una mistica d’oggi

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NATUZZA EVOLO : una mistica dei nostri giorni

1° Novembre: Anniversario

       

La mistica di Paravati verso la gloria degli altari. Al via la causa di canonizzazione di Natuzza Evolo

Natuzza Evolo verso la gloria degli altari. I vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea, mons. Luigi Renzo, darà l’avvio alla causa di canonizzazione con la scelta del Postulatore, la cui nomina sarà ufficializzata domattina durante la messa che sarà celebrata a Paravati, in provincia di Vibo Valentia. Dopo aver ottenuto il nulla osta dalla Conferenza episcopale calabra, al quinto anniversario dalla morte di Natuzza (1 novembre 2009), come prescritto dal Diritto canonico, mons. Renzo nominerà infatti don Enzo Gabrieli, presbitero dell’arcidiocesi di Cosenza-Bisignano, Postulatore della causa di beatificazione e canonizzazione della Serva di Dio, Natuzza Evolo, la mistica di Paravati, frazione del comune di Mileto, dando il via alla fase preliminare dell’inchiesta diocesana.

”Esprimo la mia gratitudine a monsignor Renzo -spiega all’Adnkronos don Enzo Gabrieli- perché mi ha chiamato a questo delicatissimo compito, spero di servire al meglio la Chiesa e i tanti devoti di Natuzza che attendono di vederla additata come testimone. La santità è una delle vie che San Giovanni Paolo II ci ha additato per la pastorale della nuova evangelizzazione”.

‘Mamma Natuzza’, come la chiamava chi la conosceva, prosegue il sacerdote, ”laica e mamma di famiglia, ci indica la via dell’umiltà e ci spalanca le porte del cielo. Interceda lei per il nostro lavoro. Come soleva dire Natuzza: Io non conto nulla. Non cercate me, cercate Gesù e la Madonna”.

 

 

A Natuzza Evolo

  Riceviamo da  Domenico Caruso da S. Martino di Taurianova (Reggio Cal.)

 

 Volgi su noi lo sguardo, mamma cara,

che pur vermi di terra ci sentiamo,

la vita è sempre un’esperienza amara

se nel Signore non ci confidiamo.

 

 Serva di Dio tu sei e fonte chiara

di bene, di preghiera, di richiamo:

Natuzza, ora dal Cielo ci aspettiamo

la grazia della pace così rara.

 

 Felice con la Vergine Maria

e con Gesù da te sofferto e amato

or ti vediamo in sì beato loco.

 

 Mostra a noi tutti la diritta via

che ci preservi da grave peccato

e il cor c’infiammi del divino fuoco.

                       

 

La mistica calabrese Natuzza Evolo, morta in concetto di santità il primo novembre 2009, era particolarmente legata agli spiriti celesti. Anzi riguardo a  tutto il suo apostolato esterno di soccorso alle tantissime persone che si rivolgevano a lei per consigli ed aiuto, si può certamente dire che esso si basava soprattutto sul dono di Dio di poter vedere costantemente oltre il proprio angelo custode anche gli spiriti celesti di coloro che si rivolgevano a lei, Natuzza ha sempre affermato che la profondità delle sue risposte e dei suoi consigli provenivano non dalle proprie capacità ma dall’essere in contatto con gli angeli di Dio. La signora Luciana Paparatti di Rosarno dichiara: “Tempo fa mio zio Livio, il farmacista, stava facendo una cura contro il colesterolo. Un giorno, andando da Natuzza, portai con me zia Pina, la moglie di zio Livio. Quando fummo ricevute, la zia le disse: “Sono venuta per mio marito, vorrei sapere …

… se le medicine sono giuste, se ci siamo affidati ad un buon medico…”. Natuzza la interruppe, dicendo: “Signora, ve ne state preoccupando troppo. C’è solo un po’ di colesterolo!”. Mia zia diventò tutta rossa e Natuzza, come per scusarsi, le disse: “L’angioletto me lo sta dicendo!”. La zia non le aveva parlato di colesterolo, aveva solo chiesto se la terapia era giusta e il medico bravo”.
Il professor Valerio Marinelli, docente universitario di ingegneria, da tutti riconosciuto come il maggior biografo della mistica calabrese dichiara: “In numerosissime occasioni ho personalmente constatato come Natuzza, dopo che le si è posto un quesito, attenda qualche attimo prima di rispondere, fissando spesso lo sguardo non sulla persona che le parla, ma su un punto vicino ad essa, ma soprattutto ho riscontrato come davvero ella è capace di dare immediatamente risposte illuminanti su questioni complesse e difficili sulle quali chi la interoga spesso non sa nulla, ed alle quali sarebbe arduo rispondere anche dopo lunghe riflessioni. Natuzza centra immeditamanet il problema e ne suggerisce la soluzione, quando vi è una soluzione; moltissime volte ho potuto poi verificare, certe volte non subito ma dopo un intervallo più o meno lungo di tempo, come davvero lei aveva ragione ed aveva risposto ottimamente. Questa velocità di giudizio su problemi di cui lei, obiettivamente, non possiede, dal punto di vista umano, gli elementi di giudizio, l’acutezza, l’intelligenza, la sinteticità e semplicità delle sue risposte, sono, a mio parere,  del tutto eccezionali e superumane, tanto che credo esse possano costituire una valida prova della sua reale capacità di colloquiare con gli angeli, spiriti puri ai quali sempre i Dottori della Chiesa hanno attribuito intelligenza superiore, potenza e santità”.

 

 

 

“Sono rimasto impressionato dalla profonda spiritualità di questa donna. Quello che mi ha sempre attratto in lei è stata la sua semplicità e il suo senso dell’obbedienza all’autorità ecclesiastica. Natuzza non ha mai fatto niente che potesse mettere in difficoltà la Chiesa. (…) I fenomeni che lei avvertiva durante la Settimana Santa sono il segno del dono che Dio stesso le ha fatto. Natuzza, con la sua forza spirituale, è riuscita a comunicare con tutti.” Monsignor Luigi Renzo, Vescovo di Mileto.
Natuzza è una parola di Dio, come lo sono io e come lo siete voi. Però la parola di Dio deve esser saputa leggere; il guaio è che Natuzza spesso non è saputa leggere!…Natuzza è una donna di fede, è una donna di speranza, è una donna di carità. Il Vescovo vi può dire che è una donna intanto molto umile..(Monsignor Domenico Cortese)

Don Marcello Stanzione è l’autore di questi due libri, dell’edizione “Segno” molto facili da leggere, sulla storia di Natuzza Evolo, una mistica dei nostri giorni.

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Afghanistan come Nassirya

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 Afghanistan, come Nassirya

per non dimenticare

TRIBUTO

In questo giorno in cui si celebra un anniversario di libertà e di pace, non possiamo dimenticare coloro che hanno dato la vita per difendere entrambe.

 

Questa pagina vuole essere un tributo ai soldati italiani in servizio all’Italia e a quelli caduti, per non dimenticare chi ogni giorno si alza e indossa una divisa per proteggere il prossimo e non sa se a casa tornerà vivo o morto…

E’ dedicata a tutti i soldati che ogni giorno combattono per la giustizia e per la libertà, che rischiano la vita per noi in ogni luogo e che credono in un ideale.

Quando mio figlio è mancato, ormai prossimo a partire per il Kossowo, ho trovato nel taschino della sua giacca un’immaginetta gualcita ove era stampata la preghiera che recitava ogni giorno:

Preghiera del Soldato

Signore Iddio, che hai costituito di molti popoli l’ umana famiglia,

da Te creata e redenta, guarda benigno noi,

che abbiamo lasciato le nostre case per servire l’ Italia.

Aiutaci, Signore, affinché, con la forza della Tua fede,

siamo capaci di affrontare fatiche e pericoli

in generosa fraternità d’ intenti,

offrendo alla Patria la nostra pronta obbedienza,

la nostra serena dedizione.
Fa che sentiamo ogni giorno,

nella voce del dovere che ci guida,

l’ eco della Tua voce;

fa che siamo d’ esempio a tutti i cittadini

nella fedeltà ai Tuoi comandamenti,

alla Tua Chiesa

e nell’ osservanza delle leggi dello Stato.
Dona, o Signore, il riposo eterno ai nostri morti

ed ai caduti di tutte le guerre.

Concedi ai popoli la pace nella giustizia e nella libertà

e che l’ Italia nostra, stimata ed amata nel mondo,

meriti la protezione Tua e la materna custodia di Maria

anche in virtù della concordia operosa dei suoi figli.
Amen.

 

 

Edda CattaniAfghanistan come Nassirya
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Terremoto L’Aquila: il ricordo

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La mia esperienza su FB mi ha portato anche a conoscere le tante Mamme dei ragazzi mancati tragicamente durante il terremoto in Abruzzo: autentiche Mamme Coraggio pronte a rinnovare le loro iniziative  nel ricordo delle loro splendide creature.

Anche quest’anno uniamoci alla fiaccolata cittadina del L’Aquila con un lume alla nostra finestra.

Oggi pensiamo anche

agli effetti sui bambini a 2 anni dal sisma

Cosa dicono gli esperti 

Sindrome Postraumatica da Stress: questa è la patologia della quale stanno ancora soffrendo, a due anni dalla tragedia del  terremoto,  i bambini aquilani.

I valori in questione sono emersi a seguito di una ricerca promossa dall’Ordine dei Ministri degli Infermi Camilliani, sostenuta dalla Caritas, e realizzata grazie agli specialisti dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, e ai pediatri dell’Abruzzo.

Nella fattispecie, psicologi ed esperti hanno somministrato dei questionari a circa 2.000 bambini dell’area colpita dal sisma del 6 Aprile 2009. I piccoli sono stati suddivisi in due fasce d’età: 3-5 anni (500 soggetti), e 6-14 anni (1500 soggetti).

Dai risultati dei test, è emerso che i sintomi della Sindrome Postraumatica da Stress sono stati riscontrati prevalentemente nella seconda categoria di bambini: i più piccoli (3-5 anni), infatti, a parte alcuni casi sporadici, hanno registrato meno effetti traumatici, probabilmente anche in virtù della loro tenera età al momento dell’evento.

Più del 7% della fascia 6-14 anni (il 7,1%, vale a dire oltre un centinaio sul campione di 1.500 bambini), ha mostrato di rivivere spesso gli attimi vissuti alle 3 e 32 di due anni fa.
A tale Sindrome sono inoltre associati altri problemi, come il senso di impotenza e una forte paura.
Oltre l’11% del campione analizzato ha anche mostrato segni di ansia legati all’evento sismico. Poco meno di 8 bambini su 100 hanno invece evidenziato dei disturbi legati all’affettività, come fragilità e cambiamenti dell’umore e problemi connessi al contesto ambientale.

I risultati dell’inchiesta appena realizzata verranno utilizzati per cercare di curare i bambini colpiti fin da ora, per evitare ulteriori ripercussioni negli anni futuri; inoltre, il metodo utilizzato per lo studio in questione, verrà applicato anche per la popolazione cilena, anch’essa colpita da un grave terremoto il 27 febbraio del 2010.  

DOCUMENTO: 

Consulenza di Michele Pellegrini, psicologo e psicoterapeuta a contratto presso il servizio di psicologia dell’Ospedale Pediatrico Giovanni XXIII di Bari, esperto in psicologia dell’emergenza

In che modo comportarsi con i bambini che hanno vissuto il terremoto in prima persona? Come aiutarli ad affrontare la paura?
Innanzitutto, bisogna tentare di congiungere i nuclei familiari, quando possibile. Quindi, è essenziale non lasciare i bambini da soli. Farli giocare e aiutarli a esprimere le loro emozioni, in base alla loro età e maturità. Con quelli molto piccoli i mezzi più adatti sono il gioco e il disegno. Con i più grandicelli (di 6-7 anni) si possono utilizzare favole, storie oppure si può invitarli a raccontare. Con quelli di 8-9 anni, si può provare anche a chiedere di ricordare immagini, odori e suoni legati ai momenti drammatici. Nei campi attrezzati con le tende alcuni volontari si sono mobilitati con attività di clawnerie: può essere utile far partecipare i bambini, a patto che non occupino tutta la giornata. È essenziale, infatti, che riprendano contatto con l’esperienza vissuta e che, in questi momenti, vengano affiancati dai grandi.

Per quelli che si sono dovuti trasferire nelle tende perché hanno perso la casa, come aiutarli ad adattarsi alla nuova situazione?
Può essere di grande aiuto personalizzare il luogo in cui stanno. Attaccando, ad esempio, dei disegni vicino al letto, una macchinina di carta o una bambola, realizzati con materiali di recupero. Questi oggetti possono rassicurare molto i bambini.

Alcune mamme, per il trauma, hanno perso il latte. Come sostenerle?
Un evento di questa portata può creare un blocco nella produzione del latte. Le mamme non devono preoccuparsi eccessivamente ed essere fiduciose che l’alimento ricomparirà. L’importante, comunque, in questi casi, è mantenere lo stesso comportamento affettivo con il bambino al momento del pasto: abbracciarlo allo stesso modo quando gli si dà il biberon e guardarlo negli occhi, come quando gli si offriva il seno.

Con i bambini abruzzesi che non sono stati toccati dalla tragedia e quelli italiani che vedono le immagini drammatiche in tivù in che modo comportarsi?
Aiutandoli ad esprimere le proprie emozioni, come per i piccoli coinvolti direttamente in un evento tragico e imprevedibile. Sempre tenendo conto della loro età e maturità.

La questione più delicata: chi ha avuto uno o più lutti in famiglia quale atteggiamento deve mantenere con i piccoli?
È essenziale spiegare ciò che è successo, utilizzando un linguaggio adatto alla loro età e maturità. Il fatto di non riuscire a trovare una spiegazione per la scomparsa di una persona cara, infatti, va ad aggravare il trauma subìto. In questi casi, quindi, è meglio evitare di raccontare “storie”, come spiegare che un amico scomparso è partito per un viaggio. I piccoli si rendono conto della gravità della situazione e se anche l’intenzione è quella di proteggerli, si rischia, così facendo, di peggiorare la situazione. Il piccolo potrebbe sviluppare fantasie negative e pensare di perdere le persone che ha intorno pur stando in un contesto sicuro. Per questo, è bene essere sinceri.

Come comportarsi coi piccoli quando arriva una nuova scossa di terremoto?
Bisogna cercare di stargli accanto finché la scossa non si conclude. Tentare, poi, di rassicurarli facendogli notare che questa volta è stata meno intensa e più breve. Dire loro che non c’è nulla da temere perché la tenda (o il rifugio in cui ci si trova) è sicuro e non può crollare.

Edda CattaniTerremoto L’Aquila: il ricordo
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CONVEGNO CATTOLICA 2021

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VI ASPETTIAMO A CATTOLICA 2021

Cari amici, abbiamo deciso di realizzare il tradizionale convegno di Cattolica
perché crediamo in questo progetto e perché riteniamo che ritrovarsi
dopo un così lungo periodo di isolamento e potersi occupare
di nuovo attivamente dei temi che ci interessano possa essere
benefico per tutti.
Ci sono però delle limitazioni: per le attuali regole di distanziamento,
la sala congressi potrà accogliere non più di 120 persone.
Chiediamo quindi agli interessati di iscriversi tempestivamente per
non correre il rischio di non trovare posto.
Abbiamo preparato un convegno particolarmente ricco e intenso,
e il numero più limitato di presenze consentirà una più ampia
occasione di confronto con i relatori e tra convegnisti.
Aiutateci a rendere questo evento un simbolo eloquente di coraggio
e ripresa.
Comitato Promotore
Dr. edda Cattani: Presidente mdS
Dr. Gianni Canonico: Direttore Hermes edizioni
Dr. Paola Giovetti: Coordinamento
Edda CattaniCONVEGNO CATTOLICA 2021
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Il “pane” spezzato

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“ Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”

La domenica successiva alla Solennità della SS. Trinità si celebra la festa del Corpo e del Sangue del Signore. Prima della riforma liturgica era nota come festa del Corpus Domini (distinta dalla festa del Sanguis Christi celebrata in luglio). La festa del Corpus Domini trova le sue origini nella ambiente fervoroso della Gallia belgica – che San Francesco chiamava “amica Corporis Domini”. Solitamente in giugno, si tiene a Bolsena la festa del Corpus Domini a ricordo del miracolo eucaristico avvenuto nel 1263. Un prete boemo, in pellegrinaggio verso Roma, si fermò a dir messa a Bolsena ed al momento dell’Eucarestia, nello spezzare l’ostia consacrata, fu pervaso dal dubbio che essa contenesse veramente il corpo di Cristo. A fugare i suoi dubbi, dall’ostia uscirono allora alcune gocce di sangue che macchiarono il corporale (attualmente conservato nel Duomo di Orvieto) e alcune pietre dell’altare tuttora custodite in preziose teche presso la basilica di Santa Cristina in Bolsena. La solennità cattolica del Corpus Domini (Corpo del Signore) chiude il ciclo delle feste del dopo Pasqua e vuole celebrare il mistero dell’Eucaristia.

 “ Per la vita del mondo”: questa parola evangelica deve pulsare dentro di noi, come pulsava nel cuore di Gesù.

Chi si nutre del pane eucaristico diviene presenza discreta, è un credente, che si ricorda di fare del bene, cioè di dare tutto, ma nello stile di Gesù lasciandosi plasmare da Lui. E’ capace anche di silenzio, di ascolto; di quel silenzio che rende possibile l’ascolto e l’accoglienza delle parole di chi ci vive accanto, delle parole della fragilità e della debolezza, della malattia di chi ci vive accanto, della sofferenza e della morte, ma anche le parole dal significato alto.

E’ un credente capace di gratuità, la cui gioia non sta tanto nell’affermazione di sé ma nel portare “ vita” al mondo, nel testimoniare Gesù,  vita per l’uomo.

Chi si nutre del pane eucaristico è messo in grado di volere il bene dell’altro e di promuoverlo, sapendo che questo “pane” verrà a lui di ritorno…

 Dal mio percorso di vita…

Anch’io ho spezzato quotidianamente un pane al capezzale del mio sposo affetto da un male incurabile, cercando per lui  “amore incondizionato e perfetto”, “tenendolo curato oltre ogni sforzo perché non perdesse in dignità”

Nella mia ricerca di conferme mi viene inviato questo scritto:

…Ecco, voglio dirti semplicemente questo: il pane che hai spezzato per il tuo compagno, ritorna a te in questo tempo.

Ascolta cosa scrive Erri De Luca: “Valencia è una città spagnola sul Mare Mediterraneo. Una volta aveva un fiume che l’attraversava, il Guadalaviar, ma ora il suo corso è stato deviato. E’ l’unica città del mondo, che io sappia, che si sia sbarazzata di un fiume. Ci sono stato l’anno scorso in ferie, invitato da un editore che aveva tradotto un mio libro nella bella lingua del posto, la catalana. Ho percorso la città a piedi, la sola unità di misura che possiedo per conoscere i posti altrui. Ho visto mercatini puliti e lotterie, mura romane e lavori in corso, ma cercavo il fiume che non c’era più. Infine l’ho trovato, il letto vuoto, i ponti su di lui come se ci fosse ancora.

Al posto di una corrente che già sente il mare vicino, hanno piantato palme e costruito un lungo stagno con pesci rossi. Dall’alto del ponte vedevo quel parco sotto di me, dubitando del senno dei cittadini di Valencia. Presso la riva dello stagno un uomo anziano con un cane forse ancora più anziano passeggiava. Lo vidi avvicinarsi al bordo dell’acqua e cavare dalla sacca delle pagnotte vecchie. Pezzo a pezzo le gettò ai pesci. Restai a guardarlo, affascinato dalla monotonia dei suoi gesti. Non durò poco. Solo alla fine della provvista capii che stavo guardando il verso uno del capitolo undici di Kohèlet. “Manda il tuo pane sul volto delle acque.” Un uomo anziano nell’autunno del ’93 in una città spagnola eseguiva alla lettera l’invito, dando al verso il suo unico verso.

Compiva quel gesto di offerta tra sé e i pesci da molto tempo, ma quel giorno lo compiva anche per un muratore italiano pieno di Bibbia. Lo compiva perché potessi capire: potevo ben azzardarmi a cambiare la traduzione di un verso sacro, potevo pure avere ragione di farlo e di leggere: “in molti giorni lo ritroverai”, anziché “dopo”, purchè ricordassi che chi aveva letto quel verso altrimenti era stato ugualmente felice della sua lettura e di certo aveva offerto più pane di me. Così un uomo di una città remota, accompagnato da un cane e vicino a un fiume prosciugato, era un verso dell’Antico Testamento, lontano molte mattine, che tornava dopo molti giorni.

Per un gioco delle correnti il pane spezzato si allontanava dal lanciatore in direzione della sponda opposta, verso il mare, seguendo un fiume che non c’era più, secondo il suo verso”.

 “ G r a z i e !!!”

 

Edda CattaniIl “pane” spezzato
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O Croce di Cristo!

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O Croce di Cristo!

 

 

Papa Francesco, preghiera-invettiva alla via crucis 2016. Contro preti pedofili, terroristi, corrotti, indifferenti…

 

Una dura denuncia in “O Croce di Cristo!”, l’orazione scritta da Bergoglio per il Venerdì Santo al Colosseo. Rivolta a “ministri infedeli che spogliano gli innocenti della propria dignità”. Alle “coscienze insensibili e narcotizzate” di fronte al “cimitero del Mediterraneo”. A chi si vende “nel misero mercato dell’immoralità”. E al “silenzio vigliacco” sul massacro dei cristiani “Vediamo la croce di Cristo nei preti pedofili, nel cimitero insaziabile del Mar Mediterraneo, nei profughi, nei terroristi e nei corrotti”.

È la forte denuncia che Papa Francesco ha rivolto in “O Croce di Cristo!”, una lunga e struggente preghiera scritta e letta al termine della via crucis del Giubileo che si è svolta come ogni venerdì santo al Colosseo (leggi il testo integrale della preghiera). Dopo aver ascoltato in silenzio sul Colle Palatino le meditazioni delle 14 stazioni, scritte quest’anno dal cardinale di Perugia Gualtiero Bassetti, Bergoglio ha condannato con forza i mali che attualmente affliggono l’umanità. Ed è partito dalla pedofilia del clero proprio come aveva fatto l’allora cardinale Joseph Ratzinger nel venerdì santo del 2005, poche settimane prima di essere eletto vescovo di Roma, con Wojtyla che lentamente andava spegnendosi.

 “Quanta sporcizia – aveva affermato in quella occasione il futuro Papa tedesco – c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui”. “O Croce di Cristo, – ha affermato dopo 11 anni Bergoglio – ancora oggi ti vediamo nei ministri infedeli che invece di spogliarsi delle proprie vane ambizioni spogliano perfino gli innocenti della propria dignità”. Francesco ha puntato il dito contro “l’odio che spadroneggia e acceca i cuori e le menti di coloro che preferiscono le tenebre alla luce”. Con una nuova forte denuncia dei tanti migranti morti in mare nei loro viaggi della speranza nel Mediterraneo e nell’Egeo “divenuti un insaziabile cimitero, immagine della nostra coscienza insensibile e narcotizzata”. Una nuova condanna della “globalizzazione dell’indifferenza” che Francesco aveva fatto a Lampedusa, primo viaggio del suo pontificato. 

Per Bergoglio oggi la croce di Cristo rivive “nelle nostre sorelle e nei nostri fratelli uccisi, bruciati vivi, sgozzati e decapitati con le spade barbariche e con il silenzio vigliacco”, “nei volti dei bambini, delle donne e delle persone, sfiniti e impauriti che fuggono dalle guerre e dalle violenze e spesso non trovano che la morte e tanti Pilato con le mani lavate”. Denuncia che Francesco ha fatto anche aprendo la settimana santa del Giubileo straordinario della misericordia. Dopo gli attentati di Bruxelles, dietro i quali per il Papa ci sono i “fabbricatori e i trafficanti di armi”, Bergoglio ha sottolineato che vediamo la croce di Cristo “nei fondamentalismi e nel terrorismo dei seguaci di qualche religione che profanano il nome di Dio e lo utilizzano per giustificare le loro inaudite violenze”.

Ma le parole di Francesco si sono rivolte anche contro i “potenti e i venditori di armi che alimentano la fornace delle guerre con il sangue innocente dei fratelli”; per i “traditori che per trenta denari consegnano alla morte chiunque”; per i “ladroni e i corrotti che invece di salvaguardare il bene comune e l’etica si vendono nel misero mercato dell’immoralità” e per i “distruttori della nostra ‘casa comune’ che con egoismo rovinano il futuro delle prossime generazioni”. Il Papa ha lodato anche tanto bene presente nei “ministri fedeli” della Chiesa, “nelle famiglie che vivono con fedeltà e fecondità la loro vocazione matrimoniale” e ha invitato a non abbandonare “gli anziani, i disabili, i bambini denutriti e scartati dalla nostra egoista e ipocrita società”.

Durante le meditazioni della via crucis, mentre la croce veniva portata anche da persone provenienti dalla Cina, dalla Russia, dalla Siria, dal Kenya, dall’Uganda e dalla Repubblica Centrafricana, al Colosseo si era pregato per i profughi e per i divorziati: “Dov’è Dio nei campi di sterminio? Dov’è Dio nelle miniere e nelle fabbriche dove lavorano come schiavi i bambini? Dov’è Dio nelle carrette del mare che affondano nel Mediterraneo?”. “Come non vedere il volto del Signore – era stata la riflessione della sesta stazione – in quello dei milioni di profughi, rifugiati e sfollati che fuggono disperatamente dall’orrore delle guerre, delle persecuzioni e delle dittature? Per ognuno di loro, con il suo volto irripetibile, Dio si manifesta sempre come un soccorritore coraggioso”. Mentre la pedofilia era stata al centro della decima stazione con “le piaghe dei bambini profanati nella loro intimità”.

Edda CattaniO Croce di Cristo!
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