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Angeli Custodi e Nuovi Angeli

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Premessa

 

 

 

In questi giorni particolari in cui gli innocenti subiscono violenza e muoiono, spesso dimenticati; gli ammalati soffrono e non trovano soccorso, la fame e la miseria vengono ignorate quando non ci riguardano … offro questo mio contributo dal profondo silenzio di un Dio Crocifisso.

 

Oggi in particolare la offro alle Mamme degli Angeli che hanno manifestato a Roma per il riconoscimento dell'Omicidio stradale e che ho definito MAMME CORAGGIO: a Croce Castiglia e a tutti i Gruppi sorti in Italia e ai giovani mancati in questi giorni nel "ponte del 1° Maggio. " Benedetti Voi che avete visto la LUCE! "

 

 

PARLIAMO DI ANGELI  allora, con tutta la fede e il rispetto che essi meritano lungo le vie impervie del nostro cammino.

 

Un'anima non è mai senza la scorta degli Angeli, questi spiriti illuminati sanno benissimo che l'anima nostra ha più valore che non tutto il mondo.

San Bernardo di Chiaravalle

 

Noi tutti siamo stati affidati da Dio ad un Angelo custode a cui, ogni nuovo giorno, dovremmo chiedere consiglio, forza spirituale e saggezza. Ogni sera dovremmo poi ringraziarlo per tutte le volte in cui ci ha aiutato anche senza che noi ne fossimo consapevoli.

L'Angelo Custode, se rettamente invocato, circonda tosto la casa con amore, protezione e benedizioni. Gli Angeli Custodi apportano più quiete, armonia e spiritualità nella nostra casa: dicono che noi abbiamo eretto una quasi insormontabile barriera di rumore e di materialismo, tra il nostro mondo ed il loro. Una breve preghiera per la Divina ed angelica protezione della casa, dei bambini, dei vecchi e degli ammalati, ripetuta giornalmente, assicurerà i loro privilegi e darà alla casa un' atmosfera di bellezza e di pace.

 

 

 

 

Relazione

 

 

 

 

Di questi tempi sentire parlare di Angeli è diventata ormai una consuetudine, vorrei dire quasi una moda. Se ne occupano i media, la stampa specializzata,  la televisione con programmi specifici, in cui si trasmettono episodi di vita che hanno come protagonista un essere spirituale che ha contribuito a salvare una situazione al limite. I primi filmati su angeli custodi e soccorritori sono stati narrati da persone che vivono negli Stati Uniti, una terra in cui la gente sembra essere incline  a credere nella autenticità  di simili argomenti.

 

I filmati sono ben rappresentati da gradevoli attori ( Ghost ne è la riprova) e da bambini-simbolo-pubblicità che, all’insegna di una società che vuole tutti belli, felici e sani, commuovono l’uditorio disponibile ad immaginare una realtà bella in cui le funzioni angeliche vengono attribuite a particolari circostanze dove i sogni premonitori ci salvano dai pericoli e animali, persone care (trapassate e non) che ci hanno voluto bene riescono a raggiungerci facilmente e a risolvere i nostri problemi.

 

 

 

Tutto questo è confortevole e, dal momento che la TV spazzatura solitamente ci propina ben altro, come immagini esasperate e violente, quando assistiamo a racconti a lieto fine, soprattutto se il tutto è accompagnato da effetti speciali, con sottofondo musicale tipo-New Age e alone di mistero, l’auditel sale a notevoli livelli.

 

 

Storie più o meno garbate accarezzano i nostri sogni attraverso i mass-media per dirci che l’angelo della fortuna può cambiare la nostra vita con una vincita strepitosa e l’angelo del nostro segno zodiacale può regalarci un ambo, un terno o farci incontrare il grande amore. A questo punto si passa agli eccessi o ai paradossi linguistici.

 

 

Sono chiamati «angeli della notte» i  giovani che escono dalle discoteche frastornati dal fumo e dal rumore della musica tecno, con i capelli verdi, gialli, rossi e blu e la testa piena di vuote illusioni, in una società che non li aiuta, non dà loro lavoro e non li comprende. Il richiamo della moda fatta di spot  sempre più incalzanti, li invita a crescere in serie, tutti uguali come i polli in batteria, ad adottare tatuaggi e pearcing, ad indossare pantaloni griffati, a cercare il brivido del rischio e della velocità, fino a correre superando ogni barriera e precauzione per finire schiantati contro un albero o una guardarail.

 

 

 

Questi aspetti parziali fanno parte del ben più vasto panorama figurativo fatto di immagini illusorie, che accontentano fatue esigenze, ma sono anche indice di un malessere generale che vuole avere tutto a portata di mano mentre l’uomo odierno, nel suo delirio di onnipotenza, vorrebbe tutto raggiungere, compresa una realtà-altra a fronte di quella spesso frustrante e squallida in cui ci troviamo a vivere il quotidiano. Ma il superjet per avventurarsi oltre l’atmosfera delle vie inesplorate dell’universo cosmico non è alla portata di tutti e il raggiungibile finora conosciuto è solo in grado di darci qualche passeggera emozione.

 

 

 

Peraltro nulla  vieta di pensare all’intervento di presenze soprannaturali nel nostro cammino  e la religione ci insegna che un fedele custode ci è stato messo al fianco fin dalla nascita. Ognuno di noi può aver qualcosa da dire al riguardo! Quante volte abbiamo superato terribili momenti o siamo usciti da sgradevoli esperienze che ci hanno fatto esclamare: «Mio Dio, come posso avercela fatta!» Chi ha fede crede nell’aiuto di creature celesti, o dei Santi (pensiamo agli ex voto per grazia ricevuta); perciò nulla di nuovo all’infuori del fatto che, finché non ti capita l’evento grave che ti aiuta a riflettere, non ci si pensa più di tanto, convinti che i casi nostri  non facciano notizia.

 

 

 

Quando si viene toccati da una tragedia immane come quella della perdita improvvisa ed imprevista di una persona a noi immensamente cara, specie se è una piccola, giovane creatura, si va alla ricerca di qualsiasi segno tangibile e tutto ciò che è patrimonio della cultura religiosa e laica può dare conferma agli indizi di accadimenti che una volta trascuravamo e che ora sembrano divenire così importanti. Anche le persone che ci avvicinano dopo la nostra tragedia, credenti e non, provano un grande imbarazzo e misurando le parole non trovano di meglio da dire, per consolarci un po’: «Ora hai un angelo, lassù, in Paradiso!».

 

 

 

Noi rispondiamo che ne siamo convinti anche se la lacerazione che abbiamo e la nostra povera umanità, fatta di esperienze legate alla materialità del vedere, del toccare, dell’accarezzare i nostri Cari, del dare loro un bacio, del chiedere come stanno, non si accontenta di vaghi incoraggiamenti… Inoltre se condividiamo questo pensiero e siamo certi che corrisponda a verità, quando proviamo ad esaminare i termini di questa affermazione restiamo, comunque, disorientati e senza certezza alcuna.

 

 

 

Cominciamo da questo «lassù». Ognuno di noi capisce quanto sia vago quel «lassù». Dove è finita quella creatura che fino a qualche istante prima occupava uno spazio nel tempo della mia vita? Accettato che lo spirito abbia la possibilità di volatilizzarsi e di acquistare rinnovate capacità, dal momento che viviamo in una dimensione strutturata secondo le regole dello spazio e del tempo, qual è, o meglio, dov’è il luogo che chiamiamo «lassù»?

 

 

 

Ritengo giusto e (chi sono io poi per dire il contrario?) che la pietà popolare abbia voluto collocare in qualche sito non dell’etere, ma dell’universo quella che dovrebbe essere la dimensione dell’eterna beatitudine. Dagli albori della storia l’uomo ha guardato al cielo con timore reverenziale, innalzando a un Dio che si pensa «nell’alto dei cieli» le sue suppliche.

 

 

 

La scienza astronomica, oggi, va addirittura a cercare cosa vi sia al di là dei buchi neri dell’universo e tende a sospettare che, all’interno di questi, possa trovarsi addirittura un mondo rovesciato. Le stesse testimonianze che alcuni medici hanno raccolto da pazienti in punto di morte ed il «tunnel» che essi dicono di avere visto, farebbero pensare ad una sorta di imbuto da cui saremmo risucchiati per venire poi a ritrovarci, insieme ai nostri cari che ci hanno preceduto, in una splendida dimora con prati verdi,  colline in fiore, profumi e musiche ed esseri di Luce pronti a farci da guida.

 

 

 

Questa condizione, una specie di Eden che accarezza la nostra fantasia e che sembra lenire un poco l’esacerbante dolore e gli interrogativi senza risposta che sconvolgono tutti i nostri sentimenti quando ci troviamo nella condizione  di sofferenza da lutto, indubbiamente non può essere definita in termini tanto banali, ma è legata al modo di concepire  degli uomini.

 

 

 

La mia considerazione potrà apparire un po’ azzardata, ma questa ipotesi sui «buchi neri» mi lascia alquanto perplessa e, nella mia modesta cultura mi sento di dire che ho guardato il passaggio dell’ultimo eclisse con un attimo di tremore. Il cammino degli astri, le possibili conseguenze di una catastrofe cosmica, la terra che si fa buia, la caduta di un asteroide, gli eventi e i flagelli previsti per il 2012 saranno cose semplici per gli astrofisici, ma a me fanno pensare a qualcosa di non riconducibile alla nostra volontà e non controllabile dall’uomo.

 

 

 

Possiamo ammettere che, a meno che non si sia imbottiti di dottrine meccanicistiche, tutto l’universo visibile o immaginabile, con le leggi che lo governano, al di là dell’esplosione del bing-bang, non può essere nato dal «caso», ma debba far parte di un grande disegno ingegneristico che solo uno straordinario Autore può avere approntato.

 

 

 

L’ipotesi di cercare in esso lo spazio, il luogo, il modo di essere della nostra sopravvivenza mi lascia abbastanza confusa, per non dire scettica  o indifferente. Quel grande uomo e Papa che presto salirà alla gloria degli altari, Giovanni Paolo II, ha di recente dichiarato che il Paradiso non è un luogo e non è collocabile in una dimensione ma che, piuttosto, è una condizione dell’essere.

 

 

 

A questo punto poi, parlando di esseri spirituali a noi vicini, che ci aiutano a risolvere i nostri problemi, aggiungo ancora e mi domando, a costo di far cadere un castelletto di  immagini che possiamo aver costruito a difesa del dubbio e dell’angoscia, se pensiamo proprio che  i nostri figli passati a quella che possiamo definire «altra dimensione» siano, di colpo, divenuti simili agli angeli della Rivelazione cristiana.

 

 

 

Al di là del fatto che fossero tutti bravi, belli, generosi e sensibili, possiamo veramente  credere che tutto quello che li caratterizzava in vita, come piccoli capricci, manchevolezze, difettucci anche minimi siano di colpo scomparsi e spazzati via per trasformare le nostre creature così peculiari nelle loro manifestazioni, nei loro rapporti con noi con le loro paure, le loro spavalderie, i loro sogni in pura, perfetta e  risplendente spiritualità propria di quegli esseri del creato che non hanno mai conosciuto l’umana condizione? Per quello che mi riguarda un  figlio così lo sentirei troppo staccato da me, quasi morto un’altra volta e quasi non saprei definirlo «mio figlio».

 

 

 

Mi sono iscritta recentemente ad un social network quale è face book ed ho trovato decine di fratelli che hanno condiviso con me le loro pagine per parlare dei loro figli venuti a mancare innanzi tempo e in diverse circostanze. I discorsi che si scambiano sono per lo più i medesimi:” Come si chiama il tuo Angelo?… oppure… “Sono la mamma di un angelo chiamato…ecc.”.

 

 

 

Per chi si aspettava da me un discorso di ben altro genere può capire che non è mia intenzione parlare degli angeli richiamando citazioni teologiche, aspetti magici o visualizzazioni artistiche, ma vorrei fare un discorso costruttivo, da mamma con i piedi per terra, per giungere tutte insieme a riconoscere e capire cosa ne sia adesso dei  nostri figli, cosa vogliono da noi e cosa debbano fare le mamme di coloro che si definiscono, badate bene, perché lo dicono loro, «Nuovi Angeli»  per essere veramente degne dei loro figli.

 

 

Coloro che per devoto pellegrinaggio o per diletto avessero la ventura di recarsi a Padova, oltre a visitare il Santuario di colui che tutti chiamano IL SANTO in cui sono raccolte le reliquie di Antonio da Lisbona, potrebbero ammirare le vestigia della città medievale e gli affreschi di Giotto e di Giusto de’ Menabuoi, rappresentanti angeli musicanti. Ne è ricca la nota Cappella degli Scrovegni e, accanto alla cattedrale, il Battistero. In quella gloria di oro fino e di smalti si individua la cultura popolare così ricca di una pietà legata alla tradizione religiosa, indicativa dello sfarzo delle corti nobiliari, simili alla corte celeste in cui gli alti dignitari appaiono in ricche vesti, nell’adorazione di un Dio maestoso e statico.

 

 

 

Alessandra, la nostra maggiore, ha coronato la sua laurea con una tesi sugli aspetti pittorici del trecento ed ha raccolto le belle immagini affrescate in un volume ricco di approfondimenti sul loro significato. Nelle raffigurazioni si ripetono sembianze di angeli che suonano la tromba indice del giudizio a cui saremo chiamati con la fine dei tempi. Le foto riproduttive, unitamente ad immagini di carattere religioso, hanno accompagnato il tempo della mia solitudine e dei ricordi  avvicinando il mio animo al mistero della morte, del destino dell’uomo e di ciò che  è imperscrutabile.

 

 

 

Quando Andrea è partito al nostro sguardo lasciandoci nel più vuoto annichilimento ed in uno scoramento facile da comprendersi, in un  momento di veglia, prossima al riposo, fui raggiunta da una frase che suonò nitida al mio orecchio: «Sono io mamma, quell’angelo che suona la tromba!» Pensai all’angelo del Battistero e l’immagine parve lenire il quadro disastrato delle mie sensazioni.

 

 

 

Qualche tempo dopo, una sera, al crepuscolo, mentre erano presenti gli amici di Andrea che erano soliti, nei primi tempi, venire a farci visita e trattenersi nella sua stanza per ascoltare musica, come quando lui era ancora presente, all’improvviso, dalla finestra un suono dolce ed acuto ad un tempo, proveniente non sappiamo da dove, ci raggiunse facendoci sobbalzare per la meraviglia. Era un suono di tromba che sembrava d’argento, dalla nota costante e intensa che raggiungeva frontalmente la finestra di quel locale quasi a voler richiamare l’attenzione di tutti i presenti. Scesero i vicini a controllare le auto del giardino, ma nessuna di esse era dotata di allarme e, oltre la nostra abitazione, vi è  la campagna priva di strade e di rumori. Una vicina ebbe a dire: «Madona, ghe ze i spiriti!» riferendosi alla straordinarietà dell’accadimento, ma Mentore ed io, ascoltammo rapiti in un angolo del terrazzo finché dicemmo: »Ora basta, Andrea, abbiamo capito che sei tu.» In quell’istante ogni suono tacque.

 

 

 

Un «angelo che suona la tromba», un angelo mio figlio! A quel tempo l’avrei desiderato in ben altro modo il figlio mio… magari vestito con quei bei maglioni sgargianti, come i suoi amici, intento ad ascoltare le musiche di Michael Jackson o Freddy Mercuri, il solista dei Queen dalla voce angelica mancato poco dopo di lui; oppure lo vorrei pensare nella sua bella divisa da ufficiale in cui aveva appena messo le prime stellette.

 

 

Ma quale angelo, e con quale volto? Fin dall’infanzia abbiamo visto angeli con le ali, dai volti di paffuti bambinelli; angeli bianchi, angeli negri; angeli adulti con l’armatura e la spada minacciosa e angeli piccoli come putti dalle teste ricciolute. Quale pittore, quale poeta, quale artista non si è cimentato nel cercare di rappresentare queste creature celesti di cui si è parlato a volte a proposito, inserendoli in contesti religiosi e,  a volte un po’ a sproposito caricandoli di aspetti magici legati all’occultismo e alla cultura esoterica?

 

 

Mio figlio così positivo e razionale, così umano e bello nelle sue sembianze che sembravano accomunare forza e precisione delle simmetrie, baldanza e dolcezza ad un tempo? «Come sei adesso, figlio mio?» «Di più di più di prima… tanto!»

 

 

 

Nei primi tempi, quando fummo avvicinati, per cause a noi non ancora note, da persone provate dalla nostra stessa esperienza, sentimmo raccontarci, in perfetta buona fede, avventure fantastiche e ipotizzare paradisi immaginari in cui i nostri Cari vivono, ci aspettano e ci raggiungono. Se ci si attende da me che io, solo perché ho qualche anno di più di esperienza di altri, fornisca la ricetta che assicura il passaporto per l’aldilà, una sorta di carta di credito per il luogo dove si trovano i nostri Cari, mi spiace deludere, ma non mi è possibile farlo.

 

 

 

 

Vorrei esporre, piuttosto, un discorso importante, ma veramente importante, non solo per me, ma per tutti. Alla fine si potrà giudicare se era veramente importante. Quanto ho detto non è una novità. E’ accaduto a tutti di andare in brodo di giuggiole per aver visto o sentito riportare determinate cose… poi, ripensandoci bene, la stessa storia non ci è andata più giù.

 

 

E’ un po’, se mi è concesso il paragone, come l’arte di crescere un «bonsai». Avete presente quell’alberello nano, frutto della cultura nipponica, nato dai floricoltori la cui grande soddisfazione è di «rendere con tecniche naturali più naturale un soggetto innaturale»? Il merito dei giapponesi non è, infatti, tanto quello di darci un albero in miniatura, ma idealizzare una pianta con la sensibilità, l’arte, la creatività propria del bonsaista.

 

 

 

Anche a me è parso tutto riconducibile a tecniche, quando sentii raccontare di facile percorso, che qualcuno ci avrebbe dato una mano, di poter parlare per scrittura ispirata, di aspettare per poi fare quello che mio figlio mi avrebbe detto, della possibilità di ritrovarmi dotata di facoltà medianiche, e ancora di pensare che lui mi avrebbe aspettata per stare un po’ con me e un altro po’ sarebbe andato per un’altra strada ad impersonificare un’altra esistenza purificatrice.

 

 

 

Ognuno è padrone di pensarla come meglio crede, ma io sto cercando di spiegare perché non mi piace più l’arte di fare il «bonsai» e anche perché l’attrazione che all’inizio ho provato per alcune affermazioni non mi sostenne più. Il rapporto privilegiato che, fin dal primo momento, ciascuna madre provata dalla perdita di un figlio, giunge ad instaurare con lui, non può essere simile all’opera del giardiniere che, a furia di studiare tecniche e lavorare di fantasia, giunge a menomare una pianta, destinata ad essere rigogliosa, ad estendersi nel cielo azzurro, capace di ossigenare, di accogliere altre creature, di affondare le sue radici e di trasformarsi in fertile humus, fino a ridurla a un nanerottolo dalla strana, contorta forma.

 

 

 

E’ come se io costringessi mio figlio, spirito immortale, che si libra nell’infinito, dotato di capacità straordinarie, a diventare l’oggetto che ho in mente io, a seguirmi in quello che io, nella mia povera realtà, vorrei che facesse e dicesse, a furia di artifici e di elucubrazioni mentali.

 

 

 

Vediamo fin d’ora di fare una scelta, soprattutto se siamo qui per la prima volta, e facciamola non verso il basso, ma verso l’alto. Vediamo di pensare non per brevi e limitati percorsi, fatti di lacrimevoli storielle, ma indirizziamoci verso spazi e dimensioni planetarie. Pensiamo di volere imbrigliare l’aquilone? Vogliamo guardare l’eclisse ad occhio nudo e non attraverso il velo della nostra lente affumicata? Questo atteggiamento impoverirebbe la nostra esperienza e ci allontanerebbe da quello che ci preme di più: la possibilità di migliorare noi stessi e di seguire, con le nostre opere, quell’essere a noi tanto caro.

 

 

 

Nella campagna, in un lungo capannone privo di finestre vivono e crescono forsennatamente migliaia e migliaia di piccoli pulcini, che ingrassano con mezzi scientifici ultrarapidi. La luce elettrica uniforme e sempre uguale è più efficace dei raggi varianti del sole. Così questi volatili passeranno dalla gabbia artificiale al fuoco del girarrosto senza vedere il sole. Chi vive fuori da quel padiglione scientifico vorrebbe gridare: «Sapete voi che non c’è solo la luce artificiale ma c’è anche il sole?»

 

 

Non facciamo come i gallinacei che ignorano la presenza del sole perché non l’hanno mai visto. Non somigliamo ai materialisti che tutto vorrebbero spiegare, come i pagani, attraverso aridi meccanicismi o sterili favole contornate da aspetti magici.

 

 

Come al problema del male non possiamo trovare una soluzione logica e del tutto chiara, così, alla realtà spirituale che coinvolge e persegue tutta la nostra esistenza, non possiamo trovare una soluzione logica. Possiamo però accendere qualche luce che illumini il nostro cammino e ci aiuti ad attraversare il tunnel del mistero, anche se non a spiegarlo come un’equazione geometrica.

 

 

 

Nella nostra realtà sociale, contrassegnata dal materialismo, dall’egoismo, dall’interesse economico, s’intrecciano due aspetti denotativi: da un lato il diritto dell’uomo a vivere nel piacere e dall’altro a volere dare ragione del panorama mai sufficientemente conosciuto della sofferenza e del dolore.

 

 

 

Con il farsi strada della convinzione che l’uomo sia padrone assoluto della vita stessa, dal momento che la bioingegneria genetica sembra avere risolto il problema della riproduzione e quindi della creazione, prende atto la pretesa di poterla gestire, cioè concluderla quando si voglia.

 

 

Ma il nascere, il vivere, il morire e quello che ci attende dopo la morte è cosa di Dio. Soprattutto il dolore è un mistero nell’intimo di ciascuno di noi, ed è un mistero alla luce della fede cristiana. La vita è sacra perché lo è la persona che Dio ha creato a Sua immagine e somiglianza. L’uomo ne è amministratore libero e responsabile, perciò il valore vita fa parte della stessa dignità umana. Il capitolo quarto del libro della Genesi, cioè del primo libro dell’Antico Testamento, ci dice che Eva, diventata madre per la prima volta, esprime la sua gioia con queste parole: «Ho comperato un uomo dal Signore».

 

 

 

Come ogni donna anch’io posso dire di avere comperato da Dio i miei figli. Ho fatto un patto con Dio di solidarietà e di amore e mi sono impegnata a crescerli nel Suo progetto, perché a Lui sapevo che ne avrei dovuto rendere conto. Ma ognuno ha una propria esperienza e nel conto dei miei anni non vi era quello di dovere restituire due figli innanzi tempo.

 

 

 Se Dio, dunque, è creatore e Padre, come  proclama  la Chiesa, perché questo Padre ci ha fatto così, perché ha permesso il nostro strazio, perché ci ha separato dalle nostre creature?

 

 

La nostra mente non può attraversare il velo se non attraverso la virtù della speranza, virtù tipica dell’uomo in cammino, del pellegrino che non è ancora giunto alla visione.

 

 

 

Nella ventiquattresima Domenica del tempo ordinario, si legge una pagina del Vangelo che esalta la cultura del perdono. Il Vangelo narra di un signore che condona ad un debitore una cifra inverosimilmente esorbitante: diecimila talenti (qualcosa come 55 milioni di lire italiane oro!).  Il debitore ha anch’egli un credito verso un collega: cento denari, in pratica la paga di un operaio per circa tre mesi di lavoro.

 

 

Qual è il valore di questa esasperata opposizione numerica? La risposta è semplice se si esaminano i due volti: quello del padrone e quello del debitore. Nel primo si intravede la figura di Dio; solo Dio può contrarre debiti così sproporzionati e così ingenti perché, diversamente dagli uomini, Dio è molto più tollerante. Nel volto del debitore si intuiscono i nostri lineamenti. I nostri crediti sono microscopici rispetto a quelli che Dio potrebbe vantare verso di noi.

 

 

 

La condizione di debito e credito, vista da questa ottica, appare azzerare la scontata disposizione del Dio-Re, padrone misericordioso e creditore  e dell’uomo meschino e gretto nei confronti dei fratelli. 

 

 

 

«Ebbene sì, Dio Padre misericordioso, non vale forse la vita di mio Figlio molto di più di 55 milioni di lire italiane oro? E allora, mio Dio, Tu che ti sei fatto uomo simile a me, sappi che io ho bisogno di capire e poiché non posso farlo mi è necessario dirti che per sentirmi in pace, per placare il tumulto del mio sdegno e della mia rivolta, debbo chiederti PERDONO.

 

 

 

TI chiedo PERDONO,  Dio mio, Padre di misericordia perché so che Tu non hai voluto la morte di mio Figlio, ma l’hai permessa senza muovere un dito. Avresti potuto evitarla, ma non l’hai fatto. IO TI chiedo PERDONO proprio perché non Ti capisco.

 

 

 

TI chiedo PERDONO perché non so quale sia la ragione di questa perdita; non conosco i motivi della sua dipartita; non immagino la condizione della sua nuova esistenza. Io sono un creditore da cento denari, che ho sbagliato tutto e non ho saputo perdonare, ma io non ero Dio, non avevo conoscenza degli impegni forti della sofferenza, quelli che si pagano in oro.

 

 

 

TI chiedo PERDONO DIO E ORA POSSO ANCHE DIRTI GRAZIE perché con il dolore hai affinato la mia sensibilità, mi hai reso più umana e disponibile, mi hai fatto comprendere la relatività della mia esistenza e della vita degli uomini tutta.

 

 

TI RINGRAZIO per avermi dato la possibilità’ di farti questo dono, mio Dio e mio Re, un dono prezioso di oro fino, il più prezioso che io potessi farti.

 

 

 

Ed ora, Dio mio, mio Re, Padre tenero e di Misericordia, Dio Padre e Madre ad un tempo, dimmi, mio Signore, ora che sai che sono io che l’ho dato a Te, cosa ne fai Tu del mio dono, cosa vuoi da me e da mio figlio? Cosa ne fai Padre buono di tanti bambini, di tanti giovani, sterminati dalle guerre, mancati per terribili malattie, per droga, per circostanze impreviste ed improvvise, per incidenti sulle strade…?»

 

 

 

Sono troppi, sono tanti. Non chiedo ai governi la risposta. Trovo ridicola e meschina l’addebitare al caso, alla meccanizzazione, alla «volontà» di Dio, la dipartita di tante giovani esistenze. La grande verità del Corpo Mistico di Cristo ci apre orizzonti stupendi. Nulla dei nostri Cari va perduto e attraverso le nostre storie umane che si intersecano e si arricchiscono, in Cristo nessuno è solo a patire.

 

 

 

 

 

Ma anche Cristo, il derelitto, il Poverello, il Crocefisso non è solo. In una rinnovata Pentecoste, come il Dio della Creazione si è servito di Raffaele, di Michele gli splendidi arcangeli, come ha inviato lo Spirito Santo sugli Apostoli nel Cenacolo perché si preparassero a predicare la Buona Novella, così penso ad un Dio di Misericordia, circondato da uno stuolo di Anime partite innanzi tempo al nostro sguardo che si definiscono, Nuovi Angeli  che, insieme a noi, come Figli ricreati dall’amore, ci preparano un programma di riconciliazione nel passaggio del Millennio.

 

 

 

Non sono angioletti con le alucce, non figure eteree smaterializzate, ma splendide creature nella giovane esaltazione della loro bellezza. Essi ci chiamano, si fanno sentire, ci proteggono e  implorano per l’umanità derelitta il sentiero della pace per quella che sarà la dimensione della nostra vera e reale rinascita.

 

 

 

A questo punto non posso fare a meno di citare la denominazione che, per i nostri amati figlioli, ha creato lo stesso P.Zaccaria Bertoldo, il fraticello nostro assistente spirituale, venutoci a mancare un paio di anni fa e che nei primi tempi, come più volte si era scritto, venivano chiamati “Figli di Luce”. Io stessa sapevo di un’evoluzione di questi nuovi gruppi di ragazzi mancati per incidenti o, comunque in giovanissima età, al punto da farsi riconoscere sempre come “Ragazzi”. Vediamo come ce li ha definiti P.Zaccaria:

 

 

 Da ciò la denominazione da noi data special­mente ai giovani rapiti alle loro mamme,di "RAGAZZI DI LUCE" o meglio ancora, di "NUOVI ANGELI". "Essi sono, come dice stupendamente il prof. GOMERRO, nel dinamismo di Dio". (E un teologo che parla).

Ciò vuol dire che essi, i NUOVI ANGELI, cooperano e partecipano, o meglio, Dio li chiama a partecipare alla sua missione salvifica. Ora cos'è tutto questo (compreso il conforto che. recano alle mamme desolate) se non quella missione di aiuto a comprendere e salire ver­so Dio di cui s'è detto e di cui ci parlano i nostri amici di lassù? Il Card. Tonini, in una trasmissione TV, ha accolto questa idea; noi viviamo l'insegnamento della Chiesa nella realtà del­la Comunione dei Santi, dove sono inseriti anche i nostri cari Giovani, i nostri Nuovi Angeli di luce e conforto.

 

Concludendo, i nostri Figli, i Nuovi Angeli, si aspettano dalle Loro Mamme, le Mamme della Speranza, che ognuna di noi trovi la forza e il coraggio di  seguirli, ognuna come può, alla sua maniera. Abbiamo tutte la stessa dignità, ma siamo strutturate in modo radicalmente diverso, così come ciascuno ha un suo bene da fare e un suo male da evitare. Sappiamo che i nostri Figli ci tengono per mano, ma nessuna di noi è esonerata dall’impegno e dallo sforzo quotidiano. La vita sarà sempre fatta di ombre e luci, di scogli da superare più o meno facili, ma comune è la partecipazione e gratificante il cammino perché troveremo la gioia e il conforto di sentirci ancora utili.

 

 

 

L’alto traguardo è un rapporto serio con Dio, il Dio di tutti i popoli, di tutte le nazioni e di tutte le religioni. Guardiamoci dal pensare che il male dipenda dal Dna: i nostri Figli sono di ogni colore. Vincitori e vinti si abbracciano e si tengono per mano nella dimensione della Luce. Il credente sa che essere fratelli significa tornare alla fede con la semplicità dei fanciulli e che, se saremo pronti,  ci attende una nuova era di solidarietà e giustizia.

 

 

«Non più lacrime mamma. Coraggio papà, fatti coraggio!» Sì, Figlio mio, Figli nostri, Angeli di Dio, Ragazzi di Luce, siamo con voi, vicini a voi … !

 

 

In attesa di riunirci per l’eternità!

 

 

Edda Cattani

 

 

 

 

 

                                          

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Edda CattaniAngeli Custodi e Nuovi Angeli

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3 comments

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  • Peter Versac - 13 marzo 2011 reply

    Mi piace pensare che sospinti dallo Spirito, possiamo cercare i “Ragazzi di Luce” solo con pensieri gentili (avrei voluto scrivere: solo con Amore, ma non si può violare, banalizzare quel sentire che appartiene esclusivamente a chi li ha cresciuti e conosciuti), per il bene comune, perché “se un membro del Corpo Mistico gioisce, gioiscono con lui tutte le membra”. Dialoghiamo con questi “Angeli di Luce” solo per pensieri gentili, loro che “non vedono per mezzo di uno specchio, ma direttamente in Dio”, per il bene dei loro cari e per la pace di ognuno, in una creazione che è tutta un divenire.

  • Edda Cattani - 13 marzo 2011 reply

    Gentile amico, con quanta delicatezza si pone il Suo commento, al solito molto profondo! E' proprio nel Corpo Mistico di Cristo che ritroviamo i nostri Figli, Ragazzi di Luce, che si manifestano a noi in modalità diverse per darci conforto ed aiutarci a crescere. Tutti possono beneficiare della Loro presenza costante perchè i "pensieri gentili" ci conducono a Loro in una dimensione dove regna solo l'Amore. Un abbraccio di Luce E.C.

  • Peter Versac - 27 aprile 2012 reply

    (Es 3,14-15): “Dio disse a Mosè: «Io sono Colui che sono!».
    Dal Vangelo secondo Giovanni 5,17-30:
    In quel tempo, Gesù rispose ai Giudei: “Il Padre mio opera sempre e anch’io opero”.

     
    L’Eterna Mia Presenza,
    in questo tempo che non ha tempo,
    rimetti a me come a tutti, Signore.
    Splende tutto intorno,
    nel petto e nello stomaco,
    la Luce del Tuo Amore.
    Mai incontrammo tanta gioia:
    in pace ci espandiamo.
     
                         i vostri Ragazzi di Luce

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