2025

La morte giovane

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Propongo questo documento di un grande medium, quale è tuttora Corrado Piancastelli, che vale la pena di rivisitare. E’ un laico che parla… e termina: “… In questa chiave di lettura ha ragione Teillard De Chardin quando dice che “noi non siamo esseri umani che vivono un’esperienza spirituale. Noi siamo esseri spirituali che vivono un’esperienza umana”. Sull’elaborazione del lutto io partirò da ben altro: “In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo perché noi avessimo la vita per mezzo di lui”.  (1Gv 4,9)

Sulla morte giovane


di Corrado Piancastelli

           Normalmente nei congressi di parapsicologia cerco di affrontare i problemi in chiave scientifica e i miei interventi possono anche apparire insoliti perché le persone – dal momento che sono anche un sensitivo – forse si aspettano da me racconti più o meno fantastici che non amo fare.

      Sono stato a lungo uno psicoterapeuta e come tale mi sono prevalentemente occupato di tossicodipendenze e di devianze giovanili, dei problemi legati alla droga: le sofferenze dei giovani si possono affrontare solo con metodi razionali, non con atti di fede o con invocazioni mistiche o affidandosi alla volontà di Dio. Questa esperienza ha stabilizzato la mia razionalità di fondo e mi ha trasmesso un metodo che, però, non ho mai usato in modo estremo, ma era comunque un metodo di lavoro che poi mi è servito anche nella ricerca del paranormale.

          Dalla pratica psicoterapeutica sono poi passato alla filosofia della mente e questo è il mio lavoro attuale. Ma, naturalmente, il contributo che ho dato alla parapsicologia (si pensi, per fare solo due esempi, al “Rapporto dalla Dimensione X, Colloqui con “A” e ad altri, scritti sul mio caso da Giorgio di Simone, fino al mio libro autobiografico “Il sorriso di Giano”) e il fatto di essere anche un sensitivo da quando avevo solo 15 anni, hanno inciso profondamente in tutto l’arco del mio lavoro. E’ un’intera esistenza, la mia, passata a cercare di dare alla parapsicologia qualche punto di appoggio solido. Questa modalità di lavoro, in filosofia come nelle scienze, viene rappresentata come ricerca epistemologica di un problema. Oscillando tra istinto per così dire medianico, con le sue possibilità di entrare in altri mondi e le esigenze legate ai metodi della scienza, sono diventato io stesso la maschera del Giano bifronte con la possibilità, cioè, di guardare verso lo stesso punto da due orizzonti diversi.

Credo che qualsiasi ricercatore, che sia anche filosofo, si trovi in questa situazione ambigua. Un maestro d’eccellenza quale fu Gustav Jung si trovò nella stessa situazione. Jung discorreva nel suo giardino con una voce interiore a cui aveva dato il nome di Filemone e nella vita fu un scienziato irreprensibile stimato in tutto il mondo.

“Filemone – ha lasciato scritto Jung – rappresentava una forza che non ero io [….] e mi diceva cose che io coscientemente non avevo pensato, e osservai chiaramente che era lui a parlare, non io.” […..]. “Per me era una figura misteriosa. A volte mi sembrava reale proprio come se fosse una persona viva. Passeggiavo con lui su e giù per il giardino ed era per me ciò che gli indiani chiamano un guru”.

          Dico queste cose non per ostentare un parallelismo con il grande Jung, ci mancherebbe altro, ma perché abbiate intero il quadro che fa da sfondo alla mia vita, vissuta continuamente tra dubbi, certezze e ipotesi di lavoro.

Questo tipo non facile di vita mi ha portato a dubitare e a confermare. Un’oscillazione culturale la cui lezione preziosa in tal senso, guarda caso, me l’ha data proprio il mio maestro spirituale, quell’Entità “A” per la quale il nostro lavoro umano deve consistere nel produrre continuamente domande anche se sappiamo che non a tutte possiamo dare risposte: è il lavoro principale della filosofia e della ricerca in generale e qualsiasi vero filosofo sarebbe d’accordo con questa impostazione.

         “Dubita sempre delle risposte troppo facili, di quelle retoriche o irrazionali, mi ha continuamente ripetuto “Andrea” , anzitutto perché sulla Terra non è possibile accedere alle verità assolute. Ciò nonostante interrogati ogni volta se c’è un senso nelle risposte che ottieni. Dopo averle ricevute riponi le stesse domande senza mai stancarti ma senza dimenticare che hai pure un cuore e anche il cuore vuole risposte”.

           Avere un cuore significa accettare anzitutto che la scienza ha i suoi limiti, oltre i quali bisogna dare un senso anche a ciò che, che per sua natura, non può essere esaminato al microscopio, come la coscienza superiore, la creatività, i desideri, l’immaginazione, i sentimenti, la poesia. Questa scelta di posizione tra rigore matematico e la invisibile ma egualmente reale vita interiore (alla quale pur bisogna dare voce) determina in noi una continua oscillazione tra il certo e l’incerto, tra il possibile e l’inverosimile, tra il vero e il falso, tra illusione e verità. Ciò è causa di tormento culturale e morale e di continua impossibilità a decidere tra ciò che è giusto e ciò che non lo é. Questa, però, come tutta la tradizione filosofica insegna, è la vera posizione del filosofo.

            Di questo comunque non parlerò stamani ma in un’altra conferenza che integrerà questa di oggi che terrò sempre a Napoli, in febbraio, in un altro convegno di parapsicologia parallelo a questo.

          Oggi voglio parlare con voi del dolore e della morte giovane. Ma devo fare subito una premessa: sono un laico fin nelle ossa e odio la retorica e il sentimentalismo quando sono fini a se stessi. Ho fede principalmente nella ragione illuministica ritenendo questa un dono di Dio. Quindi vi dirò le cose che molti di voi vorrebbero dire ma non osano perché ingabbiati in una visione fideistica che rifiuta la ragione e si abbandona alla sola speranza perdendosi dietro il desiderio. Mi prendo la responsabilità di parlare con la rabbia – come ho sentito fare a molti – di chi si vede sottratto un figlio innocente e si pone il terribile perché sia potuto accadere proprio a lui un evento così devastante. Spero, però, che le mie riflessioni servano anche a chi è venuto qui senza lutti personali, ma solo per capire come stanno le cose.

            Uno come me che ha passato la vita a interrogarsi, ad ascoltare il dolore degli altri che mi chiedono conforto e speranza, uno come me che per oltre 50 anni ha interrogato la propria sensitività e la propria coscienza a contatto con una Entità ormai mitica nella storia del paranormale, uno come me che è vissuto per tanto tempo con un maestro del genere, si è posto come voi le stesse domande come le formulai quando, bambino, vidi morire un mio piccolo amico di appena dodici anni e sentii le urla dei genitori davanti al figlio morto. Quel mio piccolo amico e i suoi genitori non avevano fatto nulla di male, erano finanche persone religiose che credevano in Dio e andavano a Messa tutte le domeniche. Leonardo, così si chiamava il mio piccolo amico, era finito sotto un tram e restai tramortito dall’insolente violenza della sorte verso un innocente. Così vissi quella esperienza terribile.

 Perché?, mi chiesi.

Perché proprio lui e non un altro? Perché non un boss che ha sulla coscienza diecine di morti? Perché non un killer che uccide a sangue freddo?

            Dove sono la giustizia di Dio, l’amore di Dio, la sua paterna misericordia, se davanti a noi, nel mondo, c’è solo morte, violenza, malattia e tormento di ogni specie?

           Perché deve morire un ragazzo lasciando nello squallore del dolore i genitori indifesi che non riescono a dare un senso a questa violenza della morte giovane e rischiano finanche di incattivirsi nella cupezza della perdita a cui non sanno dare una spiegazione?

           Così mi vissi la rabbia e il dolore quando morì il mio giovane amico tanto tempo fa.

           Lo ripeto, sono un laico che però ha avuto la fortuna di incontrare un maestro spirituale e da lui ho appreso che essere laici non significa essere atei e non riconoscere ciò che chiamiamo il senso del sacro e della divinità. Laico significa usare il dono di Dio della ragione. Perché la ragione è più importante della fede. Lo é per il solo fatto che la ragione l’abbiamo tutti, al contrario della fede che l’hanno solo alcuni e non certo per meriti personali. Lo so, dicono che la fede sia un dono di Dio. Io, invece, sono d’accordo con Pascal, il quale si chiedeva: se la fede è un dono di Dio perché alcuni ce l’hanno e altri no?

          Non sarebbe, questo dono, dato solo ad alcuni, una vera ingiustizia? Ma poi: la fede serve veramente a giustificare un immenso dolore o è solo utilizzabile come un sedativo?

         Vi risponderanno che non possiamo conoscere i disegni di Dio. Ma quali disegni? I disegni si vedono dagli effetti che producono e io mi rifiuto di pensare che Dio, nei suoi disegni, comprenda le morti innocenti di milioni di persone indifese e lo strazio dei sopravvissuti.

           Questo Dio biblico che semina morte non é il Dio amorevole di cui tutti abbiamo sentito parlare fin da quando siamo nati. Non può trattarsi dello stesso Dio che conserva la vita ad alcuni e, nel suo disegno, la toglie ad altri. E’ un disegno, se lo è, del tutto incomprensibile, talmente incomprensibile da somigliare a quello di un killer che spara da lontano nel mucchio preso da un raptus di follia.

 Io la vedo così e ne deduco che deve esserci un’altra spiegazione.

La vita umana vede continuamente il successo dei violenti e la morte dei deboli. Più si è vittime più si è perdenti, più si è ingiusti e accaparratori e più si vince. Dov’è Dio in questa vacanza della giustizia? Dov’è il suo amore, la sua pietas?

…fine prima parte…

 

Seconda parte

 

Ad Aushwitz furono annientati milioni di ebrei e ancora oggi, nel mondo, ogni anno muoiono letteralmente di fame almeno 10 milioni di bambini e non c’è nessun Dio e nessuno Stato che interviene per salvarli dall’atroce morte per inedia fisica.

          Wiesel, raccontando dell’impiccagione di tre prigionieri in un campo nazista, tra cui un bambino dagli occhi tristi, così scrisse: “Dov’è dunque Dio? Dov’è? Eccolo: è appeso lì, su quella forca!”.

         E ancora Adorno, ripreso da Jonas: “Nessuna parola risuonante dall’alto, neppure teologica, ha un suo diritto di essere immodificata dopo Aushwitz”.

         Un bambino di dieci anni trucidato dalla marmaglia nazista che ha disonorato la specie umana. Non riesco a pensare in modo logico e lucido ad una cosa del genere. Perdere un figlio giovane per malattia o incidente è tragico, vederlo addirittura impiccato per puri motivi ideologici è doppiamente tragico, è finanche spiritualmente intollerabile.

         Noi e i nostri figli siamo legati con un nodo inestricabile che nessuno può sciogliere. Forse dipenderà dalla nostra natura biologica, forse da quella spirituale e psichica o forse dall’intreccio di questi tre fattori. Qualunque ne sia la causa questo nodo esiste e ce lo viviamo in maniera emotiva sicuramente eccessiva, ma non riusciamo a sentire questo bene in modo diverso, per cui la morte di un figlio la sentiamo come un affronto alla logica naturale che prevede la morte dei vecchi e non quella dei giovani.

Diceva Rousseau che l’amore dei genitori è di tipo discendente, quella dei figli di tipo ascendente. L’amore ascendente è minore di quello discendente, ecco perché i genitori amano i figli in modo più forte che i figli i propri genitori. Questo amore dei genitori si associa sempre all’ansia di perderli. La psicoanalisi ha elaborato studi fondamentali su questa questione di cui, però, resta l’ansia e la pena che sono reali, sono qui, e per qui intendo proprio qui nelle nostre menti, nei nostri corpi, nella nostra natura vivente, in un rapporto ferocemente arroccato tra la nostra materia corporale e queste persone a noi care, tra le quali in modo speciale i nostri figli più delle nostre madri e dei nostri padri, più dei nostri amici che pure possiamo amare e che vorremmo non morissero mai.

        I figli ci fanno diventare egoisti, trasformando il dolore della loro perdita in una speciale perversione che talvolta incattivisce e che non vorremmo avere ma che è umanamente comprensibile.

       Perché è toccato a me e non ad un altro? Oppure: doveva proprio accadere  a lui di morire  e non al nonno che è già vecchio o allo scemo del paese che ancora campa nella più totale apparente inutilità, o ai delinquenti che imperversano nella nostra società?

           Ecco, questo è quanto può attraversare la mente di coloro che subiscono il lutto della perdita e io vi chiedo perdono se lo metto in luce brutalmente nella domanda di senso a cui la fede non può dare risposta se non è preceduta da un ragionamento. Non basta dire, sia fatta la volontà di Dio, perché noi chiediamo il senso della stessa domanda, non la pura affermazione della sua volontà, dal momento che siamo noi uomini a soffrire, non Dio, e una risposta come questa non ci chiarisce nulla, anzi esaspera il senso della sua retorica, incomprensibile quanto l’evento che ci ha colpito.

         Si può mai essere confortati da una risposta del genere? Che non dobbiamo sapere e non dobbiamo capire nulla come se fossimo dei mentecatti?

        Come si esce da questa posizione mentale che rende perverso il dolore della coscienza e dell’amore feriti? Come dobbiamo recuperare il rapporto col divino, questa necessità interiore pura, offesa dalla Sua assenza perché le nostre invocazioni e preghiere a Lui restano continuamente disattese come se Lui effettivamente non ci fosse?

        Naturalmente chi ha fede e non si pone domande, resti pure così se in questa posizione trova le risposte! Io provo sempre a rivolgermi a quelli la cui fede vacilla oppure è improponibile.

       Non ho la ricetta miracolosa, sono solo una mente che ha imparato a pensare da filosofo e ha avuto la fortuna di incontrare sulla sua strada la voce di un maestro molto speciale. Da questo incontro è nata una risposta di senso che, a mio avviso, merita ogni attenzione.

        La riflessione scaturita da questo straordinario rapporto fissa alcuni punti fondamentali:

        Punto primo: nonostante tutta la buona volontà – che si sia laici o credenti – è incontrovertibile che nel mondo non c’è alcuna visibile traccia di Dio. In questa affermazione, che si traduce nel concetto della morte di Dio, c’è però un paradosso, perché ciò nonostante vi sono persone che hanno iniziato un lavoro di ricerca e sono riuscite a portare la loro coscienza percettiva, al di là della negazione e del dubbio. Queste persone sono i mistici, i profeti, i poeti, i filosofi metafisici di tipo creativo, i maestri spirituali. Tutti costoro sono riusciti, attraversando la materia del corpo e sospendendo la ragione – come nella fenomenologia di Husserl – a raggiungere uno stadio mentale e intimo profondo e alto in cui si annulla il tempo e lo spazio e si entra nella dimensione sacrale dell’ineffabilità perdendo il contatto col proprio Sé corporeo e linguistico. In questa condizione si apre una seconda coscienza parallela di cui possiamo tutti fare esperienza a condizione che la smettiamo di rigirarci nelle nostre disgrazie e diventiamo attivi e propositivi.

Questa percezione trascendentale va cercata, non si vende in edicola e nei libri, ma si deve cercarla non solo per esserne consolati, va desiderata come necessità di conoscenza di sé e come ricerca interiore. Ciò significa che dobbiamo abbandonare la teoria del solo sapere cognitivo e della ricerca consolatoria o della curiosità intellettuale fine a se stessa, e passare alla pratica del fare intesa anzitutto come ricerca della nostra anima.

Se non ci poniamo come primo obiettivo il riconoscimento sperimentale che siamo una natura spirituale che vive in un corpo fisico, come potremmo riconoscere i segni del sacro e avvicinarci ad una possibile divinità?

         Noi siamo nel mondo per conoscere e sperimentare la corporeità e la vita, non per contemplare astrattamente. In questo momento in cui voi e io ci stiamo scambiando pensieri tutto è materia. I nostri sensi, il nostro linguaggio, voi udite la mie parole, io sento il vostro silenzio, la vostra attesa. I nostri corpi vivono, respirano, le vostre orecchie ascoltano, le vostre domande fremono nei vostri cervelli ed è quasi come se le udissi, immagino finanche cosa state pensando, ciò che vorreste chiedermi.

         Piano piano tra voi e me, tra i nostri corpi fisici, si crea un feeling, una cosa impalpabile che crea ascolto, partecipazione, unione. Ne deriva che ciascuno di voi non è solo carne umana seduta su una sedia. Che cosa consente a questa carne e ossa e sangue di capire il senso delle mie parole? Sono solo sensi e mente o c’è qualcos’altro che passa tra voi e me? E’ solo voce umana, sia pure denotata di senso, oppure stiamo percependo, attraverso il suono fisico della voce, altri significati che ci rinviano all’intuizione sacrale che ci stiamo scambiando anche anime pur nella fisicità spaziale dello stare insieme?

Quando cerchiamo, in un pur banale atto della vita, di dare un senso alle cose (per esempio perché lo stiamo facendo? Perché così e non in un altro modo? Cosa significa la mia azione? Come interpretare l’azione degli altri?), quando ragioniamo in siffatto modo, siamo già nel sacro. Il sacro non è una chiesa, una preghiera, un suono di campana o una musica: sacro è il senso della vita quando la nostra azione ci produce un surplus di conoscenza e ci conduce al processo di trasformazione per mezzo del quale utilizziamo, sì, la nostra materia corporale, ma la conoscenza corporale non può essere una conoscenza fine a e stessa, deve poter produrre un valore e questo valore è appunto il senso che dobbiamo dare all’azione e questo senso si accresce proprio perché è prodotto dall’esperienza concreta non dalle teorie, come dice il filosofo Gianni Vattimo, del credere di credere.

Questa riflessione ci dice che se Dio esiste non è nelle cose umane e nel mondo che fisicamente ci appare, ma nel valore aggiunto che nasce dal finalizzare i comportamenti e la corporeità a valori conoscitivi, indipendentemente dal credere o non credere, perché il Dio che cerchiamo è nel gap tra il pensiero teorico e la pratica spirituale del vivere. In questo modo il gap che viene a determinarsi è lo spazio astratto che si riempie di senso, cioè è proprio un valore aggiunto che la mente fa proprio. Si tratta di un valore metafisico, perché è l’ontologia dell’Essere che si riappropria di noi e trasforma il pensiero in sapienzialità, cioè lo connota proprio di quella sacralità che stiamo cercando

Se non si opera, il credere soltanto non serve a niente. Operando ci allontaniamo paradossalmente dal mondo perché sacralizziamo la nostra azione, innalzandola al di sopra del pensiero stesso.

             Questo paradosso ha bisogno, però, della complicità del corpo perché è attraverso di esso che noi pensiamo e operiamo. Ma il paradosso ci apre la strada all’inverosimile, perché se diamo continuamente un senso all’azione noi ci impadroniamo della sacralità mentre operiamo e la riconosciamo (quando l’azione è finita) perché siamo diventati più ricchi, più saggi, più tolleranti, più giusti o semplicemente più consapevoli della nostra esistenza . In termini psicologici questa è la strada per radicare l’identità, la coscienza di sé, il valore dell’esistenza che noi identifichiamo quando cessa il clamore delle cose del mondo.

Questo fatto straordinario ci conferma che di Dio non si ha traccia nel mondo perché noi, spinti dal bisogno e dal dolore, vorremmo incontrarlo là dove Lui non può stare, per cui la traccia comincia quando diamo un senso e una finalità concreta al nostro desiderio. Quando, invece, utilizziamo il desiderio e l’immaginazione solo per pensare senza farli diventare azione, restiamo imbrigliati nella teoria o nel nostro stato fissativo e restiamo soli perché il resto del mondo è come se non esistesse. Rendiamoci conto che la politica, l’economia, il lavoro, le disgrazie dei corpi, le malattie, la morte e i riti per esorcizzare il dolore appartengono solo al regno della vita umana, non a quello dello Spirito o a quello del divino. E quindi, se vogliamo pensare al sacro dobbiamo, sia pure attraverso queste necessarie fasi umane, salire di livello, cioè il pensiero quotidiano deve diventare attenzione trascendentale.

             Questa operazione non è irrazionale, anzi è esattamente il contrario. Infatti noi partiamo da una procedura razionale quale la volontà e il ragionamento e da lì giungiamo in un’area metafisica fino ad allora del tutto sconosciuta. Insomma l’idea di Dio, del trascendente, della sopravvivenza, della sacralità, rappresentano un progetto di verifica e di riconoscimento che implica un lavoro: non sono verità concesse per fede solo a qualcuno, ma l’esito, per così dire, di una ricerca (come è giusto che sia) che sottintende un merito.

            Tutto ciò che possiamo definire trascendente: Dio, l’ontologia della metafisica, la dimensione dell’oltre, la percezione mistica e simbolica del divino, le tracce di coloro che sono trapassati, cioé i figli e gli amici che sono morti, sono là in questo stadio ultrapercettivo che chiamiamo trascendenza sacrale.

           L’anima (o Spirito) deve trovarsi, verosimilmente, in quel punto che si realizza solo nelle condizioni mistiche dell’ineffabile abbandono trascendentale, nel luogo dove, appunto, si costituisce la dimensione della seconda coscienza che può pensare a sé non come corpo ma come punto di incontro col mistero. Perché è solo in quel punto che si cominciano a scorgere le tracce del sacro se, come diceva Empedocle, che visse 450 anni prima di Cristo, forse “la natura di Dio è un cerchio il cui centro è ovunque e la cui circonferenza non è da nessuna parte”.

…fine seconda parte…

 

Terza parte

…terza parte…

Secondo punto – Se riusciamo a vivere il precedente progetto di ricerca interiore, tutta la riflessione precedente di colpo diventa anche un lavoro che conferma l’esistenza in noi di alcune verità metafisiche. Tra l’altro gli effetti a cascata di questo nuovo modello interiore sono subito visibili finanche nella vita ordinaria. E’ dimostrato che, ad esempio, se riusciamo a creare uno stato di conformità tra il corpo e i desideri inconsci, questo stato non solo ci apre (con opportune tecniche) uno sconosciuto universo trascendentale, ma ci procura finanche un benessere fisico che innalza le difese immunitarie contro i virus, il cancro e varie malattie, ed agisce positivamente su tutte le tensioni psichiche riducendo gli stati nevrotici o abolendo l’ansia. Tutto ciò ha un carattere oggettivo come è dimostrato dal fatto che in questo nuovo stadio mentale si modificano le onde cerebrali e rallentano i segnali di attivazione in entrata degli stimoli esterni provenienti dall’ambiente, compreso gli stressori che ci producono ansia.

           Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un nuovo paradosso.

           I filosofi e gli scienziati ancora oggi non sanno spiegarsi come mai percezioni astratte possono interferire con gli stati corporei e mentali che appartengono al regno fisico. Però interferiscono. Essi non postulano il sospetto che insieme al corpo e alla mente noi possediamo una esistenza spirituale che è regolata da leggi non fisiche, ma tuttavia sono costretti a riconoscere che senza il pensiero superiore, noi stiamo male.

         Ovviamente non è che non conosciamo le caratteristiche della coscienza, ma in un certo senso procediamo al contrario perché del sistema nervoso conosciamo quasi tutto, quel che non sappiamo è come sia possibile che un cervello fatto di cellule e neuroni di tipo fisico, possa concepire e produrre ciò che fisico non è, per cui in realtà noi sappiamo cosa la coscienza non è, piuttosto che cosa la coscienza é.

Si aprirebbe un lungo discorso che non è possibile sviluppare nel limitato tempo che abbiamo. Filosofi, neuroscienziati, psicologi e ricercatori in genere devono ancora capire come sia possibile che l’essere umano abbia la capacità intenzionale di pensare per astrazioni e simboli come se fosse in possesso di codici estranei al mondo dei neuroni. Questo fatto è addirittura emblematico. Il nostro cervello possiede 100 miliardi di neuroni, ma nessun neurone è intelligente. Il DNA di uno scimpanzè differisce solo l’1,6 da quello dell’uomo. Ancora non sappiamo in che modo lo schema dei circuiti funzionali del cervello dia origine ai fenomeni mentali: sui fenomeni mentali superiori non abbiamo neppure un’ipotesi. L’arte è uno di quei casi emblematici ancora sconosciuti e così anche la matematica intuitiva.

Terzo punto: Ma c’è di più: le nostre pulsioni, i nostri desideri, le vocazioni a fare o non fare, i nostri istinti spirituali e creativi, le nostre intenzionalità, tutta la gamma delle nostre idee più alte e metafisiche, provengono esclusivamente dall’inconscio, cioè da una parte di noi di cui non abbiamo coscienza, per cui dobbiamo ribaltare il concetto che noi siamo soltanto la nostra coscienza e la nostra storia personale, perché senza l’inconscio noi saremmo in possesso solo della coscienza animale, del sistema nervoso e della cultura. L’inconscio è un iceberg sotterraneo, una montagna potenziale che è al di sotto della coscienza la quale, diceva Freud, è solo un piccolo rigagnolo che fuoriesce da questo grande fiume nascosto che scorre a nostra insaputa dentro di noi. Siamo più inconscio che coscienza; se è lì che avvengono le principali transazioni metafisiche, lì dove le regole dello spazio-tempo e del linguaggio non funzionano più, è allora più chiaro che, quando parliamo di sacralità e di divino, è solo là che lo possiamo incontrare.

          Forse Dio e l’Anima non sono scomparsi e le tracce sono in quest’area interna che la storia del mondo ha cancellato in omaggio alle leggi dei poteri e del mercato che hanno trasformato gli uomini, specie noi occidentali, in merce di scambio in robot obbedienti e passivi.

         Ora possiamo tornare alla domanda iniziale.

         Perché la morte e perché la morte giovane? Supponiamo che l’anima (ne diamo per scontato, in questo discorso, la sua realtà) esista non dal momento del concepimento, ma sia antecedente e che vivere in un corpo rappresenti per essa un esperimento di conoscenza. Perché non potremmo percorrere questa ipotesi? Chi può dire quando l’esistenza dell’anima cominci? Attenzione: nel parlare di anima noi non ci riferiamo ad una simbologia, o ad una metafora (come si fa in psicologia) ma ad una cosa reale, vera, esistente. Nella nostra ipotesi di lavoro l’anima è una struttura complessa, una struttura costituita da energia che vive di esistenza propria, di una realtà reale come è reale il pensiero, una musica, un respiro, un profumo. Ci rifiutiamo di definire l’anima l’inganno metaforico di un discorso che parla di lei, per noi l’anima è una forza reale come è reale la luce di una lampadina.

Non è ragionevole ipotizzare che se quest’anima è una sostanza eterna perché proveniente dalla stessa eternità di Dio, il principio eterno di cui è costituita non si misura solo sul suo futuro ma anche sul suo passato? Meditate bene su questo punto; è importante. In una linea geometrica infinita, qualcuno può forse stabilire quale ne è il centro o dove cominci l’infinito? Se l’anima ha l’eternità nel suo futuro perché non dovrebbe essere possedere l’eternità anche nel suo passato?

           Poiché nessuno può dimostrare – dico dimostrare – il contrario di questa tesi, ne deriva un corollario della massima importanza e cioè che l’anima precede il corpo. Se l’anima precede il corpo, e se tutto quanto abbiamo detto sulla natura inconscia della mente è vero, e se ciò che chiamiamo intenzionalità, creatività, percezione metafisica e trascendentale contraddistinguono la vera natura di ciò che definiamo Persona Umana che si differenzia dalla pura natura biologica, se non siamo simili a una pianta e non siamo solo un ammasso di sangue, muscoli come la carne che si vende in macelleria, allora noi non siamo solo molecole o cellule, ma siamo anche anima e quest’anima, ricca di proprietà metafisiche, vive il corpo come un involucro provvisorio e la vita umana rappresenta lo specifico in cui si realizza un progetto dell’anima stessa. Se non esistesse una progettualità per quale motivo dovremmo vivere? In assenza di progettualità la nostra vita non avrebbe più senso di quanto ce l’abbia un formica.

         Se, però, come noi riteniamo estremamente probabile, l’anima ha un progetto questo non può che essere individuale e intenzionale, cioè nel progetto è sottintesa una precisa volontà, e quindi è il corpo a servizio dell’anima, non viceversa.

          Ma se c’è un progetto spirituale che usa un corpo per realizzarsi, poiché il corpo è un meccanismo finito, cioè soggetto a nascere e morire, il progetto pur essendosi costituito su finalità e su valori non umani, è giocoforza costretto ad uniformarsi ad un tempo e a uno spazio che invece sono umani pur senza perdere la propria specificità.

          Questo adeguamento quasi fisiologico è per l’anima una trappola che è costruita dalla natura con i criteri della finitezza di cui conosciamo solo i due estremi rappresentati dalla nascita e dalla morte.

   Ne deriva che il tempo dello spirito non si misura col tempo umano scandito dall’orologio e dal calendario, ma col mistero della sua progettualità che noi, con la mente umana non solo non possiamo conoscere, ma che neppure umanamente condividiamo perché è intriso di una logica alla quale la nostra mente non può partecipare perché il nostro pensiero è legato alla Storia e al tempo di questo mondo, ai suoi bisogni, alle sue contraddizioni, ai suoi limiti.

Per l’anima non può esistere la Storia del mondo e degli umani. L’anima è un soggetto individuale che vive in funzione della sua storia spirituale e individuale, per cui ciascuno è responsabile di sé e non degli altri. Non ci sono percorsi sentimentali, ma percorsi progettuali.

Quando il progetto si è esaurito l’anima se ne va ed a noi tocca accettare questa volontaria decisione e paradossalmente anche assecondarla. Non è Dio che toglie la vita, ma l’anima che decide l’ora del suo ritorno. Per noi questa logica è spesso terribile, ma non dobbiamo dimenticare che tutti noi vi siamo assoggettati. Per noi la morte è separazione, per l’anima è liberazione. Per noi la morte è dolore, per l’anima è la fine di un incubo perché ritorna al suo stato primario che lasciò per entrare nella limitata trappola del corpo e alla fatica del vivere.

Nel suo non-tempo la morte non è, quindi, una violenza, ma l’esito naturale di un evento a sua volta naturale che pone termine ad un programma stabilito da ciascuno di noi nel momento che nasciamo.

         Vorrei avere il tempo, il mio tempo umano, per parlarvi del tipo di esperienza che un’anima immateriale può fare in un corpo materiale e rispondere all’interrogativo che molti mi rivolgono: ma che esperienza può fare un ragazzo di pochi anni? La sua anima cosa può aver capito del mondo in così poco tempo?

          Dirò solo due cose.

          Il progetto dell’anima è un progetto conoscitivo attraverso il percorso sperimentale della vita. Se è così il progetto può essere eseguito in pochi o in molti anni. Qualunque sia la lunghezza temporale della vita per l’anima si tratta pur sempre di un soffio, di un istante. Tutti noi siamo assoggettati a questa regola. Non ci sono orologi e calendari che possono misurare il tempo dell’anima . Questo per noi umani è un dramma, lo capisco bene, ma non per l’anima, perché essa non conosce il tempo umano! Può lasciare il corpo presto o tardi, a venti come a novanta anni. La sua misurazione è conforme all’esperienza che ha progettato, non può riferirsi alle aspettative ed agli affetti del mondo, dei genitori, degli amici, della società. E’ per tutti così. Anche i genitori se ne possono andare prima che i figli siano cresciuti e li lasciano soli. E’ in atto una reciprocità il cui senso è l’attesa che l’evento della vita si compia quando il tempo della conoscenza si è esaurito.

          Ma – ripeto la domanda – cosa può sperimentare l’anima di un giovane che non ha ancora vissuto la vita?

La vita non è fatta solo di azioni visibili, come il lavoro, la famiglia, lo studio, il bene o il male. La vita non è solo una costruzione di affetti che vorremmo non finissero mai. La vita è il vivere cose che il corpo sociale nemmeno immagina. Si vivono le sensazioni, gli odori, le attese, le speranze, i desideri, si vive l’apprendimento, la comunicazione con gli altri, si vivono finanche le depressioni, le paure, i silenzi, la musica, il conforto dell’amore, l’amicizia, le prime voglie sessuali, le percezioni di sé, gli inganni, i compagni di scuola, i genitori, i fratelli. Si vivono i dolori e i piaceri. Si vive finanche la percezione del solo respiro, si vive il mal di pancia, la pioggia sulla testa. Si vivono finanche i sogni e le piccole carezze sui capelli.

Sono queste cose la vita.

          Quante cose si vivono senza che ce ne accorgiamo! Ma l’anima sì. Per l’anima queste cose del mondo apparentemente volatili sono conoscenze che lì, nell’esistenza primaria dell’anima non potrebbe mai conoscere se non vivesse il corpo. L’anima oscilla tra il Sé come sostanza divina, e il Sé che guarda il mondo delle cose materiali fatte di una sostanza, appunto la materia, che è cosa diversa dal suo essere cosa divina.

         In questo incontro tra Sé-anima e il mondo-altro, si realizza l’esistenza di ciascuno di noi, misurata al di fuori di ogni tempo, come è giusto che sia ciò che da un lato vorremmo eterno e dall’altro conformato ai nostri bisogni temporali e umani.

        E’ un incontro che costringe l’anima e la mente a indossare maschere: l’anima per potersi adeguare al corpo, la mente per poter essere accettata dalla società. La maschera domina tutto. Ma “maschera” in greco vuol dire tragedia. E perciò noi corpo e noi anima ci viviamo continuamente la falsificazione di un incontro che, senza le maschere, non potrebbe avvenire. E ciò produce drammi e sofferenze.

         Noi soffriamo ogni perdita perché essa è una ferita inferta alle maschere che ci impediscono di scorgere l’altra verità nascosta: non solo quella del divino, ma anche quella della propria natura autentica e, con essa, la propria eternità.

         Però se avessimo la coscienza profonda di tutto ciò, se potessimo disporre di questa sapenzialità soffriremmo enormemente di meno e ci adegueremmo alla volontà dello spirito con ben diverso abbandono e con ben altra comprensione. Ma forse senza il dramma e la messa in scena della morte, non vi sarebbe vita, perché se non c’è dramma quasi mai si cerca una qualche verità che lo plachi.

         Perché? E’ un filosofo materialista, Nietzsche, che ci dà la risposta.

        Ha scritto Nietzsche:

        “In verità, vi dico: un uomo deve avere il caos dentro di sé per poter generare una stella danzante. Non il motivo e lo scopo della tua azione la rendono buona, bensì il fatto che nell’azione la tua anima trema e luccica”.

           Se accettiamo questa logica essa diventa un modo nuovo non solo per cominciare a svelare il mistero, ma per riprendere il discorso col Padre sconosciuto, ed a capire perché si è così nascosto da diventare umanamente invisibile. C’è in Meister Eckhart, il grande mistico e filosofo tedesco vissuto intorno al 1260, l’eguale stupefazione che prende ancora noi quando meditiamo su tutto ciò.

               Eckhart così tradusse il testo evangelico “Surrexit autem Saulus de terra apertisque oculis nihil videbat”: Paolo si alzò da terra e, con gli occhi aperti, vide il nulla e questo nulla era Dio”. Che significa tutto ciò. Ce lo spiega lo stesso Eckhart con straordinaria intuizione mistica: “Poiché…la natura di Dio è quella di non essere simile ad alcuno, noi dobbiamo necessariamente giungere al punto di essere niente, per poter esser trasportati in quello stesso essere che Egli è”.

            Svuotarsi della mente e del corpo, abolire lo spazio e il tempo, congiungere la visione con l’azione e, dice Eckhart, “stare all’esterno come all’interno, abbracciare ed essere abbracciati, contemplare ed essere la stessa cosa contemplata, tenere ed essere tenuti in quel silenzio e in quella sospensione della coscienza umana dove Dio e creatura si possono incontrare e diventare la stessa cosa.”

In questa chiave di lettura ha ragione Teillard De Chardin quando dice che “noi non siamo esseri umani che vivono un’esperienza spirituale. Noi siamo esseri spirituali che vivono un’esperienza umana”.

 

Edda CattaniLa morte giovane
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Natuzza Evolo

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NATUZZA EVOLO : una mistica dei nostri giorni

 

 

Avviata la causa di beatificazione della Mistica Natuzza Evolo.

        A Natuzza Evolo

  Riceviamo da  Domenico Caruso da S. Martino di Taurianova (Reggio Cal.)

  Volgi su noi lo sguardo, mamma cara,

che pur vermi di terra ci sentiamo,

la vita è sempre un’esperienza amara

se nel Signore non ci confidiamo.

  Serva di Dio tu sei e fonte chiara

di bene, di preghiera, di richiamo:

Natuzza, ora dal Cielo ci aspettiamo

la grazia della pace così rara.

  Felice con la Vergine Maria

e con Gesù da te sofferto e amato

or ti vediamo in sì beato loco.

 

 Mostra a noi tutti la diritta via

che ci preservi da grave peccato

e il cor c’infiammi del divino fuoco.

                       

La mistica calabrese Natuzza Evolo, morta in concetto di santità il primo novembre 2009, era particolarmente legata agli spiriti celesti. Anzi riguardo a  tutto il suo apostolato esterno di soccorso alle tantissime persone che si rivolgevano a lei per consigli ed aiuto, si può certamente dire che esso si basava soprattutto sul dono di Dio di poter vedere costantemente oltre il proprio angelo custode anche gli spiriti celesti di coloro che si rivolgevano a lei, Natuzza ha sempre affermato che la profondità delle sue risposte e dei suoi consigli provenivano non dalle proprie capacità ma dall’essere in contatto con gli angeli di Dio. La signora Luciana Paparatti di Rosarno dichiara: “Tempo fa mio zio Livio, il farmacista, stava facendo una cura contro il colesterolo. Un giorno, andando da Natuzza, portai con me zia Pina, la moglie di zio Livio. Quando fummo ricevute, la zia le disse: “Sono venuta per mio marito, vorrei sapere …

… se le medicine sono giuste, se ci siamo affidati ad un buon medico…”. Natuzza la interruppe, dicendo: “Signora, ve ne state preoccupando troppo. C’è solo un po’ di colesterolo!”. Mia zia diventò tutta rossa e Natuzza, come per scusarsi, le disse: “L’angioletto me lo sta dicendo!”. La zia non le aveva parlato di colesterolo, aveva solo chiesto se la terapia era giusta e il medico bravo”.
Il professor Valerio Marinelli, docente universitario di ingegneria, da tutti riconosciuto come il maggior biografo della mistica calabrese dichiara: “In numerosissime occasioni ho personalmente constatato come Natuzza, dopo che le si è posto un quesito, attenda qualche attimo prima di rispondere, fissando spesso lo sguardo non sulla persona che le parla, ma su un punto vicino ad essa, ma soprattutto ho riscontrato come davvero ella è capace di dare immediatamente risposte illuminanti su questioni complesse e difficili sulle quali chi la interoga spesso non sa nulla, ed alle quali sarebbe arduo rispondere anche dopo lunghe riflessioni. Natuzza centra immeditamanet il problema e ne suggerisce la soluzione, quando vi è una soluzione; moltissime volte ho potuto poi verificare, certe volte non subito ma dopo un intervallo più o meno lungo di tempo, come davvero lei aveva ragione ed aveva risposto ottimamente. Questa velocità di giudizio su problemi di cui lei, obiettivamente, non possiede, dal punto di vista umano, gli elementi di giudizio, l’acutezza, l’intelligenza, la sinteticità e semplicità delle sue risposte, sono, a mio parere,  del tutto eccezionali e superumane, tanto che credo esse possano costituire una valida prova della sua reale capacità di colloquiare con gli angeli, spiriti puri ai quali sempre i Dottori della Chiesa hanno attriobuito intelligenza superiore, potenza e santità”.

 

“Sono rimasto impressionato dalla profonda spiritualità di questa donna. Quello che mi ha sempre attratto in lei è stata la sua semplicità e il suo senso dell’obbedienza all’autorità ecclesiastica. Natuzza non ha mai fatto niente che potesse mettere in difficoltà la Chiesa. (…) I fenomeni che lei avvertiva durante la Settimana Santa sono il segno del dono che Dio stesso le ha fatto. Natuzza, con la sua forza spirituale, è riuscita a comunicare con tutti.” Monsignor Luigi Renzo, Vescovo di Mileto.
Natuzza è una parola di Dio, come lo sono io e come lo siete voi. Però la parola di Dio deve esser saputa leggere; il guaio è che Natuzza spesso non è saputa leggere!…Natuzza è una donna di fede, è una donna di speranza, è una donna di carità. Il Vescovo vi può dire che è una donna intanto molto umile..(Monsignor Domenico Cortese)

Don Marcello Stanzione è l’autore di questi due libri, dell’edizione “Segno” molto facili da leggere, sulla storia di una mistica dei nostri giorni.

Note biografiche:

Marcello STANZIONE è nato a Salerno da una famiglia di operai il 20 marzo 1963, ha frequentato nella sua città il liceo classico “T. Tasso” ed è entrato al seminario maggiore di Napoli dove è stato discepolo del cardinale Agostino Vallini. Ordinato Sacerdote il 14 novembre 1990 è Parroco di Santa Maria La Nova nel Comune di Campagna (SA) dal 1° gennaio 1991. Ha rifondato l’8 maggio 2002 l’Associazione Cattolica (Milizia di San Michele Arcangelo – www.miliziadisanmichelearcangelo.org ) per la retta diffusione della devozione cattolica ai Santi Angeli. Insieme a Carlo Maria Di Pietro ha creato il sito miliziadisanmichelearcangelo.org ed insieme al giornalista Bruno Volpe ha creato il quotidiano cattolico online “Pontifex.Roma” . …

… Scrive sulle riviste: “Il Segno del soprannaturale” di Udine, “Lasalliani oggi in Italia” di Roma, “Il Gesù Nuovo” di Napoli, “Sussidi per la catechesi” di Roma e sul settimanale diocesano di Salerno “Agire”. Nella sua parrocchia ha creato un Centro di Angelologia, dotato di Biblioteca e Centro Documentazione, la Mostra permanente sulla devozione agli Angeli e il Centro di spiritualità “Oasi di San Michele” per campi scuola, ritiri e convegni.

Ogni anno, l’1 ed il 2 giugno, organizza e presiede il Meeting Nazionale di Angelologia.

Ha studiato Teologia alla Pontifica Università Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli,  Dottrina Sociale della Chiesa alla Pontifica Università Lateranense,  Catechetica alla Pontifica Università Salesiana, dove ha avuto come insegnante il cardinale Tarcisio Bertone, Spiritualità al Pontificio Ateneo Teresianum, Grafologia alla LUMSA e al Pontificio Ateneo San Bonaventura. Conferenziere anche all’estero, è spesso invitato a Programmi televisivi e radiofonici e attualmente cura una rubrica  sugli angeli su Radio Mater e su TeleradiopadrePio. Ha scritto:

STANZIONE Marcello, Difendere e diffondere la Fede, Editoriale Agire, Salerno  1995

STANZIONE Marcello, La lezione di Giuseppe Lazzati. Un laico al servizio del regno di Dio, Editoriale Agire, Salerno 1993

STANZIONE Marcello, Preghiere di guarigione psico-fisica e di liberazione, Tipografia Ebolitana, Eboli (SA) 1999

STANZIONE Marcello, Preghiere all’Arcangelo San Michele, Edizioni Il Melograno, Salerno 2005

STANZIONE Marcello, Preghiere dei cristiani ai Santi Angeli di Dio, Tipografia Ebolitana, Eboli (SA) 1998

Un Sacerdote della Chiesa Cattolica (STANZIONE Marcello), Preghiere con gli Angeli, Edizioni Shalom, Ancona 2000

STANZIONE Marcello, Gli Angeli nostri amici, Edizioni Paoline, Milano 2001. (Tradotta in Portoghese e Polacco)

STANZIONE Marcello, La Via Angelica. Itinerario verso Dio in compagnia dei Santi Angeli, Edizioni Gribaudi, Milano 2004. (Tradotta in francese dalle Édictions Bénédictines)

STANZIONE Marcello, Preghiere di guarigione psico-fisica e di liberazione, (2ª Edizione), Edizioni Il Melograno, Salerno 2005

STANZIONE Marcello, 365 giorni con gli Angeli, Edizioni Gribaudi, Milano 2006

STANZIONE Marcello, (a cura di), L’Arcangelo San Michele, l’Archistratega di Dio, Edizioni Segno, Udine 2006

STANZIONE Marcello, (a cura di), Il ritorno degli Angeli oggi: tra devozione e mistificazione, Edizioni Segno, Udine 2007

STANZIONE Marcello, (a cura di), Gli Angeli dei Mistici, Edizioni Segno, Udine 2007

STANZIONE Marcello, 365 giorni con San Michele Arcangelo, Edizioni Segno, Udine 2007

STANZIONE Marcello, Occultismo: Una sfida per il cristiano, Edizioni Il Segno dei Gabrielli, San Pietro in Cariano (VR) 2007

STANZIONE Marcello, San Pio da Pietrelcina e l’Arcangelo San Michele, Edizioni Gribaudi, Milano 2007

STANZIONE Marcello, Pregare con gli Angeli buoni, Edizioni Il Segno dei Gabrielli, San Pietro in Cariano (VR) 2007

STANZIONE Marcello, 365 giorni con San Raffaele Arcangelo, Edizioni Segno, Udine 2008

STANZIONE Marcello, 365 giorni con San Gabriele Arcangelo, Edizioni Segno, Udine 2008

STANZIONE Marcello, Un Anno con gli Angeli, Edizioni Segno, Udine, 2008

STANZIONE Marcello, (a cura di), L’Arcangelo Raffaele: Celeste farmaco di Dio, Edizioni Segno, Udine 2008

STANZIONE Marcello, Gli Angeli e Santa Faustina Kowalska, Gribaudi, Milano 2008

STANZIONE Marcello, Gli Angeli di San Pio da Pietrelcina, Edizioni Segno, Udine 2008

STANZIONE Marcello, Un Mese con gli Angeli, Edizioni Segno, Udine 2008

STANZIONE Marcello, Un mese con San Michele Arcangelo, Edizioni Segno, Udine 2009

STANZIONE Marcello, (a cura di) Gli Angeli, i militari e le forze dell’ordine, Edizioni Segno, Udine 2009

STANZIONE Marcello, 365 giorni con i tre Arcangeli: Michele,  Gabriele e Raffaele. Edizioni Segno, Udine 2009

STANZIONE Marcello, San Paolo il mistico degli angeli, Gribaudi, Milano 2009

STANZIONE Marcello, La regina degli Angeli, Edizioni Villadiseriane, Bergamo, 2009

STANZIONE Marcello, Come difendersi dal demonio, Edizioni Villadiseriane, Bergamo, 2009

STANZIONE Marcello, 365 giorni in compagnia del Curato d’ars, Gribaudi, Milano 2009

STANZIONE Marcello, Il Satanismo, Gribaudi, Milano 2010

STANZIONE Marcello, (a cura di) Gli Angeli dei presbiteri, Edizioni Segno, Udine 2010

 

Edda CattaniNatuzza Evolo
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La Pasqua del teologo

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Alberto Maggi sul numero di Pasqua de “La Repubblica”.

(Recordes)

Un’interessante intervista di Antonio Gnoli.

 

<<Cosa ti dà la certezza di essere sulla strada giusta?>>, chiede il giornalista.

<<Avere ricevuto qualcosa dai cuori delle persone, dai tanti che mi scrivono e con cui parlo; e avere reso questo convento un microcosmo bello: luogo di preghiera, certo. E di accoglienza degli emarginati. Ma anche centro di studi biblici aperto a tutti: atei e agnostici, cattolici e credenti di altre regioni>>, risponde un ispirato Alberto Maggi, all’intervista ritratto che gli dedica il giornalista Antonio Gnoli. Questo è uno dei primi passi di un pa lunga intervista a Padre Alberto Maggi.

L’articolo di due pagine con disegno di Riccardo Mannelli, è pubblicato oggi su “La Repubblica”, con un impaginazione importante e centrale nel prestigioso quotidiano.
Gnoli parla con Alberto Maggi della sua vita, della attività di scrittore e divulgatore che lo impegna assiduamente ma senza mai dimenticare l’amore per le persone.
Quando ho chiesto ad Alberto nei giorni fa, una sintesi dell’intervista, mi ha risposto con la sua umanità diretta e simpatica schiettezza: <<… È difficile dirlo, sono state ben quattro ore di intervista dall’infanzia a oggi: gli studi, la vita, la fidanzata, il rapporto con i vescovi… insomma si è parlato di tutto. Ne è venuto fuori un ritratto narrato con conversando…>>.

Alberto ha parole importanti anche per Montefano: <<In questo lembo di terra, è rinata tanta gente>>. Ma il suo primo impatto con il convento di Montefano non fu del tutto felice. <<Fui allontanato dalla Facoltà di Teologia dell’Università Gregoriana da un Padre Provinciale, dopo una sorta di processo canonico, e spedito in un posto remoto Montefano>>. <<Che luogo trovasti?>>, gli chiede il giornalista. <<Desolante. Ormai inattivo da tempo, trovai nel convento un vecchio frate. A Montefano non c’erano libri, non c’era nulla in convento. Riempivo il tempo dedicandomi all’oro e alle galline. Poi un giorno vennero dei giovani, trascorsero alcuni giorni con me. Vollero che gli leggessi e commentassi dei passi del Vangelo. Provai, mostrando tutta la mia inadeguatezza. Fu allora che chiesi il permesso continuare a studiare…>>. In questo episodio si può trovare quella sintesi dell’intervista che chiedevo ad Alberto, anche perché si toccano gli aspetti della sua quasi “eresia”. Nel suo ordine dei Servi di Maria, ci sono stati tanto gli inquisitori del Santo Uffizio, quanto chi dava lavoro al Santo Uffizio. La sua vita, la sua stessa presenza con gli altri, genera rinascita, a partire dall’aridità delle coscienze: basta avere la sua stessa voglia curiosa per la vita e la conoscenza, senza fermarsi alle comode apparenze. Da un luogo bucolico e pieno di orti, la presenza di Alberto Maggi ha trasformato il convento di Montefano in quello che è oggi diventato, con l’insostituibile presenza umana e teologica, oltre che di raffinata cultura di Padre Ricardo Perez Marquez. 

Un’intervista da leggere tutta, da togliere il fiato.

 

Edda CattaniLa Pasqua del teologo
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Sacra Sindone e Volto Santo

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Un ricordo e una storia importante in ricordo dell’evento

LA   SACRA   SINDONE E IL  VOLTO  SANTO  DI   MANOPPELLO  

     ( Studio e ricerca svolta sul parallelismo di queste due sacre immagini )

L’ostensione della Sacra Sindone 2015 dopo quella del 2010


Il Telo è stato visibile per la prima volta dopo l’importante intervento di conservazione del 2002, attraverso cui sono stati asportati i lembi di tessuto bruciato a Chambéry nel 1532, le toppe apposte allora dalle suore Clarisse e sostituito il telo d’Olanda che fungeva da supporto.
Novità dell’ostensione ha riguardato anche il percorso di avvicinamento al Duomo che, arricchito di informazioni rispetto alle precedenti ostensioni, dai Giardini Reali bassi, attraverso uno dei punti più affascinanti del Polo Reale, la Manica nuova, per sbucare poi sul piazzale del campanile. Nella sala della prelettura proiettate le nuove immagini del Telo ad altissima risoluzione. Diversa anche la collocazione della Penitenzieria, che ha trovato spazio a Palazzo Chiablese, e, tra le altre novità, la presenza di un bookshop al piano terreno del Palazzo della Regione, in piazza Castello.


Ricordiamo un grande avvenimento 

La sistemazione della Sindone nel Duomo di Torino

 “L’ostensione è essenzialmente un evento spirituale e religioso e non commerciale o turistico”. Parole dell’Arcivescovo di Torino, il cardinal Severino Poletto, rivolte ai giornalisti presenti nell’aula magna del Seminario Metropolitano nel corso conferenza stampa convocata 48 ore prima dall’apertura ufficiale dell’ostensione della Santa Sindone nella cattedrale di Torino, la prima del terzo millennio, all’insegna del motto «Passio Christi, passio hominis» scelto dall’Arcivescovo per sottolineare come «la passione di Cristo riassuma in sé tutte le sofferenze degli uomini».

Sindone: in una settimana oltre 200.000 pellegrini   
Domenica 18 aprile anche 4.500 militari

 

 

A una settimana dall’apertura dell’ostensione è ora di fare i primi bilanci. Da sabato 10 a venerdì 16 aprile, sono passati davanti alla Sindone 208.069 pellegrini prenotati. Altre 68 mila persone circa sono entrate in Duomo dalla porta centrale. Sempre alla data di venerdì le prenotazioni hanno raggiunto la cifra di 1.634.668 persone. La porta centrale del Duomo si conferma, come nelle precedenti ostensioni, un punto importantissimo di accesso alla Sindone: sono molti, infatti, i «non prenotati», soprattutto torinesi, che entrano in chiesa e si fermano per qualche minuto a vedere con più calma il Sacro Lino.
Sono stati oltre 2000 i giovani che sabato sera hanno partecipato alla “notte bianca” di riflessione e meditazione davanti alla Sindone, organizzata dalla Pastorale giovanile diocesana di Torino e guidata dal cardinale Arcivescovo di Torino Severino Poletto.
Questa mattina, dopo la messa nella Basilica di Maria Ausiliatrice celebrata dall’Ordinario militare per l’Italia  mons. Vincenzo Pelvi, 4500 militari di ogni ordine e grado, fanfara in testa, sono sfilati in corso Regina Margherita con i loro famigliari per raggiungere viale I Maggio. Accolti dal presidente del Comitato per l’Ostensione prof. Alfieri e da mons. Ghiberti erano presenti, tra mostrine e stellette, numerosi comandanti e allievi delle Forze di Polizia, delle Forze Armate e dei Vigili del Fuoco.
Intanto dalle prime luci dell’alba è ripreso il pellegrinaggio dei fedeli provenienti da tutta Italia e da Francia, Ucraina, Stati Uniti e Sri Lanka.

Vediamo ora “Il Volto Santo” a Manoppello

 

 Sacra Sindone e Volto Santo Manoppello VIDEOCLIP

Era il 1999 e una notizia sorprendente veniva da Manoppello, un piccolo ma popoloso borgo di case disposte a schiera intorno al primitivo castrum, nell’Abruzzo ai piedi della Majella. Proprio qui, “dimenticata da 400 anni”, così si sentiva dire, si trovava la Veronica (la “vera icona”), il velo su cui sarebbe rimasto impresso il Volto di Gesù Cristo e che si trovava una volta nella basilica di San Pietro a Roma. Un gesuita tedesco e storico dell’arte, che dal 1966 vive a Roma, il padre Heinrich Pfeiffer, aveva esaminato la reliquia di Manoppello dal punto di vista storico ed artistico ed era sicuro di aver identificato l’originale del velo santo. Un fatto che apriva vaste discussioni scientifiche, storiche e religiose. Si poteva, giusto in tempo per il Grande Giubileo e dopo quasi 2000 anni dalla Crocifissione, conoscere l’aspetto di Gesù? Sì, secondo padre Heinrich Pfeiffer, professore tedesco di iconologia e storia dell’arte cristiana all’Università Gregoriana di Roma.

Per tredici anni padre Pfeiffer si era dedicato ad approfondite ricerche su una reliquia che non era mai stata presa in seria considerazione dalla scienza. La reliquia, un velo di cm 17 x 24, si trova custodita nella chiesa del Convento dei frati cappuccini nel paese abruzzese di Manoppello. Mentre la Sindone di Torino, il lenzuolo funerario nella quale – secondo Matteo 27,59; Marco 15,46; Luca 23,52 – è stato avvolto Cristo, costituisce l’oggetto religioso e archeologico più esaminato del mondo (dalla scienza che si chiama Sindonologia), il velo di Manoppello è stato dimenticato dalla scienza per 400 anni.

Ciononostante, da quattro secoli il Santuario del Volto Santo di Manoppello è meta di pellegrini provenienti dall’Italia e da altre parti del mondo. Studiosi, teologi, filosofi, scrittori, artisti, uomini dotti, personaggi ecclesiastici e politici hanno sostato dinanzi al Volto Santo. Come tutti i santuari anche questo è “luogo di conversioni, di riconciliazione con Dio e oasi di pace” (papa Giovanni Paolo II), una “stazione e clinica dello spirito” (papa Paolo VI).

Il Volto Santo è di fatto un velo tenue, i fili orizzontali del tessuto sono ondeggianti e di semplice struttura, l’ordito e la trama, non troppo fine e visibile ad occhio nudo, si intrecciano nella forma di una normale tessitura. Le misure del panno sono 17 x 24 cm. È l’immagine di un viso maschile con i capelli lunghi e la barba divisa a bande. Caso unico al mondo in cui l’immagine è visibile da entrambe le parti, le tonalità del colore sono molto tenui, gli occhi guardano molto intensamente da una parte e verso l’alto, e le pupille sono completamente aperte, anche se in modo irregolare. La cosa sorprendente è che sulla base di esami scientifici con riprese digitali, osservazioni sotto luce ultravioletta e al microscopio, il velo non presenta tracce di pigmenti o pitture.

Da dove viene questa misteriosa reliquia? Secondo la tradizione, che si basa su una relazione storica scritta da Padre Donato da Bomba nel 1640, giunse a Manoppello in un giorno imprecisato del 1506, quando il fisico e astrologo Giacomo Antonio Leonelli, mentre conversava con alcune persone, vide arrivare uno sconosciuto pellegrino che, rivolgendosi a lui, lo invitava a seguirlo all’interno della Chiesa. Qui gli consegnava un misterioso velo involto, con la raccomandazione di prendersi cura del misterioso oggetto, dal quale avrebbe ottenuto preziosi benefici materiali e spirituali. Mentre l’uomo incuriosito svolse il velo, scoprendone con stupore e commozione il viso di Cristo dipinto, il pellegrino scomparve, senza lasciare traccia.
Il velo rimase in casa Leonelli per quasi cento anni; ma nel 1608 i diversi eredi cominciarono a contenderselo come eredità; ebbe la meglio Pancrazio Petrucci, un soldato, marito di una degli eredi, Marzia Leonelli, che irruppe con arroganza portandoselo via con la forza. La famiglia Leonelli da quel giornò cominciò ad andare in rovina. Tempo dopo Pancrazio fu arrestato ed imprigionato a Chieti, e la moglie per riscattarlo fu costretta a vendere il prezioso velo a Donantonio De Fabritiis.
Non essendo in buone condizioni, quest’ultimo pensò bene di mostrarlo ai Frati Cappuccini anche per accertarsi dell’effettivo valore, i quali, felici di essere entrati in possesso di quella reliquia prodigiosa, si preoccuparono di proteggerlo all’interno di una cornice, ancora oggi visibile. Nel 1683 De Fabritiis ne fece quindi dono ai Cappuccini, che nel 1646, dopo l’autenticazione notarile, esposero la reliquia alla pubblica venerazione.

Nel corso degli anni però numerosi studiosi e uomini di Chiesa sono andati alla ricerca della verità storica. Padre Heinrich Pfeiffer, gesuita e docente di iconologia e storia dell’arte cristiana all’Università Gregoriana di Roma, afferma che il velo di Manoppello è la Veronica Romana. Secondo la ricostruzione storica, la Veronica, in origine chiamata appunto “acheiropoietos” raggiunse Costantinipoli nel VI secolo (proveniente dapprima da Gerusalemme e poi dalla Camelia, in Cappadocia). Vi rimase fino al 705, quando misteriosamente scomparve, secondo alcuni storici per preservarla dai movimenti iconoclasti del periodo. Raggiunse Roma durante il periodo di Papa Gregorio II e, dopo varie vicissitudini finì nell’antica Basilica di San Pietro, dove diventò un’importante meta religiosa di migliaia di pellegrini. Dopo la demolizione della cappella ove era custodita la Veronica, nel 1608, se ne persero le tracce, e tutto lascerebbe pensare che il velo comparso a Manoppello sia proprio la storica e leggendaria Veronica.

La cosa più sorprendente emerge solo a partire dal 1978, quando suor Blandina Paschalis Schloemer, un’esperta iconografa, come risultato di alcune ricerche ed indagini, affermò che il volto di Manoppello e quello ritratto dalla Sacra Sindone di Torino, sono esattamente sovrapponibili. I tratti sono infatti gli stessi: viso ovale leggermente rotondo e asimmetrico, capelli lunghi, un ciuffo di capelli sopra la fronte, la bocca leggermente aperta, lo sguardo rivolto verso l’alto. In seguito ad ulteriori ricerche condotte dallo stesso Pfeiffer e Padre Bulst, sindonologo, la relazione tra la Sindone e il Volto Santo sarebbe quasi una certezza, ed alle loro scoperte è dedicata una mostra permanente all’interno del Santuario dove è possibile vedere i test e le prove fotografiche dei loro studi.
Ad avvalorare la loro ipotesi sarebbe anche il fatto che, almeno secondo le cronache storiche, la Sindone avrebbe avuto un percorso storico/geografico molto simile a quello fatto dalla Veronica. Secondo i due studiosi la Sindone ed il Velo, sarebbero stati poggiati entrambi sul volto di Cristo, e a questo deriva la loro sovrapponibilità. Parallelamente sarebbero quindi partiti da Gerusalemme alla volta di Camelia, per poi raggiungere Costantinopoli. Da qui le loro strade si sarebbero però divise.


 

 

 

 

Edda CattaniSacra Sindone e Volto Santo
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Il lettone delle feste

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IL LETTONE DELLE FESTE

Ho vissuto un’infanzia poverissima e anche la mia vita di giovane sposa è stata pervasa da ristrettezze con tarde possibilità di migliorare la nostra situazione economica. Ricordo però che il giorno di Pasqua e di Natale, mamma e papà non lavoravano e allora si stava un po’ più di tempo a letto. Papà mi diceva:”Vieni qui Gagina (così mi chiamava “biondina”)”… e io non me lo facevo dire due volte. Correvo nel lettone caldo ed entrambi mi abbracciavano…. In quei momenti dimenticavo le precedenti giornate, quando mi svegliavo al freddo, senza alcuna presenza in casa…e, dopo aver bevuto un po’ di latte freddo senza zucchero (e chi l’aveva a quei tempi….) mi incamminavo per raggiungere a piedi, con una pesante cartella di tela al collo,  la scuola distante qualche chilometro. Ecco perché la festa era sacra per me….quante coccole attese, calde, sognate, sperate…. durante tutto l’anno. Poi con Papà si puliva casa, si rifacevano i letti e mamma preparava qualcosa di frugale, ma comunque speciale e per tutti noi era una giornata d Paradiso…

Sono diventata giovane sposa ed ho sempre rimpianto quei momenti…. Infatti a Mentore non piaceva trattenersi a letto il mattino e, in qualsiasi giorno, non appena sveglio scendeva velocemente dal letto per fare le sue cose. Allora, nei giorni di festa io avevo tanto da fare…. C’era la messa comunitaria e i bambini da preparare, la casa da pulire…. qualcosa di speciale, anche se molto semplice che ci facesse sentire famiglia, intorno a un desco. Anche questa giornata di giovane sposa avrei voluto fosse sacra per me…. Ma la fatica, lo sforzo, la famiglia pesante mi causavano anche tanta fatica che si accumulava a quella di tutta a settimana…e allora, quando Mentore mi diceva: “Vuoi che andiamo a fare una passeggiata?” …io ero già a pezzi e rispondevo…”non importa”….mentre sentivo e vedevo le famiglie del vicinato che uscivano, andavano sull’argine a raccogliere bruscandoli e margherite…. Ma io non avevo aiuto da alcuno e da sola non riuscivo a concedermi niente. C’è uno psicologo americano che parla di “occasioni perdute”….Ecco quello che mi era mancato e che con l’arrivo di un certo benessere e dell’età non è più arrivato….mi ha segnato e ancora, pensandoci provo tanta malinconia….

 

Oggi è la vigilia di Pasqua e io mi ritrovo sola, ma forse, per età, per esperienza, mi sento di dirvi: “godetevi la famiglia, amate i giorni di festa, state uniti finché potete farlo….. e il Signore Gesù, vedendo la gioia e la pace familiare sorriderà su di voi!.”

RABINDRANATH TAGORE

 Cogli questo piccolo fiore

 

Cogli questo piccolo fiore

e prendilo. Non indugiare!

Temo che esso appassisca

e cada nella polvere.

Non so se potrà trovare

posto nella tua ghirlanda,

ma onoralo con la carezza pietosa

della tua mano – e coglilo.

Temo che il giorno finisca

prima del mio risveglio

e passi l’ora dell’offerta.

Anche se il colore è pallido

e tenue è il suo profumo

serviti di questo fiore

finché c’è tempo – e coglilo.

…..e in tanta tenerezza…. giunge lo scritto di Fra Benito…. troppa poesia e incanto per me:

.. la mia Pasqua del 2012, che profumava di donne ..

.. dicono, ed è vero, che Gesù non ha avuto nemici tra le donne .. e alle donne ha riservato solo sguardi di passione e parole di seducente tenerezza .. per questo, passione, morte e resurrezione del Figlio di Dio, sono stati attraversati dai loro profumi, dai loro occhi, dalle loro attenzioni ..

Sono su un monte che non è né Golgota, né Tabor, e vivo tra sogno e realtà, in un crocevia di cuori, come canta un amico prete. Quassù mi sento cercatore ribelle, per amore, e per antica attrazione, e sogno lentamente, come un prigioniero, in cerca di pace e leggerezza, consapevole però che ‘il sogno non attende la realtà’ .. che pure verrà.

E in questa Pasqua attesa ho pensato a voi, creature preferite, forti e fragili, leggere e profonde, e sempre più scosse da una stagione del vivere che vi immerge tra violenze e soprusi .. donne .. che della violenza e dell’ingiustizia incise sulla carne di Dio siete state testimoni dolorosamente privilegiate, fino a portarne quotidianamente i segni di vita e di morte sul vostro corpo … anche per questo siete la genesi dell’Uomo nuovo, anche per questo, per prime, avete ricevuto la primizia della Risurrezione ..

Allora, spingo un pensiero d’augurio, coi capelli al vento, che porti la libertà della Luce alle vostre fatiche e ferite del cuore: quella che sta sbocciando sia per voi una Pasqua dolce, una libera Pasqua, senza paure, senza lividi, piena di profumi, di fiori, di danze d’amore, di grembi fecondi .. e finalmente trovino voce le vostre speranze taciute, e nuovi cieli illuminino le vostre primavere tradite .. e baciate il Risorto, perché ‘quando il Cielo bacia la Terra la terra sogna’ ..

fra Benito

Pasqua a Malfolle, 8 aprile 2012

Edda CattaniIl lettone delle feste
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Dalle ferite

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Dalle ferite

Di Alessandro Dehò

(Giovanni 13,31-33.34-35)
V domenica di Pasqua 2016

 

Deho 

E Giuda lascia un vuoto. Risucchiato dalla notte tremenda, notte che puzza di tradimento e di sangue. Masticato a morte da quel buio che si portava dentro e che, ad un cero punto, non è più riuscito a contenere, ucciso da se stesso, dall’incapacità di convertire la sua attesa di Dio. Giuda lascia un vuoto. L’ennesimo, non l’ultimo nella vita del Maestro. Messia costantemente chiamato a fare i conti con una vita che ferisce, che abbandona, che disegna spazi di solitudine in un cuore che chiedeva solamente di essere amato. Gesù da sempre deve fare i conti con il Vuoto. Quello lasciato da affetti che si allontanano, tradimenti, incomprensioni, silenzi.

La vita di Gesù è segnata da questi continui squarci, da queste ferite, mancanze, svuotamenti, da questo incessante doversi scoprire, come se la vita lo prendesse a morsi e lo spogliasse continuamente. Come se il Vuoto e l’Assenza fossero condizione essenziale del suo manifestarsi. Spogliato, Dio nudo tra le braccia di Maria, fasciato e deposto in una mangiatoia che già parla di donazione. Dio nudo ed esposto scagliato contro l’ipocrisia del potere politico e religioso. Dio nudo sulla croce, spogliato della veste, come l’antico Giuseppe di Genesi, entrambi venduti dai fratelli. Gesù, il Dio dell’Assenza, quella che lascia dietro di sé svuotando un sepolcro e lasciando solo fasce, piegate, a parlare di Lui.

Giuda, tradendo, lascia il suo vuoto. Un amico che tradisce, un’altra strada, un’altra verità, la morte appesa ad un ramo: l’identità dei dodici sfregiata per sempre: Giuda sceglie una via, una verità e una vita diverse da quelle di Gesù: è una ferità al volto di Dio. Gli altri, in diverso modo, lo seguiranno. Giuda lascia il suo vuoto e Gesù avrebbe avuto vita facile, poteva utilizzare quel movimento per mettere in guardia gli amici rimasti, poteva sfogare sul traditore il risentimento e la paura invece. Invece: mistica dell’Assenza, trasfigurazione del Vuoto, la ferita non sanguina parole amare ma Gloria. “Il figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui”. Io immagino il silenzio di stupore, Giuda esce di scena e il vuoto non si riempie di risentimento, non una parola, solo silenzio e stupore per quelle parole pacificate: come se da una ferita sanguinasse luce. Questa mi sembra essere la mistica dell’Assenza che siamo chiamati a imparare. Come se da un legno secco germogliasse primavera. Come se dalla violenza si potesse generasse vita. Il Vuoto diventa così condizione essenziale dalla Gloria, la violenza dell’Assenza diventa occasione per la Pace, il tradimento opportunità per rilanciare l’Amore.

La ferita non sanguina parole amare ma Gloria. La Gloria del Figlio dell’uomo è la manifestazione della Luce a partire dal dolore. Gloria è l’epifania del Volto di Dio, la narrazione del Divino. Glorificare è lasciar fluire l’amore dalle ferite che la vita infligge. Ecco cosa significa glorificare il figlio dell’uomo. La vita di Gesù è questo mistero d’amore commovente in cui niente gli è stato risparmiato, l’avventura umana vissuta nella sua feroce totalità, dalle vette dell’amore impossibile ai tradimenti dagli affetti più vicini, l’intensità dell’Amore e del suo contrario ma sempre, sempre, la scelta di Gesù è quella di lasciar fluire luce anche dalle ferite. È una sfida con la morte, da subito, da sempre. La resurrezione non è il colpo di teatro finale e inaspettato ma la pienezza di una vita che è riuscita a non lasciarsi conformare alla violenza. Vita che è riuscita a trasformare la violenza stessa in possibilità di vita. Persino il tradimento di un amico diventa motivo di Gloria. L’uomo glorificato è colui che non si vendica, che non umilia chi sbaglia, che riesce a custodire la scelta di amare oltre misura. L’uomo glorificato è l’uomo che riesce a non disumanizzarsi, nemmeno quando la vita si scaglia con violenza ingiusta e terribile. Giuda lascia un vuoto ma quel vuoto diventa possibilità. Giuda ferisce ma da quella carne aperta soffre la luce.

Mi pare questa la mistica del Vuoto, la trasfigurazione a cui siamo chiamati. In modo certo più quotidiano, accettando i limiti e gli inevitabili compromessi con la nostra mediocrità. Ma questo è il passaggio richiesto dalla Parola per non ridurre l’amore vicendevole a parola senza suono, senza senso.

L’amore è la manifestazione della Gloria di Dio. Dio è stato glorificato in lui. La manifestazione di Dio passa dalla vita ferita. La Gloria passerà dalla vita ferita sulla croce, l’assenza di quella che chiamiamo gloria umana in verità sarà il passaggio per mostrare il vero volto di Dio. La manifestazione di Dio attraversa l’Assenza. Respira da un sepolcro che non mostra niente se non il Vuoto. Allora capiamo le parole di Gesù ancora per poco sono con voi, Gesù non fa altro che preparare i suoi ad un vuoto radicale: la sua assenza. E loro saranno chiamati a riempire quell’Assenza, trasformando la ferita in feritoia di luce.

Come trasfigurare l’Assenza? Con l’amore. Un amore vicendevole che non dimentichi però l’insegnamento evangelico. Non un imperativo moralistico ma l’Amore come manifestazione della identità profonda dell’Uomo. L’amore come glorificazione di Dio. L’amore secondo il Vangelo non può raccontarsi se non partendo dal Vuoto che è in noi, riconoscendolo. Amandolo.

Noi siamo umanità ferita, bisognosa di amore. Noi siamo assenza di Senso se due occhi non ci avvolgono di tenerezza. Noi siamo vuoto se nessuna parola di Amore arriva a toccarci il cuore. Solo quando riusciremo a narrare con verità questo profondo bisogno che ci abita sapremo uscire da noi stessi. Solo quando sapremo guardare l’uomo che abbiamo davanti riconoscendo in lui la ferita che chiede carezze, il vuoto che chiede parola, l’assenza che supplica sguardi, solo allora riusciremo a non ridurre l’amore vicendevole a comandamento imposto o ad inutile ripetizione di gentili inutili a parole senza carne.
La mistica dell’Assenza è la grammatica indispensabile per non svuotare di senso la parola Amore, peccato grave che spesso compiamo. È l’unico modo per vivere la fedeltà alla terra. La fedeltà a questa vita umana che chiede solo di essere pazientemente trasfigurata. Dalle ferite, la luce.

 


Edda CattaniDalle ferite
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Un apostolo martire

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Il martire Romero Vescovo

Romeo

Óscar Arnulfo Romero y Galdámez (Ciudad Barrios, 15 agosto 1917San Salvador, 24 marzo 1980) è stato un arcivescovo cattolico salvadoregno.

Fu arcivescovo di San Salvador, capitale di El Salvador. A causa del suo impegno nel denunciare le violenze della dittatura militare del suo paese, fu ucciso da un cecchino degli squadroni della morte, mentre stava celebrando la messa nella cappella di un ospedale. È venerato come beato dalla Chiesa cattolica.

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“Non credo nella morte senza resurrezione: se mi uccidono, risorgerò nel popolo salvadoregno. Lo dico senza superbia, con la più grande umiltà. In quanto pastore ho l’obbligo, per divino amore, di dare la mia vita per coloro che amo, ossia per tutti i salvadoregni, anche per coloro che potrebbero assassinarmi.” 
Oscar Romero

 

Romero


PRIMO INCONTRO TRA ROMERO E WOJTYLA, ERA IL 1978

«Wojtyla era stato eletto da poco. Al termine dell’udienza generale in piazza San Pietro, Romero si presentò al Papa dicendo di essere arcivescovo di San Salvador e il Papa con il dito alzato gli disse: “Fai attenzione con il comunismo!”. Romero subito si agitò e poi rispose subito: “Sì Santo Padre, capisco la sua preoccupazione ma devo dirle che il comunismo in Salvador non è lo stesso che in Polonia. Nel mio Paese accusano di essere comunista anche chi parla della Dottrina Sociale della Chiesa”. E Wojtyla aggrottò le ciglia, evidentemente insoddisfatto della risposta. Romero dopo quell’incontro ebbe un’impressione negativa: “Sento che con questo Papa non m’intenderò molto”, mi disse, “è molto diverso da Paolo VI”». 

testimonianza di Jesus Delgrado, segretario personale di Oscar Romero

In memoria del vescovo Romero

In nome di Dio vi prego, vi scongiuro, / vi ordino: non uccidete! / Soldati, gettate le armi… / Chi ti ricorda ancora, / fratello Romero?
Ucciso infinite volte / dal loro piombo e dal nostro silenzio. / Ucciso per tutti gli uccisi; / neppure uomo / sacerdozio che tutte le vittime / riassumi e consacri.
Ucciso perché fatto popolo: / ucciso perché facevi / cascare le braccia / ai poveri armati, / più poveri degli stessi uccisi: / per questo ancora e sempre ucciso.
Romero, tu sarai sempre ucciso, / e mai ci sarà un Etiope / che supplichi qualcuno / ad avere pietà. / Non ci sarà un potente, mai, / che abbia pietà / di queste turbe, Signore? / nessuno che non venga ucciso? / Sarà sempre così, Signore? »

David Maria Turoldo

 

 

Edda CattaniUn apostolo martire
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Corpo mente coscienza

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CORPO MENTE E COSCIENZA


Alla rete www.scuoladelvillaggio.it proponiamo questa argomento di ricerca.
Ciò che ci fa fratelli universali è il bisogno di dare significato all’esistenza ed evitare la sofferenza di una vita senza senso.
Al di là delle appartenenze sociali, politiche e religiose, c’è l’impegno ad apprezzare la vita; il vuoto esistenziale può creare drammi.
La vita è per te ciò che immagini che sia. Non sei disturbato dalla realtà ma dall’interpretazione, dal commento che fai. “Da che parte guardi il mondo tutto dipende” … (Jarabe De Palo)

 

Dove conduci il pensiero, là porti energia.

 

Puoi anticipare con il pensiero ciò che vuoi ottenere con il comportamento.
Chi ha motivi per vivere è anche biologicamente più vitale. Ti giova dare precedenza agli aspetti favorevoli: apprezza volti, sorprese, momenti di felicità seminati lungo il cammino del giorno. Vivi il presente puro, pieno e gratuito: adesso che stai bene, ti accorgi che stai bene? Adesso che sei sereno, ti accorgi che sei sereno? Adesso che hai… ti accorgi di quello che hai?
Le “prove per assenza” aiutano ad apprezzare ciò che c’è.  Qualsiasi evento sopraggiunga puoi dire: Sono qui, sono vivo, sono quello che sono, apprezzo ciò che c’è e metto armonia in ciò che vivo.” Queste parole penetrano nella mente inconscia, ti fanno compagnia e poi affiorano quando ne hai bisogno.
Lo sguardo fiducioso verso la vita ti aiuta a scoprire e a creare senso…

 Tu sei pittore, il mondo acquista i tuoi colori!


L’arte meditativa educa il carattere a vuotare la mente dal traffico dei pensieri e poi arredarla con pensieri amici che la possano guidare;

 

distingui bene le due fasi: vuotare e arredare.

 

C’è un equilibrio importante tra autonomia e compagnia; tra abitare con te e abitare con la gente. Confrontandoti e dialogando, ti conosci meglio e scopri le tue specialità. Il gruppo degli amici sicuri ti protegge e ti promuove.

Un altro equilibrio da rispettare è quello tra azione e contemplazione: se sei troppo teorico, equilìbrati con la manualità, e se sei troppo estroverso nel fare, equilìbrati nell’interiorità del contemplare. Ricorda l’equilibrio del pendolo.

 

AUGURIO: tieni questo foglio nel taschino, espandi la ricerca con dialoghi e interviste. Noi ti possiamo aiutare.

 

 

Edda CattaniCorpo mente coscienza
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S. Giuseppe, padre dei bambini

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Chi accoglie anche uno solo di questi bambini…”

 Oggi rinnovo questo articolo e lo dedico a Mentore Padre per sempre!

 

Finito il carnevale, con il  rito dell’imposizione delle Ceneri è iniziata la quaresima e lo sarà per tutto il mese di marzo. Una buona, lunga occasione che ci richiama alla riflessione sulla sacralità dell’esistenza e della vita.

Ancora una volta ci sentiamo invitati a considerare il tema dell’infanzia con le parole di Gesù: “Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me” (Mt 18,5) e per me, che ho dedicato gran parte della mia esistenza all’educazione dei minori, è un riscoprire la fiducia nella parola del Figlio di Dio e, ad un tempo, coltivare l’invito che mi fece il mio Andrea: “Fai per gli altri ragazzi quello che hai fatto per me”.

Condividere la sorte dei piccoli e dei poveri. è  opportunità di riflettere sulla condizione dei bambini, è un’esortazione a esaminare come sono trattati nelle nostre famiglie e nella società civile,  è urgente  richiamo alla semplicità e alla fiducia che il credente deve coltivare. Le parole del Santo Padre divengono esplicite: “Gesù amò i bambini e li predilesse per la loro semplicità e gioia di vivere, per la loro spontaneità, e la loro fede piena di stupore (Angelus del 18.12.1994)”.  Ai bambini Gesù affianca i “fratelli più piccoli”, cioè i miseri, i bisognosi, gli affamati e assetati, i forestieri, i nudi, i malati, i carcerati. Accoglierli e amarli, o invece trattarli con indifferenza e rifiutarli, è riservare a Lui lo stesso atteggiamento, perché in loro Egli si rende particolarmente presente.

            Fra tutti i miseri ci siamo anche noi, perché provati dalla perdita più grave che possa esistere, molto più di una lacerazione fisica, del dissolvimento della nostra integrità corporea. Abbiamo sentito in questi tempi della piccola tredicenne, campionessa di ginnastica, ritrovata morta in un campo di sterpaglie…. E ancora prima un’altra adolescente gettata in un pozzo e poi che ne è stato delle gemelline? Di fronte a drammi così evidenti, mi sono chiesta cosa avrei provato io al posto di quei genitori e quale sarebbe stata la mia risposta ad un dilemma di questo tipo

”… di quale morte vorresti aver perduto tuo figlio? Preferiresti aver tu perduto un arto…”.

Sebbene la stampa di questi giorni ci riporti a casi di  persone disposte a morire pur di non avere un piede tagliato,  “mio figlio”  è una parte di me! E non c’è arto che lo possa sostituire.

            Esempi di Madre Coraggio ne esistono a decine, forse centinaia e migliaia sono sconosciuti e la risposta è ovvia: qualsiasi madre rinuncerebbe alla propria integrità pur di vedere sopravvivere il proprio figlio: Allora dove sta il problema? Sono forse morti i nostri figli? Noi mamme disperate, alle prime armi con un dilemma che ci consuma e ci travalica, siamo proprio convinte della loro sopravvivenza?… diciamolo con franchezza …o piuttosto vogliamo essere ancora madri a tutti gli effetti con possibilità di comunicare, di consigliare, di accudire… Sì, lo so, sarebbe tanto bello per noi averlo in braccio, sentirne il calore, il suo particolare profumo, ma non dimentichiamo Gesù fanciullo che scompare e viene ritrovato fra i dottori, nel tempio e mentre Maria e Giuseppe chiedono:“Ma figlio dov’eri? Io e tuo padre eravamo in ansia!” e la risposta: “ Ma non sapete che debbo occuparmi delle cose del Padre mio ?”(Luca 48-50).

 

            Ecco è comparso Giuseppe… Tua madre ed io eravamo in ansia… Ecco la preoccupazione dei Padri… prima vedono il dolore delle madri e poi il loro. Come ha fatto mio marito…. La sera in cui venne annunciato l’incidente di Andrea andò solo…. poi il primo pensiero fu per me… “Andrea vado dalla mamma, proteggila!” Un San Giuseppe per la nostra famiglia. Questo giorno lo dedico a Lui: distrutto nel corpo e condannato ad una morte  lacerante… per il troppo dolore. “AUGURI papà di Andrea! AUGURI e GRAZIE per quanto hai fatto per tuo Figlio, per i tuoi figli e anche per me….”

            Allora torniamo a quanto i nostri Ragazzi ci dicono; anch’essi si stanno occupando delle cose del Padre ed hanno bisogno di noi per aiutarli nel loro compito. Dagli innumerevoli messaggi pervenuti a tante Mamme, sappiamo che essi si occupano dei bambini non nati, dei piccoli mancati prematuramente, di altri ragazzi come Loro. Raccogliamo dunque l’invito di Gesù: “Diventare” piccoli e “accogliere” i piccoli: sono questi due aspetti di un unico insegnamento che il Signore rinnova ai suoi discepoli in questo nostro tempo. Solo chi si fa “piccolo” è in grado di accogliere con amore i fratelli più “piccoli”.

Penso con grata ammirazione a coloro che si prendono cura della formazione dell’infanzia in difficoltà e alleviano le sofferenze dei bambini e dei loro familiari causate dai conflitti e dalla violenza, dalla mancanza di cibo e di acqua, dall’emigrazione forzata e da tante forme di ingiustizia esistenti nel mondo.

Accanto a tanta generosità si deve però registrare anche l’egoismo di quanti non “accolgono” i bambini. Ci sono minori che sono feriti profondamente dalla violenza degli adulti: abusi sessuali, avviamento alla prostituzione, coinvolgimento nello spaccio e nell’uso della droga; bambini obbligati a lavorare o arruolati per combattere; innocenti segnati per sempre dalla disgregazione familiare; piccoli travolti dal turpe traffico di organi e di persone. E che dire della tragedia dell’AIDS con conseguenze devastanti in Africa? Si parla ormai di milioni di persone colpite da questo flagello, e di queste tantissime sono state contagiate sin dalla nascita. L’umanità non può chiudere gli occhi di fronte a un dramma così preoccupante!

Durante la Quaresima ci prepariamo a rivivere il Mistero pasquale, che illumina di speranza l’intera nostra esistenza, anche nei suoi aspetti più complessi e dolorosi. La Settimana Santa ci riproporrà questo mistero di salvezza attraverso i suggestivi riti del Triduo pasquale.

Con la semplicità tipica dei bambini noi ci rivolgiamo a Dio chiamandolo, come Gesù ci ha insegnato, “Abba”, Padre, nella preghiera del “Padre nostro”.

Padre nostro! Ripetiamo frequentemente, nel corso della Quaresima, questa preghiera, ripetiamola con intimo trasporto. Chiamando Dio “Padre nostro”, avvertiremo di essere suoi figli e ci sentiremo fratelli tra di noi. Ci sarà in tal modo più facile aprire il cuore ai piccoli, secondo l’invito di Gesù: “Chi accoglie anche solo uno di questi bambini in nome mio, accoglie me” (Mt 18,5).

Edda CattaniS. Giuseppe, padre dei bambini
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Riccardo Di Napoli e la TCS

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Dopo la diretta con Paolo Presi, grande esperto sulle  voci registrate, rinnovo l’omaggio a un grande sperimentatore.

 Il 14 febbraio 2016, manncava il nostro caro AMICO, STUDIOSO SPERIMENTATORE di cui alleghiamo la preziosa relazione tenuta a Cattolica al Convegno del Movimento della Speranza 2013

 

TRANSCOMUNICAZIONE STRUMENTALE 

Un telefono Celeste per ritrovare il sorriso

 

(Riccardo Di Napoli)

 

E’ mia abitudine non portare via molto tempo con le parole, perché preferisco lasciare spazio all’ascolto delle “voci” metafoniche che anche quest’anno ho inserito nel filmato audio video che fra poco verrà proiettato.

E’ doveroso per me ringraziare l’organizzazione del convegno per avermi ancora invitato perché per me è sempre motivo di gioia offrire la mia testimonianza di ricercatore e sperimentatore e nonostante la partecipazione a vari convegni su e giù per l’Italia, L’emozione è sempre la stessa:

molto forte. Dirò subito che non sono qui per cercare di convincere gli scettici sulla realtà della continuità della vita perché non è questo il mio compito, semmai posso solo invitarli dopo avere ascoltato, a fare delle serie e profonde riflessioni e vi confido che tra i miei amici ci sono molti ex scettici…

Molti di voi sapranno cos’è la metafonia o psicofonia che dir si voglia ma per chi non lo sapesse vorrei spendere due parole. La metafonia è un ramo molto importante della Transcomunicazione strumentale (termine coniato dal professore di fisica Ernst Senkowski) ed è la parte che si riferisce alla ricezione e ascolto di voci “anomale” . Per chi non sapesse cosa sia la Transcomunicazione strumentale dirò che si tratta di comunicazioni sia audio detta metafonia , che video detta metavisione con i “diversamente vivi “e/o Altra Dimensione per mezzo di strumenti che ci vengono offerti dalla tecnologia : come la radio, il registratore, il telefono, il videoregistratore, la videocamera, la fotocamera, la televisione il computer ecc.ecc.

 

 Con Paolo Presi e il grande Marcello Bacci

TRACCE

COME FANNO A PARLARE SE NON HANNO PIU’ FISICITA’ ? Ha hanno necessità di attingere energia da qualsiasi fonte sonora. La nostra voce, una radio su fruscio, o sintonizzata su emittente estera, un battito di mani , lo stropiccio di un foglio di carta, lo scroscio dell’acqua , insomma qualsiasi rumore.

Come per tutte le cose, c’è chi è più predisposto per una cosa o per l’altra ed anche in metafonia accade per l’ascolto delle voci in oggetto . Quando ci troviamo di fronte a voci poco chiare , ci sono persone che odono meglio quelle ottenute con il metodo della registrazione dello strofinare delle dita sul microfono ad esempio ( risultano sussurrate) e chi invece sente meglio le voci ottenute con con la registrazione della voce dello speaker di una emittente (voce timbrica con una certa corposità) ed è una questione di orecchio e più precisamente della coclea o volgarmente chiamata chiocciola che in ognuno di noi è diversa come grandezza, infatti il diametro e la lunghezza di quest’ultima determina una migliore o peggiore ricezione di certe frequenze.

Naturalmente quando le voci sono chiare, questo discorso decade.

 

METODI : Nel silenzio quindi in assenza di rumore Essi avranno pochissima energia nulla a disposizione da manipolare e le voci , quando presenti, saranno brevi e afone.

Con la radio estera : Le voci sono timbriche e si possono rilevare due fenomeni :

1- Modulazione della voce dello speaker . Le frasi arrivano in lingua a noi comprensibile , intelligenti e di senso compiuto.

2- Riferimenti particolari rivolti a chi ha posto le domande ed a volte anche a chi non è presente in quel momento.

E’ raro, in caso di voce modulata dello speaker, riconoscere la timbrica della voce del nostro caro perché la timbrica resta , tranne casi rari, la stessa dello speaker ma sarà riconoscibile da ciò che viene detto: un modo di dire , un intercalare caratteristico del nostro caro trapassato. Spesso le voci sono al di sotto della voce dello speaker ( molto debole) o in casi più rari, al di sopra di essa ( più forte ). E’ sempre bene quando si registra, parlare molto lentamente ed a voce alta perché si può dare modo ad Essi di inserirsi nei vuoti ed in questi casi non è raro che si possa riconoscere anche la timbrica del nostro caro ( come se riuscissero a ricostruirla a “memoria”,

Mantengono le loro caratteristiche caratteriali. ( per un po’ di tempo(?)

Accentazione diversa e parole accelerate, coniano termini nuovi per necessità.

Con la registrazione del rumore sfregando ad esempio le dita sul microfono : Voci

solitamente sussurrate ma comprensibili quindi da scartare quelle “parole” che si prestano a più interpretazioni perché , sempre nel caso di parole non chiare o “tronche” l’effetto pareidolico è sempre in agguato .

Microfoniche ambientali : in momenti di silenzio , prima che si ponga la domanda o immediatamente dopo. Spesso si riesce a riconoscere la voce del nostro caro trapassato.

Nastro rovesciato. Con il computer è più facile.

Adoperare registratori muniti di contagiri : sarà più facile ritrovare i punti esatti .

Difficoltà a reperire registratori a cassetta e delle cassette stesse.

Le registrazioni su cassetta con il tempo si deteriorano oltre che subire il fenomeno della migrazione magnetica. ( spire del nastro avvolto su se stesso trasferiscono suoni e parole rendendo poi incomprensibile l’ascolto ) meglio abituarsi alla registrazione digitale.

 

Il computer offre ottime possibilità di registrazione ma occorre scaricare programma audio. Ad esempio AUDACITY è gratuito .

 

Detto questo, desidero spiegarvi che questo mio contributo – testimonianza è frutto di 26 anni di personali esperienze metafoniche che si traducono in oltre 4000 ore di registrazioni.

Lo scopo di questa mia testimonianza è quello di esaudire il desiderio primario dei nostri Cari trapassati che preferisco definire “ diversamente Vivi ” e cioè quello di farvi sapere che il Loro Spirito, continua a vivere in quella “Altra Dimensione del mondo Sprituale” da dove, è bene ricordare, noi tutti proveniamo e dove, dopo la nostra esperienza terrena, faremo ritorno. I nostri cari affetti, non più fisicamente fra noi, ci hanno soltanto preceduto. La cosa sorprendente è che non sono io a dirlo ma Essi stessi che è il caso di dire, ce lo dicono a gran “voce”, tramite i messaggi metafonici che Loro amano definire telefonate e che fra poco come vi ho già anticipato, ascolterete nel video- audio che ho preparato . Sono telefonate pregne d’amore e di insegnamento che possono farci cambiare il modo di vedere e di vivere la nostra vita in modo diverso perché danno emozioni capaci di trasformarci . Prendendo spunto dalla mia esperienza di ricercatore e sperimentatore posso affermare che tantissime persone orfane di affetti cari dapprima disperate, dopo avere ascoltato la voce dei propri cari diversamente vivi, hanno ritrovato la speranza, la fede ed il sorriso perché è maturata in essi la consapevolezza che li ritroveranno pronti ad accoglierli ed abbracciarli quando sarà il giusto momento.

Nella maggior parte dei casi chi si avvicina al mondo Spirituale lo fa perché è scosso da eventi dolorosi così come sta accadendo alla gran parte delle persone qui presenti, ed in considerazione del fatto che anche io ho sperimentato l’esperienza del dolore per la scomparsa di cari affetti, posso dirvi che per dirla in gergo metafonico, siamo sulla stessa lunghezza d’onda e parliamo la stessa lingua. Possiamo condividere il pesante fardello del dolore di ognuno e ci sembrerà forse meno pesante…..

Il dolore per la “perdita” di una persona cara. Ognuno di noi, sono certo, ne farebbe a meno ma è proprio il dolore, che molto spesso ci porta alla ribellione, alla rabbia che ci obbliga a porci delle domande. Un qualcosa si smuove dentro di noi. Ecco che allora inizia un percorso di evoluzione. Quella che noi a torto ritenevamo essere la fine si rivela l’inizio di un percorso nuovo.

Il dolore mi spinse 26 anni fa, dopo l’ennesimo lutto familiare, a buttarmi a capofitto nella ricerca dei miei affetti perché avevo bisogno di conferme, la fede che avevo probabilmente non era fede vera perché chi ha fede non ha bisogno di cercare, colui che ha fede crede senza vedere,sentire e toccare ma in tutta franchezza mi sono sempre chiesto : quante persone hanno il dono di questa fede cieca? Sicuramente non facevo parte di quella categoria di fedeli e non lo dico con arroganza ma senza vergogna. Dentro di me , nel più profondo del mio essere sentivo che l’essenza dei miei cari come il loro amore , i loro pensieri , le loro emozioni non potevano essersi dissolti nel nulla ma avevo allo stesso tempo necessità di conforto e conferme. In tempi precedenti, essendo appassionato da sempre dal trascendente , avevo letto qualcosa sulla psicofonia e questa tecnica che in linea di massima non richiede particolare medianità , decisi di approfondire l’argomento ed iniziai a sperimentare. Fui decisamente fortunato perché dopo solo 20 giorni iniziai a ricevere le prime voci . Non vi posso descrivere la gioia e l’emozione provata . Ricevetti tanto conforto che, senza presunzione, visti i risultati, decisi tempo dopo di mettermi a disposizione di chi necessitava di aiuto. Così fondai un mio Laboratorio che ho battezzato con il nome :

  

LABORATORIO DELLA SPERANZA con sede presso il mio domicilio e successivamente verso la fine degli anni ottanta, visti i risultati sempre piu’ incoraggianti, cosituii insieme ad un ex collega di sprimentazione e di lavoro, una sezione di Parapsicologia e di Metafonia presso il Cral della azienda di trasporto pubblico genovese presso la quale ho prestato servizio sino al luglio di tre anni fa. Successivamente ricostituii tale sezione che di fatto è divenuta un centro di Parapsicologia Umanistica e Metafonico chiamandolo “Oltre l’Orizzonte” , di cui ho l’onore ed il piacere ancora oggi, di esserne responsabile e coordinatore. E’ una sorta di pronto soccorso dell’Anima ed è per me motivo di orgoglio, dirvi che è l’unica sezione di un circolo ricreativo aziendale in tutta Italia, ad occuparsi di queste delicate tematiche.Naturalmente tutto ciò, sono convinto, non sarebbe potuto avvenire senza l’aiuto del TUTTO.

In tanti anni di sperimentazione ho potuto osservare che c’è stata una vera e propria escalation quantitativa e qualitativa . Ad esempio la lunghezza( durata) dei messaggi e la chiarezza delle voci. Il contenuto dei messaggi invece è solitamente direttamente proporzionale alla evoluzione della Entità comunicante.

Alla base di tutto comunque credo che sia necessaria la Loro volontà di comunicare e la nostra disponibilità ad ascoltare con amore, pazienza ed umiltà. I nostri sforzi alla fine vengono sempre premiati. Molti sono gli insegnamenti che si traggono dai messaggi delle Entità guida e non sono rare le tirate d’orecchie quindi non sempre si sente ciò che vogliamo sentire ma quello di cui abbiamo bisogno in quel momento. Non sono rare le loro battute ironiche a conferma del fatto che Essi vogliono vederci sorridere. Ed a proposito di questo vorrei dirvi : Se siete in lutto, non sentitevi in colpa se vi capita di farvi una risata magari per una battuta o una buffa situazione, non pensate di mancare di rispetto ai vostri cari perché non è così. Sono Essi stessi che desiderano vederci sorridere, non ci vogliono vedere disperati. Fra gli insegnamenti uno emerge in modo particolare e cioè l’invito a vivere in armonia con noi stessi e con il mondo che ci circonda e di curarci delle uniche cose che potremo portare con noi quando sarà il nostro momento e che non sono certamente i beni materiali.

 

A conclusione dirò che sì, le loro telefonate sono estremamente importanti perché ci confortano, ci danno speranza e ci restituiscono spesso il sorriso ma non bisogna assolutamente farne l’unica ragione di vita, non deve diventare una ossessione. Parallelamente alla sperimentazione, deve esserci un percorso nostro interiore di riflessione che ci avvicini passo dopo passo alla verità, perché un passo verso la verità è un passo verso il Tutto o Dio che dir si voglia . Loro stessi ci hanno detto che prima di incarnarci ci scegliamo la vita da vivere per cui permettetemi di fare questa ultima considerazione stimolata dai messaggi di insegnamento ricevuti : Noi tutti dovremmo sentire il dovere di lasciare questo nostro mondo un poco migliore di come lo abbiamo trovato e qualche volta potrebbe anche servire elargire qualche sorriso in più agli altri. Tutti noi siamo esseri spirituali che prima di incarnarci abbiamo sentito l’esigenza di fare una esperienza terrena scegliendo di interpretare un ruolo nella commedia della vita umana che si realizza in questo piccolo teatro terreno. L’invito delle Entità è quello di farlo nel migliore dei modi, di modo che all’ultimo atto, al calare sipario, si possa sperare di ricevere gli applausi dei nostri cari dal Cielo. Che il Tutto vi benedica .

 

 

 

 

 

 

 

 

Nella serata di sabato 21 nell’hotel Monetti, Daniele Gulla’ ed io abbiamo incontrato numerosi partecipanti al convegno. Ho fatto una breve dimostrazione di sperimentazione metafonica mentre il bravissimo Daniele Gulla’ con le sue apparecchiature mi ha ripreso con la sua speciale fotocamera che rileva le vibrazioni … sono uscite delle immagini davvero interessanti .

Nella foto 1 “normale”, una visione della sala con me messo di profilo durante la registrazione .

Nella foto 2 si può notare a destra in visione multispettrale, delle vibrazioni che sono di un colore verdolino che nella foto 3 cambiano ed assumono un colore blu che indica uno stato alterato di coscienza ( stavo riascoltando la registrazione ed arrivavano le “voci” )Nella foto 4 si può notare un volto piu’ piccolo dentro il mio, una sorta di trasfigurzione. Nella foto 5 alla mia destra ( sinistra guardando l’immagine) si può osservare la “presenza” di una sagoma vibrazionale femminile ( non c’era nessuno in piedi accanto a me ). Nella foto 6 è la stessa della foto 5 ma con colorazione multispettrale diversa. Nella foto 7 si può notare che sulla mia spalla destra ( sinistra guardando l’immagine) c’è una testa che sembrerebbe quella di un bambino.

 

 

 

 

Edda CattaniRiccardo Di Napoli e la TCS
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