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Eternità: un mistero

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Eternità : un mistero

                                                                          

Un’eterna altalena fatta di ricordi

 

 

 

Una deformazione professionale mi porta sovente a parlare con gli esempi che, da giovane mamma ed insegnante, sapevo trovare con i miei bambini. Ricordo che quando morì tragicamente un papà di una mia piccola alunna, dovendo parlare della “morte” raccontai un aneddoto che mi fece avvicinare a loro, senza sconvolgere quelle piccole menti. Si trattava in verità di un articolo scritto da Luca Goldoni che rispondeva ad una madre che aveva perso il suo bambino: “Facciamo conto di trovarci in cima ad un monte e di vedere, giù nella valle, snodarsi una linea ferroviaria. Lontano a sinistra c’è un treno che avanza e che, poi si ferma improvvisamente perché una frana è caduta sui binari ed ha ostruito la linea. A destra, sempre lontano, c’è la gente che aspetta il treno. Noi che siamo in cima al monte, nell’attimo stesso che il treno si ferma davanti alla frana, sappiamo già quello che ignorano i viaggiatori della stazione di arrivo e che, sapranno solo tempo dopo. Perché tutto questo? Perché noi abbiamo la visione delle alte sfere, perchè guardiamo dall’alto e perché in alto siamo più vicini a Dio” . 

 

Oggi vorrei aggiungere che chi sta in alto non ha il limite della concezione spazio-tempo e del prima-dopo. Per quelli giù a valle la causa e l’effetto sono staccati nel tempo e solo più tardi i viaggiatori in attesa conosceranno la causa (la frana che ha fermato il treno) e risentiranno dell’effetto (il ritardo del treno). Ma noi dobbiamo imparare a guardare dall’alto e a considerare le cose nella dimensione dell’eternità.

 

Ricordo ancora, quando ero bambina, che mi fermavo a pensare a questa parola: eternità… e venivo colta dal panico. Nella mia piccola esperienza tutto era circoscritto ed io sapevo misurare le cose solo con il mio “..e poi? … e poi? … e poi?”  Oggi cerco di pensare all’eternità come coloro che, sulla cima del monte, guardano gli uomini nella vallata, che aspettano il treno e… mi metto nelle mani di Dio.

 

 

 

Edda CattaniEternità: un mistero
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Io e l’aldilà

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Io e l’aldilà

(intervista di L.Vaccari)

 

Vittorio Messori dice che per affrontare l’argomento dell’aldilà un piccolo aneddoto forse può essere utile. Quando faceva il giornalista a Tuttolibri, l’inserto settimanale del quotidiano La Stampa, ha pubblicato Ipotesi su Gesù. Nessuno, neanche l’autore, si aspettava il successo internazionale che ha avuto: traduzioni in tutto il mondo, un milione di copie vendute in Italia. “Gli editori mi sollecitano a scrivere ancora”, ricorda. “Per sei anni taccio”. Vuole fare, come farà, Scommessa sulla morte. Ed ecco il fatterello: “Presento il manoscritto alla Sei e in Casa editrice rimangono interdetti: “No. Non possiamo mettere la parola morte in copertina” “. Esplode addirittura una rivolta della Rete commerciale: “Mi chiedono di cambiare titolo, perché, secondo loro, librai e lettori, leggendo quel vocabolo, si sarebbero toccati i genitali o avrebbero afferrato altri amuleti”. Messori non cede. Il libro esce e vende immediatamente 350 mila copie. “Ho tenuto duro perché  Scommessa sulla morte sostiene che espellere o rimuovere la morte è il percorso migliore per avvelenare la vita”.

Pensa spesso all’ultimo atto, che, “per quanto sia stata bella la commedia”, scrive Blaise Pascal, “è sempre tragico”?

“Come tutti quelli che amano davvero la vita. Il modo per essere davvero necrofilo è cercare di dimenticare o di scacciare la morte: l’unico per dargliela vinta. Se non l’affrontiamo, e non cerchiamo di esorcizzarla, pensandoci, quest’ombra inquietante invade la nostra esistenza e la intossica”, risponde Messori, emiliano di Sassuolo (in provincia di Modena), 61 anni, scrittore di una quindicina di libri (l’ultimo: Conversione racconta il ritorno alla fede di Leonardo Mondadori), collaboratore del Corriere della Sera.

Pensa alla sua morte, in particolare, o anche alla morte dei suoi cari?

“Pensare alla morte per me vuol dire innanzitutto avere il senso della precarietà, della relatività del tutto, dello scorrere del tempo. La morte è una presenza indispensabile. Ma, come per tutti i credenti che non hanno perso la prospettiva cristiana, quale significato avrebbe la fede se non mi assicurasse che la vita terrena non è altro che una preparazione alla Vita: quella che c’è dopo la morte? Una delle ragioni della crisi del Cristianesimo è determinata dal fatto che anche molti credenti hanno rimosso la consapevolezza che ciò che conta è la Vita, alla quale si accede soltanto attraverso la morte”.

Che è comunque un dramma. “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”, grida Gesù, disperato, sulla croce, in quanto, essendo uomo, vuole vivere.

“La morte è l’atto più individuale e solitario che esista. Pascal ripete nei suoi Pensieri: “Ciascuno morirà solo”. Sono naturalmente inquieto di fronte alla prospettiva della morte dei miei cari, ma anche cosciente che ciascuno deve rispondere per sé. E quindi ciò a cui penso, in particolare, è la mia morte”.

Quali sentimenti accompagnano i suoi pensieri: abbandono (fiducioso), angoscia, apprensione, disagio, rifiuto, rassegnazione, sgomento, stupore, terrore?

“Come conferma Gesù nel Getzemani, la sera del giovedì: la morte è un’angoscia. Diceva Carl Gustav Jung, lo psicanalista, che chi non senta il dramma della morte va sdraiato sul lettino e curato. L’angoscia è la normalità. Ma, nella prospettiva di fede, si mescola alla speranza. Da un lato vorrei anch’io che la mia morte fosse la più lontana possibile. Dall’altro la fede mi assicura che il passaggio è duro, tuttavia oltre il passaggio c’è un’infinità di gioia, di luce, di piacere. Per cui devo dire che il credente guarda alla morte con un misto di angoscia e di speranza, di rifiuto e di attesa”.

Angoscia e rifiuto, nonostante il sostegno della fede. Perché?

“Per un motivo molto semplice. Io non temo la morte: io temo il giudizio. So che nell’aldilà mi aspetta un giudice. Attenzione: il credente sa che il giudizio di Cristo sarà un misto di giustizia e di misericordia. Se Gesù, come giudice, fosse soltanto giusto credo che non si salverebbe nessuno. Conto naturalmente nella misericordia”.

Ma ne ignora le dimensioni. Quanta ne sarà concessa?

“Eh, appunto. Non si conosce com’è fatto il cocktail. Io so, lo dice il Vangelo, che dovrò rendere conto di ogni mio atto. Allora: c’è, innanzitutto, l’angoscia di affrontare un mondo ignoto. La fede assicura che c’è; non sappiamo com’è: abbiamo soltanto alcune coordinate. Poi, più che l’atto del morire, temo ciò che viene dopo: il giudizio. Da qui anche l’ansietà”.

Oltre la fede nel Vangelo, dove nutre la fiducia  che la fine dell’uomo non sarà assoluta: dopo ci sarà qualcosa che durerà?

“Prima ancora che la fede cristiana, me lo assicura la Storia. L’archeologia è in gran parte uno studio delle tombe. Possiamo risalire fino ai tempi più oscuri della preistoria e sempre troveremo segni di speranza in una vita eterna: non sappiamo quale, comunque tutte le tombe in tutte le civiltà hanno sempre manifestato la loro fede in un aldilà. Soltanto a partire dal Settecento europeo appare qualcuno che, contraddicendo ciò in cui le culture hanno creduto fin’allora, dice: “Non c’è nulla”, “Finiremo nel buio eterno”, “Non esiste un aldilà”. E’ una posizione estremamente recente e ancora oggi minoritaria. C’è un istinto, in tutte le culture, sin dai tempi più remoti, che ha sempre portato a seppellire i propri morti con dei segni che la vita non finiva, ma cominciava”.

Conquistare questa speranza è stato faticoso? Ha avuto crisi di rigetto?

“Faticoso assolutamente no, perché non volevo diventare cristiano. Sono stato costretto. Vengo da un’esperienza fortemente laica, anticlericale, razionalista. Quando sono stato sospinto nella dimensione cristiana, che non conoscevo, e non cercavo, ho recalcitrato. Ho constatato come la fede sia un dono di Dio. Non c’è stata nessuna fatica da parte mia. Crisi di rigetto? Non ho mai dubitato che questo assurdo che è la vita può trovare una spiegazione soltanto nell’esistenza di un aldilà. Anche perché la condizione umana è disperante: quando è il momento per cominciare davvero a vivere, eh, beh, bisogna pensare a fare le valigie e andarsene. La fede a me serve per dare un significato a questo assurdo”.

Come può essere credibile chi predica la libertà in un’altra vita se, dopo il sacrificio di Cristo, e la reincarnazione, gli uomini continuano a essere oppressi, in questa, da egoismi, ingiustzie, sopraffazioni, umiliazioni, violenze?

“Proprio perché qui, nella Storia, non hanno diritto di cittadinanza alla giustizia, alla libertà vera, alla pace, c’è bisogno di un’altra Vita dove questi squilibri siano sanati. Ho sempre pensato che il Vangelo non sia affatto una manuale ideologico per organizzare il mondo migliore, per renderlo perfetto. Tutte le volte che si è cercato di creare il Paradiso in terra si sono creati degli inferni terribili. Pensi alla fine di tutte le ideologie. Il marxismo, a cui guardo con rispetto, era un’utopia che voleva creare in terra il luogo della giustizia e della pace. E la speranza si è rovesciata nel suo esatto contrario: nell’Inferno. Il Vangelo non è un messaggio di organizzazione politico-sociale, ma di speranza per l’aldilà. Non trovo alcuna contraddizione. Al limite: se fosse possibile creare il Paradiso in terra, non avremmo bisogno del Paradiso nell’aldilà”.

E’ possibile pensare un aldilà dove l’uomo sarà liberato, se non abbiamo raggiunto la certezza razionale dell’esistenza di Dio?

“Io so che buona parte di coloro che dicono di non essere credenti, poi non chiedono i funerali laici: chiedono i funerali religiosi. Credo che in ciascuno agisca questa consapevolezza, che ci viene dal nostro Dna umano: non tutto finisce qui, al di là delle porte bronzee della morte non c’è il buio. Questa coscienza esige, anche se non lo si vuole ammettere, di credere in una esistenza che vada al di là dell’umano. Senza Dio non è possibile pensare un aldilà”.

Ma quale aldilà? Come lo immagina?

“Il modo migliore, parlo in una prospettiva cristiana, per immaginare Paradiso, Purgatorio, Inferno, è di non volerlo descrivere. La Divina Commedia è poesia sublime, ma non ha nulla a che fare con la misteriosa realtà dell’aldilà (Dante stesso ne era consapevole). La prospettiva di fede ci assicura che esiste, ma siamo invitati a non pretendere di precisarlo. Il dogma cattolico si limita ad affermare che ci sono  un premio per i buoni, una punizione per i cattivi, uno stato intermedio dove ci si purifica in attesa di accedere a quello che tradizionalmente viene chiamato il Paradiso. Non aggiunge altro. Non ci descrive come sono le cose. Ignoriamo se ci sarà il fuoco, se ci saranno i diavoletti con le corna, il forcone e così via. Io cerco di credere nell’aldilà, non di immaginarlo: perché so che qualunque immaginazione umana verrà sconfitta dalla realtà”.

Qual è l’insegnamento della morte?

 

“Essenziale. Imparare a vivere. Soltanto se recuperiamo la consapevolezza, come dicevo, della precarietà, della relatività di tutto, dello scorrere del tempo, siamo in grado di dare un significato alla vita. In Scommessa sulla morte lo dico chiaro: i necrofili sono gli altri, quelli che non ci vogliono pensare. Io mi sono confrontato con la morte proprio perché amo la vita e vorrei che continuasse in eterno”. 

Edda CattaniIo e l’aldilà
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Questa è la vita!

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Questa è la vita!

 

… e poi  ti capita di trovarti alla sbarra, al limite delle forze e ti accorgi di non essere nulla e che la vita non ha senso se non è inquadrata in un grande disegno in cui qualcun altro tira le fila…

Oggi, nonostante il tanto pane condiviso, mi ritrovo a pezzi…. ed il ritorno dalla terra del sole, mi ha lasciato un’eredità precaria difficilmente curabile…. QUESTA E’ LA VITA!!!!

“Ogni giorno ha il suo affanno” è stato detto, ma quando tu le hai provate tutte cercando di superare il tuo vuoto egoismo, quando hai dato tutto te stesso per superare limiti e apparenti dissensi e ti accorgi che con chi era simile a te, con le persone che avevano condiviso le tue gioie e i tuoi dolori, con coloro che credevi amici non c’è più dialogo, manca la condivisione e addirittura arrivi alle mortificazioni e al biasimo sul tuo operato, allora vale la pena di prendere in mano il Vangelo e provare ad approfondire temi conosciuti da sempre e che Gesù maestro ci ha indicato come lettura del nostro percorso. Vediamo come:

Un modesto fratello, incontrato sulle pagine di FB, presenta in questo modo la “Buona novella” della domenica e così la commenta:

 ‘Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua ..’ (Mc 6,4) La ragione è profonda…mente ‘politica’, con buona pace di coloro che intendono il Vangelo solo come una esortazione moralistica, privata, rituale. Infatti il profeta è sempre un disturbatore della vita ordinaria, quotidiana, dell’omologazione consolidata, e soprattutto della pigrizia del non-vedere, del non-sentire, del ‘si è sempre fatto così’ o del ‘bisogna fare così’. Il profeta apre al futuro, rompe l’oggi e lo riempie di domani, suscita speranze soffiate dal vento e dà luce ai cuori che attendono primavere impazienti. Il profeta chiede che si continui a domandare, a interrogarsi sul giorno e sulla notte, sul senso del tempo, della storia e della vita, portando nel suo cuore innamorato le paure e le attese della città su cui veglia, come ‘una sentinella del mattino’ che scruta i segni della nuova aurora senza cedere al sonno della ragione. Il profeta abita lo spazio ai margini della città dove la visuale è più sgombra e dove ‘le diversità si toccano e imparano a conoscersi’ .. E sa vivere e poi morire, nel disonore, ma soprattutto sa guarire gli occhi che non vedono e le ferite che sanguinano, e dare luce alle buie fessure di solitudine, facendo danzare la vita con passi sognati e ribelli, come crepe di luce di una nuova architettura del mondo ..  (fra Benito)

Dal mio quotidiano divenire

 

Gli scorsi anni, di questi tempi andavo e venivo dalla mia casa di residenza, sotto un sole rovente che rasentava i 40° in autostrada, al ritorno dal mare dove lasciavo i nipotini che accudivo, richiamata dalle condizioni fisiche di mio marito, convinta più che mai della mia condizione che doveva essere, com’é stata al suo fianco fino all’ultimo respiro. Quando si sono condivisi cinquant’anni di vita familiare, tutto diviene ovvio e non pesa la fatica, ma ha tanto sopravvento il dolore. Giungevo alla soglia di Casa Madre Teresa dove il mio Caro alloggiava  da un triennio, e tutto dovevo aspettarmi quale   immagine ormai evidente di una condizione al limite. Ora Mentore ha raggiunto Andrea e mi sovviene il ricordo di lui, ridotto ad uno scheletro che con quegli occhi, i suoi occhi …manifestavano una forza, un’energia, una determinazione non comune. Gli bastava vedermi arrivare stanca, spettinata, sconvolta per farsi capire e comunicarmi che mi aspettava, che voleva guardarmi e leggere nel mio volto non il suo, ma il “mio” sentire. Era lui, in quei brevi movimenti appena accennati che tendeva la mano a me e sembrava dirmi: “Io non ti lascio sola, ci sarò sempre, sarò con te anche quando tutti ti verranno a mancare!” Per dire questo non servivano tante parole… c’era, c’è e ci sarà nella vita e oltre. Questa è la vita… e questa è la vera espressione dell’amore! Ora mi ritrovo sola, ancora più stanca e a volte disarmata a fronte degli impegni sempre assillanti… ma lui c’è sempre… e c’é Andrea, felice di essere…finalmente… con il suo Papà!!!

 

Ora, nel ritorno alla mia abitazione penso a questo ed agli eventi di questi giorni e, nella mia solitudine, rifletto sulle parole di Fra Benito: “ Guarda, sono arrivata a questa età credendo di avere raggiunto un equilibrio e manifesto tanta fragilità! Ancora continuo a non capire e mi scontro con i mulini a vento della mia faticosa quotidianità!”

 

Vediamo un particolare: da tempo scrivo su FB, nelle varie bacheche di persone amiche i miei messaggi di conforto, di condivisione, di speranza… Passo a volo d’uccello, cercando fare sentire che condivido, che mi piace quando altri postano qualcosa di interessante ma alle volte tutto questo non basta. Mi sono imbattuta in una storia di violenza su un bambino e ho perso il controllo. La mia attività di psicologa che ho svolto e continuo a svolgere anche ora, mi porta a sentire come “nervo scoperto” qualunque intervento fatto da persone non qualificate… ed ecco che si rompe un’amicizia, perché non bastano le mie scuse successive, ma, come dice Fra Benito,  “nemo profeta in patria sua”… Fossi stata una persona non preparata mi si  poteva leggere come “caduta di stile” ma fatto da me è sembrato inqualificabile!

 

Ritorno sulle parole del nostro fratello che commenta:

… il profeta è sempre un disturbatore della vita ordinaria, quotidiana, dell’omologazione consolidata, e soprattutto della pigrizia del non-vedere, del non-sentire, del ‘si è sempre fatto così’ o del ‘bisogna fare così’

E penso ad un altro passaggio di questi giorni in cui individuo in una tragedia familiare una possibile causa di conflitto e lo dichiaro. Assumere posizione infrange le “regole” e mi mette fuori campo. Non avrei dovuto parlare, informare, prendere parte… a nulla vale richiamare lo sforzo, la fatica impiegata, la buona fede, i risultati ottenuti… Non c’è margine per la verità. Meglio occultare!

Potrei andare oltre e guardare con attenzione il pieghevole di invito al Convegno del Movimento della Speranza di settembre. Per non far torto a nessuno ho equiparato i partecipanti: la nota psicologa, come il cattedratico, il teologo con il laico medium spiritualista… ma c’è stato chi si è sentito non sufficientemente valorizzato.

 

Tre storie, tre episodi della mia quotidianità in cui una persona provata, attempata, animata da generosità, professionale … non riesce a raggiungere l’animo delle persone e a condividere con loro il pane quotidiano… Le mie parole esposte più volte in questo sito non hanno valore, sono canne al vento. Noi siamo nessuno… c’é chi al di là di noi, tira le fila…

 

Ma fra Benito continua:  Il profeta chiede che si continui a domandare, a interrogarsi sul giorno e sulla notte, sul senso del tempo, della storia e della vita, portando nel suo cuore innamorato le paure e le attese della città su cui veglia, come ‘una sentinella del mattino’ che scruta i segni della nuova aurora senza cedere al sonno della ragione.

E tutto questo mi conforta, perché c’è Mentore che mi richiama e vuol dirmi: “ Ti capisco, vedo la tua amarezza, ma non mollare! Sii te stessa e vai avanti per la tua strada… anche quando ti sentirai sola, affaticata e stanca ci sarà chi ti porgerà una brocca d’acqua al termine del tuo cammino e ne trarrai tanto conforto più di mille parole scritte su fogli sparsi al vento…”

Sì il profeta, ogni profeta, ciascuno di noi: …   sa vivere e poi morire, nel disonore, ma soprattutto sa guarire gli occhi che non vedono e le ferite che sanguinano, e dare luce alle buie fessure di solitudine, facendo danzare la vita con passi sognanti e ribelli, come crepe di luce di una nuova architettura del mondo ..

Grazie Fra Benito!

 

 

 

Edda CattaniQuesta è la vita!
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O Croce di Cristo!

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O Croce di Cristo!

 

 

Papa Francesco, preghiera-invettiva alla via crucis 2016. Contro preti pedofili, terroristi, corrotti, indifferenti…

 

Una dura denuncia in “O Croce di Cristo!”, l’orazione scritta da Bergoglio per il Venerdì Santo al Colosseo. Rivolta a “ministri infedeli che spogliano gli innocenti della propria dignità”. Alle “coscienze insensibili e narcotizzate” di fronte al “cimitero del Mediterraneo”. A chi si vende “nel misero mercato dell’immoralità”. E al “silenzio vigliacco” sul massacro dei cristiani “Vediamo la croce di Cristo nei preti pedofili, nel cimitero insaziabile del Mar Mediterraneo, nei profughi, nei terroristi e nei corrotti”.

È la forte denuncia che Papa Francesco ha rivolto in “O Croce di Cristo!”, una lunga e struggente preghiera scritta e letta al termine della via crucis del Giubileo che si è svolta come ogni venerdì santo al Colosseo (leggi il testo integrale della preghiera). Dopo aver ascoltato in silenzio sul Colle Palatino le meditazioni delle 14 stazioni, scritte quest’anno dal cardinale di Perugia Gualtiero Bassetti, Bergoglio ha condannato con forza i mali che attualmente affliggono l’umanità. Ed è partito dalla pedofilia del clero proprio come aveva fatto l’allora cardinale Joseph Ratzinger nel venerdì santo del 2005, poche settimane prima di essere eletto vescovo di Roma, con Wojtyla che lentamente andava spegnendosi.

 “Quanta sporcizia – aveva affermato in quella occasione il futuro Papa tedesco – c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui”. “O Croce di Cristo, – ha affermato dopo 11 anni Bergoglio – ancora oggi ti vediamo nei ministri infedeli che invece di spogliarsi delle proprie vane ambizioni spogliano perfino gli innocenti della propria dignità”. Francesco ha puntato il dito contro “l’odio che spadroneggia e acceca i cuori e le menti di coloro che preferiscono le tenebre alla luce”. Con una nuova forte denuncia dei tanti migranti morti in mare nei loro viaggi della speranza nel Mediterraneo e nell’Egeo “divenuti un insaziabile cimitero, immagine della nostra coscienza insensibile e narcotizzata”. Una nuova condanna della “globalizzazione dell’indifferenza” che Francesco aveva fatto a Lampedusa, primo viaggio del suo pontificato. 

Per Bergoglio oggi la croce di Cristo rivive “nelle nostre sorelle e nei nostri fratelli uccisi, bruciati vivi, sgozzati e decapitati con le spade barbariche e con il silenzio vigliacco”, “nei volti dei bambini, delle donne e delle persone, sfiniti e impauriti che fuggono dalle guerre e dalle violenze e spesso non trovano che la morte e tanti Pilato con le mani lavate”. Denuncia che Francesco ha fatto anche aprendo la settimana santa del Giubileo straordinario della misericordia. Dopo gli attentati di Bruxelles, dietro i quali per il Papa ci sono i “fabbricatori e i trafficanti di armi”, Bergoglio ha sottolineato che vediamo la croce di Cristo “nei fondamentalismi e nel terrorismo dei seguaci di qualche religione che profanano il nome di Dio e lo utilizzano per giustificare le loro inaudite violenze”.

Ma le parole di Francesco si sono rivolte anche contro i “potenti e i venditori di armi che alimentano la fornace delle guerre con il sangue innocente dei fratelli”; per i “traditori che per trenta denari consegnano alla morte chiunque”; per i “ladroni e i corrotti che invece di salvaguardare il bene comune e l’etica si vendono nel misero mercato dell’immoralità” e per i “distruttori della nostra ‘casa comune’ che con egoismo rovinano il futuro delle prossime generazioni”. Il Papa ha lodato anche tanto bene presente nei “ministri fedeli” della Chiesa, “nelle famiglie che vivono con fedeltà e fecondità la loro vocazione matrimoniale” e ha invitato a non abbandonare “gli anziani, i disabili, i bambini denutriti e scartati dalla nostra egoista e ipocrita società”.

Durante le meditazioni della via crucis, mentre la croce veniva portata anche da persone provenienti dalla Cina, dalla Russia, dalla Siria, dal Kenya, dall’Uganda e dalla Repubblica Centrafricana, al Colosseo si era pregato per i profughi e per i divorziati: “Dov’è Dio nei campi di sterminio? Dov’è Dio nelle miniere e nelle fabbriche dove lavorano come schiavi i bambini? Dov’è Dio nelle carrette del mare che affondano nel Mediterraneo?”. “Come non vedere il volto del Signore – era stata la riflessione della sesta stazione – in quello dei milioni di profughi, rifugiati e sfollati che fuggono disperatamente dall’orrore delle guerre, delle persecuzioni e delle dittature? Per ognuno di loro, con il suo volto irripetibile, Dio si manifesta sempre come un soccorritore coraggioso”. Mentre la pedofilia era stata al centro della decima stazione con “le piaghe dei bambini profanati nella loro intimità”.

Edda CattaniO Croce di Cristo!
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“Amare” e “Voler bene”

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Amare e Voler bene

 

…benedetto Padre Alberto che mi tiri le orecchie ogni qual volta sono “alle strette” e mi trovo “alle corde”! Ed è proprio la splendida pagina del vangelo di domenica prossima spiegata questa sera, che trova riscontro alle mie eterne perplessità…

 

Vediamo un po’:

 

Gv 13,31-33a. 34-35

“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri…come io ho amato voi…

 

Nel vangelo di Giovanni l’unica volta che Gesù comanda qualcosa ai suoi, comanda quello che non è possibile comandare: l’amore. Si può comandare all’uomo di obbedire, di servire, ma non l’amore.

 

E Gesù comanda proprio di amare dicendo:  “Vi do un comandamento nuovo”. Gesù non dice “Vi do un nuovo comandamento”, cioè un comandamento che va ad aggiungersi a quelli della legge di Mosè… C’è una nuova relazione con Dio; il termine greco “nuovo” indica una qualità migliore, che supera e toglie tutto il resto..

 

“Che vi amiate gli uni gli altri come ..” Questo “come” non indica il modo, ma è la motivazione, il perché. “Come io ho amato voi”. Gesù non dice “come io vi amerò”, non sta parlando dell’amore, del dono totale che poi manifesterà morendo in croce, ma è al passato “come io ho amato voi”.

 

Quindi questo “amato” ha due significati: il servizio, che rende le persone libere, piene della loro dignità, e un amore che viene dato in risposta all’odio, un amore che non si scoraggia.

 

Questa la lettura “teologica” fatta da Padre Alberto e da questo dobbiamo partire per la nostra riflessione. Qualcuno, infatti, nella chat gli ha chiesto: “Ma allora c’é differenza fra “amare” e “volere bene”? E la risposta è stata di un certo tipo … Ne ho fatto una ricerca, questa:

 

Nel Nuovo Testamento l’azione di “amare” è espressa dai verbi : agapáô e philéô.

agapáô significa “amare” nel senso di “avere caro, tenere in gran conto, preferire, prediligere”: è l’amore incondizionato … usato verso Dio, la giustizia o il prossimo In sostanza “Agape” è una permanente attitudine di benevolenza verso Dio e verso gli altri, senza nessuna condizione, che scaturisce liberamente dall’Amore che Dio ha messo nel cuore dei Suoi soggetti. È amore disinteressato, che non si aspetta nulla in ritorno.

philéô significa “amare” nel senso di “volersi bene, avere caro, trattare con affetto, accogliere amichevolmente un ospite Esprime solo l’amore di affetto personale, o di piacere, includendo anche le passioni dove il contenuto lo richiede, senza coinvolgere intelligenza o alti proponimenti, questo concetto piazza il verbo “amare (phileo)” ad un livello inferiore di Agape. È un sentimento che trova attrazione nell’altra persona e che si aspetta un ritorno.

Da queste spiegazioni potremmo trarre tante considerazioni!!!

Quante volte abbiamo detto “Ti amo” o ci è stato detto “Ti voglio bene” e poi siamo rimasti profondamente delusi nel non avere trovato riscontro alla nostra esigenza, al nostro desiderio di amore “totalizzante” di amore vero, perenne, incondizionato?…

Ma passiamo ad una lettura diversa: “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry.

Chi di voi l’ha letto, ricorderà molto bene che le parole messe in bocca al protagonista del racconto sono vere e proprie perle di saggezza che ci vengono trasmesse dai dialoghi tra il bambino venuto da un asteroide lontano e i vari personaggi che egli incontra nel corso del suo viaggio.

 

Vediamone un tratto: le parole che scambia col mercante di pillole che calmano la sete

 

– “Perché vendi questa roba?” disse il piccolo principe.

È una grossa economia di tempo”, disse il mercante, “Gli esperti hanno fatto dei calcoli. Si risparmiano 53 minuti a settimana”.

– “E cosa se ne fa di questi 53 minuti?”

– “Se ne fa quel che si vuole…”

– “Io”, disse il piccolo principe, “se avessi 53 minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana…“

 

Dunque le pillole perfezionate calmavano la sete e se se ne inghiottiva una alla settimana non si sentiva più il bisogno di bere. Così è la nostra ricerca d’amore … che dura tutta la vita … Si nasce e già dal grembo materno si cerca di suggere il latte che risponderà in parte alle nostre esigenze primarie … poi  via via abbandoneremo la mano della madre e percorreremo nuovi sentieri … In seguito i primi palpiti, i primi tormenti … alla ricerca di quella perfezione “amorosa” che non ci sazierà mai …

 

Succede come una rosa chiusa che si vorrebbe sempre vedere sbocciare per assaporarne il profumo … ma quanto dura questa bellezza se poi la rosa muore prima del previsto?

 

Ricordate il film “I passi dell’amore”? I due protagonisti si inseguono non senza fatica e avranno tanti ostacoli per essere uniti per sempre. Ciascuno di noi è portato a sognare un amore grande, perché questo aiuta a riservare le giuste manifestazioni dell’amore nel superare le diverse tappe della nostra storia. Così anche la rosa, ha un suo tempo giusto per sbocciare, dare il suo profumo e poi morire.

 

L’amore è il desiderio che attrae e unisce gli esseri viventi e coscienti in vista di un reciproco bisogno di completamento. La sua natura è paradossale. Nell’amato infatti si cerca contemporaneamente l’identico e il differente, l’altro se stesso e l’individuo diverso da sé, la fusione senza residui e il rafforzamento della propria personalità. Se l’altro non mi somigliasse, se non potessi rispecchiarmi in lui e riconoscere nei suoi pensieri e sentimenti il riflesso dei miei, l’amore non sorgerebbe, ma non potrei amarlo neppure se mi somigliasse troppo, se fosse un mero duplicato, un’eco monotona e ripetitiva di me stesso.

 

L‘amore deve rimanere incessantemente in bilico su un pericoloso crinale, rinnovare gli stati di equilibrio. Esso costituisce una delle passioni più potenti e sconvolgenti. E’ gioia incostante, che ha bisogno di continue rassicurazioni, espansione di se stessi oltre i vincoli della mortificante quotidianità. Sensazione di crescita, di arricchimento e di liberazione dalla chiusura nel proprio io rattrappito.

 

Insieme però, se non adeguatamente ricambiato, rappresenta anche un tragico fattore di distruzione e di autodistruzione. In rapporto al piacere sessuale, assume il carattere dell’eros, che si manifesta in un mobile gioco, in cui ci si sottrae per concedersi e ci si concede per sottrarsi.

 

In termini religiosi infine il cristianesimo ha fatto dell’amore unilaterale e gratuito di Dio per l’uomo, di Gesù che sacrifica la propria vita per la salvezza dell’umanità, la base della fede e, nell’amore dell’uomo per il proprio prossimo, compreso il nemico, il comandamento più grande.

 

Qui ci ha portato la nostra ricerca sull’amore e non posso non ritrovarmi in Fra Benito (altro religioso servita) quando afferma:

 

“.. stamattina, pregando davanti all’icona del volto di Cristo di padre Bruno Quercetti, con parole di carne e di sangue, parole misere, mi sono chiesto in quale guaio si è cacciato Dio innamorandosi dell’uomo, fino a sciogliere addirittura la sua onnipotenza alla nostra libertà, e tenendo per sé solo l’onnipotenza dell’amore .. perché non ha fatto il contrario? .. la risposta mi sembra sempre questa: perché la libertà è necessaria all’amore .. è un preliminare dell’Amore .. ma non rinuncerò a cercare altre risposte .. ci deve essere qualcosa di più, che non so, che non capisco .. che attendo ..”

 

E anch’io la penso esattamente così!

 

 

 

Edda Cattani“Amare” e “Voler bene”
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Ti do’ la freschezza

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Ti do’ la freschezza

 

Viene un momento nella vita in cui si abbandona ogni cosa e si cerca una sorgente di acqua pura.  Penso che basti sentirne il bisogno, noi siamo ciò che è il nostro cuore e non diversamente.(M. De Maio)

 

 

Ti dò la freschezza
dell’acqua che corre felice,
zampilla, si perde e poi
riprende il suo corso.
Vivi e dissetati alla mia
sorgente, mentre io mi disseto
anche della tua ombra.

 

“Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: “Dammi da bere”. I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: “Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me che sono una donna samaritana?” I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Gesù le rispose: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva”.

Gli disse la donna: “Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?.

Rispose Gesù: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”.

 

Estratto dal Vangelo di Giovanni 4, 6-14

Edda CattaniTi do’ la freschezza
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Il Dio della religione

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IL DIO DELLA RELIGIONE

(Alberto Maggi)

La religione, qualunque religione, si fonda su una verità assoluta che è quella di un Dio lontano da noi. La religione perciò vive e sopravvive solo se c’è un Dio lontano dalla gente. Gesù invece è il Dio-con-noi e quindi il Dio che si può incontrare, toccare con mano e accogliere. Se Dio è lontano e quindi inaccessibile, c’è bisogno di mediatori cioè di persone che facciano da tramite tra questo Dio lontano e gli uomini i quali non si possono rivolgere direttamente a Lui: ecco che c’è bisogno di sacerdoti, che sono gli addetti al sacro, persone che fanno da mediatori tra il popolo e Dio. Al tempo di Gesù, nella religione giudaica, le persone per rivolgersi al Signore avevano bisogno di passare attraverso la mediazione dei sacerdoti, che creavano il rapporto con Dio con riti particolari. C’era bisogno di un culto da rendere a Dio: preghiere, offerte, sacrifici e comunque tutto quello che veniva fatto per Dio. Non si poteva però fare questo in un luogo qualunque: bisognava che fosse un luogo particolare, un luogo sacro, uno spazio che non fosse confondibile con lo spazio normale. Ecco quindi che nasce la necessità di un tempio. Per giustificare tutto questo si asserisce che questa è la volontà di Dio e la volontà di Dio è stata affermata in una maniera definitiva ed immutabile nella legge. Ecco, questi sono i pilastri della religione. Per religione si intende tutto ciò che l’uomo deve fare per Dio, tutto ciò che Dio richiede all’uomo. La religione è il modo per avvicinarsi a Dio attraverso la mediazione dei sacerdoti, attraverso la pratica obbligatoria del culto, in un luogo particolare, nel tempio e soprattutto nella obbedienza assoluta alla legge di Dio. Questa è la religione e perciò per religione s’intende tutto ciò che l’uomo fa per Dio. L’evangelista ha dato questa indicazione esplosiva: Gesù era il Dio-con-noi che è un terremoto. Se Gesù manifesta il Dio-con-noi, tutto crolla. Non solo non è più necessario, ma diventa ostacolo ed impedimento all’incontro con questo Dio. Ecco quindi che capiamo, fin dalle prime battute del Vangelo di Matteo, quale sarà la fine di Gesù. Dio e religione non si possono tollerare: l’uno esige la distruzione dell’altro, perché Dio si vuol comunicare agli uomini; la religione invece ha bisogno di un Dio incomunicabile ed inaccessibile. Dove c’è la religione non c’è posto per Dio e dove c’è Dio non c’è posto per la religione.

Edda CattaniIl Dio della religione
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Tutto è vibrazione!

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Tutto è vibrazione

 

A Mentore sarebbe piaciuto e glielo dedico! Me lo inviò Felice Masi come ricevuto da un Cerchio Medianico:

 

“…ciascuna forma di vita anche la più minuscola… per raggiungere l’illuminazione … un sentimento d’amore per la propria divinità originaria, questo sentimento d’amore, ravvivato, diviene veicolo della penetrazione per le forze superiori. L’umano deve incarnare il super-umano. Aprite il cuore alla calda energia d’amore. Nessuna paura e calcolo. Siate sempre positivi, disponibili e attivi per la comprensione. Pulite la mente e il cuore da qualsiasi sentimento di rabbia e di rancore perché siete scintille divine nate tutte da un’unica fonte d’amore. Spandete luce come il sole attraverso il vostro cuore. Una speciale trasmissione al di fuori delle scritture, nessuna dipendenza da lettere e parole: Puntate direttamente al centro dell’anima dell’essere umano riscoprendo la propria natura. Ciascuna forma di vita, anche la più minuta è l’universo in miniatura e per conseguire l’illuminazione ogni essere vivente risponde alla legge: “divieni ciò che sei”. Non ci sono trucchi, non ci sono formule, l’unica verità è diventare puri come bambini perché il cuore possa emanare vibrazioni pure in perfetta risonanza con la fonte originaria, la musica dell’universo, con la sua virtù originaria. Esseri di luce, angeli, Dio non ha creato il male. E’ l’essere umano con le sue credenze e con i suoi pensieri… Ricordate: Dio vi manda solo angeli! Ripeto: l’amore è l’origine di tutto, l’amore è respiro e crescita, dove c’è amore c’è vita ed espansione. Ogni respiro di Dio è un puro atto d’amore che penetra nei vostri corpi sostenendo la vita stessa. Il vostro battito, sono delle pulsazioni d’amore. Imparate a cambiarle attraverso il respiro. Attraverso l’inspirazione e l’espirazione c’è la fusione tra onda eterica divina e onda eterica sanguigna. Amore, devozione, saggezza, sapienza, ordine, sapere, intelligenza attiva, sono sette energie che giungono da diverse distanze dell’universo, arrivano sulle costellazioni dell’Orsa Maggiore e delle Pleiadi e amplificate da Sirio vengono proiettate sul vostro sistema solare. Queste energie realizzano e potenziano ogni pensiero. Iniziate a ringraziare tutto ciò che vi circonda: la luna che illumina le vostre notti e che porta consigli, il sole che illumina e vi riscalda, la vostra casa, il pianeta terra che è un paradiso e state facendo di tutto per trasformarlo in un inferno. Ringraziate voi stessi, quel cuoricino che batte per voi sin dalla vostra nascita, batte senza fermarsi mai, batte perché vi ama. Vi chiedo solo questo: amate voi stessi e tutto ciò che vi circonda perché amando voi stessi cambierete la vibrazione del cuore. Sono vibrazioni potentissime che investono e cambiano qualsiasi cosa si mette davanti. Grazie a tutti.”

 

Ed è lo stesso riscontro che riscontrai nel brano con cui terminai la mia prima relazione ad Arezzo, nel 1993. E’ il brano più bello per rappresentare l’Eterno, l’Infinito!

 

Trovo conferma,  di questo stato di  grazia, nelle espressioni poetiche  e più enfatiche,  ma certamente non più significative, delle pagine medianiche di Symbole:

 

 “Come  descriverti lo  splendore della Via,  la Luce crescente ove gli astri perdono il  loro fulgore,  questo incendio fatto di tutti i soli, ma soprattutto di tutti gli splendori e di tutte le fiamme? Che termini adoperare per tradurti gli  accordi dell’Infinito; perché tutto brilla,  tutto  vibra,  tutto risplende  e risuona, tutto si  irradia e canta?  Le  parole umane servono  per le cose umane e la  parola muore dove comincia  l’Infinito…Ogni dolore, ogni  sforzo,  sono un passo fuori dall’ombra  a vantaggio della Luce…Io vedo dappertutto  sforzo  ed  equilibrio,  tutto segue immutabilmente   l’ordine   eterno.   L’Illimitato   non   è un condizionale.  L’Assoluto non sa che farsene  del relativo… No, qui non ci sono né dimensioni, né calcoli. L’algebra crolla sulla soglia  dell’Incalcolabile. L’Infinito si  aggiunge all’Immenso, l’Immenso all’Insondabile,  l’Insondabile  all’Assoluto,  ed  il totale di questa enorme addizione forma il piedistallo di Dio.”

 

(Brano tratto da M.C. e J.L.Victor  “L’Appel des Etoiles”, Ed. du Phare, Cahors, Francia, 1967).

 

Edda CattaniTutto è vibrazione!
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Io sono Chiesa

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Io sono chiesa

Oggi ho aperto la giornata leggendo il commento al Vangelo di Don Luciano Locatelli:

Buongiorno mondo! Il Vangelo di oggi (Lc 24,13-35) è il famosissimo testo di Emmaus che vi invito anzitutto a leggere per intero perché, per ovvii motivi di spazio, non mi pare opportuno riportarlo qui.
Non sono pochi coloro che oggi guardano alla Chiesa con pessimismo e delusione. Non è la Chiesa che desidererebbero. Vorrebbero una Chiesa viva e dinamica, fedele a Gesù Cristo, impegnata per davvero nella costruzione di una società più umana.

A questo un attento lettore ha voluto rispondere con questo brano di Carlo Carretto, quanto mai bello ed attuale…

 

 

“Quanto mi hai fatto soffrire, Chiesa, eppure…
Carlo Carretto

Quanto sei contestabile, Chiesa, eppure quanto ti amo!
Quanto mi hai fatto soffrire, eppure quanto a te devo!
Vorrei vederti distrutta, eppure ho bisogno della tua presenza.
Mi hai dato tanti scandali, eppure mi hai fatto capire la santità!
Nulla ho visto al mondo di più oscurantista, più compresso, più falso e nulla ho toccato di più puro, di più generoso, di più bello.
Quante volte ho avuto la voglia di sbatterti in faccia la porte della mia anima, quante volte ho pregato di poter morire tra le tue braccia sicure.
No, non posso liberarmi di te, perché sono te, pur non essendo completamente te.
E poi, dove andrei?
A costruirne un’altra?
Ma non potrò costruirla se non con gli stessi difetti, perché sono i miei che porto dentro. E se la costruirò, sarà la mia Chiesa, non più quella di Cristo.
Sono abbastanza vecchio per capire che non sono migliore degli altri.
L’altro ieri un amico ha scritto una lettera ad un giornale: “Lascio la Chiesa perché, con la sua compromissione con i ricchi, non è più credibile”. Mi fa pena!
O è un sentimentale che non ha esperienza, e lo scuso; o è un orgoglioso che crede di essere migliore degli altri.
Nessuno di noi è credibile finché è su questa terra…
La credibilità non è degli uomini, è solo di Dio e del Cristo.
Forse che la Chiesa di ieri era migliore di quella di oggi? Forse che la Chiesa di Gerusalemme era più credibile di quella di Roma?
Quando Paolo arrivò a Gerusalemme portando nel cuore la sua sete di universalità, forse che i discorsi di Giacomo sul prepuzio da tagliare o la debolezza di Pietro che si attardava con i ricchi di allora e che dava lo scandalo di pranzare solo con i puri, poterono dargli dei dubbi sulla veridicità della Chiesa, che Cristo aveva fondato fresca fresca, e fargli venire la voglia di andarne a fondare un’altra ad Antiochia o a Tarso?
Forse che a Santa Caterina da Siena, vedendo il Papa che faceva una sporca politica contro la sua città, poteva saltare in capo l’idea di andare sulle colline senesi, trasparenti come il cielo, e fare un’altra Chiesa più trasparente di quella di Roma cosi spessa, così piena di peccati e così politicante?
…La Chiesa ha il potere di darmi la santità ed è fatta tutta quanta, dal primo all’ultimo, di soli peccatori, e che peccatori!
Ha la fede onnipotente e invincibile di rinnovare il mistero eucaristico, ed è composta di uomini deboli che brancolano nel buio e che si battono ogni giorno contro la tentazione di perdere la fede.
Porta un messaggio di pura trasparenza ed è incarnata in una pasta sporca, come è sporco il mondo.
Parla della dolcezza dei Maestro, della sua non-violenza, e nella storia ha mandato eserciti a sbudellare infedeli e torturare eresiarchi.
Trasmette un messaggio di evangelica povertà, e non fa’ che cercare denaro e alleanze con i potenti.
Coloro che sognano cose diverse da questa realtà non fanno che perdere tempo e ricominciare sempre da capo. E in più dimostrano di non aver capito l’uomo.
Perché quello è l’uomo, proprio come lo vede visibile la Chiesa, nella sua cattiveria e nello stesso tempo nel suo coraggio invincibile che la fede in Cristo gli ha dato e la carità dei Cristo gli fa vivere.
Quando ero giovane non capivo perché Gesù, nonostante il rinnegamento di Pietro, lo volle capo, suo successore, primo Papa- Ora non mi stupisco più e comprendo sempre meglio che avere fondato la Chiesa sulla tomba di un traditore, di un uomo che si spaventa per le chiacchiere di una serva, era un avvertimento continuo per mantenere ognuno di noi nella umiltà e nella coscienza della propria fragilità.
No, non vado fuori di questa Chiesa fondata su una roccia così debole, perché ne fonderei un’altra su una pietra ancora più debole che sono io.
…E se le minacce sono così numerose e la violenza del castigo così grande, più numerose sono le parole d’amore e più grande è la sua misericordia. Direi proprio, pensando alla Chiesa e alla mia povera anima, che Dio è più grande della nostra debolezza.
E poi cosa contano le pietre? Ciò che conta è la promessa di Cristo, ciò che conta è il cemento che unisce le pietre, che è lo Spirito Santo. Solo lo Spirito Santo è capace di fare la Chiesa con delle pietre mai tagliate come siamo noi!…
E il mistero sta qui.
Questo impasto di bene e di male, di grandezza e di miseria, di santità e di peccato che è la Chiesa, in fondo sono io…
Ognuno di noi può sentire con tremore e con infinito gaudio che ciò che passa nel rapporto Dio-Chiesa è qualcosa che ci appartiene nell’intimo.
In ciascuno di noi si ripercuotono le minacce e la dolcezza con cui Dio tratta il suo popolo di Israele, la Chiesa. A Ognuno di noi Dio dice come alla Chiesa: “Io ti farò mia sposa per sempre” (Osea 2, 21), ma nello stesso tempo ci ricorda la nostra realtà: “La tua impurità è come la ruggine. Ho cercato di toglierla, fatica sprecata! E’ così abbondante che non va via nemmeno col fuoco” (Ezechiele 24, 12).
Ma poi c’è ancora un’altra cosa che forse è più bella. Lo Spirito Santo, che è l’Amore, è capace di vederci santi, immacolati, belli, anche se vestiti da mascalzoni e adulteri.
Il perdono di Dio, quando ci tocca, fa diventare trasparente Zaccheo, il pubblicano, e immacolata la Maddalena, la peccatrice.
E’ come se il male non avesse potuto toccare la profondità più intima dell’uomo. E’ come se l’Amore avesse impedito di lasciar imputridire l’anima lontana dall’amore.
“Io ho buttato i tuoi peccati dietro le mie spalle”, dice Dio a ciascuno di noi nel perdono, e continua: “Ti ho amato di amore eterno; per questo ti ho riservato la mia bontà. Ti edificherò di nuovo e tu sarai riedificata, vergine Israele” (Geremia 3 1, 3-4).
Ecco, ci chiama “vergini” anche quando siamo di ritorno dall’ennesima prostituzione nel corpo, nello spirito e nel cuore.
In questo, Dio è veramente Dio, cioè l’unico capace di fare le “cose nuove”.
Perché non m’importa che Lui faccia i cieli e la terra nuovi, è più necessario che faccia “nuovi” i nostri cuori.
E questo è il lavoro di Cristo.
E questo è l’ambiente divino della Chiesa…”

Edda CattaniIo sono Chiesa
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Il Vangelo del teologo

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… ce ne sono di preti che predicano il Vangelo con competenza…

“Incomprensibile” vangelo

( intervista  ad Alberto Maggi di Silvia Pettiti)

 

“La violenza verbale adoperata da Gesù o dagli evangelisti nei confronti dei farisei non è per una polemica verso il mondo giudaico, ma è un monito sempre attuale perché all’interno della comunità cristiana non rinascano gli elementi tossici della religione: l’idea della supremazia, del merito, della gerarchia.”

Lo studio è affollato di libri, oggetti etnici, fotografie, icone. Sul tavolo di lavoro è aperto un libro pieno di sottolineature, a sinistra il testo in greco a destra quello in lingua italiana. Sono i vangeli, che padre Alberto Maggi frequenta quotidianamente per preparare il commento settimanale che trasmette attraverso internet per raggiungere i “fedeli” che lo seguono sparsi in tutta Italia e non solo. Sta lavorando anche alla traduzione del vangelo di Giovanni e, insieme a Ricardo Perez, il frate spagnolo che vive con lui a Montefano dal 1995, a quella del vangelo di Matteo, “lavori senza scadenza, per non obbligarci a lavorare nella fretta perdendo la calma e l’attenzione che sono necessarie.”

Tra le tante fotografie che arredano le librerie, una lo ritrae con don Carlo Molari, un’altra con Arturo Paoli, un’altra ancora con Vito Mancuso. Amici comuni. “Don Carlo l’ho conosciuto quand’ero studente al Marianum, tempi in cui le sue lezioni di teologia mi scandalizzavano… me lo ricorda sempre quando ci incontriamo!”.

La conoscenza con Arturo risale agli anni in cui cercava la strada religiosa più adatta a lui, “i piccoli fratelli mi attiravano molto, la  spiritualità radicale di Charles de Foucauld mi entusiasmava, ma io volevo dedicarmi allo studio della Scrittura mentre le fraternità esigevano l’impegno nel lavoro manuale”.

Gli anni di preparazione al sacerdozio avevano messo in crisi Alberto Maggi.

Io pensavo che a noi futuri preti, durante gli studi di teologia, venissero insegnati i vangeli, invece ricevemmo un’infarinatura generale senza una lettura sistematica e precisa dei testi. Poi si diventa preti e nell’Eucarestia si deve annunciare un vangelo che noi per primi non conosciamo.

Andai in crisi perché sentivo di avere strumenti insufficienti, dovevo convincere gli altri di qualcosa di cui non potevo essere convinto. La crisi grossa scoppiò di fronte al brano del capitolo 11 di Marco, un brano inquietante in cui Gesù esce in campagna, ha fame, si avvicina all’albero, cerca dei frutti ma non li trova e anziché pensare: che sbadato, non è la stagione dei fichi!, sembra maledica il povero fico che si secca fin dalle radici. È un episodio inquietante, e perfido l’evangelista aggiunge: ma non era la stagione dei fichi. Capii che c’era qualcosa di incomprensibile nei vangeli e incontrai uno straordinario biblista, Juan Mateos, che vide la mia passione per la Scrittura e mi accolse al suo seguito.”

Da 40 anni padre Alberto studia le Scritture, i vangeli in particolare. “che interpreta a servizio della giustizia e non del potere” come si legge nel risvolto di copertina di uno dei suoi ultimi libri Versetti pericolosi (Fazi 2012).

Il primo brano che Juan Mateos gli affidò fu il racconto del fico sterile.

Che cosa hai scoperto riguardo ad esso?

Gli evangelisti oltre ad essere dei grandi teologi, sono dei letterati che usano gli schemi letterari della loro epoca. Uno di questi era lo schema del trittico che si sviluppa in tre scene, una centrale e due secondarie, che si comprendono in relazione alla centrale. In questo episodio la scena centrale è la cacciata dal tempio non solo dei mercanti ma anche di quanti sono lì per comprare: Gesù mette fine al culto, che presenta un Dio insaziabile che continuamente chiede e pretende. Il Dio di Gesù al contrario offre, si dona. Questo è il senso dell’episodio centrale del trittico, anticipato dall’episodio del fico, albero che rappresentava la vita. Questo fico, che genera soltanto foglie cioè apparenza ma non frutti che nutrono, rappresenta l’istituzione religiosa. Gesù non maledice il fico ma dice: che nessuno ne mangi più. È un invito ad allontanarsi da un’istituzione religiosa che è soltanto apparenza ma che non nutre. L’espressione di Marco “non era la stagione dei frutti” si rifà all’annunzio di Gesù all’inizio della sua predicazione: “il tempo è compiuto”. Dio aveva infatti stabilito un’alleanza con il suo popolo, se voi osservate le mie leggi io mi prendo cura di voi. Ma questa alleanza era fallita non solo perché Israele non era un popolo migliore degli altri, ma in esso l’ingiustizia, l’oppressione, il dominio venivano perpetrati in nome di Dio.

Gli scribi, i farisei, i dottori della legge sono al centro della polemica che continuamente ribadisci.

Chiariamo subito una cosa importante per la comprensione e la lettura dei vangeli: la violenza verbale adoperata da Gesù o dagli evangelisti nei confronti dei farisei non è per una polemica verso il mondo giudaico, nei confronti del quale la comunità cristiana si fosse ormai radicalmente staccata, ma è un monito sempre attuale perché all’interno della comunità cristiana non rinascano gli elementi tossici della religione: l’idea della supremazia, del merito, della gerarchia.

Per portare un esempio, nella parabola del samaritano Gesù presenta i due opposti della religione: da un lato il samaritano, l’uomo eretico, scomunicato, lontano da Dio; dall’altro il sacerdote, la persona che la cultura dell’epoca considera la più vicina a Dio. Il sacerdote aveva compiuto il suo servizio settimanale di culto al tempio di Gerusalemme e stava scendendo verso Gerico. È in condizioni di purezza rituale perfetta. Perché non si avvicina al malcapitato e non se ne prende cura? Qual è per lui il comandamento più importante, l’amore e l’onore di Dio o l’amore del prossimo? Chiaro che l’amore verso Dio viene prima di quello per il prossimo. Gesù non è d’accordo,

Egli insegna e pratica che onorando l’uomo si è sicuri di onorare anche Dio mentre spesso per onorare Dio si fanno soffrire le persone. Quando si trova in conflitto tra il rispetto della legge divina e il bene dell’uomo Gesù sceglie sempre il secondo. Questo è un criterio importante che gli evangelisti ci trasmettono: il bene dell’uomo è l’unico valore sacro e assoluto, se a fianco o sopra si pone una verità, una dottrina, un comandamento, prima o poi, in nome di quella verità, dottrina, comandamento, inevitabilmente si causerà sofferenza all’uomo.

Se gli scribi e i farisei sono incompatibili con il messaggio di Gesù, coloro che si rivelano pronti ad accoglierlo sono invece gli emarginati: dai pastori ai pubblicani, alle prostitute…

Questa è la grande rivoluzione: mentre la religione divide tra puri e impuri, meritevoli e no, peccatori e no, Dio ha mostrato che nessuna persona può essere considerata impura. Nessuna persona, qualunque sia la sua condizione, può essere esclusa dall’amore di Dio. Questa è la buona notizia che gli emarginati, che erano disprezzati dalla religione e non si potevano avvicinare al tempio, hanno accolto. La novità portata da Gesù è che lui è diventato l’unico vero santuario da cui si irradia l’amore di Dio. Un santuario che va incontro alle persone che non potevano avvicinarsi al santuario di Gerusalemme, al quale si accedeva soltanto se si osservavano determinate condizioni di purificazione, per cui molte persone non potevano avvicinarsi. Gesù, che manifesta la divinità, non attende che le persone si rechino al tempio ma è lui che va incontro a queste persone, demolendo quello che la religione insegna.

Questo messaggio rivoluzionario non è stato capito neppure dalle persone più vicine a Gesù, né dai suoi familiari né dai discepoli che lo hanno seguito. Perché?

Gesù ha commesso un grande errore che lo ha reso incomprensibile e che ha pagato con la vita. Non è stato capito dai suoi familiari, come rivela l’episodio drammatico che soltanto Marco conserva, quello del tentativo di cattura da parte dei suoi familiari che pensavano fosse impazzito. Non è stato capito dai suoi discepoli, non è stato compreso dalla folla e tanto meno dall’istituzione religiosa.

Se si fosse presentato come un uomo che, grazie ai suoi meriti e alle sue capacità, ha raggiunto la pienezza divina, questo sarebbe stato accettato e comprensibile. A quell’epoca infatti tutti coloro che detenevano un potere si consideravano delle divinità. Gesù invece non si è presentato come l’uomo salito alla condizione divina; al contrario ha presentato un Dio che si abbassa per farsi uomo.

Questo è inaccettabile e incomprensibile. Gesù è Dio che si è fatto uomo non l’uomo che è salito a una condizione divina: il che significa che più si è umani più ci si avvicina alla divinità. In una società dove le persone, attraverso la spiritualità salivano verso Dio e si separavano dagli altri, Gesù ha presentato un Dio completamente diverso. Basti pensare l’episodio dello smarrimento di Gesù al tempio raccontato da Luca: Maria e Giuseppe sono convintissimi che Gesù segua le orme dei padri, mentre Gesù non fa questo, lui segue le orme del Padre e invita i suoi genitori a fare altrettanto.

Gesù presenta un Dio che si situa al di là della religione, e si incontra nell’umano. Questo lo ha reso inaccettabile e incomprensibile.

Per la cultura dell’epoca, le donne sono impure e lontane da Dio. I discepoli non le vogliono al seguito di Gesù, san Paolo afferma che debbono restare sottomesse e tacere in assemblea… eppure Gesù riconosce alla donna una dignità e una posizione completamente diversa.

Sentenzia il talmud: Dio non ha mai rivolto la parola a una donna. La donna è considerata in una condizione permanente di impurità, è l’essere più lontano dalla divinità. Dio ha parlato a ogni genere di maschi, dai re ai delinquenti, dai sacerdoti agli assassini, ma alla donna ha parlato una sola volta, e siccome Sara gli ha risposto con una innocente bugia Dio da quella volta non ha più parlato a nessuna donna. Questo fa comprendere la cultura dell’epoca, nell’ambiente di vita di Gesù le donne sono segregate in casa, è inconcepibile la loro presenza in un gruppo. Ci sono due episodi talmente scandalosi che per diversi secoli sono stati censurati. Uno è quello dell’adultera: per tre secoli nessuna comunità cristiana ha voluto che questo episodio fosse inserito nel canone, perché secondo la testimonianza di Agostino, la misericordia di Dio verso l’adultera poteva risultare come un lasciapassare all’adulterio. L’altro episodio ancora più scandaloso è quello della prostituta che entra nella casa di Simone il fariseo durante il banchetto con Gesù: questa donna si avvicina a lui, lo tocca, gli bacia i piedi, glieli bagna con le lacrime e poi li asciuga con i suoi capelli. Tutti gesti “ambigui”, gesti di seduzione che Gesù non respinge ma ai quali restituisce un valore di relazione diverso: gesti di amore che una donna peccatrice compie a differenza di Simone che lo ha invitato ma poi non lo ha accolto. Ciò che più scandalizza è che Gesù non le abbia detto: va e non peccare più, come aveva fatto in tante altre occasioni. Non era concepibile che Gesù non avesse obbligato la prostituta cambiare vita.

D’altra parte a quei tempi per una donna sola le alternative erano poche: la prostituzione o l’emarginazione. Cosa avrà fatto questa donna dopo l’incontro con Gesù? È probabile che sia stata accolta nel gruppo dei discepoli, senza troppo calore da parte loro ma soprattutto alimentando ancora più chiacchiere nei confronti di questo gruppo che si presentava con personaggi incompatibili secondo i canoni dell’epoca.

 


Edda CattaniIl Vangelo del teologo
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