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Il sogno paranormale

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            Il sogno: uno degli enigmi dell’uomo

 Dott. E. Marabini

 

Tra le tante cose che pur accadendo quotidianamente, rimangono da svelare vi è il sogno. Cioè quello strano evento che dalla nostra nascita ci accompagna per tutta la vita e che da migliaia di anni è stato oggetto di osservazione, di riflessione e di conoscenza da parte di uomini saggi, di profeti, di filosofi, di medici , di poeti, di scienziati e, non da ultimo, da parte del cosiddetto uomo della strada.
Il sogno, fenomeno indiscutibilmente biologico oltre che psichico, nella sua consuetudinaria ordinarietà rimane un evento “straordinario” e, nonostante l’ampiezza della conoscenza scientifica dei nostri giorni, mantiene ancora inalterata la sua enigmaticità.
Perché fenomeno straordinario ? Perché tramite esso esperienziamo un mondo strano, fantastico, effimero che, nella sua apparente irrazionalità, è comunque ricco di contenuti e di impensate possibilità espressive e cognitive.
Fenomeno enigmatico perché l’analisi di quelle sfuggevoli, impalpabili realtà che ci accompagnano nel sonno, conduce la ragione a doversi rapportare con situazioni oggettive e soggettive che paiono trascendere la stessa meccanicità dello psicosoma che le manifesta e il cui significato, molto spesso, acquista una valenza esistenziale.

Prima di entrare nell’analisi delle caratteristiche psicologiche del sogno è opportuno soffermare l’attenzione – anche se fugacemente – sul complesso problema del sonno, dato che generalmente il sogno si realizza durante quel particolare stato comportamentale.

Come è noto, l’uomo adulto presenta fisiologicamente nelle 24 ore del giorno uno stato di veglia della durata media di 15 – 18 ore e rimanenti 9 – 6 ore di sonno.
Ad una superficiale considerazione questi due condizioni (veglia e sonno) sembrano significare una netta divisione ed una chiara contrapposizione comportamentale. Genericamente si potrebbe dire che la veglia è sinonimo di attività mentre nel sonno tutto è silenzio e riposo.
Ma se invece le cose si considerano un poco più analiticamente si deve constatare che non è affatto così e che tra lo stato di veglia e quello di sonno esistono, in primo luogo, differenti gradi di transizione a cui corrispondono differenti situazioni neurofisiologiche e psicologiche e, in secondo luogo, tutto l’organismo presenta uno stato di intensa attività.
É così che dallo scivolare nel sonno (la fase di addormentamento) si passa al sonno NON-REM, indi al sonno REM e con alterne fasi l’individuo riemerge poi allo stato di veglia.
Orbene, tutti questi momenti anche se possiedono una stabilità relativa, sono comunque periodi specifici e ripetitivi del sonno normale. Corrispondono cioè a condizioni psicosomatiche in cui gli organi manifestano differenti fenomeni funzionali. Dalle modificazioni del comportamento muscolare, alle modificazioni del metabolismo e dell’attività bioelettrica del cervello, dalla attivazione di processi neuro-endocrini, alle modificazioni neurovegetative (c’è chi parla di una vera “burrasca vegetativa”) si innestano differenti espressioni oniriche testimonianti una mutata attività coscienziale.
Dunque, da un punto di vista fisiologico si può dire che, dal momento che l’organismo varca la soglia del sonno e la soglia del mondo onirico, entra in uno stato di accentuata esaltazione funzionale di tutti gli organi mentre esperimenta a livello di attività mentale un’esperienza impensabilmente complessa e singolare.
Un chiarimento di questa attività psichica si è reso possibile con lo studio del comportamento bioelettrico cerebrale. Con l’avvento della elettroencefalografia, fra le tante conoscenze – utili sia a livello fisiologico che clinico diagnostico – si sono potute definire le cosiddette fasi REM e NON-REM del sonno che poco fa ho ricordato.
Sperimentalmente si è assodato che la fase di sonno REM è connessa con i sogni. Il risveglio durante registrazione dei parametri elettroencefalografici ha dimostrato che circa nell’83,3% dei casi il soggetto riferisce di avere avuto un sogno che lo stimolo risvegliante aveva interrotto. Il ricordo del sogno, se il risveglio avviene subito dopo la fine della fase REM, appare più vivo, ricco di particolari e di contenuti visivi. (MANCIA M.)
Un’altra prova indiretta che mostra lo stretto rapporto tra sonno-REM e sogno è l’osservazione che la valutazione soggettiva della durata del sogno da parte del soggetto in esperimento corrisponde alla durata reale del periodo di sonno REM registrato col poligrafo.
Tutto ciò non esclude la possibilità che vi siano dei sogni cosiddetti “istantanei” (cioè, brevi e rapidi), ma, almeno a livello sperimentale, ciò corrisponde all’eccezione.
Durante un sonno notturno regolare sogno e fase REM compaiono 4 – 6 volte per notte e per la durata di 20 – 30 minuti a periodi abbastanza regolari intervallati dal sonno NON-REM.
Tutti i soggetti sperimentati sognano, anche quelli che affermano di non avere mai sognato, per cui se si vuole generalizzare questa evidenza, si può dire che tutti sognano.
L’attività mentale, in fase ipnagogica (fase che corrisponde ai momenti di scivolamento nel sonno), consiste in sensazioni di tipo visivo, allucinatorio, a volte con esperienze auditive e cinestesiche e con la comparsa di un’attività mentale che, di per sé, corrisponde ad una trasformazione dei contenuti percettivi provenienti dal mondo esterno. In fase NON-REM, invece, i contenuti mentali sono senza allucinazioni, ma sono la continuazione delle esperienze vissute da svegli. Ed è in quella fase che spesso si nota una “ricreazioni di eventi recenti e pensieri non distorti” (Mancia M.) o simbolizzati, come invece accade nel sonno REM.
Altro dato emerso da recenti studi sperimentali si è provato che i racconti offerti dai soggetti svegliati durante la fase di addormentamento (dunque nei primi momenti del sonno) presentano caratteristiche simili a quelle esperienze oniriche che compaiono nella fase REM, tanto è vero che vi sono dei sogni in fase di addormentamento che è pressoché impossibile distinguere dai sogni REM. (M. Bosinelli, 1991)
Per cui, nel concludere queste brevi notizie si può dire che “gli equivalenti psicologici di queste fasi sono rappresentati dall’attività mentale con contenuti che in fase NON-REM sono più vicini alla realtà e privi di attività percettiva, mentre in fase-REM si trasformano in contenuti più propriamente onirici ricchi di attività allucinatoria”. (Mancia M.)

È cosa nota, anche se non sempre viene consapevolizzata, che l’uomo trascorre nel sonno circa un terzo della propria vita, il che, tradotto in termini numerici, considerando la vita media di 75 anni, significa che l’uomo dorme per ben 25 anni. E poiché la psicofisiologia ci dice che quando il soggetto dorme di un sonno fisiologico quasi sempre sogna, è indiscutibile che per gran parte della nostra vita mentale la coscienza vive un tipo di realtà che può essere di connotazione decisamente diversa da quella che noi esperienziamo nello stato di veglia.
Normalmente si tende a privilegiare come realtà tutte le informazioni che ci provengono dal mondo sensoriale e si considera perciò l’attività onirica come una realtà effimera ed illusoria. Indubbiamente ciò e vero se consideriamo l’uomo in modo oggettivo e da un punto di vista antropologico e sociale. In tal caso l’esperienza onirica è l’espressione di un distacco dal mondo esterno e corrisponde alla caduta della psiche in un mondo allucinato, fantastico e irreale.
Ma se è vero che ogni attività di un sistema biologico è finalistica (teleonomica) e se è vero che l’uomo dorme per ben 25 anni e sogna per un tempo altrettanto lungo, allora bisogna riconoscere che non solo il sonno, ma anche il sogno, per l’organismo che lo esperimenta, è un momento della massima importanza vitale, anche se per molti versi il suo scopo è nascosto da un mare di nebbia.
D’altra parte la sperimentazione scientifica ha dimostrato che senza sonno e con la privazione forzata del sogno REM l’individuo entra in una condizione patologica. Presenta stati di ansia e di aggressività, tremori muscolari, difficoltà di concentrazione, disartria, manifestazioni allucinatorie e idee paranoidi, incapacità di organizzare un discorso, perdita della memoria immediata, ecc., ecc.) E queste sono manifestazioni tangibili ed oggettive dello psicosoma.
Dunque, sonno e attività mentale onirica sono condizioni fondamentali per il mantenimento di un equilibrio vitale.
Ma, per quello che concerne il vissuto coscienziale, l’organismo che cosa realizza col sogno?
Se ci avviciniamo a questo problema seguendo una concettualità fenomenologica, se per un verso constatiamo che l’evento onirico e molti dei suoi contenuti sono strettamente legati alla fisiologia della struttura organica del soggetto dormiente, per un altro verso ci troviamo di fronte a contenuti coscienziali che trascendono non solo l’organicità corporea, ma anche il patrimonio mnemonico-esperienziale della psiche di quel particolare soggetto.
Ora, anche questo, indubbiamente, deve avere un senso. Se, in un’ottica generale, si volesse sintetizzare il significato del sogno in quanto attività mentale, mi pare di potere sostenere che pur nella sua fittizia evanescenza allucinatoria, in moltissime occasioni assume una chiara connotazione di dialogo interiore. Si configura, cioè, come uno strumento più profondo e più diretto di comunicazione nei confronti sia dello stesso soggetto, fruitore del proprio sogno, che nei confronti degli altri individui.
Per fare questo, l’inconscio del soggetto opera secondo modalità sue proprie in cui il simbolismo o la metafora come linguaggio preverbale e primitivo, meglio esprimono ciò che il soggetto “sente” ma che non riesce a comunicarsi e a comunicare tramite la parola “parlata”.
Questa visione concettuale è quanto mai evidente nel setting analitico, quando coll’instaurarsi del transfert e, successivamente, del controtransfert si assiste all’attuazione di un dialogo prelogico tra l’inconscio del paziente e quello dell’analista, con caratteristiche molto personalizzate.
Ora questa constatazione è molto importante per l’implicita visione dell’instaurarsi di un rapporto subconscio (fenomeno di “interazione psi”) tra il paziente, inteso nel suo racconto onirico e l’analista, a sua volta inteso secondo la sua concezione dottrinale. In modo chiaro D. Nobili (1991) a questo proposito scrive:
“Tutti conosciamo l’influenza dell’orientamento teorico e dello stile comunicativo dello psicoanalista sopra i sogni dei suoi pazienti: essi utilizzano il linguaggio e il simbolismo dei loro analisti, per cui sembra quasi che uno sogni “junghiano”, un altro “freudiano” o “kleiniano”. Ma perché scandalizzarcene? – continua Nobili – Se ci trovassimo in un paese straniero (e tale è per entrambi, paziente ed analista, il mondo interno) troveremmo naturale tradurre ciò che vogliamo comunicare nella lingua che il nostro interlocutore si mostra in grado di intendere. E poiché differisce molto da un analista all’altro, anche all’interno della stessa corrente di pensiero, l’importanza attribuita ai sogni rispetto al resto del materiale, e quindi la loro utilizzazione pratica, differirà anche, nei pazienti, la tendenza a esprimersi attraverso la comunicazione onirica”.

È noto che numerose sono le teorie formulate a spiegazione del sogno.
In un tempo antico vi erano le teorie mitiche, secondo le quali i sogni, veri o non veri che fossero, erano ispirati dagli dei, o dai demoni, mentre, come sostenevano Aristotele, o Ippocrate e altri filosofi greci, la causa del sogno era da ricercarsi nell’intervento di forze naturali proprie dell’anima (psichè). Simili idee si ritrovano in un gruppo di teorie moderne, le quali, appunto, identificano queste possibilità all’attività dello stesso organismo.
Sono le teorie del gruppo meccanicistico, secondo cui le immagini oniriche sono la necessaria conseguenza di stimolazioni di varia entità e provenienza che agiscono sullo psicosoma durante il sonno ed alle quali non è da riconoscere scopo alcuno.
Maggior credito invece hanno le teorie del gruppo finalistico o teleologico, secondo le quali il sogno è promosso da cause aventi una determinata finalità, la cui rappresentazione, guida e dirige il fenomeno.
E sono di questo gruppo, ad esempio, le teorie, più seguite in campo psicologico, postulanti una causalità inconscia: impulsi libidici rimossi o repressi (Freud), situazioni affettive legate al complesso d’inferiorità (Adler), espressioni simboliche di esperienze personali o collettive, innate o acquisite (Jung). (Castelli G. D. 1960)
Sempre secondo un’ottica fenomenologica, in questo inquadramento, bisogna poi considerare anche la possibilità di una attività onirica di tipo creativo (Assagioli).
Vi è infatti, una ricca casistica ricorrente nei secoli che suggerisce l’ipotesi dell’esistenza di un’attività subconscia prelogica che, in modo inopinato, si dimostra capace di risolvere problemi che tramite un’attività razionale non avevano trovato soluzione.
Un caso paradigmatico di un sogno di tipo psicopompico è quello occorso al Prof. Lamberton dell’Università di Pennsylvania.
“…pur avendo meditato a lungo sopra un teorema di geometria, dovette rinunziare a risolverlo. Più non vi pensava da circa una settimana, quando la soluzione gli apparve improvvisa in sogno, sotto forma di un diagramma corredato con formule dimostrative. L’immagine allucinatoria, nettamente proiettata sulla parete, vi rimase per qualche tempo dopo il risveglio, dando al sognatore la possibilità di balzare dal letto e di ricopiare la figura”. (Stevens W. O., 1953)

Così pure, un altro sogno ispiratore, in questo caso con una rara componente ipnopompica allucinatoria auditiva, è il sogno fatto dal grande musicista Giuseppe Tartini.
“…trovandosi una notte in Assisi, si desta dal sonno e si mette febbrilmente a comporre una sonata in sol minore per violino e cembalo. Poc’anzi, a capo del letto sul quale dormiva, il diavolo, improvvisatosi violinista, si era spontaneamente a lui rivelato eseguendo una sonata di prodigiosa bellezza. Egli tenta di trascrivere quanto più gli riesce di ricordare: alcuni brani, qualche frammento e, soprattutto, la “cadenza” dell’ultimo tempo, il famoso “trillo”, fulgido capolavoro di composizione musicale che l’Autore tuttavia dichiara “enormemente inferiore” (Mazzucchelli) a quanto ebbe l’avventura di udire nel sogno”. (Castelli G. D., 1960)
Naturalmente, eventi di questo tipo si rintracciano nella storia di uomini di pensiero di tutti i tempi. Potrei citare Galeno il quale in sogno ebbe il suggerimento di realizzare un certo tipo di intervento per un suo paziente, analogamente a quanto occorse al chirurgo Von Esmarck, inventore del metodo ischemizzante, o al chimico Von Kekulè, che scoprì in sogno la soluzione dell’anello benzolico, ecc.

Ma, a questo punto, è doveroso sottolineare che il discorso analitico e interpretativo del sogno si impatta anche con contenuti particolarmente conturbanti, di per sé disturbanti o addirittura contrastanti la razionalità della scienza.
Alludo ai cosiddetti “sogni telepatici”. Non credo esistano psicologi o psicoanalisti attenti nel loro lavoro che non possano riferire di avere constatato, durante l’analisi dei sogni dei loro pazienti, un simile accadimento.
Già Freud aveva puntualizzato questa possibilità. In sintesi, in più occasioni, ha scritto:

  1. La telepatia è favorita dallo stato di sonno.
  2. Anche se il messaggio telepatico giunge al ricevente nello stesso momento in cui si svolge l’evento esterno, può essere percepito dalla coscienza solo nella notte successiva, durante il sonno.
  3. Vi sono due tipi di sogni telepatici: nel primo, il messaggio telepatico può essere considerato alla stregua di un residuo diurno il quale, secondo lo schema classico, “concorre” alla formazione del sogno. In questi casi il messaggio telepatico (…) non può dunque cambiare nulla nel processo di formazione del sogno”. Nel secondo tipo, invece, il sogno è la produzione non deformata di un evento esterno trasmesso telepaticamente, rispetto al quale la psiche mantiene un atteggiamento “ricettivo e passivo”. Per questo tipo di sogni Freud ritiene corretta la distinzione di “esperienza telepatica verificatasi durante il sonno”.
  4. Sembra essere facile la trasmissione di desideri inconsci o di ricordi laddove questi siano particolarmente “intensi” o dotati di una forte “tonalità affettiva”….”. (M. Bolko e A. Merini, 1991)

Come si vede, dunque, anche Freud, analizzando attentamente i sogni dei suoi pazienti, aveva constatato la presenza di quella che oggi definiamo “percezione extrasensoriale” o, meglio ancora, “interazione psi”. Ed anche R. Assagioli, parlando del significato dei sogni, definisce tale evenienza in modo esplicito, inquadrandoli nel suo schema, come “sogni parapsicologici”.

Un caso significativo di questo tipo di fenomenologia, è, ad esempio, il sogno fatto da C. G. Jung.
Racconto particolarmente importante nell’ambito della letteratura non solo psicologica, specie se si considera che Jung, durante la sua vita, frequentemente ha vissuto esperienze di chiara impronta paranormale.
Così racconta:
“Il rapporto tra medico e paziente – specie quando si verifichi un caso di transfert, o una più o meno inconscia identificazione tra il medico e il paziente – può occasionalmente determinare fenomeni di natura parapsicologica. È una cosa che mi è capitata spesso. Un caso del genere, che mi colpì particolarmente, fu quello di un paziente che avevo curato guarendolo da uno stato di depressione psicogena. Ritornò a casa e si sposò. Sua moglie però non mi piacque, la prima volta che la vidi provai un sentimento di disagio. Notai che per lei io, a causa dell’influenza che avevo sul marito, che mi era riconoscente, costituivo una spina nel cuore. Capita assai spesso che donne le quali non amano realmente il marito siano gelose e distruggano le sue amicizie. Vogliono che il marito appartenga a loro interamente, proprio perché non gli appartengono….”.
“L’atteggiamento della moglie costituiva per il marito un terribile fardello, che egli era incapace di sostenere: sotto il suo peso, dopo un anno di matrimonio, ricadde in uno stato di depressione. In previsione di questa eventualità, mi ero messo d’accordo con lui; mi avrebbe dovuto subito avvertire non appena avesse notato un cedimento nel suo stato d’animo…”.
“In quel periodo dovetti tenere una conferenza a B. Ritornai in albergo verso la mezzanotte – per un po’ dopo la conferenza, mi ero trattenuto con alcuni amici – e andai subito a letto. Ma rimasi sveglio a lungo. Circa verso le due – dovevo appena essermi addormentato – mi sveglio di soprassalto, con l’impressione che qualcuno fosse entrato nella stanza, e la porta fosse stata aperta precipitosamente. Immediatamente accesi la luce, ma non c’era niente. Pensai che qualcuno avesse sbagliato porta, e guardai nel corridoio: ma anche lì c’era un silenzio di tomba. “Strano” pensai “eppure qualcuno è entrato nella stanza!” Allora cercai di ricordare esattamente che cosa fosse accaduto, e mi sovvenni che mi ero svegliato con la sensazione di un dolore sordo, come se qualcosa mi avesse colpito prima alla fronte poi alla nuca.
“Il giorno seguente ebbi un telegramma che mi annunciava il suicidio del mio paziente. Si era sparato. In seguito seppi che la pallottola era rimasta conficcata nella parete posteriore del cranio”. (A. Jaffè, 1978)

Sulla possibilità di simili interferenze tra psichismi, che si realizzano durante il sogno, come voi sapete, vi è una ricca letteratura scientifica di Autori italiani e stranieri.
Ciò che mi piace sottolineare è il dato secondo cui tutto concorre a stabilire che anche tramite il sogno la nostra mente – meglio, la nostra coscienza – è capace di varcare i confini della stessa corporeità tramite la quale si manifesta.

Ma ritorniamo al sogno e vediamo ora in sintesi quali aspetti acquista il suo contenuto manifesto. In primo luogo nel contesto del sogno domina la perdita dei parametri sequenziali temporo-spaziali della realtà oggettiva.
Persone e luoghi subiscono contaminazioni e metamorfosi, mentre il vissuto emotivo affettivo sottostà ad una pseudo-logicità legata, a volte, all’azione di filtro della censura, mentre la coerenza e la sequenzialità logica del racconto onirico si organizza secondo processi dinamici molto bene puntualizzati da Freud e che vengono descritti come condensazione, sostituzione, drammatizzazione. (Penati G., 1974)
Infine, esistono processi in funzione dei quali gli elementi cognitivi, affettivi, emotivi, istintuali vengono sollecitati da condizioni psico-organiche endogene ed esogene e vengono variamente combinati in funzione di una loro valenza psicologica profonda sì da creare la drammatizzazione del racconto onirico.
É così che l’esperienza onirica acquista quei caratteri particolari che tutti conosciamo, densi di contenuti soggettivi, propri di questo o quel soggetto.
Ma, come dianzi ho ricordato, l’esperienza dimostra che in certe particolari e imprevedibili occasioni, i contenuti del sogno non sono frutto della fantasia o dell’immaginazione del soggetto, ma sono realtà psico-cognitive estranee al suo psichismo. Racconti onirici, perciò, che non sono riconducibili al suo vissuto (al vissuto ontologico), e non sono rapportabili all’emergenza di immagini archetipiche provenienti dall’inconscio collettivo, ma che invece sono riconducibili a un effetto di tipo paranormale, per l’attivazione della “funzione psi”. In altri termini vi sono sogni che paiono dimostrare una capacità cognitiva extrasensoriale e irrazionale della mente.

La letteratura parapsicologica a questo proposito, come ben sapete, è quanto mai ricca di esperienze di questo genere, e non c’è che l’imbarazzo della scelta.
E come vi sono sogni che realizzano fenomeni di chiaroveggenza pura, così vi sono racconti che si riferiscono a eventi di tipo paranormale proscopico (i cosiddetti sogni premonitori), con la drammatizzazione della causa della morte evidente e non simbolizzata.
G. Piccinici e G. M. Rinaldi (1990) nella loro recente inchiesta citano il seguente racconto onirico fatto da una donna di 33 anni.
“Sognai che un mio amico aveva un incidente in macchina. Nel sogno vedevo la sua macchina, che conoscevo bene, vedevo uno scontro con un’altra macchina e sentivo il rumore dello schianto. Non vedevo il mio amico chiaramente, era solo un’ombra, però sapevo che era lui, e udivo la sua voce che si lamentava e chiedeva aiuto. Nel sogno lui moriva.
“Al mattino raccontai il sogno a mio marito. Era un sabato. Per tutto il sabato e la domenica piangevo senza motivo, tanto che mio marito si chiedeva se ero impazzita. Non sapevo dare una spiegazione alla mia angoscia, perché non la associavo al sogno.
“Quel sabato a mezzogiorno e mezza, il mio amico moriva in un incidente mentre era in viaggio in Ungheria: si era scontrato con un’altra macchina. Lo venni a sapere la sera della domenica dalla televisione, e allora dissi a mio marito: “Hai visto che non sono una visionaria?”.

Vi sono altri casi in cui, invece il sogno non illustra in modo realistico i fatti che accadranno, ma contiene soltanto una allusione più o meno indiretta e simbolica di un evento futuro.
Alludo a quella casistica spontanea in cui il sogno pare informare il soggetto che sarà protagonista di un accadimento grave che egli dovrà esperienziare, ma che per questa specifica informazione egli si salverà. Casistica che la letteratura parapsicologica riunisce nel capitolo delle “premonizioni tutelari”.
Un caso paradigmatico è quello riferito da G. Dario Castelli (1960), accaduto nel 1957. “Una donna sogna di essere svegliata da una voce che la chiama sulla strada. Si alza e corre alla finestra: dinanzi alla casa si è formato un carro funebre. Il cocchiere ha l’occhio sinistro coperto da una benda nera. Scende di serpa, punta l’indice verso la donna e le chiede: – Siete pronta? – La donna, gelata dallo spavento, fa segno di no e indietreggia nel vano della finestra. – Sta bene – risponde calmo il cocchiere e si allontana nella nebbia.
“Qualche settimana dopo, la donna si trova all’ottavo piano di un grande magazzino, aspettando l’ascensore per tornare al pianterreno. L’ascensore arriva. La porta si spalanca: appare un “groom”. Ha l’occhio sinistro coperto da una benda nera. La donna, paralizzata da un assurdo terrore, resta ferma vicino alla ringhiera. – Siete pronta? – domanda l’uomo. La donna fa cenno di no. L’uomo richiude la porta dell’ascensore, stracarico, che scende verso il pianterreno. Qualcosa si spezza; la grande scatola e tutto il contenuto vanno a fracassarsi contro il suolo…”.

Infine ritengo utile citare un caso da me stesso controllato perché può illustrare la dinamica onirica simbolica.
Caso che nella sua apparente elementarità, dimostra come nel soggetto, durante una situazione del genere, molto spesso si instaura uno stato di ansiosa attesa vigile, accompagnato da uno squilibrio neuro-vegetativo. Stato disturbante il suo equilibrio psicosomatico che scomparirà nel momento in cui l’informazione onirica troverà la sua realizzazione nella realtà dei fatti.
Il caso è il seguente. Il sogno mi fu riferito dalla Sig. M. D., la quale aveva già dimostrato in precedenti occasioni di poter vivere in modo simbolico, durante il sogno, eventi futuri.

Sogno n. 7. Il seguente sogno è stato fatto nella notte del 13-14 giugno 1955, tra le ore 3 e le ore 5 del mattino. È stato riferito al Dott. Marabini alle ore 11,30 del giorno 14 giugno 1955, presente la Sig.na R. S., infermiera.
“Dopo alcune scene di sogni in cui ero angustiata, mi sento far male ad un dente … molto male …e tanto ho tirato colle mie dita che me lo sono tolto.
“Ha cominciato ad uscire sangue dalla ferita.
“Subito ho cercato di medicarla, ma il sangue sgorgava sempre abbondante, e l’arcata mandibolare mi doleva.
“con tutto ciò, le mie mani non si sporcarono di sangue”. “Mi sono svegliata depressa e con una forte cefalea. Ancora adesso (sono le 11,30 del 14-6-55) mi sento tutta agitata internamente. Ho la necessità di stare sveglia, poiché sono convinta che se mi addormento, di nuovo sogno questi fatti.
Appena terminato il racconto, si cercò di analizzare brevemente il sogno mediante il metodo associazionistico. Ne risultò quanto segue: Male ad un dente. (Associazione). – Il male ai denti per me è associato a dispiaceri familiari. Dente che è tolto. (Associazione). – Ogni qual volta mi sono sognata un “dente tolto”, nella famiglia vi è sempre stato un lutto. “Lei” si è tolto un dente colle sue mani. (Associazioni). – Non saprei a cosa associarlo. Certamente è la prima volta che mi capita; negli altri sogni analoghi, i denti mi sono sempre stati tolti. Sangue che sgorga dalla ferita. (Associazione) – Il sangue che sgorgava era mio. Perciò ho paura che si riferisca a qualche persona del mio sangue. Le mani non si sporcano di sangue. (Associazione). – Per me quando le mani mi si sporcano di sangue, vuol dire “guadagno”. (Faccio notare che la Sig.ra M. D. è di professione ostetrica) Pertanto, qui sento una conferma delle sensazioni precedenti. Non si tratta di guadagno.
Fu allora richiesto al soggetto di esprimere una sua interpretazione del sogno. Così rispose: “Ho la convinzione che questo sogno si riferisca ad un lutto della mia famiglia (nel senso di parenti). Alla mattina da sveglia, ho pensato alla nipotina (figlia del fratello) che da domenica ho saputo gravemente indisposta. Soffre dalla nascita di epilessia e nella giornata di domenica ha avuto tre accessi”.
I fatti che seguirono. – Il giorno 29 giugno, alle ore 10, incontriamo la Sig.ra M. D., la quale, in seguito alle nostre richieste di essere tenuti al corrente di tutti i fatti che fossero capitati in quei giorni, ci riferisce quanto segue:
“Il giorno 25 giugno, rientrando a casa da Castelfranco, mio cugino G. C. perdeva il controllo della motocicletta e cadeva riportando la frattura di un braccio. Ora è ricoverato all’ospedale con prognosi favorevole”.
Chiesi allora alla Sig.ra M. D.: “Crede che il sogno del 14 giugno si possa mettere in relazione con questo avvenimento?”.
Ella rispose: “No. questo fatto non ha niente a che fare col sogno. Nel sogno io “mi sono tolta un dente”, e questo per me è sempre stato sinonimo di ‘morte”.
Nel pomeriggio del giorno 29 giugno, la Sig.ra M. D., alle ore 16, mi telefonava dicendomi che alle ore 14 era stata avvertita telefonicamente da Castenaso della morte del cugino Sig. M. A.
Per quanto riguarda questo avvenimento si sono potuti raccogliere i seguenti dati: il giorno 28 giugno 1955, nelle prime ore del mattino il Sig. M. G. di Marano, cugino della Sig.ra M. D. (dal lato paterno), di anni 50, si era suicidato impiccandosi. (E. Marabini, 1956).

Con questo breve excursus sul sogno, dopo avere preso in considerazione le sue modalità realizzative, e la varietà dei suoi contenuti, abbiamo conosciuto che la fenomenologia onirica può avere un’origine sia dalla attività della struttura organica, che da stimolazioni provenienti dall’ambiente esterno. Ed egualmente può essere sollecitata da residui psicoemotivi diurni ed anche da una rielaborazione di contenuti rimossi.
Infine abbiamo constatato che a livello contenutistico tutte queste allucinazioni, per quanto effimere esse siano, frequentemente dimostrano di possedere i caratteri di un dialogo, di un messaggio finemente articolato.
É a questo punto, allora, che mi pare giustificato chiedere: quale realtà nasconde la vita del sogno?
Quale nucleo, o quale matrice organizza questi eventi?
Indubbiamente la fenomenologia onirica trova il suo veicolo di emergenza nello psicosoma, ma l’elemento centrale, dinamicamente inconscio che dirige, informa, osserva, trasforma, elabora e simbolizza messaggi e progetti è la coscienza, cioè l’Io.
E quando constatiamo, nella drammatizzazione del sogno, l’intrusione di particolari e straordinari contenuti veridici, che la loro analisi dimostra essere estranei alla stessa struttura psicosomatica dell’individuo che li manifesta – alludo alle informazioni paranormali – è sempre in azione la coscienza.
Se a livello di discorso psicologico, questa realtà coscienziale (o Io), ha assunto un significato operativo clinico e terapeutico, è doveroso ricordare che troviamo ora importanti conferme della validità di tale concetto negli attuali indirizzi delle Neuroscienze.
Infatti, le conoscenze che emergono da questi studi, cominciano ad offrire impensate e lusinghiere conferme riguardanti le molteplici proprietà dell’istanza coscienziale, non ultimo che la coscienza, per usare le parole di Roger Sperry (come ho ricordato in altre occasioni) pur essendo collegata con la materia cerebrale non è ad essa riducibile.
Il che, in altri termini, è come dire che la coscienza è indipendente dalla struttura tramite la quale si manifesta.

Dunque, tutto questo ancora una volta ci riconferma perché la coscienza, questa misteriosa istanza dell’essere, si dimostra capace di operare negli infiniti spazi dell’inconscio personale e collettivo e, in particolari circostanze e senza che il soggetto ne sia direttamente consapevole, può spaziare nell’intramondano sino ad immergersi in un differente dominio di realtà realizzando così un rapporto non solo con il resto dell’Universo, ma a volte anche col dominio del trascendente.

Bibliografia
  1. ASSAGIOLI R. (1973) – Principi e metodi in Psicosintesi Terapeutica. Astrolabio, 1973.
  2. BOSINELLI M. (1991) – Il processo di addormentamento. in: Sogni: figli d’un cervello ozioso. Bollati Boringhieri, 1991, 249.
  3. BOLKO M. e MERINI A. (1991) – Sogno e telepatia. Continuità e discontinuità della ricerca psicoanalitica. in: Sogni: figli d’un cervello ozioso. Bollati Boringhieri, 1991, 129.
  4. CASTELLI G. D. (1960) – Psicologia e parapsicologia del sogno. CEDAM, 1960.
  5. JAFFÈ A. (1978) – Ricordi, sogni, riflessioni di C. G. Jung. Biblioteca Universale Rizzoli, 1978.
  6. MANCIA M. (1974) – Sonno e sogno: aspetti psicologici ed etologici. La Medic. Intern. A. LXXXII, Luglio, 1974, 25.
  7. MARABINI E. (1956) – Sogno paragnosico. Parapsic. di Minerva Medica, A. XLVII, n. 48, 1956, 3.
  8. NOBILI D. (1991) – Il dialogo analitico: il sogno come strumento di comunicazione. in: Sogni: figli d’un cervello ozioso. Bollati Boringhieri, 1991, 91.
  9. PENATI G. (1974) – Sonno e psichiatria. La Med. Intern., A. LXXXII, Luglio 1974, 61.
  10. PICCININI G. e RINALDI G. M. (1990) – I fantasmi dei morenti. Editrice il Cardo, 1990.
  11. SPERRY R. (1983) – Science and Moral Priority. Oxford, 1983.
  12. STEVENS W. O. (1953) – Il mistero dei sogni. Bompiani, 1953.
Edda CattaniIl sogno paranormale
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Per non dimenticare: 27 gennaio

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Una coscienza sul passato per un futuro migliore

Nel 2000 venne istituito dal Parlamento italiano il Giorno della Memoria, il 27 gennaio, per ricordare quel giorno del 1945, in cui furono aperti i cancelli della città polacca di Auschwitz e fu svelato l’orrore del campo di sterminio, delle deportazioni, del genocidio nazista che causò la morte di milioni di persone, soprattutto ebrei.

Passare dalla memoria alla storia è il percorso che molti studiosi stanno compiendo ormai da anni nella lettura nella Shoah e dello sterminio nazista.

 La storia europea degli ultimi 60 anni è stata connotata dalla terribile tragedia della seconda guerra mondiale e dallo sterminio nei lager. Una storia vissuta in prima persona anche da chi è nato dopo la guerra, perché troppo fortemente quella vicenda ha segnato tutti coloro che l’hanno vissuta, anche se non hanno subito direttamente la deportazione. Il dramma dei sopravvissuti, la testimonianza di chi ha visto ed è tornato dall’orrore e dall’inferno per raccontarcelo ha coinvolto anche chi non c’era. La letteratura, il cinema, il teatro, le mille forme della comunicazione e della narrazione hanno attinto alle stesse fonti della storia.

 Con il passare del tempo, per ragioni anagrafiche, i testimoni cominciano a scomparire e corriamo il rischio che con essi scompaia anche la memoria di quei fatti, lasciati appunto allo studio della storia.

 E invece la memoria è importante non solo perché tiene vivo il ricordo di quei fatti. Ma, come ricorda David Bidussa, “la memoria è un atto che si compie tra vivi ed è volto […] alla costruzione di una coscienza pubblica, essa ha un valore pragmatico, serve per fare qualcosa”.

Coltivare la memoria di ciò che è stato non è allora solo il rituale dovuto ogni anno per celebrare il 27 gennaio. Questa data, ricorda sempre Bidussa, non è il giorno dei morti. La memoria ha un senso se coltivata al futuro, se ci consente, interrogandoci su ciò che è stato, di trovare il modo di prevenire, di sviluppare gli anticorpi sociali e culturali dello sterminio, del razzismo, dell’annientamento di popoli e culture. Osservando quanto sta succedendo nel nostro mondo e purtroppo anche in Italia, siamo in crisi di memoria e gli anticorpi democratici si stanno indebolendo. Ecco perché è importante che il 27 gennaio non sia una celebrazione rituale. (da siti internet)

  

Il senso del Giorno della Memoria

 Il 27 gennaio 1945, venivano aperti i cancelli di Auschwitz. Le immagini che apparvero agli occhi dei soldati sovietici che liberarono il campo, sono impresse nella nostra memoria collettiva. Ad Auschwitz, come negli innumerevoli altri campi di concentramento e di sterminio creati dalla Germania nazista, erano stati commessi crimini di incredibile efferatezza. Tali crimini non furono commessi solo contro il popolo ebraico e gli altri popoli e categorie oppressi, ma contro tutta l’umanità, segnando una sorta di punto di non ritorno nella Storia. 

 

NUOVI LIBRI DELLA SHOAH
La ricorrenza
Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche dell’Armata Rossa, nel corso di un’offensiva in direzione di Berlino, arrivarono presso la città polacca di Auschwitz, scoprendo l’orrore del campo di concentramento e svelando per la prima volta al mondo le stragi del genocidio nazista. Dal 2000 anche il nostro Paese ha scelto questa data per commemorare le vittime dell’Olocausto, che si stimano fra i 13 e i 19 milioni di persone, uccise e cremate nell’arco di quattro anni.
libri della Shoah
 
24 Gen 2011
Il profumo delle foglie di limonedi Clara Sanchez

Il profumo delle foglie di limone di Clara Sanchez Uscito in sordina in Spagna, ha ben presto ha scalato le classifiche vendendo migliaia di copie grazie al passaparola del pubblico. Poi è venuta la consacrazione della critica: la vittoria del Nadal, il premio letterario spagnolo più antico e prestigioso, e la stampa che gli ha dedicato pagine e pagine. A metà strada tra storia di iniziazione e thriller psicologico, iL PROFUMO DELLE FOGLIE DI LIMONE fa incrociare le vite di Fredrik e Karin, una coppia di ex criminali nazisti rifugiatisi nella Costa Blanca spagnola, di Julian, un anziano repubblicano spagnolo che fu imprigionato nel campo di Mauthausen, e di Sandra, una giovane donna sulla trentina che ha scelto di trovare rifugio sulla costa alla ricerca di un angolo di mondo in cui sentirsi ancora viva.
 

23 Gen 2011
Il segreto della casa sul cortile di Lia Levi

Il segreto della casa sul cortile di Lia Levi

Giornalista e sceneggiatrice, oltre che apprezzata autrice di romanzi per ragazzi, Lia Levi ha scritto libri davvero toccanti e profondi sulle vergognose leggi razziali del 1938, sulle sofferenze degli italiani di religione ebraica, ma anche sulla solidarietà che si è spesso creata nella popolazione italiana verso questi perseguitati. Il periodo nel quale si svolge IL SEGRETO DELLA CASA SUL CORTILE è quello tra il 1943 e il 1945. Siamo alla vigilia dei terribili rastrellamenti del ghetto di Roma che ha portato migliaia di persone verso la morte nei campi di sterminio.
 

22 Gen 2011

Ti racconto la mia storia di Tullia Zevi, Nathania Zevi

Ti racconto la mia storia. Dialogo tra nonna e nipote sull'ebraismo di Tullia Zevi, Nathania Zevi Scompare Tullia Zevi all’età di 91 anni, giornalista e scrittrice milanese che dedicò l’intera vita a favore dell’educazione, dell’arte e della cultura, e all’impegno nella comunità ebraica italiana. Quando uscirono i primi decreti razziali Tullia Zevi aveva solo diciott’anni e dalla Svizzera, dove si trovava in villeggiatura, non poté far ritorno in Italia fino alla fine della guerra. La sua vita, come quella di tanti altri, ne fu sconvolta. Dall’esilio in Svizzera, poi Parigi, l’America e infine Roma.
 

18 Gen 2011
Le valigie di Auschwitzdi Daniela Palumbo

Le valigie di Auschwitz di Daniela Palumbo

Nulla è più sconvolgente della guerra. Nulla lo è stato più dell’eliminazione in massa degli ebrei per volere di un solo uomo. Che lo aveva deciso. Che aveva deciso che così doveva essere. Perché era giusto. Ma nulla, davvero, è più atroce di una moria in cui le vittime sono annichilite e impotenti. Di fronte alla crudeltà, di fronte ad una forza distruttrice che non ha paragoni.
Se doveste mai fare una visita al campo di sterminio di Auschwitz, in questo venichtungslager, non potrete non rimanere colpiti dalla stanza 4 del blocco 5. Dietro la cui vetrata si erge una montagna. Quella dei nomi e dei cognomi, quella delle città e delle vie scritte in tutta fretta. Con la segreta speranza, l’incosciente e la cosciente consapevolezza del non-ritorno. La montagna di valigie dei deportati nel campo. Quelli che appena arrivati venivano subito eliminati perché considerati più deboli dei deboli. Così, senza un vero perché, senza una vera ragione. Solo perchè diversi. Questa è la storia raccontata daDaniela Palumbo nel suoLE VALIGE DI AUSCHWITZ Attraverso racconti e testimonianze. “Ho saputo che è esistito un tempo in cui dei bambini venivano costretti a partire con una valigia riempita in fretta, per una destinazione che non conoscevano e non facevano ritorno a casa, mai più”. Le storie racchiuse in questo libro sono la traccia di un passaggio. Quello di 5 bambini: Carlo, Hannah, Jakob, Dawid, Emeline. Ognuno con la propria dolorosa quotidianità e accompagnata da un viaggio nella sofferenza della diversità. Ma che va ricordata e raccontata. “Il luogo che conserva la memoria di quei bambini e delle loro piccole valigie , si chiama Auschwitz”.
E’ la storia di questi bambini che innocenti vittime hanno percorso un breve tratto della loro vita. Alcuni l’hanno proseguita. Altri si sono persi per sempre.
Per tutti il comun denominatore è una stella. Quella gialla della diversità. Quella luminosa che brilla nel cielo e che ce li fa ricordare.
Purtroppo sempre troppo poco. Purtroppo sempre più raramente.
Ecco il motivo per cui esistono libri come questo. Per mantenere questo scintillio vivo. Brillante.
Ha vinto il Premio Letterario Il Battello a Vapore, dedicato a romanzi inediti per ragazzi e indetto dalle Edizioni Piemme.

“In questo libro racconterò una storia, anzi più storie, di bambini che sono esistiti tanti anni fa, quando non ero ancora nata”. Dove ha sentito le storie di questi cinque bambini? 
Le storie narrate  sono frutto di invenzione letteraria. Eppure sono vere. Sono vere nella misura in cui la scrittura, il raccontare le storie della vita, permette allo scrittore di dare corpo e anima all’umanità rarefatta (in questo caso) che è nei libri di storia, nei ricordi dei testimoni, nella didascalie di una foto. Sono vere perché Jakob, Hannah, Carlo, Emeline e Dawid, rappresentano tutti quei bambini che sono scesi dal treno ad Auschwitz e sono stati messi nella fila degli inutili: quella che andava direttamente alle docce, ovvero nelle camere a gas e ai forni. I tedeschi chiamavano i prigionieri dei lager haftling che vuol dire pezzo. I pezzi inutili erano tutti i bambini fino ai 13 anni, perché non potevano lavorare e venivano immediatamente gasati.

Scrivere per non dimenticare o scrivere per insegnare?
Scrivere per non dimenticare. La shoah non riguarda solo gli ebrei, ma l’umanità tutta. Perché è una pagina della Storia che ha segnato un confine: dopo Auschwitz è come se l’umanità avesse persol’innocenza, non abbiamo più potuto rappresentarci allo stesso modo. È come se il peso di quell’insensata catastrofe sia dentro tutti noi. L’uomo, ieri e oggi e domani, dovrà sempre tremare di vergogna conoscendo la verità perché, come ha scritto Primo Levi, se è accaduto una volta, può riaccadere. Il silenzio e l’indifferenza, solo in parte giustificati con la paura che il regime nazista incuteva, sono stati complici del sistema-lager. Moltissimi sapevano ma potevano fare finta di non sapere perché i tedeschi cercavano di nascondere la verità. E allora la memoria è consapevolezza, l’ignoranza è viltà. E oggi che stanno scomparendo i testimoni diretti assumono sempre più importanza due cose: gli oggetti dei prigionieri, come le Valigie, dove sono scritti indelebilmente nomi e cognomi di chi è esistito, prima di essere inghiottito ad Auschwitz. E le persone, non solo di origine ebraica, che credono nel passaggio del testimone: sapere e raccontare, anche senza aver vissuto, diventa un’assunzione di responsabilità di fronte alla ferita insanabile subita da un’umanità inerme. Ma è anche un atto di responsabilità verso le generazioni future: che non possano mai dire, io non c’entro, non mi riguarda.

Quanto può essere dolorosa una scrittura sul tema dell’Olocausto?
C’è un dolore privato in cui metti in gioco la tua sensibilità, la tua formazione, la storia personale di essere umano, di donna, di madre anche. E c’è un dolore più profondo forse, il dolore dell’appartenenza a un’umanità che ha potuto strappare i figli dalle madri per gettarli nei forni. Poi tornare a casa, suonare il pianoforte con i figli accanto, portare fiori alla moglie, mettere la mantella al cane per la pioggia, accompagnare a scuola i figli e, finiti i giorni di congedo, tornare sereno al lavoro, nel lager.

Valeria Merlini

 

 

Edda CattaniPer non dimenticare: 27 gennaio
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“Schindler’s list”

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“Schindler’s list”

“Chiunque salvi una vita salva il mondo intero”

Schindler’s List è un film del 1993 diretto da Steven Spielberg, interpretato da Liam NeesonBen Kingsley e Ralph Fiennes.

Ispirato al romanzo La lista di Schindler di Thomas Keneally, basato sulla vera storia di Oskar Schindler, permise a Spielberg di raggiungere la definitiva consacrazione tra i grandi registi, vincendo l’Oscar per la “miglior regia” e il “miglior film”.

Il film è stato girato interamente in bianco e nero, fatta eccezione per quattro scene: la prima è la scena iniziale, in cui si vedono due candele spegnersi, così come, simbolicamente, la fiammella di altre due candele riacquista colore verso il termine della storia, la seconda e la terza, dove appare una bambina con un cappotto rosso, la prima durante il rastrellamento del ghetto e la seconda durante la riesumazione delle vittime, e l’ultima durante la scena finale.

La bambina con il cappotto rosso (dal film di Steven Spielberg)

Da FB il commento di F.S. 

“perchè non potrebbero rubarci l’amore…” L’amore, quello che ci fa perdonare, quello che ci sostiene,salva, sempre e comunque, l’unica vera ricchezza che , non si quantifica, nè , come di ci tu si ruba, ma si dona e si riceve… non salvi solo la tua di anima, ma anche quella di chi ti legge… l’amore quello infinito che varca i confini della vita e della morte… L’amore quello che ci fà essere persone migliori, che ci unisce, nonostante diversità o distanze… L’amore, quello con la A maiuscola,che un caro amico del cyberspazio ;),mai conosciuto di persona ti dimostra scrivendo cose meravigliose, quello di cui spesso mi nutro leggendo le tue note, e quello che goffamente cerco di “donarti”, con i miei commenti , e messaggi nei momenti per te più bui …l’amore, quello che mi unisce ai tuoi alti e ai tuoi bassi di uomo e padre… l’amore l’unico mezzo di resurrezione per chi è morto dentro… l’amore…. 
Edda Cattani“Schindler’s list”
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I confini della misericordia

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I confini della misericordia

Ma davvero la famiglia della dottrina ecclesiastica corrisponde al disegno di Dio? 

Vito Mancuso su Repubblica del 23 gennaio 2016

 

Contrariamente a molte altre volte, il Papa non ha sorpreso nessuno con il discorso di ieri al Tribunale della Rota Romana, un testo del tutto secondo copione, il medesimo che non solo Benedetto XVI e Giovanni Paolo II ma anche tutti gli altri 263 Papi avrebbero potuto tenere. Francesco ha detto che «non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione», perché la famiglia tradizionale (cioè quella «fondata sul matrimonio indissolubile, unitivo e procreativo») appartiene «al sogno di Dio e della sua Chiesa per la salvezza dell’umanità». Vi è quindi un modello canonico di famiglia, rispetto al quale tutte le altre forme di unione affettiva e permanente sono livelli più o meno intensi di quanto il Papa ha definito «uno stato oggettivo di errore». È per questo che solo la famiglia della dottrina ecclesiastica merita il nome di famiglia, mentre a tutte le altre spetta il termine meno intenso di «unione».

Ma è proprio vero che la famiglia della dottrina ecclesiastica corrisponde al disegno di Dio? Oppure è anch’essa una determinata espressione sociale, nata in un certo momento della storia e quindi in un altro momento destinata a tramontare, come sta avvenendo proprio ai nostri giorni all’interno delle società occidentali? Penso che il referendum della cattolicissima Irlanda con cui è stata mutata la costituzione per permettere a persone dello stesso sesso di contrarre matrimonio sia una lezione imprescindibile per il cattolicesimo, della quale però a Roma ancora si fatica a prendere atto. In realtà che la famiglia evolva e cambi lo mostra già il linguaggio. Il termine “famiglia” deriva dal latino familia e sembra quindi dotato di una stabilità più che millenaria, ma se si consulta il dizionario si vede che il termine latino, ben lungi dall’essere ristretto al modello di famiglia della dottrina cattolica, esprime una gamma di significati ben più ampia: «Complesso degli schiavi, servitù; truppa, masnada; compagnia di comici; l’intera casa che comprende membri liberi e schiavi; stirpe, schiatta, gente». Lo stesso vale per il greco del Nuovo Testamento, la lingua della rivelazione divina per il cristianesimo, che conosce un significato del tutto simile al latino in quanto usa al riguardo il termine oikia, che significa in primo luogo “casa” (da qui deriva anche il termine “parrocchia”, formato da oikia + la preposizione parà che significa “presso”). Anche nell’ebraico biblico casa e famiglia sono sinonimi, dire “casa di Davide” è lo stesso di “famiglia di Davide”: si rimanda cioè al casato, comprendendo mogli, figli, schiavi, concubine, beni mobili e immobili.

Quindi le lingue della rivelazione di Dio non conoscono il termine famiglia nel senso usato dalla dottrina cattolica tradizionale e ribadito ieri dal Papa. Non è un po’ strano? La stranezza aumenta se si apre la Bibbia. È vero che in essa si legge che «l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno un’unica carne» (Genesi 2,24), ma se si analizzano le esistenze concrete degli uomini scelti da Dio quali veicoli della sua rivelazione si vede uno scenario molto diverso con altre forme di famiglia: Abramo ebbe 3 mogli (Sara, Agar e Keturà), Giacobbe 2, Esaù 3, Davide 8, Salomone 700. A parte Salomone, che in effetti eccedette, non c’è una sola parola di biasimo della Bibbia a loro riguardo. Che dire? La parola di Dio è contro il disegno di Dio? Oppure si tratta di testi che vanno interpretati storicamente? Ma se vanno interpretati storicamente i testi biblici, come non affermare che va interpretato storicamente anche il modello di famiglia della dottrina ecclesiastica?

Ciò dovrebbe indurre, a mio avviso, a evitare affermazioni quali «stato oggettivo di errore». La vita quotidiana nella sua concretezza insegna che vi sono unioni ben poco tradizionali di esseri umani nelle quali l’armonia, il rispetto, l’amore sono visibili da tutti, e viceversa unioni con tanto di sacramento cattolico nelle quali la vita è un inferno. Siamo quindi davvero sicuri che la dottrina cattolica tradizionale sulla famiglia sia coerente con l’affermazione tanto cara a papa Francesco secondo cui «il nome di Dio è misericordia»? Io ovviamente mi posso sbagliare, ma mi sento di poter affermare che Dio non pensa la famiglia, meno che mai quella del Codice di diritto canonico. Pensa piuttosto la relazione armoniosa alla quale chiama tutti gli esseri umani, perché il senso dello stare al mondo è esattamente la relazione armoniosa, che si esplicita in diversi modi e che trova il suo compimento nell’amore. Ogni singolo è chiamato all’amore: questo è il senso della vita umana secondo il nucleo della rivelazione cristiana. Sicché nessuno deve poter essere escluso dalla possibilità di un amore pieno, totale, anche pubblicamente riconosciuto. Ed è precisamente per questo che ci si sposa: perché il proprio amore, da fatto semplicemente privato, acquisti una dimensione pubblica, politica, in quanto riconosciuto dalla polis. Questo amore è definibile come integrale, in quanto integra la dimensione soggettiva con la dimensione pubblica e oggettiva dell’esistenza umana.

La nascita di alcuni esseri umani con un’inestirpabile inclinazione sessuale verso persone del proprio sesso è un fatto, non piccolo peraltro: essi devono strutturalmente rimanere esclusi dalla possibilità dell’amore integrale? In realtà l’aspirazione all’amore integrale deve essere riconosciuto come diritto inalienabile di ogni essere umano acquisito alla nascita. L’amore integrale è un diritto nativo, primigenio, radicale, riguarda cioè la radice stessa dell’essere umano, e nessuno ne può essere privato. Spesso nel passato non pochi lo sono stati, e ancora oggi in molte parti del mondo non di rado continuano a esserlo. Oggi però il tempo è compiuto per sostenere nel modo più esplicito che tutti hanno il diritto di realizzarsi nell’amore integrale, eteroaffettivi e omoaffettivi senza distinzione. La maturità di una società si misura sulla possibilità data a ciascun cittadino di realizzare il diritto nativo all’amore integrale, ma io credo che anche la maturità della comunità cristiana si misuri sulla capacità di accoglienza di tutti i figli di Dio così come sono venuti al mondo, nessuno escluso.

Che cosa vuol dire che «il nome di Dio è misericordia» per chi nasce omosessuale? È abbastanza facile dire che Dio è misericordia quando ci si trova al cospetto di casi elaborati da secoli di esperienza. Più difficile quando ci si trova al cospetto della richiesta di riconoscimento della piena dignità da parte di chi per secoli ha dovuto reprimere la propria identità. Qui la misericordia la si può esercitare solo modificando la propria visione del mondo, ovvero infrangendo il tabù della dottrina. Ma è qui che si misura la verità evangelica, qui si vede se vale di più il sabato o l’uomo. Qui papa Francesco si gioca buona parte del valore profetico del suo pontificato.

 

 

 

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Ho bisogno di Te!

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La mia preghiera 

 

“Io ho bisogno di un Dio come Te, mio Dio. Ho necessità di sapere  che mi comprendi, che  stai dalla mia parte, Tu che ti chiami Padre, Dio mio!

 

Ho bisogno di Te per crescere e comprendere che anche Tu hai pianto con me quella notte mentre si azzerava il  mio senso di onnipotenza, che ti sdraiavi sulla croce mentre io graffiavo la lapide del sepolcro, che mi chiamavi a Te per darmi, nella mia vuota disperazione, il dono, come al Figliol Prodigo, della Tua mensa.

 

Voglio pensare che Tu hai un disegno su me, su tutti noi e soprattutto sui nostri Figli… perché desidero sapere che li impieghi bene, che Tu li adoperi in una  missione, in un cammino in cui sono portati all’evoluzione mentre si adoperano per gli altri. Ci hanno detto che hanno compiti da svolgere. E come potrebbe essere diversamente? Hai un buon esercito, Dio mio; giovani menti e cuori saldi e generosi.

 

In questo progetto voglio esserci anch’io, con le mie cadute, le mie esasperazioni, il mio modesto credere e la mia speranza di sapere aiutare chi mi incontra nel cammino!

 

Non sopporto, Signore, l’ignavia, la mollezza, l’indecisione, l’apatia e non mi va l’immagine di Te trionfante e immobile come ti avevo visto nei mosaici della mia Ravenna, quando, giovanetta, guardavo affascinata tutta quella ricchezza e quello sfavillio di pietruzze d’oro, acclamando la Tua Regalità e la Tua potenza. Non mi dicono nulla gli affreschi giotteschi con quella schiera di angeli tutti uguali ed immobili davanti alla Tua maestosità.

 

Di Te mi piace pensare come al vento impetuoso, al turbinare delle onde, al cielo stellato. Tu Dio mio, dalle innumerevoli facce, che mi dai immagini di Te sempre nuove, sono certa che avrai nuovi progetti sulla mia vita terrena ormai agli sgoccioli, come avrai trovato il modo di coinvolgere i miei adorati Figli, il mio Andrea, giovane soldato che ti definiva “Signore, Dio degli eserciti” e li avrai portati a svolgere ed a vivere, perché di vita si tratta, un’avventura affascinante, entusiasmante, sconvolgente.

 

Questi Nuovi Angeli sono i veri Tuoi messaggeri! Uno stuolo di anime belle, coinvolte in un disegno che solo Tu conosci e che, un giorno, vedremo anche noi e condivideremo nella patria celeste.”

 

 

 

E voglio terminare con le parole di Don Tonino Bello:

 

“Da quando l’Uomo della Croce è stato issato sul patibolo, quel legno del fallimento è divenuto il parametro vero di ogni vittoria, e le sconfitte non vanno più dimensionate sui naufragi in cui annegano i sogni. Anzi, se è vero che Gesù ha operato più salvezza con le mani inchiodate sulla Croce, nella simbologia dell’impotenza, che non con le mani stese sui malati, nell’atto del prodigio, vuol dire, cari fratelli delusi, che è proprio quella porzione di sogno, che se n’è volata via senza realizzarsi, a dare ai ruderi della nostra vita, come per certe statue monche dell’antichità, il pregio della riuscita.”

 

Edda CattaniHo bisogno di Te!
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Vino nuovo…

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Finora… (di Alessandro Dehò)
(Giovanni 2,1-11)

Entra nel mondo come lievito, invitato tra gli invitati. Gli amici, la madre, un po’ di festa, questa la sua solennità, questo il suo tempio. Entra tra le voci e le risa, muove i suoi passi tra i costumi di una religione che prova a dare senso al vivere, cammina nel cuore di un umano che prova a promettersi eternità per sconfiggere almeno per un poco la morte. Entra in un mondo profumato di carni arrostite al fuoco, di pane e di vino, di danze, musiche, risate sguaiate, tristezze velate, frasi urlate e parole sommesse… entra nella vita che non ha vergogna di mostrarsi così come è, a Cana, in un matrimonio come tanti, entra, Gesù, da invitato.

Poi diranno che a Cana tutto è iniziato, che è stata inaugurata l’Alleanza definitiva, che l’Antico Testamento stava diventando Nuovo e che lo sposo atteso era proprio Gesù… ed è tutto vero però, dopo. Intanto Gesù è invitato tra gli invitati. E accetta l’invito. E credo che tutto inizi davvero così, anche per noi. Se vogliamo dare inizio ai segni cioè rinascere a una vita significativa per noi e per gli altri dobbiamo innanzitutto accettare l’invito che la vita ci offre. Invito all’umanità. Accogliere con gratitudine di essere stati invitati da questa vita anche se spesso sembra un matrimonio tra disperati che non riescono a portare a termine mezza festa. Accogliere l’invito significa entrare nella storia e accoglierne i profumi e gli odori, le danze e le risa anche sguaiate, significa non deridere lo scambio umano di promesse di eternità anche se lo sappiamo, sono sempre troppo enormi. Non stare fuori dalla festa. Farne parte. Da invitato tra gli invitati. Maturando un profondo legame con tutti gli altri commensali, imparando a guardarli con tenerezza e misericordia. Ridere con loro e mai di loro. Mi pare che questo sia il vero segno di inizio che Gesù ci consegna, ben prima dell’acqua in vino c’è questa totale immersione nell’umanità. Ospiti dell’umano, a noi il dolce impegnativo compito di farlo fiorire. Per noi e per gli altri. Trasformandoci, vero miracolo, da anfore vuote in sorgenti sorprendenti di vita.

Poi il vino finisce, lo sappiamo. Maria si accorge. Lei è donna, è madre, la vita le ha già insegnato a partorire uno sguardo attento al mondo. Dopo scopriremo che quel vino è simbolo e segno di tutte le feste umane esaurite, di una Alleanza con Dio che andava rinnovata… dopo. Intanto è vino finito. È storia che interroga. E questo è l’altro nuovo inizio prima dell’acqua in vino. L’invitato Gesù comprende che dare inizio ai segni, significa lasciarsi ferire dalla vita. Che quel vino finito, quella festa che implora un nuovo tempo, quel mondo che Maria riesce a far pregare è bordo vertiginoso da oltrepassare. Un punto di non ritorno certo, un cominciare a dare la vita, la propria, come Segno. È bellissimo questo Gesù che impara dalla vita che accade. Perché la verità fiorisce dal nostro rapporto con gli eventi. Siamo chiamati, ed è questa la fede, a lasciare che la vita ci ferisca. Anche con le sue improvvise richieste. È finito il vino: quando un amore si inceppa, quando la malattia increspa la calma, quando mi perdo, quando mi lasciano, quando non trovo casa, quando non capisco più la persona che amo… vino finito. E’ la vita che interroga. E diventa significativa se io imparo a rispondere con la vita stessa. Perché da Cana Gesù sta imparando. Per quando giungerà la sua ora. Per quando, in altra cena ultima, a rimanere sarà il vino ma lui no, lui sarà chiamato a “finire”. Impara Gesù dalla vita, e quando sarà chiamato a trasformare non solo acqua in vino ma vino in sangue sarà Cana portata a compimento. Impara Gesù dalla vita, perché il Segno vero, una vita significativa, è saper imparare, e quando sarà solo, festa finita, nell’orto degli Ulivi sicuramente ricorderà le parole di Maria “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” e allora alzerà lo sguardo a quel cielo senza stelle e ricordando il vino di Cana e della ultima Cena dirà: se puoi allontana da me questo calice ma dimmi quello che vuoi… e qualsiasi cosa dirai io lo farò. Fede, fede vera, è lasciare che la vita ci interroghi, è imparare a bere il calice fino in fondo, è accettare che abbiamo bisogno di tempo per arrivare alla nostra ora, è non far passare le cose invano, è imparare. Imparare a non pretendere che la vita segua i nostri tempi ma amare così totalmente la storia da trasformarla, vero segno, da acqua che scorre verso la morte a vino che sorprende di possibilità inaspettate di alleanza. È lasciar scorrere la vita incontro a noi, lasciare che ci interroghi e non limitarsi a subirla: dalla roccia di una ferita può scaturire vita nuova.

E poi è il rumore delle anfore che si riempiono. In fondo la disperazione non è il dolore ma il vuoto. E quello che succede è che in quel contesto di festa nessuno si accorge ma Gesù dà inizio a un Segno nuovo. E il Segno è che è finito il tempo della purificazione e iniziato il tempo della festa. Anche se ancora non l’abbiamo compreso. Fede, fede vera, da quel giorno di Cana, non è credere in un Dio che ci immagina puri, senza scorie, immacolati di fronte alla vita… da quel giorno di Cana è ancora più chiaro che Dio ci immagina vita profumata e calda come sorso di vino. Calore e profumo di terra e di cielo, la vita che abbassa le difese e scioglie la parola, la vita che chiede di essere cantata e condivisa: la vita viva. Invitati a vivere passando dalla logica del sacrificio alla grammatica della passione. Non siamo stati invitati al mondo per essere puri ma per continuare a cercarci, uomini tar gli uomini, anfore riempite di profumo, per dare inizio ai segni, cioè per rendere questa vita, tutta la nostra vita un Segno. Segno di una speranza, segno di un incontro, segno di una vita che chiede di condividere il calore di amare e di lasciarsi amare. Segno di una vita che quando crede nell’uomo profuma di festa, di vino buono.

Solo così si trasforma la vita. E segno, segno vero, non è l’acqua in vino ma la stanchezza in stupore, l’esaurimento in rinascita: tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora. Segno, segno vero, è permettere una delle dichiarazioni di fede più belle e commoventi del Vangelo. Fede nella vita che finalmente si mostra per quello che è: promettente. Promette di non vivere di esaurimento in esaurimento, promette di non illudere con sogni buoni che poi si incagliano in realtà usurate, promette di non ingannare, approfittando dello stordimento, cambiando vino in tavola. È tempo del finora: quando il vino buono viene tolto dalla cantina. E’ tempo che nelle nostre Comunità si ricominci a condividere il profumo di una vita promettente creando le condizioni perché fiorisca. È tempo di imparare la trasformazione vera che non è quella dell’acqua in vino ma quella dello sguardo del maestro di tavola che riconosce, stupito e grato, la bontà della vita.

 

 

Edda CattaniVino nuovo…
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Ho contato i miei anni

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Ho contato i miei anni

 

“Ho contato i miei anni ed ho scoperto che ho meno tempo da vivere da qui in avanti di quanto non ne abbia già vissuto.
Mi sento come quel bambino che ha vinto una confezione di caramelle e le prime le ha mangiate velocemente, ma quando si è accorto che ne rimanevano poche ha iniziato ad assaporarle con calma.
Ormai non ho tempo per riunioni interminabili, dove si discute di statuti, norme, procedure e regole interne, sapendo che non si combinerà niente.
Ormai non ho tempo per sopportare persone assurde che nonostante la loro età anagrafica, non sono cresciute.
Ormai non ho tempo per trattare con la mediocrità. Non voglio esserci in riunioni dove sfilano persone gonfie di ego.
Non tollero i manipolatori e gli opportunisti. Mi danno fastidio gli invidiosi, che cercano di screditare quelli più capaci, per appropriarsi dei loro posti, talenti e risultati.
Odio, se mi capita di assistere, i difetti che genera la lotta per un incarico maestoso. Le persone non discutono di contenuti, a malapena dei titoli.
Il mio tempo è troppo scarso per discutere di titoli.
Voglio l’essenza, la mia anima ha fretta…
Senza troppe caramelle nella confezione…
Voglio vivere accanto a della gente umana, molto umana.
Che sappia sorridere dei propri errori.
Che non si gonfi di vittorie.
Che non si consideri eletta, prima ancora di esserlo.
Che non sfugga alle proprie responsabilità.
Che difenda la dignità umana e che desideri soltanto essere dalla parte della verità e l’onestà.
L’essenziale è ciò che fa sì che la vita valga la pena di essere vissuta.
Voglio circondarmi di gente che sappia arrivare al cuore delle persone…
Gente alla quale i duri colpi della vita, hanno insegnato a crescere con sottili tocchi nell’anima.
Sì… ho fretta… di vivere con intensità, che solo la maturità mi può dare.
Pretendo di non sprecare nemmeno una caramella di quelle che mi rimangono.
Sono sicuro che saranno più squisite di quelle che ho mangiato finora.
Il mio obiettivo è arrivare alla fine soddisfatto e in pace con i miei cari e con la mia coscienza. Spero che anche il tuo lo sia, perché in un modo o nell’altro ci arriverai”

 

MARIO ANDRADE – Poeta, romanziere, saggista e musicologo brasiliano

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Messaggi dall’India

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MESSAGGI DALL’INDIA

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Alla nostra Associazione di Padova abbiamo ospitato PADRE GABRIELE GASTALDELLO un sacerdote di Vicenza, laureato in filosofia all’Università di Padova e dottorato di ricerca all’Università di Benares (India) sull’umanesimo induista. Questa figura di apostolo e missionario che ha conosciuto Madre Teresa di Calcutta, ha saputo trasmetterci lo spirito dell’India, una cultura complessa ma di stile alquanto semplice. Il Padre, animatore della ‘Scuola del Villaggio’ che ha un sito www.scuoladelvillaggio.it  ci invia sovente comunicazione e contenuto dei suoi incontri. Ecco qualche pillola di saggezza.

 

Sulla piazza del mondo le culture si incontrano. Noi condividiamo la sapienza di altri popoli e diventiamo sempre più “fratelli universali”. Tutti siamo riscaldati dallo stesso sole, respiriamo la stessa aria, usiamo la stessa acqua e posiamo i piedi sulla stessa terra. Non abbiamo un altro pianeta perché questo non è di nostro gradimento! È bello collaborare per un mondo più umano!

Il neurologo Moreno Toldo che da quattro anni serve un centro di aiuto sanitario a Benares in India condividerà le sue esperienze con le nostre esperienze di dialogo con l’Oriente.

La perla della antica cultura vedica abita in questo messaggio: Il bene che fai è l’affitto che paghi per il posto che occupi sulla terra. Continuamente tu adoperi il sole, l’aria, l’acqua e la terra. Sii consapevole di questi elementi cosmici di cui è fatto il mondo e di cui sei fatto anche tu: considera quanto sole hai sintetizzato, quanta aria hai respirato, quanta acqua hai adoperato, quanti pasti hai mangiato…. Nella rugiada delle piccole cose la mente si illumina e il cuore si appassiona. Perché la rosa fiorisce e non si chiede il perché? I fiori dei campi fioriscono gratuitamente, gli uccelli del cielo cantano gratuitamente. Celebra anche tu la gratuità! Celebra l’alba e il tramonto. Celebra il silenzio e la parola. Celebra il lavoro e il riposo. Celebra la gratuità di ogni giorno e di ogni respiro. Gratuità è la via più bella per apprezzare la vita!

In India i devoti fanno il bagno sacro sul Gange per iniziare il giorno con energia. Da quel gesto significativo (rito) abbiamo ricavato una proposta bella per tutti noi: alla finestra del mattino allunga le braccia in alto, in-spira con abbondanza. Poi allarga le braccia ed e-spira anche l’aria residua chinandoti in avanti. In-spira calma, e-spira sorriso…. Chiama la compagnia di parole significative che proteggono e potenziano la mente (mantra). Offri l’inno della gratuità che abbiamo scritto per te.

Porta messaggi di dialogo con l’Oriente e … “svegliati antico Oriente dentro di me”. (Tagore).

 gratuità

   Ogni mattina al tocco della luce hai un giorno nuovo davanti a te. Non hai diritto di essere vivo: la vita è gratuita. Ogni mattina puoi dire: “Anche oggi adopero il sole, l’aria, l’acqua, la terra”. Pensa quanto sole hai sintetizzato, quanta aria hai respirato, quanta acqua hai usato, quanti pasti hai mangiato fino a questo punto…..

 

  Il grande grembo del mondo rende possibile la tua piccola vita. Il grande tempio del mondo fa da casa al piccolo tempio della tua vita. Ogni mattina puoi dire: “Anche oggi adopero gli occhi che vedono, gli orecchi che odono, il cuore che batte, i polmoni che respirano, la mente che pensa…..”.

 

  Tu sei tutti quelli che hai incontrato lungo il cammino della vita che ti hanno lasciato qualche cosa che ti ha aiutato a vivere. Considera le mille mani che ti hanno fatto arrivare fino a questo punto.

 

  Il bene che fai agli altri è l’affitto per il posto che occupi sulla terra.

  Tu puoi fare esperienza di Dio nella gratuità di ogni giorno e di ogni respiro. Tu vieni dalla grande vita, tu abiti nella grande vita e alla grande vita ritornerai.

  Abituati a bene-dire = dire-bene cioè apprezzare: è uno stile di vita da portarsi appresso sempre.

·         ·        Benedetto Dio per la vasta terra che ci dai in usufrutto.

·         ·        Benedetto Dio per il potere che dai alla terra di produrre pane.

·         ·        Benedetto Dio per il nutrimento che ci dai in ogni tempo.

 

  Gratuità è l’atteggiamento migliore per apprezzare la vita che è un dono da donare: l’amore dono fa fiorire la vita.

 

  Alla finestra del mattino dici: “Ti offro le azioni della giornata, fa che siano belle!”.

  Alla finestra della sera volgi le palme al cielo e dici: “Ti adoro mio Dio, ti ringrazio del giorno che finisce, del bene compiuto, dei volti incontrati, delle parole belle ascoltate e donate, della salute, del lavoro, del cibo, del riposo…..”.

 

  Su tutto ciò che la coscienza ti rimprovera chiama queste parole: “Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito fermo, non cacciarmi lontano dal tuo volto, non mi togliere il tuo spirito di santità” (Salmo 50).

 

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 Dio grande e misericordioso, visita la nostra casa (fermati a guardare i volti e a recitare i nomi di chi prega con te), allontana le insidie del male, manda i tuoi angeli a custodirci nella pace, la tua benedizione sia sempre con noi.

 

Dio ci benedica e ci protegga.

Dio faccia splendere il suo volto su di noi.

Dio ci doni serenità e pace per mezzo dello Spirito Santo.

 

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Mandala (dal sanscrito maṇḍala (मण्डल), letteralmente: «essenza» (maṇḍa) + «possedere» o «contenere» (la); tradotto anche come «cerchio-circonferenza» o «ciclo», entrambi i significati derivanti dal termine tibetano (dkyil khor) è un termine simbolico associato alla cultura veda ed in particolar modo alla raccolta di inni o libri chiamata Rig Veda. La parola è utilizzata, anche, per indicare un diagramma circolare costituito, di base, dall’associazione di diverse figure geometriche, le più usate delle quali sono il punto, il triangolo, il cerchio ed il quadrato. Il disegno riveste un significato spirituale e rituale sia nel Buddhismo che nell’Hinduismo. 

 

Edda CattaniMessaggi dall’India
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Aspettando i Re Magi

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Aspettando “alcuni maghi dall’Oriente…” (Mt 2,2)

  

   “ Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella , e siamo venuti per adorarlo”.

Ed ecco ancora una volta Padre Alberto Maggi, del Centro CENTRO STUDI BIBLICI “G. VANNUCCI” di Montefano, nel commento al Vangelo dell’Epifania:

Nella festa dell’Epifania la chiesa ci presenta il testo di Matteo nel quale si annunzia l’amore universale di Dio per tutta l’umanità. Questo amore universale non intende soltanto l’estensione, cioè ovunque, ma la qualità di questo amore, per tutti.

Vediamo allora il capitolo 2 di Matteo. “Nato Gesù a Betlemme di Giudea al tempo del Re Erode …”, e qui l’evangelista richiama l’attenzione. Infatti, con un avverbio, coglie la sorpresa di quanto avviene.

“Ecco”, quando l’evangelista adopera questo avverbio ‘ecco’ è sempre per una sorpresa, “alcuni maghi vennero da oriente”. Questo episodio è stato talmente sconcertante e talmente imbarazzante per la chiesa primitiva, che poi si è provveduto, man mano nel tempo, a trasformarlo quasi in un evento da fiaba, un evento folclorico, anziché di profonda ricchezza teologica.

 

 

Perché? Con il termine mago si indicavano gli ingannatori, i corruttori, era un’attività condannata dalla Bibbia e vista severamente dalla prima comunità cristiana. Per il dicaché, il primo catechismo della chiesa, l’attività del mago è proibita ed è collocata tra il divieto di rubare e il divieto di abortire, e anche nel Nuovo Testamento il mago viene visto in maniera negativa.

Eppure i primi che vengono per adorare Gesù, per accogliere Gesù, sono proprio dei maghi e per di più pagani, quindi le persone ritenute le più lontane da Dio. I pagani non sarebbero risuscitati, i pagani non erano degni della salvezza, e per di più sono dediti ad un’attività che la stessa Bibbia condanna. Ecco la sorpresa.

 

 

Questo fatto è stato talmente imbarazzante che poi, nella tradizione i maghi sono diventati l’innocuo termine ‘magi’, si è provveduto a dare loro dignità regale e a farli diventare re, in base ai doni stabilito il numero, e stabilito anche il nome. I personaggi del presepio erano pronti a discapito della ricchezza teologica di questo brano.

Vengono questi e dicono di aver visto spuntare la sua stella. Qual è il significato della stella? Era credenza comune che ogni individuo, quando nasceva, aveva una stella con lui e che poi scompariva con la sua morte. Usiamo anche noi l’espressione popolare “essere nato sotto una buona stella”, ma qui soprattutto l’evangelista si riferisce alla profezia di Balaam, nel libro dei Numeri al capitolo 24, dove si legge “un astro sorge da Giacobbe”, una stella, “e uno scettro si eleva da Israele”.

Era la profezia con la quale si indicava prima il re Davide e poi era passata ad indicare il messia, quindi l’evangelista vuol dire che questa è la stella che indica il segno divino della nascita del messia. Ebbene, “All’udire questo Erode restò turbato”, si capisce perché Erode era un re illegittimo, sospettoso di chiunque potesse togliergli il regno.

 

Quindi qui è venuto a sapere che è nato il re dei Giudei, lui che ha ucciso addirittura tre figli suoi, ma quello che è strano è che con lui si turba, si spaventa tutta Gerusalemme. Sia Erode che Gerusalemme hanno paura per quello che stanno per perdere, Erode il trono, e Gerusalemme il tempio, l’egemonia e l’esclusiva sulla figura di Dio.

Trono e tempio sono all’insegna del potere. Ebbene, dopo l’episodio dell’informazione sulla nascita di questo messia, con l’intento di Erode di arrivare a scoprire il luogo dove andare ad adorarlo … è la menzogna del potere, perché in effetti poi vedremo che deciderà di ammazzare – andiamo al versetto“Udito il re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva”.

 

 

La stella, segno divino, non brilla su Gerusalemme, che fin dall’inizio in questo vangelo, viene collocata in una luce tetra, in una luce negativa. Gerusalemme è la città di morte, quella che uccide i profeti e gli inviati da Dio, e la stella, segno divino, non brilla su Gerusalemme. Come Gesù risuscitato, in questo vangelo, non apparirà mai a Gerusalemme.

 

Così cari amici si chiudono le giornate di letizia che il Santo Natale, con l’incarnazione del Figlio di Dio ci ha portato.

Dialogo tra i Magi e Maria

 

Efrem Siro (306-373)

 

 

I magi: “Una stella ci ha annunciato

che Colui che è nato è il re dei cieli.

 

Tuo figlio comanda gli astri,

che sorgono solo al suo ordine”.

 

Maria: “E io vi rivelerò un altro segreto,

perché ne siate persuasi:

da vergine,  ho dato la luce a mio figlio.

Egli è figlio di Dio.

 

Andate, e annunciatelo alle genti!”

 

I magi: “Pure la stella ce l’aveva fatto conoscere,

che tuo figlio è figlio di Dio e Signore”.

 

Maria: “Mari e monti lo testimoniano;

tutti gli angeli e tutte le stelle:

Egli è il figlio di Dio e il Signore.

Datene l’annuncio nelle vostre terre,

che la pace si diffonda nel vostro paese”.

 

I magi: “Che la pace del tuo figlio

ci riporti nel nostro paese,

senza pericoli come siamo venuti,

e quando Egli dominerà il mondo,

che visiti e benedica la nostra terra”.

 

Maria: “Esulti la Chiesa e intoni gloria,

per la venuta del figlio dell’Altissimo,

la cui luce ha illuminato cielo e terra,

benedetto Colui la cui nascita

 

allieta il mondo!”

 

L’Epifania perciò è il Dio con noi, Colui che è nato e si fa riconoscere, anche nella nostra storia quotidiana. 

PENSIERO SPIRITUALE: Beata ELISABETTA della Trinità

«Ho visto brillare la stella luminosa che m’indicava la culla del mio Re.

Nella pace e nel mistero della notte,verso di me sembrava camminare.

Poi, colma d’incanto, udii la voce dell’Angelo di Dio che mi diceva:

“Raccogliti, il mistero si è compiuto,

proprio dentro di te, nella tua anima.

Gesù, splendore del Padre, in te s’è incarnato,

stringiti il tuo Diletto insieme alla Vergine Madre: è tuo”.»

 

  


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Maria Madre di Dio

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Maria Madre di Dio.

 

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Papa Francesco: abbiamo tutti bisogno di un cuore di madre

Da Internet: Avvenire 1 gennaio 2018

“Il dono di ogni madre e donna è tanto prezioso per la Chiesa” così papa Francesco nella solennità di Maria Madre di Dio. Al Te Deum: il 2017 è stato ferito con opere di morte, menzogne e ingiustizie

“L’anno si apre nel nome della Madre di Dio”. Con queste parole il Papa ha cominciato l’omelia della Messa della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio nell’ottava di Natale e nella ricorrenza della 51.ma Giornata mondiale della Pace sul tema: “Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace”.

“Madre di Dio è il titolo più importante della Madonna”, ha ricordato il Papa, che si è chiesto: Perché diciamo Madre di Dio e non Madre di Gesù? “In queste parole – ha spiegato Francesco – è racchiusa una verità splendida su Dio e su di noi. E cioè che, da quando il Signore si è incarnato in Maria, da allora e per sempre, porta la nostra umanità attaccata addosso”. “Non c’è più Dio senza uomo”, ha affermato il Papa: “La carne che Gesù ha preso dalla Madre è sua anche ora e lo sarà per sempre”. “Dire Madre di Dio ci ricorda questo”, ha sintetizzato Francesco: “Dio è vicino all’umanità come un bimbo alla madre che lo porta in grembo”.

Perché la fede non sia solo dottrina, abbiamo bisogno tutti di un cuore di madre

Come Maria, la Madre, “firma d’autore di Dio sull’umanità”, “il dono di ogni madre e di ogni donna è tanto prezioso per la Chiesa, che è madre e donna. E mentre l’uomo spesso astrae, afferma e impone idee, la donna, la madre, sa custodire, collegare nel cuore, vivificare”. “Perché la fede – ha sottolineato il Papa – non si riduca solo a idea o dottrina – ha concluso -, abbiamo bisogno, tutti, di un cuore di madre, che sappia custodire la tenerezza di Dio e ascoltare i palpiti dell’uomo”.

“La Madre custodisca quest’anno e porti la pace di suo Figlio nei cuori e nel mondo”. Con questa invocazione papa Francesco ha concluso la sua omelia celebrata oggi primo gennaio, nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio.

“Anche noi, cristiani in cammino, all’inizio dell’anno – ha spiegato – sentiamo il bisogno di ripartire dal centro, di lasciare alle spalle i fardelli del passato e di ricominciare da ciò che conta. Ecco oggi davanti a noi il punto di partenza: la Madre di Dio. Perché Maria è esattamente come Dio ci vuole, come vuole la sua Chiesa: Madre tenera, umile, povera di cose e ricca di amore, libera dal peccato, unita a Gesù, che custodisce Dio nel cuore e il prossimo nella vita. Per ripartire, guardiamo alla Madre. Nel suo cuore batte il cuore della Chiesa”.

Edda CattaniMaria Madre di Dio
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