Edda Cattani

Benedizione delle donne

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BENEDIZIONE DELLE DONNE
da suor Elsa

 

 

Che il Dio di Eva ti insegni a discernere il bene e il male.
Che il Dio di Agar conforti te e tutte le donne quando si sentono sole …nel deserto della vita .
Che il Dio di Miriam ti faccia strumento di liberazione.
Che il Dio di Debora ti conceda audacia e coraggio
per lottare per la giustizia.
Che il Dio di Ester ti conceda fortezza per affrontare i potenti
in favore del suo popolo esiliato.
Che il Dio di Maria di Nazareth apra il tuo cuore perché
tu possa ricevere con gioia il germe di Colui che vive per sempre.
Gesù, che disse alla Samaritana tutto quello che aveva fatto,
ti renda evangelizzatrice del tuo popolo.
Gesù, che guarì la donna curva, liberi te e tutte le donne
oppresse dalle tradizioni religiose e culturali.
Gesù, che si lasciò ungere il capo da una donna,

ti conceda di essere
sua profetessa perché lo riconosca sempre Signore e Messia.
Gesù, l’amico di Maria Maddalena, ti invii e, come sua apostola,
tu possa portare il messaggio di liberazione a tutte le genti.
Che lo Spirito ti consacri perché in Gesù Cristo, tu possa annunciare
Buone Notizie ai poveri e libertà ai prigionieri.
Nel nome di Dio che è, che era e che sempre sarà con noi
e con il suo popolo.


AMEN.

 

(da FB fra Benito)

 

 

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Tutto è vibrazione!

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Tutto è vibrazione

 

A Mentore sarebbe piaciuto e glielo dedico! Me lo inviò Felice Masi come ricevuto da un Cerchio Medianico:

 

“…ciascuna forma di vita anche la più minuscola… per raggiungere l’illuminazione … un sentimento d’amore per la propria divinità originaria, questo sentimento d’amore, ravvivato, diviene veicolo della penetrazione per le forze superiori. L’umano deve incarnare il super-umano. Aprite il cuore alla calda energia d’amore. Nessuna paura e calcolo. Siate sempre positivi, disponibili e attivi per la comprensione. Pulite la mente e il cuore da qualsiasi sentimento di rabbia e di rancore perché siete scintille divine nate tutte da un’unica fonte d’amore. Spandete luce come il sole attraverso il vostro cuore. Una speciale trasmissione al di fuori delle scritture, nessuna dipendenza da lettere e parole: Puntate direttamente al centro dell’anima dell’essere umano riscoprendo la propria natura. Ciascuna forma di vita, anche la più minuta è l’universo in miniatura e per conseguire l’illuminazione ogni essere vivente risponde alla legge: “divieni ciò che sei”. Non ci sono trucchi, non ci sono formule, l’unica verità è diventare puri come bambini perché il cuore possa emanare vibrazioni pure in perfetta risonanza con la fonte originaria, la musica dell’universo, con la sua virtù originaria. Esseri di luce, angeli, Dio non ha creato il male. E’ l’essere umano con le sue credenze e con i suoi pensieri… Ricordate: Dio vi manda solo angeli! Ripeto: l’amore è l’origine di tutto, l’amore è respiro e crescita, dove c’è amore c’è vita ed espansione. Ogni respiro di Dio è un puro atto d’amore che penetra nei vostri corpi sostenendo la vita stessa. Il vostro battito, sono delle pulsazioni d’amore. Imparate a cambiarle attraverso il respiro. Attraverso l’inspirazione e l’espirazione c’è la fusione tra onda eterica divina e onda eterica sanguigna. Amore, devozione, saggezza, sapienza, ordine, sapere, intelligenza attiva, sono sette energie che giungono da diverse distanze dell’universo, arrivano sulle costellazioni dell’Orsa Maggiore e delle Pleiadi e amplificate da Sirio vengono proiettate sul vostro sistema solare. Queste energie realizzano e potenziano ogni pensiero. Iniziate a ringraziare tutto ciò che vi circonda: la luna che illumina le vostre notti e che porta consigli, il sole che illumina e vi riscalda, la vostra casa, il pianeta terra che è un paradiso e state facendo di tutto per trasformarlo in un inferno. Ringraziate voi stessi, quel cuoricino che batte per voi sin dalla vostra nascita, batte senza fermarsi mai, batte perché vi ama. Vi chiedo solo questo: amate voi stessi e tutto ciò che vi circonda perché amando voi stessi cambierete la vibrazione del cuore. Sono vibrazioni potentissime che investono e cambiano qualsiasi cosa si mette davanti. Grazie a tutti.”

 

Ed è lo stesso riscontro che riscontrai nel brano con cui terminai la mia prima relazione ad Arezzo, nel 1993. E’ il brano più bello per rappresentare l’Eterno, l’Infinito!

 

Trovo conferma,  di questo stato di  grazia, nelle espressioni poetiche  e più enfatiche,  ma certamente non più significative, delle pagine medianiche di Symbole:

 

 “Come  descriverti lo  splendore della Via,  la Luce crescente ove gli astri perdono il  loro fulgore,  questo incendio fatto di tutti i soli, ma soprattutto di tutti gli splendori e di tutte le fiamme? Che termini adoperare per tradurti gli  accordi dell’Infinito; perché tutto brilla,  tutto  vibra,  tutto risplende  e risuona, tutto si  irradia e canta?  Le  parole umane servono  per le cose umane e la  parola muore dove comincia  l’Infinito…Ogni dolore, ogni  sforzo,  sono un passo fuori dall’ombra  a vantaggio della Luce…Io vedo dappertutto  sforzo  ed  equilibrio,  tutto segue immutabilmente   l’ordine   eterno.   L’Illimitato   non   è un condizionale.  L’Assoluto non sa che farsene  del relativo… No, qui non ci sono né dimensioni, né calcoli. L’algebra crolla sulla soglia  dell’Incalcolabile. L’Infinito si  aggiunge all’Immenso, l’Immenso all’Insondabile,  l’Insondabile  all’Assoluto,  ed  il totale di questa enorme addizione forma il piedistallo di Dio.”

 

(Brano tratto da M.C. e J.L.Victor  “L’Appel des Etoiles”, Ed. du Phare, Cahors, Francia, 1967).

 

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Io sono Chiesa

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Io sono chiesa

Oggi ho aperto la giornata leggendo il commento al Vangelo di Don Luciano Locatelli:

Buongiorno mondo! Il Vangelo di oggi (Lc 24,13-35) è il famosissimo testo di Emmaus che vi invito anzitutto a leggere per intero perché, per ovvii motivi di spazio, non mi pare opportuno riportarlo qui.
Non sono pochi coloro che oggi guardano alla Chiesa con pessimismo e delusione. Non è la Chiesa che desidererebbero. Vorrebbero una Chiesa viva e dinamica, fedele a Gesù Cristo, impegnata per davvero nella costruzione di una società più umana.

A questo un attento lettore ha voluto rispondere con questo brano di Carlo Carretto, quanto mai bello ed attuale…

 

 

“Quanto mi hai fatto soffrire, Chiesa, eppure…
Carlo Carretto

Quanto sei contestabile, Chiesa, eppure quanto ti amo!
Quanto mi hai fatto soffrire, eppure quanto a te devo!
Vorrei vederti distrutta, eppure ho bisogno della tua presenza.
Mi hai dato tanti scandali, eppure mi hai fatto capire la santità!
Nulla ho visto al mondo di più oscurantista, più compresso, più falso e nulla ho toccato di più puro, di più generoso, di più bello.
Quante volte ho avuto la voglia di sbatterti in faccia la porte della mia anima, quante volte ho pregato di poter morire tra le tue braccia sicure.
No, non posso liberarmi di te, perché sono te, pur non essendo completamente te.
E poi, dove andrei?
A costruirne un’altra?
Ma non potrò costruirla se non con gli stessi difetti, perché sono i miei che porto dentro. E se la costruirò, sarà la mia Chiesa, non più quella di Cristo.
Sono abbastanza vecchio per capire che non sono migliore degli altri.
L’altro ieri un amico ha scritto una lettera ad un giornale: “Lascio la Chiesa perché, con la sua compromissione con i ricchi, non è più credibile”. Mi fa pena!
O è un sentimentale che non ha esperienza, e lo scuso; o è un orgoglioso che crede di essere migliore degli altri.
Nessuno di noi è credibile finché è su questa terra…
La credibilità non è degli uomini, è solo di Dio e del Cristo.
Forse che la Chiesa di ieri era migliore di quella di oggi? Forse che la Chiesa di Gerusalemme era più credibile di quella di Roma?
Quando Paolo arrivò a Gerusalemme portando nel cuore la sua sete di universalità, forse che i discorsi di Giacomo sul prepuzio da tagliare o la debolezza di Pietro che si attardava con i ricchi di allora e che dava lo scandalo di pranzare solo con i puri, poterono dargli dei dubbi sulla veridicità della Chiesa, che Cristo aveva fondato fresca fresca, e fargli venire la voglia di andarne a fondare un’altra ad Antiochia o a Tarso?
Forse che a Santa Caterina da Siena, vedendo il Papa che faceva una sporca politica contro la sua città, poteva saltare in capo l’idea di andare sulle colline senesi, trasparenti come il cielo, e fare un’altra Chiesa più trasparente di quella di Roma cosi spessa, così piena di peccati e così politicante?
…La Chiesa ha il potere di darmi la santità ed è fatta tutta quanta, dal primo all’ultimo, di soli peccatori, e che peccatori!
Ha la fede onnipotente e invincibile di rinnovare il mistero eucaristico, ed è composta di uomini deboli che brancolano nel buio e che si battono ogni giorno contro la tentazione di perdere la fede.
Porta un messaggio di pura trasparenza ed è incarnata in una pasta sporca, come è sporco il mondo.
Parla della dolcezza dei Maestro, della sua non-violenza, e nella storia ha mandato eserciti a sbudellare infedeli e torturare eresiarchi.
Trasmette un messaggio di evangelica povertà, e non fa’ che cercare denaro e alleanze con i potenti.
Coloro che sognano cose diverse da questa realtà non fanno che perdere tempo e ricominciare sempre da capo. E in più dimostrano di non aver capito l’uomo.
Perché quello è l’uomo, proprio come lo vede visibile la Chiesa, nella sua cattiveria e nello stesso tempo nel suo coraggio invincibile che la fede in Cristo gli ha dato e la carità dei Cristo gli fa vivere.
Quando ero giovane non capivo perché Gesù, nonostante il rinnegamento di Pietro, lo volle capo, suo successore, primo Papa- Ora non mi stupisco più e comprendo sempre meglio che avere fondato la Chiesa sulla tomba di un traditore, di un uomo che si spaventa per le chiacchiere di una serva, era un avvertimento continuo per mantenere ognuno di noi nella umiltà e nella coscienza della propria fragilità.
No, non vado fuori di questa Chiesa fondata su una roccia così debole, perché ne fonderei un’altra su una pietra ancora più debole che sono io.
…E se le minacce sono così numerose e la violenza del castigo così grande, più numerose sono le parole d’amore e più grande è la sua misericordia. Direi proprio, pensando alla Chiesa e alla mia povera anima, che Dio è più grande della nostra debolezza.
E poi cosa contano le pietre? Ciò che conta è la promessa di Cristo, ciò che conta è il cemento che unisce le pietre, che è lo Spirito Santo. Solo lo Spirito Santo è capace di fare la Chiesa con delle pietre mai tagliate come siamo noi!…
E il mistero sta qui.
Questo impasto di bene e di male, di grandezza e di miseria, di santità e di peccato che è la Chiesa, in fondo sono io…
Ognuno di noi può sentire con tremore e con infinito gaudio che ciò che passa nel rapporto Dio-Chiesa è qualcosa che ci appartiene nell’intimo.
In ciascuno di noi si ripercuotono le minacce e la dolcezza con cui Dio tratta il suo popolo di Israele, la Chiesa. A Ognuno di noi Dio dice come alla Chiesa: “Io ti farò mia sposa per sempre” (Osea 2, 21), ma nello stesso tempo ci ricorda la nostra realtà: “La tua impurità è come la ruggine. Ho cercato di toglierla, fatica sprecata! E’ così abbondante che non va via nemmeno col fuoco” (Ezechiele 24, 12).
Ma poi c’è ancora un’altra cosa che forse è più bella. Lo Spirito Santo, che è l’Amore, è capace di vederci santi, immacolati, belli, anche se vestiti da mascalzoni e adulteri.
Il perdono di Dio, quando ci tocca, fa diventare trasparente Zaccheo, il pubblicano, e immacolata la Maddalena, la peccatrice.
E’ come se il male non avesse potuto toccare la profondità più intima dell’uomo. E’ come se l’Amore avesse impedito di lasciar imputridire l’anima lontana dall’amore.
“Io ho buttato i tuoi peccati dietro le mie spalle”, dice Dio a ciascuno di noi nel perdono, e continua: “Ti ho amato di amore eterno; per questo ti ho riservato la mia bontà. Ti edificherò di nuovo e tu sarai riedificata, vergine Israele” (Geremia 3 1, 3-4).
Ecco, ci chiama “vergini” anche quando siamo di ritorno dall’ennesima prostituzione nel corpo, nello spirito e nel cuore.
In questo, Dio è veramente Dio, cioè l’unico capace di fare le “cose nuove”.
Perché non m’importa che Lui faccia i cieli e la terra nuovi, è più necessario che faccia “nuovi” i nostri cuori.
E questo è il lavoro di Cristo.
E questo è l’ambiente divino della Chiesa…”

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Trasformare le ferite in perle

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TRASFORMARE LE FERITE IN PERLE

Il pensiero è calamita: esso attira energia su ciò che pensi.

Dove va il pensiero là porti energia.

Ti giova ospitare pensieri che danno fiducia, speranza e aiuto.

Considera il corpo e la mente come due amici che si aiutano.

Quando la mente è abitata da emozioni spiacevoli

mettila a riposare e attiva il corpo.

Puoi valorizzare questo collegamento per guarire emozioni malate e promuovere serenità. Anticipa con le azioni del corpo quello che vuoi essere con le emozioni della mente. Puoi imitare i gesti delle persone calme,serene,tranquille.Che cosa stai dicendoti per essere arrabbiato, triste o depresso? Esplora le emozioni come una lingua da apprendere e praticare. Considera questi inviti:

Quando sei triste, depresso…esci da te, fa movimenti energici e mirati, lavora, cammina, canta…và a incontrare persone.

Quando senti rancore verso qualcuno, slanciati nell’ emozione opposta per fare equilibrio. Spegni il fuoco della rabbia perchè non ti faccia male. La riconciliazione prima di essere un favore all’altro è un regalo a te. Immagina le buone ragioni dell’altro con empatia. Fai gesti di rispetto e affetto… anche se sei poco convinto l’azione porta energia al pensiero corrispondente.

Quando uno stormo di pensieri tristi ti invade batti le mani per farli scappar via e chiama pensieri positivi che ti fanno buona compagnia.

Quando attraversi una avversità, pensa che puo essere una opportunità.

(da ‘La Scuola del Villaggio’)

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Le questioni della vita

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Le questioni della vita

(dal libro di Anselm Grün)

La preghiera non è una bacchetta magica che ci libera da tutti i sintomi negativi. Ci conduce invece all’incontro con Dio e all’incontro con la nostra verità. E soltanto se affrontiamo la nostra verità può avvenire in noi una trasformazione. (Anselm Grün)

Anselm Grün, nato nel 1945, dottore in teologia e monaco benedettino, è priore amministratore dell’Abbazia di Münsterschwarzach in Germania. È noto come uno dei più fecondi e letti autori di spiritualità in campo internazionale. Tra le sue opere principali: – Come essere in armonia con se stessi; – Non farti del male.

 «Ogni giorno la vita ci pone nuovi interrogativi, senza che siamo noi a cercarli. E ogni giorno ci si presenta la sfida di trovare una risposta di volta in volta diversa e del tutto nostra. Le mie risposte non vogliono essere intense come ricette universali per la soluzione di un problema, bensì come invito a osservare la propria situazione con occhi diversi, scoprendo il senso dell’esperienza che viviamo» (Anselm Grün). La vita diventa oggi sempre più complicata. Ci ritroviamo messi sotto pressione da tutte le parti: nella professione come nella vita privata, nella famiglia come nelle relazioni interpersonali. E più volte, dolorosamente, ci accorgiamo di non tenere in pugno la nostra esistenza: crisi, disgrazie, imprevisti ci fanno uscire dai nostri binari ordinati. Che cos’è davvero importante, in momenti del genere? Come risolviamo i conflitti? Gli interrogativi davanti ai quali ci mette la vita ingombrano la nostra mente e il nostro cuore: non possiamo evitarli. «Che cosa devo fare?», si chiedono in molti. È una fortuna se, in situazioni del genere, possiamo rivolgere le nostre domande a una persona come padre Grün, che risponde in maniera del tutto personale, indicando una nuova prospettiva di vita. Il monaco benedettino affronta di petto il tema dei rapporti con il capouffcio, quando si deve fronteggiare lo stress sul posto di lavoro; ma si dedica altresì ai temi della crisi coniugale o della gestione dei figli piccoli, delle esperienze di malattia o della scomparsa di un congiunto. «E, all’improvviso, una cosa pesante come il senso della vita si ritrova quanto mai prossimo a una lieve serenità e a una elementare saggezza» (Reinhold Beckmann).

“Con i molti che seguo nell’accompagnamento spirituale parlo dei problemi che si trovano ad affrontare nella loro esistenza e degli interrogativi che danno loro da pensare o che li opprimono. Persone che mi sono del tutto sconosciute mi scrivono a proposito di tematiche che hanno a che fare con il loro stato d’animo o che emergono con la malattia e la morte di qualcuno a loro caro, costituendo un peso per loro. Cerco di immedesimarmi nelle persone e dare loro la risposta che affiora dentro di me. Le mie risposte non vogliono essere intese come consigli nel senso di una raccomandazione concreta su come agire, né come ricette per la soluzione di problemi, bensì come invito ad osservare la propria situazione con altri occhi, scoprendo il senso della propria esperienza.

Ogni persona è unica. E ciascuno fa le sue esperienze del tutto individuali. Ciò nonostante molti pongono domande simili. Per questo mi azzardo a pubblicare in forma di libro i molti interrogativi che mi sono stati posti da persone concrete, così come le risposte che ho dato. Alle domande ho risposto nella mia lettera mensile einfach leben, benché per la pubblicazione si sia presa cura di garantire l’anonimato delle persone di cui si sente la voce. La risonanza avuta dalle lettere ha dimostrato che molti altri si ritrovano in queste domande e risposte. Perciò anche ora confido nel fatto che le lettrici e i lettori del presente volume potranno trarne qualche considerazione utile per la propria esistenza. Naturalmente non si tratta di riprendere tout court le risposte come soluzioni ai propri problemi, facendo a meno della riflessione personale. Durante la lettura delle domande e delle risposte, sarebbe invece opportuno ascoltare dentro di sé e sentire: che cosa suscitano queste esperienze e queste risposte di altri dentro di me? anch’io mi pongo degli interrogativi simili? mi darei la stessa risposta? oppure darei questa risposta soltanto ad altri, mentre per me stesso esiterei a dire se la risposta va davvero bene? che cosa suscita in me questa risposta? genera una resistenza interiore? oppure è una conferma di quello che penso e che sento? articola qualcosa che riconosco anche in me, ma spesso non ammetto con me stesso? oppure la risposta resta per me ostica e incomprensibile?

 

Ogni giorno la vita ci pone nuovi interrogativi, senza che siamo noi a cercarli. E ogni giorno ci si presenta la sfida di trovare una risposta di volta in volta diversa e del tutto individuale. Questo libro desidera essere per voi un aiuto in questa sfida. Vuole donarvi la fiducia nel fatto che vi è lecito seguire il vostro istinto. La vostra anima sa che cosa è bene per voi. Per approdare alla sapienza dell’anima, però, è bene fermarsi, concentrarsi sull’interiorità, fare silenzio e prendere le distanze da tutte le opinioni e le proposte espresse dagli altri. Nel silenzio e in fondo alla mia anima è già pronta la risposta al mio interrogativo. Le risposte che fornisco in questo libro vogliono, in tale ottica, portarvi a contatto con la sapienza della vostra anima, perché seguiate la vostra coscienza, il consigliere interiore, percorrendo la strada che vi porta ad una vitalità, ad una libertà, ad una pace e ad un amore più grandi.

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Buon Anno!!!

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BUON ANNO!

BUON ANNO A TUTTI!!!

Amici miei, in questo passaggio  ad un nuovo anno della nostra storia, auguro a tutti  e a me stessa di  riuscire a trovare la pace e la serenità interiore tanto da sentirne l’eco in tutto ciò che ci circonda.


Possa il nostro cuore battere all’unisono con il cuore di tutti coloro che abbiamo al nostro fianco quotidianamente… perché ognuno di noi è un battito del cuore dell’intero universo e la nostra esistenza permea e condivide l’esistenza di tutte le creature. 

 

Auguro un anno in cui i misteri che ci circondano, giungano a meravigliarci, a stupirci, finché riusciremo a svelarne qualcuno… come la presenza dei nostri Cari che ci accompagnano e condividono questa nostra realtà che è piena di meraviglie che possono entusiasmarci.

 

 Auguro un Buon Anno nuovo, a me stessa e a tutti voi amici miei…”buono” come il pane fresco appena sfornato, come il vino novello che lascia il sapore dolce in bocca… perché tutto ci è donato per condividerlo, spezzarlo insieme… Lo vogliono i nostri Cari … che saranno felici per noi, per la nostra determinazione, il nostro coraggio, il nostro ringraziamento a Dio per l’esistenza che ci è stata data e mai ci verrà tolta!!!

 

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Eternità

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Eternità

(Luca 20,27-38)
Per i nostri Cari che sono entrati nella Gerusalemme Celeste

(Alessandro Dehò) 

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Una bellissima storia di sterilità. Satira pungente quella dei sadducei: una moglie che accompagna alla morte sette mariti senza lasciare figli. Una donna che muore, alla fine, sterile. Storia geniale che diventa occasione per deridere l’idea di una vita futura ed eterna, quella che Gesù stava cercando di narrare: con quale marito risorgerà la moglie? Satira. Ma quando la satira è pungente svela la verità. E vanno ringraziati i sadducei che, inconsapevolmente, svelano la sterilità che abita ognuno di noi. La sterilità dei nostri tentativi di opporci alla morte imponendo discendenze: ma mettiamo al mondo sempre e solo vite a termine, storie che iniziano a morire nel momento stesso in cui emettono il primo vagito, l’eternità non passa dall’imposizione della discendenza, alla fine possiamo tramandare solo un nome, ma cosa è un nome se non l’involucro vuoto di una storia che non sopravvivrà nemmeno alla memoria?

L’eternità non passa dalla discendenza imposta nemmeno se nascessero figli, l’eternità passa invece da una sterilità custodita e ad accolta. La sterilità di chi vive la vita come Segno, come rimando a una pienezza che sarà. La sterilità di chi sente di non possederla fino in fondo la vita, di chi vive il tempo come un dono e accoglie ogni respiro con gratitudine. Sterilità di chi vive la precarietà del viandante, cammino lieve, soffio sapienziale. Essere un segno, dell’Infinito, ma sempre e solo un segno. Perché tutta la realtà non è altro che un Segno dell’Eterno. Quando amiamo e siamo amati sussurra in noi l’Eterno: la nascita di un bambino, un gesto di perdono, una lacrima, la ruga di un vecchio, l’ultimo respiro, ogni nostalgia, la bellezza della poesia: tutto l’Amore è Segno dell’Eternità. Quando i nostri gesti non narrano l’Eterno Amore siamo già morti, qui, adesso, è già inferno.

Gesù ci chiede di liberarci dall’ossessione di imporci sulla vita, dalla pretesa di lasciare il segno del nostro passaggio per imparare a diventare noi segno dell’Amore, segno dell’Eterno che chiede di raccontarsi in noi, segno del Suo Passaggio: Pasqua. Vivere precari e leggeri facendo esperienza dell’Amore che qui e ora parla già la grammatica dell’Eterno, la resurrezione si impara amando. Entrare nella logica del segno, fragile eppure così luminoso, ci permette di non pretendere più nulla, passare dalla pretesa, che è atteggiamento violento di chi prende (“prendono moglie e prendono marito”), alla logica dell’accoglienza (“…degni della vita futura e della resurrezione non prendono né moglie né marito”). Accoglienza delle mie e altrui debolezze, siamo solo segno dell’amore non siamo l’Amore. Ma anche accoglienza senza pretesa della realtà: la mia famiglia, la mia comunità, la mia chiesa… non può essere perfetta. Chiedere alla storia di essere segno di Altro, che non si appiattisca sul presente, che mi regali, anche solo per brevi spazi, il Suo volto, il resto è imperfezione da accogliere con misericordia.

Vivere precari e leggeri, sapendo che siamo solo segni imperfetti dell’Amore, ci permette anche di riconciliarci con i nostri padri. Con chi ci ha consegnato al mondo. Non sono stati perfetti, non potevano, fortunatamente. La storia dei sadducei ci aiuta a deporre la pretesa di essere accuditi, custoditi, accompagnati. Deporre la pretesa. Se accade, quando accade, è grato stupore. Mi pare sia la mancanza di prospettiva eterna a renderci così spietati con la storia passata. Uno dei momenti che preferisco quando celebriamo i battesimi in comunità è quando i padri salgono all’altare ad accendere la candela battesimale al cero pasquale. Sono impacciati e intimoriti, a volte non riescono ad accendere la candela, spesso si spegne appena dopo. Sono belli nella loro fragilità questi giovani padri, belli quando rallentano per non far spegnere una luce che non possiedono, belli quando proteggono quella fiamma con delicatezza non abituale. Solo quando sapremo guardare con tenerezza i nostri padri diventeremo a nostra volta goffi e bellissimi segni dell’unico Padre.

Bella la storia dei sadducei ma anche terribilmente triste perché non è altro che la narrazione di una diabolica ripetitività di gesti sempre uguali: prendono moglie e non hanno figli, per sette volte, pienezza dell’assenza. Poi arriva la morte, ed è una fortuna, un respiro di sollievo. Finisce questa farsa. Terribile la storia dei sadducei proprio per questa sua ripetitività ossessiva. Ecco perché Gesù inserisce un elemento di novità: “non possono più morire perché sono uguali agli angeli”. E a me vengono in mente i biblici angeli che hanno incontrato Abramo all’ingresso della tenda, niente ali ma piedi impolverati e occhi profondi da tuareg, occhi che hanno visto Dio. Gesù inserisce, per comprendere la bellezza di questa vita, l’elemento della “trasformazione”, diventeremo come angeli, tuareg con negli occhi la luce di Dio.

“Non possono più morire” perché la morte è già avvenuta, avviene sempre, il seme per dare frutto ha accettato di trasformarsi. La vita che viviamo, proprio perché segno, vive nell’attesa di fiorire a vita eterna. La vita è un lungo e lento cammino di trasformazione: “ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore, e quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco […]. Si semina corruttibile e risorge incorruttibile” (1 Cor). Vivere sotto il segno della trasformazione è elemento fondamentale per capire il meccanismo segreto della vita. Siamo in trasformazione, siamo seme che forza le pareti in attesa di mettere radici, cambiamo continuamente e questo cambiamento è elemento necessario per non morire. Il seme è pura speranza, non sa bene come diventerà, come sarà, è solo un elemento di promessa che si affida al tempo. Ma il seme sa bene che se non cambia rimane definitivamente vuoto. Il seme ha solo un compito: continuare a trasformarsi, non impedire il processo di cambiamento. Cambiare significa far morire la parte vecchia per restare fedeli alla promessa. È uno sporgersi con fede sul futuro, fa paura, perché ci si abitua a ciò che si è. Riesce a cambiare solo chi è attratto da una forte Speranza.

Eternità è questa forza che ci chiama a cambiare trovando di giorno in giorno le forme più idonee per essere fedeli all’amore. L’amore di due fidanzati è chiamato a trasformarsi per reggere gli urti della vita, ma che bello se quell’amore muore e risorge continuamente e prende casa negli occhi e nelle rughe della vecchiaia. Ma anche, che segno potente trovare ancora amore negli occhi di chi ha vissuto delusioni o legami andati in frantumi: la persistenza dell’amore che si trasforma in dialogo con gli eventi della vita.

Accogliere il bisogno della trasformazione ci permette di sentire chi siamo noi veramente, non figli dell’eterna ripetizione sempre uguale ma uomini in costante processo di morte e resurrezione, trasformazione che ci porta a risorgere continuamente qui, di segno in segno, fino a quando metteremo gli occhi negli occhi di Dio. Di quel Dio a cui apparteniamo. Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Il Dio è il Dio di ognuno di noi. Passare dall’imposizione del nostro desiderio di onnipotenza all’umile e grata scoperta di appartenere al Dio della vita che ci chiama continuamente dall’Eternità.

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Intimamente presuntuosi

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Intimamente presuntuosi

Parabola che non funziona Trentesima domenica Tempo Ordinario C

(Alessandro Dehò)

Dehò

Non serve a nulla. Questa parabola dico, non serve a nulla. È la prima reazione onesta che possiamo avere alla lettura del testo. I due protagonisti sono così grezzi e così monolitici da non essere credibili. Sono caricature, parodie del paradigma del santo, caricature dell’immaginario del peccatore, sono personaggi e non persone, sono maschere. Il primo è perfetto, così perfetto nella sua ricerca di religiosità senza sbavature che esagera e risulta essere non credibile. Anche il peccatore esagera, anche nella conversione, non ci sono sfumature. Sono due ruoli interpretati alla perfezione. E infatti la parabola non funziona, la trappola non scatta. Non riusciamo a identificarci in nessuno dei due personaggi e se non ti identifichi non puoi rimanere impigliato nella logica delle parabole e quindi, semplicemente, la parabola non funziona.

Non c’è stupore, risulta essere solo un racconto edificante. Puoi essere il più santo del mondo ma se odi gli altri e sei presuntuoso sei il peggiore di tutti. Puoi essere il peccatore incallito ma se ti penti puoi diventare meglio di un santo. Tutto qui? Possiamo tentare di interpretare i gesti dei due personaggi, possiamo giocare con le parole, possiamo fare tutto quello che vogliamo ma la morale rimane questa e non ci sconvolge più di tanto, lo sapevamo già. Vien voglia di girare pagina e continuare la lettura. A meno che.

A meno che si carichi di maggior significato l’introduzione alla parabola che specifica essere raccontata per “alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”. E qui non è ancora parabola, è dichiarazione di intenti. Il Vangelo non dice di andare ad indagare i due personaggi della parabola, che infatti non presentano alcun tipo di complessità interiore, dice invece di interrogarsi su se stessi e sulle intime presunzioni di giudizio. Insomma, sul nostro modo di leggere il mondo. Non è il fariseo ad essere intimamente presuntuoso, e nemmeno il peccatore che spera di estorcere il perdono, sono io che leggo il presuntuoso. E infatti mi pare che in questo caso la trappola sia già scattata, ed è scattata ancora prima dell’inizio della parabola stessa, il suo suono è stato secco e deciso: “sei sicuro di saper interpretare quello che vedi? Come lo interpreti? Come credi che Dio osservi queste due tipologie di uomini?”. Ecco la trappola, Gesù non sta raccontando una parabola, Gesù mi sta interrogando, mi affida un compito, un esercizio per misurare la mia attitudine all’umiltà. “Chi si umilia sarà esaltato”. Colpito! Non resta che provare a smascherare il nostro sguardo.

I due uomini salgono a pregare, il primo è un fariseo ipocrita, chiuso in se stesso, non vede altro che il suo tentativo di perfezionismo, e disprezza pure gli altri. Non serviva Gesù a dirci che questo non è esempio da seguire, e fin qui ci siamo, infatti il compito è altro: provare a cercare di scendere con sguardo intimamente umile, prendendo ad esempio lo sguardo del Padre che tende alla giustificazione e non alla condanna “(il pubblicano) tornò a casa sua giustificato”. Umiltà e desiderio di giustificazione. E mentre mi chiedo se sia esercizio legittimo ecco che ripenso a un’altra pagina di Luca, penso a due fratelli, a due modi di vivere il mondo e ad un padre misericordioso che umilmente giustifica. Mi torna un po’ di coraggio, forse la strada è percorribile. Esercizio diventa: “guarda con profonda umiltà i due uomini del vangelo, immagina di essere il Padre misericordioso”.

E al primo allora chiederei: “ma tu sei felice?”. Solo questo. Non essere ladro, ingiusto e adultero, digiunare e pagare le decime più del dovuto ti rende felice? Continua così. Cosa ti importa degli altri, cosa ti importa se hai fratelli che vivono in modo diverso da te? Non ti chiedo di essere per loro un esempio, non ti chiedo di convertirli, non ti chiedo nulla se non: tu sei felice nel tuo modo di vivere? “Ciò che è mio è tuo”, smetti di essere in gara con gli altri. Esercizio per me, che credo di essere intimamente giusto, è quello di non condannare questo fariseo e invece di provare ad accudire questa grandissima insicurezza, provare a guardarlo come una vittima del catechismo moralistico che ogni religione impone. L’esercizio è mio: provare a chiedermi se intimamente sento compassione per quest’uomo che non riesce a liberarsi dal confronto e dal dubbio atroce che Dio sia un padrone esigente. L’esercizio è mio, provare, davanti ai farisei di ogni tempo, davanti ai tanti tradizionalisti che fanno perdere la pazienza, davanti a chi prega e ragiona e vive la fede in un modo diverso dal mio, davanti a chi non mi capisce e mi accusa… davanti ai loro volti riesco ad essere umile? Questa è la posta in gioco. Riesco a vedere in chi mi sembra così lontano dalla verità (ma chi sono io per deciderlo?) un fratello con le mie stesse paure? Riesco a essere seriamente interessato alla sua felicità? Riesco a giustificare il più possibile gli atteggiamenti di paura e di chiusura? Giustificare non significa banalizzare, non significa che è tutto uguale, non è il primo gradino verso il relativismo ma è l’assunzione di uno sguardo paterno, il tentativo di intuire le ragioni, interrogare le fragilità, accompagnare alla maturità. E piangere per questo fariseo che probabilmente non riesce a vivere con la dovuta saggia leggerezza.

E così per il peccatore, guardarlo con umiltà. Guardarlo come si guarda un figlio. Evitare di usarlo come si usano gli esempi, non trasformarlo in “caso esemplare”, non trattarlo da convertito. Non esaltarlo in nome della sua scelta. Ma amarlo sinceramente e provare ad andargli incontro, provare a riempire con la compassione quella distanza che lui ha posto tra sé e il divino, tra sé e sé. Provare a correre incontro, come farebbe il padre misericordioso, provare ad abbracciare e a sollevargli lo sguardo.

Questa parabola non funziona, e si capisce il perché, manca un personaggio fondamentale, è come la parabola del figlio maggiore e del figlio minore ma senza il padre. In questa parabola manca colui che sorprende tutti, manca lo sguardo umile che esalta, manca chi si umilia per esaltare l’umanità altrui. Manca la sorpresa perché manca lo sguardo divino. Questa parabola è inutile fino a quando non comprendiamo che è un appello rivolto al lettore: diventa tu il terzo, fai irruzione nella parabola, fai funzionare la parabola, diventa tu lo sguardo che sorprende!

Edda CattaniIntimamente presuntuosi
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La sofferenza salva

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DALL’ALBUM DEI RICORDI

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 ed ora, amato mio, posso ricordare ed annunciare che questo mi hai lasciato!

Accettare il dolore

“Tu sei venuto a piangere, perché ciò che ti mancava era il pianto”

 Riflettiamo:

“Portare i pesi gli uni degli altri” (Gal 6,2). La legge di Cristo è una legge del “portare”. Portare vuol dire sopportare, soffrire insieme. Il fratello è un peso per il cristiano. Solo se è un peso, l’altro è veramente un fratello e non un oggetto da dominare. Il peso degli uomini per Dio stesso è stato così grave che egli ha dovuto piegarsi sotto questo peso e lasciarsi crocifiggere. Nel portare gli uomini Dio ha mantenuto la comunione con loro. È la legge di Cristo che si è compiuta sulla croce. E i cristiani partecipano a questa legge. Essi devono sopportare il fratello; ma quello che è più importante, essi sono anche in grado di portare il fratello, sotto la legge che è compiuta in Cristo.
La Scrittura parla spesso di “portare”. Essa esprime con queste parole tutta l’opera di Cristo: “Erano le nostre malattie che egli portava; erano i nostri dolori quelli di cui si era caricato”
(Is 53,4) (10).

AIUTIAMOCI A SPERARE!

Una storiella che si narra nella vita di Abba Bishoi, un monaco copto del IV-V secolo (morì nel 417 d.C.), dice che, poiché egli fruiva di frequenti visioni di Cristo, alcuni monaci gli chiesero di guidarli a incontrare Cristo. Avendo egli ricevuto un messaggio dal Signore, disse ai monaci di recarsi in un certo posto nel deserto, dove avrebbero trovato Cristo ad attenderli. Lungo il cammino essi videro, ai lati della strada, un uomo anziano, malato e sfinito, che chiedeva loro di portarlo perché non ce la faceva più a camminare. Ma essi, desiderosi di incontrare Cristo, ignorarono le suppliche dell’anziano. In coda al loro gruppo giunse Bishoi che, quando vide l’anziano malato, se lo caricò sulle spalle portandolo lungo la strada. Giunto là dove i monaci attendevano Cristo, sentì il peso dell’uomo farsi più leggero, poté rialzare la schiena e constatare che l’anziano era scomparso. Allora rivelò: Cristo era seduto lungo la strada, e aspettava qualcuno che lo aiutasse. Nella loro fretta di vedere Cristo, gli altri monaci si erano dimenticati di essere cristiani. Lui, portando di peso l’anziano malato, aveva portato Cristo stesso.

 

Portare il malato, portare il fratello

Insegnare ai bambini cosa significhi il rispetto per gli anziani e gli ammalati è educarli all’amore per il prossimo.

È frequente, nei vangeli, l’annotazione che dei malati “vengono portati” a Gesù. Se essi hanno una certa autonomia di movimento, se riescono a camminare dovendo tutt’al più essere sostenuti, essi sono semplicemente “accompagnati”, “condotti”, “guidati” fino a Gesù. È così che gli vengono presentati “malati oppressi da varie malattie e sofferenze” (Mt 4,24) e “molti indemoniati” (Mt 8,16). In alcuni casi si può esitare circa il significato esatto del verbo utilizzato, potendo questo designare sia l’atto di “condurre”, “accompagnare”, sia quello di “portare”: dipende dal livello di autonomia del malato in questione. Questo vale per il verbo phérein (letteralmente “portare”) usato in Marco 1,32 (tutti i malati e gli indemoniati), in 7,32 (una persona sorda e muta), in 8,22 (un cieco), in 9,17. 19-20 (un giovane che ha uno spirito muto). Ma in alcuni casi è assolutamente certo che il malato viene portato, essendo egli steso su un giaciglio, su una barella. In Marco 6,55 si annota che, giunto Gesù a Genesaret, gli abitanti della zona “cominciarono a portargli malati sulle barelle”. Interessante è soprattutto il brano di Marco 2, 1-12 (con i paralleli in Matteo 9, 1-8 e Luca 5,17-26). Dice il testo di Marco:

Essendo entrato di nuovo a Cafarnao, alcuni giorni dopo, si seppe che era in casa. E si radunarono molti, così che non c’era più posto neppure davanti alla porta; ed egli annunziava loro la Parola. E vennero, portando a lui un paralitico, sorretto da quattro persone. E non potendolo presentare a lui a causa della folla, scoperchiarono la terrazza dalla parte dove era [Gesù] e, fatta un’apertura, calarono la barella dove giaceva il paralitico. E Gesù vedendo la loro fede, disse al paralitico: “Figlio ti sono rimessi i tuoi peccati” (Mc 2,1-5).

… e ancora un invito alla pace e … alla speranza

Albero dall’ombra lieve…

Di P. David Maria Turoldo


1-uomo-albero

Albero ramato di voti e speranze come non altro,
pianta dell’uomo che sogna olio fluente,
olio da versare sopra le ferite, olio
che consácri sempre un messia: olivo,
non del tuo legno son fatte le croci!
Albero di Cristo: “Anche gli olivi piangevano
quella Notte, e le pietre erano più pallide
e immobili, l’aria tremava tra ramo
e ramo: e Lui, tutto un sudore di sangue
– la bocca senza voce – mentre abbracciava la terra”.
Ma gli stessi olivi lo vedranno salire in alto
e sparire nel sole: gli stessi olivi
dai quali i fanciulli avevan strappato i rami
per corrergli incontro: una selva di rami
e di voci a cantargli d’allora l’osanna e alleluia.
Olivo, albero essenziale, dall’ombra lieve come
una carezza; e pure ossuto, e nodoso, e carico
di ferite, uguale alla vita: immagine
di ciò che più amiamo! Sempre un tuo ramo
trovi la colomba in volo dopo i diluvi! E siano
i figli virgulti d’olivo intorno a ogni
mensa; e perfino la cenere fatta
di sue foglie d’argento plachi
le tempeste; come le stesse
del mercoledì delle ceneri mettano
in fuga anche la nostra morte.
E papa Giovanni, il padre del mondo, torni
col suo ramo d’olivo in mano

Edda CattaniLa sofferenza salva
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La preghiera dei Precari

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La preghiera dei Precari

 

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(Luca 18,8-1)
XXIX domenica del Tempo Ordinario C

“Dove, Signore?”. Dove la vedi questa vita? 
Dove la vedi questa quotidianità da abitare evangelicamente? 
Ma, soprattutto, dove lo vedi questo Dio di cui parli 
e che noi non riusciamo a sentire?
Gesù raccoglie quella domanda “Dove?” 
e risponde che il luogo dell’incontro con il Signore è il quotidiano, 
è il tempo vissuto come preghiera.
E quando parla di “pregare sempre” 
non sta consigliando di “recitare” formule, 
la vita non si recita, la vita si interpreta: 
preghiera secondo Gesù è interpretare la vita secondo verità (A. Dehò).

…si interpreta…la preghiera come verità… ” Pregare è sentire la precarietà della solitudine (vedova) che grida il suo bisogno di Amore. Non stancatevi mai di gridare a Dio il vostro urgente e quotidiano bisogno di essere amati e custoditi.” Solo il Suo Amore può dare risposte di Verità.

Per la riflessione di questa domenica, il cui tema è la preghiera, una semplice ma intensa poesia

di David Maria Turoldo:

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” ma questo è un tempo senza preghiera,
Onu, tempo di solitudine
Onu tempo d’infinite paure.
Voi non sapete cosa avete perduto:
Il dono più grande è pregare,
Saper pregare.
“parlare” con lui, o tacere,
Tariffa silenzio
E capire.
Immersi tutti nel suo oceano,
E tornare poi grondanti di luce.
Preghiera, tempo di contemplazione,
Tempo del giusto sulle cose, workers
E sentire la luce posarsi sulle mani…
Tariffa silenzio, senza franare nel vuoto,
mettersi in ascolto,
Sentire lui che parla nel silenzio.
Per questo nessuno ascolta nessuno:
L ” aria, il cielo, gli spazi
Sono una foresta assolo di rumori.
L’ anima è puro, frastuono
Ho cervelli sono tamburi:
Nostra civiltà del vuoto e del fracasso.
Questo è tempo senza silenzio,
Tempo senza preghiera,
Senza gioia e speranza.
Domeniche senza festa,
Anche nelle chiese è difficile pregare,
Anche le chiese, a volte, sono grancasse.
Ma Dio non è nel rumore,
È nel tuono, nel turbine,
Mai nel rumore.
Dio è solo, e tu sei solo:
Cristo, vero orante dentro
L’ infinito silenzio dei tabernacoli.
(David. Maria Turoldo)

 

Edda CattaniLa preghiera dei Precari
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