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Miracoli fra storia e religione

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MIRACOLI

 

(Fatti religiosi e interpretazione storica)

 

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Si può affermare che, come la nozione di mistero, anche quella di «miracolo» (dal lat. miror, meravigliarsi) ha per ambito naturale ed originario quello religioso, sebbene ambedue si prestino ad una varietà di comprensioni e di impieghi lessicali che portano il significato anche verso altri contesti. Miracolo indica qualcosa fuori dell’ordinario, che rimanda ad una sfera di possibilità e di attività che oltrepassano quanto l’uomo è abituato a conoscere ed esperire nella sua vita quotidiana. Di qui il suo naturale collegamento con forze e possibilità che appartengano a qualcosa o a qualcuno che sia altro-dall’uomo”, e dunque si intende il miracolo come un intervento degli dèi o di Dio nel mondo degli uomini…. segue 

Edda CattaniMiracoli fra storia e religione
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I “carismi” di Padre Pio

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Ricevo da un amico navigatore oggi e pubblico:

       A Padre Pio

 Padre che del Gargano resti un sole,
accogli questa supplica sincera,
non c’è bisogno di molte parole
perché procacci a me la gioia vera.

 E mi giunge un profumo di viole
mentre rivolgo l’umile preghiera:
ancora esorti a seguir chi vuole
la via del Vangelo veritiera.

 Tu che d’ardor serafico colmasti
l’intera vita afflitta dal dolore,
ricordati di me di fronte a Dio.

 L’esempio dato a noi penso che basti
a meritar le grazie del Signore
perché Sei tanto grande, Padre Pio!

                       Domenico Caruso

S. Martino di Taurianova (R.C.)

 

 

 

 123 anni fa nasceva Padre Pio da Pietralcina:

il santo dei miracoli

I “carismi” di Padre Pio

 

 

 

 

 

Padre Pio diceva Messa sempre molto presto, alle prime luci dell'alba, se non prima.
Molto spesso all'altare laterale dell'Immacolata, ma anche a quello centrale e, in seguito, a quello di san Francesco. Dopo il ringraziamento, confessava gli uomini in sagrestia, poi nella chiesetta le donne.
Al termine di tutte le confessioni, tornava in sagrestia per indossare cotta e stola, e rientrava in chiesa per distribuire la comunione ai fedeli.
Non di rado l'ora era tarda, e poiché vigeva la norma che bisognava essere digiuni del tutto, acqua compresa, fin dalla mezzanotte, non era un sacrificio da poco per i fedeli.
Al pomeriggio, dopo il riposo, Padre Pio ridiscendeva in sagrestia per confessare gli uomini.
In certi periodi o in certi giorni c'erano abbastanza fedeli per impegnarlo tutta la giornata, in altri no.
Comunque tutto, confessione, eventuale incontro extra con Padre Pio, si esauriva di solito in giornata.
A poco a poco, intanto, qualche timida casetta cominciava ad apparire nella zona, fatta costruire da forestieri che venivano a risiedervi stabilmente o volevano una base propria per le loro venute periodiche; e anche da famiglie del paese desiderose di avvicinarsi di più al convento dov'era Padre Pio.
Perché egli era ormai al centro come di una famiglia, che si estendeva sempre più, guidando come un autentico padre, non solo spiritualmente, ma anche con consigli d'ordine pratico, oltre persone del posto assidue al suo confessionale e agli incontri extra, anche molte altre lontane.
Tutte avevano per lui un'autentica venerazione: pur considerandolo come una persona di famiglia, e avendone e ricevendone confidenza, vedevano in lui un sigillo soprannaturale.
E alcune si affidavano a lui in toto, in una sequela spirituale senza riserve, bevendo e meditando i suoi insegnamenti, ricevuti in confessione, e anche in brevi messaggi scritti che si aggiungevano alle numerose lettere dense di spiritualità, scritte fin quando poté farlo.

Il profumo

Ma che cosa aveva di speciale Padre Pio per catalizzare intorno a sé tanto interesse e tanta venerazione? oltre le piaghe come il crocifisso, che rimanevano nelle mani, abitualmente coperte da mezzi guanti color marrone, che si toglieva solo per celebrare? Sarebbero bastate solo queste per farlo apparire come un essere superiore, perché quelle piaghe emanavano a volte un profumo inconfondibile, che inondava i presenti, e veniva avvertito, in certe circostanze, anche da persone in paesi lontani.
E già questo era miracoloso. Si ambiva, subito dopo la messa, riuscire a baciarle prima che in sagrestia si rimettesse i guanti. E si ricercava sul bancone dove si vestiva e si spogliava le crosticine che nel togliere e nel rimettere i guanti vi cadevano sopra; conservate come reliquie, quelle crosticine continuavano ad emanare il caratteristico profumo di Padre Pio, e verıivano considerate miracolose.

L'introspezione delle anime

A parte i segni già di per sé eccezionali che portava sul suo corpo, era evidente in Padre Pio la sua capacità di vedere l'intimo delle anime, illuminato com'era da Dio. Ciò era abituale in confessione, dove i penitenti si sentivano non di rado ricordare dei peccati non detti. E se l'omissione era stata involontaria, e si trattava di cose veniali, tutto poi filava liscio. Ma se era stata fraudolenta e se si trattava di cose gravi i rimproveri di Padre Pio salivano per così dire alle stelle, tanto erano aspri e sferzanti, e il più delle volte il peccatore veniva scacciato in malo modo. Coram populo, perché Padre Pio non aveva mezze misure. L'umiliazione era grande, non tanto per la vergogna di quel ripudio pubblico, che intimoriva anche gli altri che attendevano il loro turno, ma il più delle volte per l'orgoglio ferito.
Come si permetteva quel frate di trattare in quel modo una persona umana? Con quale diritto? Con quale autorità? E c'era chi se ne andava sdegnato, giurando che non avrebbe rimesso più piede in quel posto; salvo poi a ripensarci, anche con l'aiuto di qualche samaritano che spiegava come stavano le cose, e li guidava e assisteva per una nuova confessione, con altri sacerdoti se non con Padre Pio. Per questi scaccioni in confessione, si vedeva gente piangere dopo. Un pianto che faceva bene, perché faceva loro vedere con più chiarezza tutti i loro comportamenti. Ma anche fuori della confessione spesso in Padre Pio si rivelava questo discernimento interiore: quando nel mezzo della folla rimproverava ad alta voce qualcuno, o senza dire nulla ritirava la mano a chi si disponeva a baciarla, o addirittura passava oltre nel fare la comunione ai fedeli. C'erano poi le volte che strapazzava di fronte a tutti una persona, lasciando di stucco gli altri.
E c'era sempre un motivo, che in genere sapeva solo il malcapitato.

La bilocazione

Di certo, la testimonianza del dono della bilocazione in Padre Pio ci viene da lui stesso.
Una volta, mentre stava con le sue prime figlie spirituali nella foresteria del convento per le consuete conferenzine, apparve a un tratto come assente.
La cosa si prolungava troppo a lungo perché si trattasse di una semplice concentrazione interiore.
Alla fine si riscosse, e alla domanda di che cosa gli fosse accaduto, rispose con semplicità che era stato in America a trovare il fratello Michele.
Troviamo poi negli Epistolari chiare rivelazioni di una sua visita a una figlia spirituale di Foggia inferma: Giovina, sorella di Raffaelina Cerase, con la quale Padre Pio era in corrispondenza quando si trovava a Pietrelcina e che era stata l'occasione della sua venuta a Foggia, e poi a San Giovanni Rotondo.
Noi ci limitiamo a questi due casi che vengono dallo stesso Padre Pio.
Ma dobbiamo aggiungere che anche il profumo era un segno della sua presenza, o per lo meno della sua assistenza nella preghiera. Lo avvertivano anche persone che non avevano mai avuto nessun contatto con lui.
Era di solito un buon odor di violette, intensissimo e inconfondibile. Ma a volte si sentiva un odore di tabacco, o anche di acido fenico.
Quest'ultimo, Padre Pio l'aveva usato per qualche tempo subito dopo la stimmatizzazione come disinfettante. In quanto al tabacco, Padre Pio usava annusarlo per liberare le narici intasate.
Vengono comunemente assegnati dei significati a una intera gamma di altri odori attribuiti a Padre Pio; ma, sinceramente, sono attribuzioni opinabili.
Quel che è certo è che Padre Pio anche da lontano faceva sentire la sua presenza o assistenza.
E' anche certo che il suo sangue non aveva un odore repellente, ma gradevole. Ne rimanevano intrisi anche i fazzolettini e le pezzuole poggiate sulle sue piaghe.
Chi riusciva ad averne uno, in qualche modo trafugato dalla sua cella, lo conservava gelosamente come una reliquia, ricorrendovi nei momenti di bisogno.

Le grazie

La preghiera d'intercessione di Padre Pio l'otteneva grazie non imputabili all'intervento umano.
Senza arrivare, nella stragrande maggioranza dei casi al miracolo vero e proprio.
I benefici che ottenevano quelli che ricorrevano a Padre Pio sono incalcolabili, e tuttora è così.
Quando gli si raccomandava di pregare per questa o quella cosa annuiva subito, e a sua volta esortava anche il ricorrente a pregare.
In particolare, la sua preghiera abituale, diffusissima tra ı suoi devoti, era la "coroncina al Cuore di Gesù". Che Padre Pio recitava ogni giorno.
A volte il profumo intenso che si avvertiva era il segno, oltre che della sua presenza, della grazia; e si vedeva subito.
Ma quando qualcuno lo ringraziava, Padre Pio in genere rispondeva: "Non me ringrazia, ma la Madonna".
Ma se qualche fedele lo metteva quasi alle strette, dopo qualche segno straordinario, chiedendogli: "Padre, eravate voi?" rispondeva di solito: "E chi volevi che fosse?".
Altre volte, da una osservazione che faceva su particolari della persona che non poteva umanamente conoscere, si capiva chiaramente il suo intervento.

 

 

Edda CattaniI “carismi” di Padre Pio
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Bambini in ospedale

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Novembre: il mese della ricerca!

La tredicesima edizione della Giornata per la Ricerca sul Cancro avrà luogo come tradizione nel mese di novembre.

Avrà il duplice scopo di sensibilizzare il Paese attraverso la diffusione dei risultati ottenuti dalla ricerca oncologica e dei prossimi obiettivi nonché assicurare attraverso la raccolta di donazioni, nuovi fondi ai ricercatori italiani.

Tra gli innumerevoli appuntamenti che si susseguiranno nel corso della Giornata ricordiamo gli Incontri con la ricerca che si terranno, simultaneamente sabato 6 novembre in molte città in tutta Italia, nelle quali il pubblico sarà invitato a porre le proprie domande ai ricercatori.

Come da tradizione, la RAI darà voce alla ricerca con la staffetta televisiva che le tre reti organizzeranno per incentivare le donazioni in diretta.


Per tutti noi, un impegno solidale per tanti piccoli pazienti che hanno bisogno del nostro aiuto.


 

Anche questo settembre la nostra solidarietà con ABIO

 

25 SETTEMBRE 2010
SESTA GIORNATA NAZIONALE perAmore, perABIO
Appuntamento con i 5.000 volontari ABIO
in 100 piazze
per i diritti dei bambini in ospedale

 


ANCHE TU PUOI AIUTARCI A PORTARE IL SORRISO DI UN VOLONTARIO ACCANTO AD OGNI BAMBINO IN OSPEDALE!

Nelle città in cui operano, i volontari ABIO hanno organizzato delle postazioni per raccontare la loro attività al fianco dei bambini, degli adolescenti e dei genitori in ospedale.
Con un contributo minimo di € 7 riceverai un cestino di pere e aiuterai così l’Associazione ABIO della tua città ad organizzare i corsi di formazione, necessari per introdurre nuovi e preparati volontari al servizio in pediatria.

INSIEME PER I DIRITTI DEI BAMBINI IN OSPEDALE
Fin dalla prima edizione, grazie alla Giornata Nazionale ABIO molte persone hanno conosciuto ABIO e il servizio che ogni giorno i volontari prestano in oltre 200 pediatrie in tutta Italia: sostengono e accolgono infatti, in collaborazione con medici ed operatori sanitari, bambini e famiglie che entrano in contatto con la struttura ospedaliera. I volontari ABIO inoltre s’impegnano a sensibilizzare il pubblico sull’importanza dell’umanizzazione dell’ospedale: a partire dall’edizione 2008 è stata promossa la Carta dei Diritti dei Bambini e degli Adolescenti in Ospedale

Il documento, redatto da Fondazione ABIO Italia in collaborazione con la Società Italiana di Pediatria, evidenzia l'importanza di passare dal curare le malattie al prendersi cura dei bambini malati: porre attenzione al bisogno del bambino di essere accolto e curato nel rispetto delle sue esigenze, al diritto di essere ricoverati all’interno di un reparto pediatrico e in un ambiente a misura di bambino, al diritto di ricevere informazioni riguardo la diagnosi e di essere coinvolti nelle decisioni, il diritto al gioco e allo studio.

Dove trovo i volontari ABIO?

 

Esperienza di una terapista:  Sig.Lorenza Ellena

 

 

Torino- Ospedale Maria Vittoria Sede staccata S.Vincenzo 15.6.1981

 

        Dopo due anni di lavoro comincio ad intravedere più chiara la linea da tenere e che si manifesta via via l’unica che può condurre ad una vera e propria ri-abilitazione ed abilitazione dell’uomo dalla sua malattia.

Non ci sono stati casi clamorosi. A volte ho anche pensato che un buon esito ottenuto sia stato grazie alle infinite risorse insite nell’individuo e che, proprio perché ancora spesso sconosciute a noi operatori, possono portare di per sé  dei risultati strabilianti. Essendo tuttavia questa convinzione nata durante un momento ancora chiaro della linea da intraprendere, ho avuto modo di ricredermi.

Sento di dover iniziare questa specie di “ diario di bordo”da questa fondamentale constatazione. Qualsiasi tipo di intervento terapeutico, nel mio caso, la riabilitazione, è guidato, è pilotato addirittura dal nostro stesso comportamento iniziale, dalla nostra presa di coscienza, dalle nostre aspettative e dal “piede giusto” o “sbagliato” con il quale noi partiamo in questa avventura di intervento sull’uomo.

Qualsiasi tipo di patologia ci troviamo di fronte esiste un primo momento, l’impatto, durante il quale noi decidiamo “a priori”, se quella persona uscirà fuori dal suo handicap in un tal modo o nell’altro. Nella misura in cui dentro  noi stessi non abbiamo reciso traumi, sensi di colpa, paure, dettati dal nostro poco coraggio di vivere, non apporteremo certamente miglioramenti ma, rischieremo di far diventare il malato un pellegrino rassegnato a chiudere le imposte della sua vita al nuovo e al bello  che ancora lo possono attendere..

Ciò non dimostra già inizialmente che un fatto di per sé molto semplice: il terreno della riabilitazione è purtroppo l’approdo ad una spiaggia di ricerca, di approfondimento di metodiche, tecniche sofisticate ( pur sempre da conoscere per la propria professionalità scientificamente seria), stipendi da colmare.

In tutto ciò l’uomo come mezzo per raggiungere questi miti è destinato a coincidere con il numero di una cartella clinica ed una patologia con caratteristiche che interessano la nostra sfera riabilitativa e niente più.

Il terapista diventa il trait d’union tra una classe gerarchicamente più in alto nella piramide ospedaliera dei ruoli ed il malato con il suo entourage di parenti quando esistono o sovente il malato da solo con la propria malattia.

In tutta questa dinamica  di ruoli il terapista rischia di diventare il destinatario di un potere incontrollato, dopo i primi entusiasmi si dimentica dell’uomo e dell’uomo malato verso il quale all’inizio delle proprie scelte aveva rivolto il suo interesse.

Perché questa panoramica deludente? Perché se tutto ciò è realtà quotidiana del nostro rapporto di lavoro, è pur vero che esiste una molla dentro noi stessi tale da poter trasformare una realtà di dolore e di rifiuto di esso, in una fase di condivisione totale.

Ogniqualvolta io accolgo un uomo malato pienamente, in tutta la sfera motoria, intellettiva, emotiva, esperienziale, senza fare una scala di valori di esse, già ho compiuto il primo passo del mio iter riabilitativo.

Quindi: accoglienza, che significa prendere l’altro con sé nel suo insieme, senza etichette che lo dividano in compartimenti stagni.

Come una scintilla fa scoppiare un incendio, così succede nel malato.

Il malato accolto dall’operatore terapista scegli di vivere e non abbandonarsi ad un fatale destino. Sulla base del meccanismo del bio feed-back il mio stimolo suscita una risposta: l’accoglienza umana, e poi vedremo non solo umana, porta ad una scelta personalissima di vivere la malattia con occhi e volontà del tutto nuovi da parte del malato.

Quindi accoglienza prima fase  e scelta, secondo momento. Ora il malato dopo questi passaggi preliminari rispettosamente ed opportunamente guidati, si trova quasi senza accorgersene pronto ad iniziare il suo lavoro. Poiché  è lui stesso a lavorare in prima persona e al terapista va il compito di guida  e orientamento come una bussola che serve per tenere giusta la rotta. Egli stesso deve sentirsi la prima persona in causa, il motore cha fa andare avanti la macchina ed il mio comportamento deve rispettare questa ricerca a volte difficile dell’essere del malato altrimenti si cade nella deresponsabilizzazione e nella prevaricazione della volontà.

Ogni difficoltà che nasce diventa sotto la mia guida uno stimolo al superamento di ostacoli e mai deve sfociare nella delusione o peggio ancora frustrazione per non avere raggiunto la meta prefissata.  Ogni progresso, seppur minimo, deve fungere da incentivo e momento gratificante per non fermarsi a ciò che si è raggiunto.

All’inizio affermai l’importanza della globalità dell’individuo. Ne consegue che anche la sfera intellettiva ed emozionale resti coinvolta dalla novità apportata dalla riabilitazione. Quindi attenzione va rivolta ad ogni diminuzione o aumento dell’umore e del livello di autostima. E, se ci si trova di fronte ad una persona che più ne vuol sapere  della nostra volontà di vivere e trasmettere ciò al malato tramite il mezzo della fisioterapia, utile può essere valutare la possibilità di risposta che dev’essere sincera e coraggiosa.

Ma tutto ciò che viene dopo è una conseguenza di quella molla iniziale di cui parlai all’inizio. Qual è questa molla? Un’accoglienza non solo umana del malato bensì, paradossalmente divina, come di un ostensorio consacrato che racchiude un tesoro inestimabile e da pochi, soprattutto dagli operatori sanitari, tenuto in considerazione: il dolore incarnato del Cristo stesso sulla croce. E, una cosa ho sentito forte avvicinandomi fin dal primo  momento al malato: che io, in particolare con il mio lavoro, ero chiamata a fare da Cireneo nel portare quella croce perché come malato avesse la forza di arrivare al culmine della crocifissione e con il mio aiuto fisioterapico partecipasse qui in terra  ad una resurrezione del corpo tramite il miglioramento e le varie funzionalità acquisite.

Far arrivare il malato, con la mia vita, a trasformare la sua messa di dolore quotidiano in sacrificio eucaristico d’Amore offerto a Colui che gli donò la vita in riparazione del male dilagante sulla terra che tutto vorrebbe intaccare.

Invece così malato e terapista si diventa tutt’uno: una cosa sola per fare da barriera e diventare come un argine d’amore purissimo, purificato e purificante.

 

              

GIORNO DOPO GIORNO

Con ABIO sulle reti RAI dal 19 al 25 aprile, accanto ai bambini in ospedale

video clip miracoli click!

    Il mio piccolo Simone prima     e durante la lunga degenza

 

LA MALATTIA DI UN BAMBINO COLPISCE UN'INTERA FAMIGLIA

che in seguito dovrà intraprendere un lungo periodo di disagio

"giù le mani dai bambini colpiti da disabilità"

 

"E' inutile ripetere o soffermarsi su ciò che si prova intimamente è qualcosa che noi abbiamo il privilegio di conoscere ma che non riusciamo ad esprimere e, anche se riuscissimo, gli altri non capirebbero".

Dal primo documento programmatico dell'A.GE.DI. – Autunno 1986

 

 

 

 

Esistono "Angeli" anche in ospedale

La favola del dottor Nanza

"così si vince la paura dell'ospedale"

Grazie alla cooperativa "le Mani parlanti" e al progetto Giocamico, i piccoli pazienti sopportano operazioni ed esami. In alcuni casi le tecniche utilizzate sono così efficaci da evitare il ricorso all'anestesia. E' successo, negli ultimi 3 anni, a 752 piccoli (su 1448) sottoposti a risonanza magnetica senza essere sedati

di STEFANIA PARMEGGIANI  da "Parma Repubblica"

L'astronave è un po' vecchiotta e arrugginita. Che nessuno si stupisca per il rumore da ferro vecchio che fa quando scalda i suoi reattori. Può trasportare i viaggiatori in un mondo lontano, simile al fondo del mare e abitato da strane creature. L'esperienza è tale da meritare una foto. Che sarà nitida e chiara, perfettamente a fuoco. Il viaggiatore deve restare immobile come ordina il dottor Nanza, la mente del grande viaggio, impassibile dietro il suo quadro di comando, nervi tesi per scattare i clic migliori. L'avventura è cominciata tre anni fa all'Ospedale Maggiore di Parma e ha imbarcato 752 bambini che, grazie all'aiuto di psicologi e volontari, hanno eseguito uno degli esami diagnostici più paurosi  –  la risonanza magnetica  –  senza essere sedati. Statistiche alla mano, il 50% dei piccoli pazienti è riuscito ad evitare l'anestesia totale. Il dato è di quelli che fa scuola e così l'esperienza parmigiana, al centro di un convegno sull'imaging in neuropediatria, è stata già replicata in altre strutture ospedaliere italiane tra cui il San Raffaele di Milano.

FOTO Il viaggio dei piccoli pazienti

 

Sabato, nella sala congressi del Maggiore, prenderanno la parola i medici dell'Azienda ospedaliera-universitaria e dell'Usl, gli psicologi, gli psicoterapeuti e gli educatori della cooperativa "le Mani parlanti", che da tredici anni frequentano le corsie con il progetto Giocamico. Il loro scopo non è curare, ma aiutare i bambini a ridurre "lo stress da ospedale", a controllare il dolore durante i prelievi più complessi, l'ansia per gli interventi chirurgici o per gli esami diagnostici. "Utilizziamo  –  spiega il presidente della cooperativa Corrado Vecchi  –  tecniche ludiche, espressive e relazionali. Ci sono sette psicologi ed educatori che distraggono i bambini in attesa di interventi chirurgici o esami invasivi. E ci sono i volontari, circa 200, che sette giorni a settimana, sia di mattina che di pomeriggio, frequentano tutti i reparti in cui ci sono pazienti in età pediatrica. Giocano con loro per sfumare la distanza con la quotidianità di fuori".
 

Edda CattaniBambini in ospedale
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Padre Pio: il santo delle guarigioni

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Padre Pio, l'urna con le reliquie trasferita nella cripta superiore

Le spoglie del santo verranno traslate nella chiesa nuova. Intanto sono state portate nella cripta superiore del santuario di San Giovanni Rotondo: e, all'apertura del mattino, i fedeli hanno avuto la sorpresa di vedere l'urna in chiesa

 25 aprile 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

IL SANTUARIO DI  PADRE PIO

A San Giovanni Rotondo c’è una nuova grande chiesa. Un santuario dedicato a San Pio da Pietrelcina. Una chiesa stupenda, meravigliosa, firmata da Renzo Piano, il più celebre architetto italiano del nostro tempo. Un’opera destinata a restare nella storia non solo come straordinaria costruzione,  ma anche come autentico capolavoro d’arte, che rappresenterà nei secoli la genialità architettonica del nostro tempo.

Con l’inaugurazione di questa chiesa, primo luglio 2004,  si chiude, in un certo senso, un ciclo dell’esistenza di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, il ciclo temporale, della sua permanenza in quel luogo, dal primo contatto, luglio 1916, alla dedicazione del santuario. Ma si apre il secondo grande ciclo, quello storico, quello della testimonianza destinata a durare nei secoli: testimonianza costituita dal santuario, dalle folle dei pellegrini, e dalle grazie che la gente continuerà ad ottenere per  intercessione del santo.

E’ interessante vedere i cambiamenti incredibili che Padre Pio ha portato, con la sua presenza, in questa zona del Gargano.

Il religioso cappuccino giunse per la prima volta a San Giovanni Rotondo nel luglio del 1916. E precisamente la sera del 28 luglio. Aveva allora 29 anni ed era molto malato. Si trovava nel convento di Foggia, ma il caldo opprimente che in quei giorni imperversava sulla Puglia gli toglieva le forze. Un suo confratello, Padre Paolino, superiore nel convento di San Giovanni Rotondo, passando per Foggia e vedendo quanto Padre Pio soffriva, lo invitò a trascorrere qualche giorno lassù, sul Gargano.  Il convento di San Giovanni Rotondo, infatti, si trova a 600 metri sul livello del mare e quindi, la sera, in genere, è confortato da una brezza salutare. Padre Pio accettò l’invito e in quel conventino si trovò bene tanto che, rientrato a Foggia, dopo la breve vacanza, inviò una lettera al Superiore provinciale chiedendo di poter essere trasferito nel convento di San Giovanni Rotondo, dove, per il clima mite, la sua salute, sempre cagionevole, poteva trovare giovamento. Venne accontentato, e il 4 settembre di quell’anno ci fu il passaggio definitivo del giovane frate in quello che sarebbe poi stato il suo convento per tutta la vita.

San Giovanni Rotondo era allora un paese povero, isolato per mancanza di strade e infestato dai briganti.  Il convento sorgeva a circa tre chilometri dall’abitato, in luogo solitario e brullo, adagiato sul fianco della montagna rocciosa. Per raggiungerlo non c’erano strade, ma un viottolo.

Pochi giorni dopo il suo arrivo, Padre Pio scrisse ai genitori una lettera, che con il trascorrere del tempo risultò profetica. Il Padre scrisse tra l’altro: “Dopo un lungo viaggio sono arrivato finalmente nella mia reggia di San Giovanni Rotondo… Sento di rimanere qui tantissimo tempo e di non allontanarmi mai..”. Intatti, da San Giovanni Rotondo non si allontanò più, neppure da morto.

Il giovane Padre Pio pensava di dedicarsi, in quel luogo solitario, alla preghiera e alla contemplazione. Ma la sua presenza venne subito notata. Anche se era giovane, godeva fama di santità e alla domenica molte persone, partendo da Foggia e da altre cittadine pugliesi, affrontavano il viaggio disagevole per andare a parlare con Padre Pio.

Quando poi, nel 1919, si sparse la notizia che il fraticello aveva avuto il dono delle stigmate, le visite della gente diventarono valanghe di devoti, folle incontenibili, tanto da preoccupare le autorità civili, come si ricava da documenti presso la Reale Prefettura di Capitanata di Foggia. Il luogo non era attrezzato per ricevere tanta gente e le autorità temevano il diffondersi di epidemie.

Iniziò così l’avventura di San Giovanni Rotondo. Cominciarono a sorgere le prime pensioni, poi qualche albergo. Venne allargato il convento. Nel 1925, Padre Pio fece costruire un primo ospedale dedicato a San Francesco, che venne però trascurato e fallì.

Il Padre vedeva il futuro e diceva a tutti che San Giovanni Rotondo sarebbe diventata una “cittadella della medicina”.  Dopo la seconda guerra mondiale,  iniziò i lavori per la “Casa Sollievo della Sofferenza”, un ospedale per accogliere gli ammalati con lo spirito del Vangelo. Tutti criticavano quel progetto affermando che era una pazzia costruire un ospedale sul Gargano, luogo lontano dalle città e privo di comunicazioni. Quell’ospedale, perciò, era destinato al sicuro fallimento. Invece, come aveva previsto Padre Pio, quell’ospedale continuò a crescere ed è diventato oggi una autentica “cittadella della medicina”, essendo uno dei migliori ospedali europei, all’avanguardia in tutti i reparti, e anche sede universitaria per le ricerche scientifiche.

Mentre era ancora in corso la costruzione della “Casa Sollievo della Sofferenza”, Padre Pio pensò anche di allargare la chiesetta del convento. Il 31 gennaio 1955, iniziarono i lavori. Padre Pio continuava a ripetere al padre Superiore di allora: “Mi raccomando, fattela grande”.  Il primo luglio 1959 ci fu l’inaugurazione. Toccò a Padre Pio l’onore di tagliare il nastro ed entrare per primo nella nuova chiesa. E rimase amareggiato. “Ma che cosa avete fatto?”, disse  con tono deluso rivolto ai confratelli: “Avete costruito una scatola di fiammiferi”. Lui  si aspettava qualche cosa di più grande, certamente vedeva le folle che sarebbero arrivate lassù negli anni futuri.

Dopo la morte di Padre Pio, molti dicevano che San Giovanni Rotondo era destinato a fallire. Infatti, subito il flusso dei pellegrini subì un tracollo. Molti alberghi e negozi di souvenir dovettero chiudere. Ma la crisi durò meno di un anno. Poi la gente riprese ad accorrere alla tomba del religioso, e i pellegrini aumentavano di mese in mese. Qualche anno dopo, i confratelli di Padre Pio si resero conto che era necessaria una nuova chiesa per accogliere i pellegrini.

 <<Subito, fin dall’inizio, noi decidemmo di costruire una chiesa ampia, grande, come l’aveva sempre sognata Padre Pio>>, ci dice Padre Gerardo Saldutto, dice Padre Gerardo Saldutto, il religioso che ha seguito, come responsabile, la costruzione del Santuario per incarico dell’Ordine dei Frati Cappuccini.  <<Volevamo una chiesa grande ma che fosse, nello stesso tempo, in sintonia con lo spirito del nostro ordine e cioè semplice e umile. Non doveva essere un monumento eclatante,  vistoso. E Renzo Piano, da genio qual è, ci ha perfettamente accontentati. La chiesa ha la forma umile di una conchiglia. Vista dall’esterno, sembrerebbe addirittura piccola. Invece, è ampia ma di un’ampiezza sostanziale, che sprigiona calore, cordialità, spiritualità, e invita alla preghiera>>.

Più che una semplice chiesa, si tratta di un complesso di strutture. Quello che si vede dall’esterno,  è solo una parte di ciò che è stato costruito. La punta di un iceberg. Sotto la chiesa propriamente detta, quella che viene anche chiamata “aula liturgica”, ci sono altre costruzioni: una cripta, che è una seconda chiesa,  la penitenzeria, l’aula delle confessioni,  tre aule per incontri, dibattiti, proiezioni, ampi servizi igienici,  locali per l’accoglienza dei pellegrini, centro informazioni eccetera. Accanto alla grande “aula liturgica”, ci sono la Cappella dell’Eucarestia e la sacrestia, che ha una superficie di 550 metri quadrati con capacità di accogliere contemporaneamente 300 concelebranti

 L’aula liturgica ha una superficie di 5.700 metri e una capacita di  6.500 posti a sedere. Ma può ospitare anche altre 2.500 persone in piedi,  e si arriva così a dieci mila presenze. Il lato d’ingresso  della chiesa comunica con il sagrato, che ha una superficie di otto mila metri quadrati, capace quindi di contenere 40 mila persone. La parete divisoria, è costituita da una vetrata formata da oltre 100 infissi, per un totale di 500 metri quadrati di vetro. Quando gli infissi, che hanno un’apertura a finestre vasculanti, sono in posizione orizzontale, permettono, a chi sta sul sagrato, la visione delle celebrazioni che si svolgono all’interno della chiesa. Il sagrato diventa così una specie di prolungamento dell’aula liturgica.

Per realizzare il complesso sono occorse diedi anni di lavoro. E’ stato necessario scavare 70.000 metri cubi di roccia. Sono stati impiegati  30.000 metri cubi di cemento e 1320 blocchi di in pietra per complessivi 900 metri cubi. Per rispettare il verde, che padre Pio tanto amavo, intorno alla chiesa  sono stati piantati 2 mila cipressi, 500 pini, 230 querce, 30 olivi, 400 corbezzoli, 550 mirti, 23 mila lavande, 50 mila edere.

Entrando, ci si trova di fronte a un immagine meravigliosa. La volta dell’immensa “aula liturgica” è costituita da 22 archi in pietra, che “nascono” da un unico pilastro, posto accanto all’altare, e si diramano nello spazio andando poi a delimitare il perimetro dell’aula stessa. Il significato simbolico è chiaro: l’altare è il fondamento di tutto. Il pilastro, da cui partono gli archi, sostiene l’intera struttura portante della costruzione. E’ un pilastro che poggia su un plinto di fondazione del diametro di 26 metri, profondo sei, che è stato realizzato con un unica gettata in cemento armato, durata 74 ore e che ha richiesto l’impiego di 350 autobetoniere.

L’arco iniziale, quello che segna l’ingresso nell’aula liturgica, misura 45,80 metri, è alto metri 15.70:  è il più grande arco in pietra che esista al mondo.

L’interno della chiesa è impreziosito da opere di altissimo valore, create da artisti di fama mondiale: Arnaldo Pomodoro,  Giuliano Vangi, Floriano Bodini, Nicola De Maria, Domenico Palladino, Mario Rossello. L’organo, opera della  “Fabbrica artigiana Pinchi” di Foligno, è costituito da 6500 canne, 78 registri, 4 tastiere ed è alto dieci metri. E’ il più grande organo meccanico mai costruito in Italia.

Renzo Allegri

 

Edda CattaniPadre Pio: il santo delle guarigioni
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Papa Giovanni Paolo II

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Papa Giovanni Paolo II,  dubbi sul miracolo


Il Vaticano smentisce l'ipotesi di un rallentamento nella causa di beatificazione

 

Milano – La causa di beatificazione di Giovanni Paolo II potrebbe subire rallentamenti, almeno secondo quanto afferma un giornale polacco. Sembrerebbe infatti che siano sorte perplessità sulla guarigione, finora considarata un miracolo attribuito all'intercessione di Wojtyla, di una suora malata di Parkinson. La stampa polacca sostiene che la Commissione medica del Vaticano avrebbe contestato tale avvenimento, poichè la diagnosi di Parkinson non era certa e anche in considerazione del fatto che da alcune forme di parkinsonismi si può guarire.

Secca la smentita del Vaticano: la notizia è stata definita "assolutamente priva di fondamento", perchè la Congregazione per la Causa dei Santi non ha ancora analizzato ufficialmente il caso.

S.C. (da LA VOCE quotidiano online)

Commento di Edda Cattani

La notizia colpisce il popolo dei credenti di tutto il mondo in linea con le indiscrezioni trasmesse finora dalla stampa che chiede un'accelerazione nel processo di beatificazione, fin dai funerali solenni: "SANTO SUBITO!" Ricordate le pagine del libro deposto sulla bara, sfogliate all'improvviso da un vento impetuoso… "…il Soffio dello Spirito…" si diceva.

Personalmente, nel bisogno, mi sono rivolta  a Dio chiedendo l'intercessione di questo grande Papa, sensibile e generoso, apostolo ortodosso dei dettami evangelici e, ad un tempo, dotato di grande umanità. Quando si ammalò gravemente il mio piccolo nipotino Simone, colpito alle proteine cerebrali da un male distruttivo, ho pregato con tutta me stessa che il Papa amico dei bambini, presentasse a Dio la mia supplica per la guarigione. Come testimonio nel videoclip MIRACOLI in questo sito, udii distintamente la voce di Papa Carol Wojtyla, a cui avevo intitolato una delle mie scuole, che pronunciava la parola "GUARITO!" …  e in  quel preciso momento Simone aprì gli occhi.

Aggiungo anche che continua la mia preghiera nel chiedere la guarigione del mio sposo, Mentore, colpito da una simile malattia degenerativa, pur nella consapevolezza che la prima grazia concessa al credente è "LA GUARIGIONE SPIRITUALE".

 

 

Edda CattaniPapa Giovanni Paolo II
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