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Medianità e Carismi

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MEDIANITA’ E CARISMI

 

Tempo fa una madre che aveva perso il suo bambino scrisse ad un giornalista, in una rubrica a lui riservata:

"Mi parli della morte. Me ne parli come vuole."

 

 

 

 

 

 

Il giornalista rispose: "Inizi col pensare questo: la morte, al pari di qualsiasi altra cosa, avviene per un perché che ci riguarda e ci trascende. Tragico e straziante della morte é che, quando colpisce, non ne conosciamo il perché. Per il nostro non sapere non esclude che il perché esista. In realtà esiste, ma noi non possiamo vederlo, dato che viviamo nella pianura della nostra condizione umana. Immaginiamo di trovarci in cima ad un monte e di vedere, giù nella valle, snodarsi una linea ferroviaria. Lontano, a sinistra, vediamo un treno che avanza e che, poi, si ferma improvvisamente, perché una frana è caduta sui binari e ha ostruito la linea.  A destra, sempre lontano, c'é una stazione dove la gente aspetta il treno. Nell'attimo in cui il treno si ferma davanti alla frana sappiamo già ciò che i viaggiatori che l'attendono in stazione ignorano e che, rispetto a noi, sapranno dopo un certo tempo. Per quelli giù a valle, la causa e l'effetto sono staccati

nel tempo. Per noi che ci troviamo nelle vette delle visioni superiori abbiamo, subito, in contemporanea, la visione della causa e dell'effetto".

 

 

      

Ecco il nocciolo del problema. Nella nostra condizione umana di persone legate, quotidianamente, a momenti negativi di frustrazione, di deprivazione, di disagio, di malessere, di dolore, di morte difficilmente riusciamo ad avere le visioni delle alte sfere.

 

Ma accade, talvolta, che qualcuno, a noi immensamente caro, dopo averci inaspettatamente lasciato, giunga a noi, dandoci segni di presenza inequivocabili e ci conforti con parole di speranza  e ci inviti ad avere fede. Sono le visioni delle sfere superiori, quelle che sono state date come dono a rari uomini nella storia, che vengono a noi e ci indicano che la morte, ogni morte ha un suo significato e non avviene invano. E' una causa determinante un effetto che non si limita al solo dolore, ma che reca qualcosa di più profondo.

 

Vediamo allora come possiamo considerare il tema della medianità, quella peculiarità di cui sono dotati rari individui. Chi è un medium? E’ un intermediario, è lo strumento attraverso cui qualcosa viene inviato. In termini spirituali, ogni tipo di medianità è in effetti una cooperazione dello spirituale con il sensibile. Nel suo insieme, forma l'armonia del potere verso una comunicazione con lo spirito. I medium sono accompagnati da uno spirito guida, un saggio che comunica pensieri di alto contenuto spirituale.

La seconda metà dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento sono caratterizzati dalla grande Medianità che si esprime attraverso Medium di eccezionali capacità. Verso gli anni Trenta del ventesimo secolo il panorama cambia totalmente e l'attenzione si sposta a quei fenomeni che costituiscono la base moderna della parapsicologia e sono attribuibili esclusivamente all'uomo. Si continuano a studiare i medium, ma viene data la preferenza a fenomeni suscettibili di sperimentazione in laboratorio e di valutazione statistica: nasce la parapsicologia quantitativa. Essa consiste nello studiare sperimentalmente casi molto semplici, ripetuti migliaia di volte in varie condizioni, anche con soggetti dotati di scarsissima sensitività.
Mentre la ricerca proseguiva nei laboratori – dove venivano analizzati soprattutto i fenomeni della Telepatia, della Chiaroveggenza, della Precognizione e della Psicocinesi – i Fenomeni Medianici continuavano a presentarsi.

Negli anni Venti e Trenta l'entità Symbole aveva dettato importanti Comunicazioni alla medium francese Jeanne Laval, mentre in Italia una voce aveva trasmesso al sensitivo Pietro Ubaldi una serie di messaggi in cui venivano trattati i rapporti che intercorrono tra spirito e materia. Fu dal secondo dopoguerra che si ebbe una svolta nella Medianità intellettiva. In Italia negli anni 1945-1946 cominciano a svilupparsi le medianità di due sensitivi eccezionali: Roberto Setti, a Firenze, e Corrado Piancastelli, a Napoli. Attraverso essi si è avuta una ricchissima produzione di Comunicazioni Medianiche ad alto livello intellettivo. Il gruppo formatosi attorno a Roberto Setti, denominatosi Cerchio Firenze 77, ha raccolto e pubblicato in volumi la ricca produzione di messaggi ottenuti in quarant'anni di medianità, mentre quello riunito attorno a Corrado Piancastelli, facente capo al Centro Italiano di Parapsicologia (CIP) raccoglie e pubblica le comunicazioni nella rivista bimestrale CDA (Comunicazioni dell'Entità A).

La medianità è appunto la facoltà specifica dei medium, ovvero di quei sensitivi che fungono da mezzi, da tramite tra il mondo della realtà più visibile e banale e la realtà più profonda, misteriosa e nascosta. Come dicevo i medium sembrano intervenire direttamente con la personalità dei defunti, con l'anima del nostro passato, con la storia e le vicende della nostra umanità. Tutto questo è per essi abbastanza normale e la loro capacità viene naturalmente crescendo man mano che leggono, interpretano e divulgano i pensieri dell'umanità, soprattutto passata e defunta, attaverso i loro scritti ed il loro linguaggio.

Spiritismo e Medianità sono due termini evocativi di quel particolare campo di osservazioni che si occupano, oggi anche in veste scientifica, della possibilità che il mondo dei defunti possa in qualche modo interagire con il nostro, instaurando una sorta di dialogo.

La Medianità per incorporazione in particolare, è invece quella particolare facoltà dei medium che consente il loro contatto, a volta anche fisico, con i defunti, insomma la facoltà di assolvere alla funzione di tramite tra i due mondi.

Nell'ultimo decennio del 1800, inoltre, l'applicazione dell'Ipnotismo nella cura degli isterici portò, grazie agli studi di Sigmund Freud e di Josef Breuer, alla nascita di una nuova scienza, la Psicoanalisi. Questa ben presto, oltre ad una valenza terapeutica si sviluppò come tecnica di interpretazione dei contenuti della psiche. Man mano essa si allargò a una concezione generale della realtà e dei rapporti tra psiche e corpo. Contemporaneamente, però, aumentarono le difficoltà teoriche e pratiche, e anche le divergenze tra i seguaci della stessa dottrina psicoanalitica. Si arrivò, così, alla separazione tra Carl Gustav Jung e il suo maestro Sigmund Freud, considerato il padre della Psicologia del profondo. Nel tempo la Psicoanalisi ha portato alla nascita di diverse ramificazioni rispetto alla teoria originale, costituendo però, una base per lo studio dell'interiorità dell'uomo.



Il termine Ricerca Psichica è la traduzione dell'espressione inglese Psychical Research adottata ufficialmente nel 1882 dai ricercatori inglesi della S.P.R. per indicare lo studio dei Fenomeni Paranormali. ma non era, però, l'unico a definire tale studio. Nel 1905 Richet indicò lo studio "di tutti i fenomeni meccanici o psichici che sembravano dovuti a forze intelligenti sconosciute o a fattori intelligenti latenti nell' inconscio umano" con il termine Metapsichica, che venne utilizzato, poi, in Francia e in Italia. Alla fine del 1800, invece, il medico tedesco M. Dessoir aveva creato il termine Parapsicologia, che venne preferibilmente usato in Germania e nei paesi germanici. Al Congresso Internazionale di Parapsicologia tenuto a Utrecht nel 1953 venne proposto che lo studio dei fenomeni paranormali venisse universalmente conosciuto con il nome Parapsicologia.
Tuttavia, nonostante la differenza etimologica i termini Ricerca Psichica e Parapsicologia vengono utilizzati indifferentemente.

Abbiamo parlato di una parapsicologia quantitativa, tuttavia non viene abbandonata quella qualitativa ogni qualvolta si presentino Sensitivi eccezionali. Questo è il caso di di Gustavo A. Rol in Italia, per la sua Sensitività ad Effetti Fisici.



Si definisce “sensitivo” un individuo che sa raggiungere i livelli superiori, che ha la capacità di ricevere le impressioni, le vibrazioni, che sono oltre quelle di solito percepite dai cinque sensi.

Molti potrebbero arguire che tutti sono sensitivi in gradi distinti, ma il termine tende ad assumere un valore maggiore per coloro che in effetti vi si rapportano per processare le influenze dei livelli superiori. Come nel caso di tutte le capacità psichiche, alcuni possiedono determinati doni, mentre altri devono focalizzarsi maggiormente sul loro sviluppo. Il sensitivo non deve per forza essere un medium, a meno che lui/lei sia abbastanza sensibile da controllare un'entità disincarnata.

La scrittura automatica è una capacità psichica, ma è pure una delle più difficilmente controllabili, dato che richiede una maggiore distinzione tra i pensieri di questo mondo e quelli l'altra parte.

Una delle grandi limitazioni di molti sensitivi risiede nell'essere emotivamente coinvolti con un individuo o un concetto. Il che blocca o limita le informazioni che di norma invece dovrebbero ricevere.

Abbiamo definito peculiarità di alcuni individui eccezionali la medianità ed anche l’essere sensitivi è una dote con cui si nasce e che non possiamo definire nelle sue capacità e nei suoi limiti.

 

 

 

 

 

Ma in questa sede vogliamo parlare di altri doni, o meglio, di “carismi come doni dello Spirito Santo”. Cosa sono questi carismi?

L’apostolo Paolo dice ai Corinzi: "Circa i doni spirituali, fratelli, non voglio che siate nell’ignoranza. Perciò vi fo sapere che nessuno può dire: Gesù è il Signore! se non per lo Spirito Santo. Or vi è diversità di doni, ma v’è un medesimo Spirito. E vi è varietà di operazioni, ma non v’è che un medesimo Iddio, il quale opera tutte le cose in tutti. Or a ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per l’utile comune. Infatti, a uno è data mediante lo Spirito parola di sapienza; a un altro, parola di conoscenza, secondo il medesimo Spirito; a un altro, fede, mediante il medesimo Spirito; a un altro, doni di guarigioni, per mezzo del medesimo Spirito; a un altro, potenza d’operar miracoli; a un altro, profezia; a un altro, il discernimento degli spiriti; a un altro, diversità di lingue, e ad un altro, la interpretazione delle lingue; ma tutte queste cose le opera quell’uno e medesimo Spirito, distribuendo i suoi doni a ciascuno in particolare come Egli vuole" (1 Cor. 12:1-11).

Vengono definite “segno dei tempi” le guarigioni che Padre Pio ha ottenuto, intervenendo nell’anima e nel corpo di tanti derelitti; sono grandi meriti di pietà e di pace le opere fondate da Madre Teresa, implorata quale madrina del Terzo Millennio.

        Figure eclatanti, di grande spessore spirituale, da portare ad esempio! Padre Pio, nessuno ora lo nasconde, aveva  particolari carismi e aveva contatti diretti con il mondo spirituale, con le forze del bene e del male. E’ passato a nuova vita chiamando “Gesù, Maria” che forse  gli sono apparsi materialmente in quel momento così importante.

Madre Teresa, la cui causa di santificazione è appena iniziata,  ha tenuto stretto il rosario fra le mani tutta la vita, assentandosi spiritualmente dal contesto terreno, nei momenti di preghiera, in un’estasi degna dei più grandi mistici.

Ma che cosa aveva di speciale Padre Pio per catalizzare intorno a tanto interesse e tanta venerazione? oltre le piaghe come il crocifisso, che rimanevano nelle mani, abitualmente coperte da mezzi guanti color marrone, che si toglieva solo per celebrare? Sarebbero bastate solo queste per farlo apparire come un essere superiore, perchè quelle piaghe emanavano a volte un profumo inconfondibile, che inondava i presenti, e veniva avvertito, in certe circostanze, anche da persone in paesi lontani.
E già questo era miracoloso. Si ambiva, subito dopo la messa, riuscire a baciarle prima che in sagrestia si rimettesse i guanti. E si ricercava sul bancone dove si vestiva e si spogliava le crosticine che nel togliere e nel rimettere i guanti vi cadevano sopra; conservate come reliquie, quelle crosticine continuavano ad emanare il caratteristico profumo di Padre Pio, e verıivano considerate miracolose.

L'introspezione delle anime

A parte i segni già di per eccezionali che portava sul suo corpo, era evidente in Padre Pio la sua capacità di vedere l'intimo delle anime, illuminato com'era da Dio. Ciò era abituale in confessione, dove i penitenti si sentivano non di rado ricordare dei peccati non detti. E se l'omissione era stata involontaria, e si trattava di cose veniali, tutto poi filava liscio. Ma se era stata fraudolenta e se si trattava di cose gravi i rimproveri di Padre Pio salivano per così dire alle stelle, tanto erano aspri e sferzanti, e il più delle volte il peccatore veniva scacciato in malo modo. Coram populo, perchè Padre Pio non aveva mezze misure. L'umiliazione era grande, non tanto per la vergogna di quel ripudio pubblico, che intimoriva anche gli altri che attendevano il loro turno, ma il più delle volte per l'orgoglio ferito.
Come si permetteva quel frate di trattare in quel modo una persona umana? Con quale diritto? Con quale autorità? E c'era chi se ne andava sdegnato, giurando che non avrebbe rimesso più piede in quel posto; salvo poi a ripensarci, anche con l'aiuto di qualche samaritano che spiegava come stavano le cose, e li guidava e assisteva per una nuova confessione, con altri sacerdoti se non con Padre Pio. Per questi scaccioni in confessione, si vedeva gente piangere dopo. Un pianto che faceva bene, perchè faceva loro vedere con più chiarezza tutti i loro comportamenti. Ma anche fuori della confessione spesso in Padre Pio si rivelava questo discernimento interiore: quando nel mezzo della folla rimproverava ad alta voce qualcuno, o senza dire nulla ritirava la mano a chi si disponeva a baciarla, o addirittura passava oltre nel fare la comunione ai fedeli. C'erano poi le volte che strapazzava di fronte a tutti una persona, lasciando di stucco gli altri.
E c'era sempre un motivo, che in genere sapeva solo il malcapitato.

La bilocazione

Di certo, la testimonianza del dono della bilocazione in Padre Pio ci viene da lui stesso.
Una volta, mentre stava con le sue prime figlie spirituali nella foresteria del convento per le consuete conferenzine, apparve a un tratto come assente.
La cosa si prolungava troppo a lungo perchè si trattasse di una semplice concentrazione interiore.
Alla fine si riscosse, e alla domanda di che cosa gli fosse accaduto, rispose con semplicità che era stato in America a trovare il fratello Michele.
Troviamo poi negli Epistolari chiare rivelazioni di una sua visita a una figlia spirituale di Foggia inferma: Giovina, sorella di Raffaelina Cerase, con la quale Padre Pio era in corrispondenza quando si trovava a Pietrelcina e che era stata l'occasione della sua venuta a Foggia, e poi a San Giovanni Rotondo.
Noi ci limitiamo a questi due casi che vengono dallo stesso Padre Pio.
Ma dobbiamo aggiungere che anche il profumo era un segno della sua presenza, o per lo meno della sua assistenza nella preghiera. Lo avvertivano anche persone che non avevano mai avuto nessun contatto con lui.
Era di solito un buon odor di violette, intensissimo e inconfondibile. Ma a volte si sentiva un odore di tabacco, o anche di acido fenico.
Quest'ultimo, Padre Pio l'aveva usato per qualche tempo subito dopo la stimmatizzazione come disinfettante. In quanto al tabacco, Padre Pio usava annusarlo per liberare le narici intasate.
Vengono comunemente assegnati dei significati a una intera gamma di altri odori attribuiti a Padre Pio; ma, sinceramente, sono attribuzioni opinabili.
Quel che è certo è che Padre Pio anche da lontano faceva sentire la sua presenza o assistenza.
E' anche certo che il suo sangue non aveva un odore repellente, ma gradevole. Ne rimanevano intrisi anche i fazzolettini e le pezzuole poggiate sulle sue piaghe.
Chi riusciva ad averne uno, in qualche modo trafugato dalla sua cella, lo conservava gelosamente come una reliquia, ricorrendovi nei momenti di bisogno.



In questa sede però noi andiamo oltre e, come dice l’apostolo Paolo “i doni dello Spirito sono dati a tutti” e dopo avere parlato di “morte” vorremmo spiegarci come possa accadere che “qualcuno torni”…. come dice Paola Giovetti nel suo libro….

Cosa accade dunque, quando, talvolta, qualcuno, a noi immensamente caro, dopo averci inaspettatamente lasciato, giunge a noi, dandoci segni di presenza inequivocabili e ci conforta con parole di speranza  e ci invita ad avere fede?

 

 

Negli anni quaranta una piccola donna, Marcelle de Jouvenel, appartenente alla cerchia dei più illustri talenti della Belle Époque parigina, perde il suo unico figlio non ancora quindicenne e, ad una donna di mondo quale lei era, è data una esperienza unica, a quel tempo, di comunicazione con il giovane Roland che le detta meravigliosi messaggi che egli definisce “le mie tavolette d’Oro”. Persona di particolare fascino, colta, scrittrice e poetessa, elegante e artificiosa, mondana negli atteggiamenti, era sprovvista di qualsiasi formazione religiosa

        Lo Spirito soffia dove e quando vuole. E’ forse capriccioso il soffio dello Spirito? No, diciamo piuttosto che è libero.

        Ma perché a Marcelle de Jouvenel è dato di essere partecipe di una vicenda tanto singolare? Non vi erano state forse altre madri che avevano perso i figli nella catastrofe della guerra? Viene da pensare che, nel periodo postbellico, nella desolazione del contesto europeo,  fosse necessario che il “diapason del cielo” raggiungesse un personaggio noto, capace di influenzare gli uomini e le donne del suo tempo. Marcelle, infatti, dichiara: “Sono stata gettata in un’avventura che, senza dubbio, all’inizio, mi ha più spaventata che convinta. Libera di scegliere, mi sarei sottratta a quel compito…

        Ma il figlio tanto amato non l’abbandona e la porta ad intraprendere un percorso spirituale straordinario e sconvolgente, che l’avvicina ai vissuti dei grandi mistici. Marcelle si dispone attenta agli insegnamenti del figlio che la forgia spiritualmente e la porta a stilare contenuti e concetti, inerenti la dottrina cattolica, a lei ignoti, che l’affascinano e le fanno mutare le scelte di vita e la portano a rendere un’incisiva testimonianza con la pubblicizzazione dei messaggi di Roland.

        L’ambiente in cui si propaga la notizia e che  viene posto davanti all’eterna questione della sopravvivenza post-mortem e delle comunicazioni con l’aldilà è quello dell’élite intellettuale francese.

        Siamo nell’immediato dopoguerra; i messaggi vengono raccolti e pubblicati riscuotendo commozione ed interesse, oltre che a qualche naturale scetticismo.

 Au diapason  du Ciel” è un libro scritto a quattro mani, da una parte Roland, dall’altra Marcelle; una madre ed un figlio che si parlano, si amano come un tempo, nella vita terrena. Roland ricolma la madre di premure, di tenerezze. Quando lei cede egli la raddrizza, le fa coraggio, le chiede di parlare alla gente del loro contatto.

        Finalmente qualcosa di tangibile per chi è disperato! Le parole scritte sembrano offrire una risposta segreta ad una speranza diffusa, che non è una semplice pia scappatoia, alle madri che avevano perso giovani figli, soprattutto nelle campagne di Francia del 30/40 e del  44/45 a cui si sarebbero aggiunti i caduti d’Indocina e d’Algeria.

        Perché a Marcelle questo dono dello Spirito, perché questo compito? Nessun filosofo, nessuno scienziato, nessun giornalista, nessuno di quelli che fanno opinione avrebbero ottenuto la stessa risonanza intorno a fenomeni di cui, fino ad allora, si era parlato solo a bassa voce.

        Intervengono illustri esponenti della chiesa, quali Padre Daniélou che nella rivista “Études” definisce il testo dei messaggi “un documento prezioso, in grado di far risuonare la certezza che l’aldilà sia lo sviluppo reale dell’essere”;  il Rev.do Padre Valette, domenicano, così si esprime “niente di questo insegnamento si oppone ai dati più certi della fede” il Rev.do padre Louis Beirnaert scrive “Dio si serve di tutto per raggiungere il cuore dell’uomo. “Au diapason du ciel” è tutt’altro che un racconto di un’esperienza parapsicologica. Ricondotto al suo contenuto è soprattutto la testimonianza di un’ascesa spirituale verso la fede”.

        La ferita che si apre nel cuore di una madre per la morte di un figlio, schiude la porta di Dio e ci rende partecipi dei doni dello Spirito.

        “Mamma, ti ho messo in sintonia col diapason del Cielo”, dice Roland. Il “diapason” è il punto più alto, la massima intensità del Cielo.

Non c’è Pasqua, non c’è Resurrezione che non passi dal crogiolo del Venerdì Santo. La Passione, la sofferenza portano alla Pentecoste.

 

Sono queste le visioni delle sfere superiori, quelle che sono state date come dono a rari uomini nella storia, che vengono a noi e ci indicano che la morte, ogni morte ha un suo significato e non avviene invano. E' una causa determinante un effetto che non si limita al solo dolore, ma che reca qualcosa di più profondo.

 

Proviamo a pensare: nel morire non viene tolto soltanto, ma viene

dato. Come la morte dei genitori porta maturità ai figli rimasti,

così l'eredità che deriva dalla morte è un ricevere, che è un

avere. Chi seguita a vivere, dunque, in questa dimensione, assieme

col dolore per la dipartita di un proprio caro, beneficia di

un'eredità lasciata dallo scomparso.

 

L'eredità in soldi la si tocca e la si vede subito. L'altra eredità, quella più significativa e profonda, non è subito tangibile e visibile, perché agisce nel tempo, a lunga distanza.

Possiamo però, cercare di individuarla, di scoprirla, di promuoverne l'azione nel tempo. E’ l’opera a cui si sono assoggettate le “mamme carismatiche” che, come  Marcelle de Jouvenel sono coloro che pazientemente hanno cercato, nella loro disperazione, una comunicazione con l’oggetto amato ed hanno sviluppato in se stesse delle facoltà che possiamo definire “carismi” doni dello Spirito.

 

Giungere a recepire un messaggio di questo genere è addentrarsi nell’inconoscibile, è prendere atto, con la semplicità dei bambini che non siamo noi ad aver voluto questa risposta, come non siamo stati noi ad avere ingenerato la nostra situazione. Qui la libertà vien meno, ma non è cessata la razionalità dell'accadimento umano che ci coinvolge e della comunicazione che si è accostata a noi attraverso un percorso, diciamo, inconsueto.

Si tratta di uno dei fenomeni cosidetti "strani" che vengonoriconosciuti come appartenenti al "paranormale", campo questo che si occupa di tutta una serie di indizi che fanno credere alla sopravvivenza dopo la morte fisica.

 

Abbiamo, finora, fatto alcune considerazioni su fatti che, comunque, appartengono, in gran parte, al Piano della Religione e della Fede.

La funzione dei concetti esposti è perciò indirizzata a distinguere il campo di azione condiviso dalle generazioni dei "credenti" opponibile a quello coperto, oscuro, diciamo "profano", occulto (di qui, il temine 'occultismo' con cui, spesso, si è fatta di ogni erba un fascio), riferito ai cultori delle manifestazioni legate ai fenomeni cosidetti "spiritici".

 

Se la fede è data all'uomo come conquista spirituale ed ha come

obiettivo la "vita eterna", tramandataci dalla rivelazione, oggi il

"profano" è oggetto di studio, anche da parte della scienza, agisce

su base fenomenica e tenta di dare risposta alle ipotesi sulla

"sopravvivenza".

 

Possiamo ribadire che vita eterna e sopravvivenza sembrerebbero

legate a doppia mandata, ma se la prima, appartiene al campo delle

"certezze" dello spirito (pur riconoscendo all'uomo la libertà di

accettarle o meno), la seconda, dipana il campo, come abbiamo

visto, degli indizi, delle complessità riconosciute razionalmente,

ma pur sempre soggettive, sperimentali e probabilistiche, che non

daranno mai una definitiva soluzione.

 

 

Ma, al di là dei tentativi strumentali, inadeguati e spettacolari che ci vengono dai mass media, si teme di esprimersi in merito per non essere oggetto di sarcasmo e spesso, quando se ne parla, proprio perché‚ si disserta sulle ipotesi, si rischia di cadere nel banale e di fare una magra figura. Perciò ci si pronuncia con i 'forse' e l' 'ognuno la pensi come vuole', quando l'uditorio non giunga a rinnegare tutto il possibile, l'evidente, il macroscopico.

 

D'altra parte pensare che la scienza debba riconoscere, così, di brutto, apertamente, che la morte non esiste e che i morti ci sono accanto, ci parlano e sono molto più felici di noi, è difficile, se non impossibile!

 

Ecco allora farsi avanti, sempre più folta una marea di madri, di spose, di figli, di parenti che hanno aperto, senza tentennamenti, coraggiosamente, il loro animo, il loro cuore, la loro mente al campo della ricerca.

 

Fra questa gente, motivata dal tentativo disperato di stabilire un contatto con i loro Cari trapassati, si sono trovati "soggetti psichici" di notevole attendibilità, le cui esperienze sono oggetto di rispettosa attenzione. Io stessa, con mio marito, assolutamente privi di cognizioni riguardanti la parapsicologia e le discipline ad essa collegate, abbiamo scoperto di possedere una sensitività che

non sappiamo a cosa ricondurre, se non al trauma della nostra grande sofferenza che ci ha portato ad intrapredere una strada tortuosa e difficile, ma non impossibile.

 

Da cosa essa derivi, come si sia attivata, come potrà svilupparsi, non potremmo dirlo. La viviamo come esperienza unica e salvifica, perché ci fa sentire sulla pelle il dolore di tutte le genti, lontane e vicine che ci accomuna in un naturale, fraterno abbraccio.

  

 

Ciò che, nel secolo scorso e anche nei primi decenni di questo era oggetto di interesse da parte di un pubblico ristretto che non osava riferirne all'esterno, oggi si presenta come patrimonio che scaturisce da una "piccola medianità", appartenente a schiere di, non sempre riconosciuti, sperimentatori che giungono a portare un contributo rilevante al campo della ricerca.

 

Le manifestazioni che si sono, via via, moltiplicate, recando conforto a gruppi, sempre più numerosi, di anime sofferenti per la perdita di una persona Cara, non possono più essere considerate solo "indizi" riconoscibili nelle esperienze soggettive, ma sono divenute "certezze" prima per Fede, poi per esperienza; carismi che ci sono stati offerti, gratuitamente.

 

Non voglio, con questo, avvallare tutto quanto ciascuno di noi, porta con nel suo bagaglio privato. Vi sono, magari, cose "strane" che danno risposte esclusivamente personali, ma ve ne sono alcune che non è possibile rinnegare. 

 

“ La mia barca è una conchiglia, Signore, nella tua mano. Ho sete di veleggiare all’orizzonte del tuo sguardo e di approdare alla luce del tuo volto… tu, che attraverso mio Figlio, mi hai lasciato intravedere la beatitudine del Paradiso!”

 

 

  

Edda CattaniMedianità e Carismi
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I “carismi” di Padre Pio

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Ricevo da un amico navigatore oggi e pubblico:

       A Padre Pio

 Padre che del Gargano resti un sole,
accogli questa supplica sincera,
non c’è bisogno di molte parole
perché procacci a me la gioia vera.

 E mi giunge un profumo di viole
mentre rivolgo l’umile preghiera:
ancora esorti a seguir chi vuole
la via del Vangelo veritiera.

 Tu che d’ardor serafico colmasti
l’intera vita afflitta dal dolore,
ricordati di me di fronte a Dio.

 L’esempio dato a noi penso che basti
a meritar le grazie del Signore
perché Sei tanto grande, Padre Pio!

                       Domenico Caruso

S. Martino di Taurianova (R.C.)

 

 

 

 123 anni fa nasceva Padre Pio da Pietralcina:

il santo dei miracoli

I “carismi” di Padre Pio

 

 

 

 

 

Padre Pio diceva Messa sempre molto presto, alle prime luci dell'alba, se non prima.
Molto spesso all'altare laterale dell'Immacolata, ma anche a quello centrale e, in seguito, a quello di san Francesco. Dopo il ringraziamento, confessava gli uomini in sagrestia, poi nella chiesetta le donne.
Al termine di tutte le confessioni, tornava in sagrestia per indossare cotta e stola, e rientrava in chiesa per distribuire la comunione ai fedeli.
Non di rado l'ora era tarda, e poiché vigeva la norma che bisognava essere digiuni del tutto, acqua compresa, fin dalla mezzanotte, non era un sacrificio da poco per i fedeli.
Al pomeriggio, dopo il riposo, Padre Pio ridiscendeva in sagrestia per confessare gli uomini.
In certi periodi o in certi giorni c'erano abbastanza fedeli per impegnarlo tutta la giornata, in altri no.
Comunque tutto, confessione, eventuale incontro extra con Padre Pio, si esauriva di solito in giornata.
A poco a poco, intanto, qualche timida casetta cominciava ad apparire nella zona, fatta costruire da forestieri che venivano a risiedervi stabilmente o volevano una base propria per le loro venute periodiche; e anche da famiglie del paese desiderose di avvicinarsi di più al convento dov'era Padre Pio.
Perché egli era ormai al centro come di una famiglia, che si estendeva sempre più, guidando come un autentico padre, non solo spiritualmente, ma anche con consigli d'ordine pratico, oltre persone del posto assidue al suo confessionale e agli incontri extra, anche molte altre lontane.
Tutte avevano per lui un'autentica venerazione: pur considerandolo come una persona di famiglia, e avendone e ricevendone confidenza, vedevano in lui un sigillo soprannaturale.
E alcune si affidavano a lui in toto, in una sequela spirituale senza riserve, bevendo e meditando i suoi insegnamenti, ricevuti in confessione, e anche in brevi messaggi scritti che si aggiungevano alle numerose lettere dense di spiritualità, scritte fin quando poté farlo.

Il profumo

Ma che cosa aveva di speciale Padre Pio per catalizzare intorno a sé tanto interesse e tanta venerazione? oltre le piaghe come il crocifisso, che rimanevano nelle mani, abitualmente coperte da mezzi guanti color marrone, che si toglieva solo per celebrare? Sarebbero bastate solo queste per farlo apparire come un essere superiore, perché quelle piaghe emanavano a volte un profumo inconfondibile, che inondava i presenti, e veniva avvertito, in certe circostanze, anche da persone in paesi lontani.
E già questo era miracoloso. Si ambiva, subito dopo la messa, riuscire a baciarle prima che in sagrestia si rimettesse i guanti. E si ricercava sul bancone dove si vestiva e si spogliava le crosticine che nel togliere e nel rimettere i guanti vi cadevano sopra; conservate come reliquie, quelle crosticine continuavano ad emanare il caratteristico profumo di Padre Pio, e verıivano considerate miracolose.

L'introspezione delle anime

A parte i segni già di per sé eccezionali che portava sul suo corpo, era evidente in Padre Pio la sua capacità di vedere l'intimo delle anime, illuminato com'era da Dio. Ciò era abituale in confessione, dove i penitenti si sentivano non di rado ricordare dei peccati non detti. E se l'omissione era stata involontaria, e si trattava di cose veniali, tutto poi filava liscio. Ma se era stata fraudolenta e se si trattava di cose gravi i rimproveri di Padre Pio salivano per così dire alle stelle, tanto erano aspri e sferzanti, e il più delle volte il peccatore veniva scacciato in malo modo. Coram populo, perché Padre Pio non aveva mezze misure. L'umiliazione era grande, non tanto per la vergogna di quel ripudio pubblico, che intimoriva anche gli altri che attendevano il loro turno, ma il più delle volte per l'orgoglio ferito.
Come si permetteva quel frate di trattare in quel modo una persona umana? Con quale diritto? Con quale autorità? E c'era chi se ne andava sdegnato, giurando che non avrebbe rimesso più piede in quel posto; salvo poi a ripensarci, anche con l'aiuto di qualche samaritano che spiegava come stavano le cose, e li guidava e assisteva per una nuova confessione, con altri sacerdoti se non con Padre Pio. Per questi scaccioni in confessione, si vedeva gente piangere dopo. Un pianto che faceva bene, perché faceva loro vedere con più chiarezza tutti i loro comportamenti. Ma anche fuori della confessione spesso in Padre Pio si rivelava questo discernimento interiore: quando nel mezzo della folla rimproverava ad alta voce qualcuno, o senza dire nulla ritirava la mano a chi si disponeva a baciarla, o addirittura passava oltre nel fare la comunione ai fedeli. C'erano poi le volte che strapazzava di fronte a tutti una persona, lasciando di stucco gli altri.
E c'era sempre un motivo, che in genere sapeva solo il malcapitato.

La bilocazione

Di certo, la testimonianza del dono della bilocazione in Padre Pio ci viene da lui stesso.
Una volta, mentre stava con le sue prime figlie spirituali nella foresteria del convento per le consuete conferenzine, apparve a un tratto come assente.
La cosa si prolungava troppo a lungo perché si trattasse di una semplice concentrazione interiore.
Alla fine si riscosse, e alla domanda di che cosa gli fosse accaduto, rispose con semplicità che era stato in America a trovare il fratello Michele.
Troviamo poi negli Epistolari chiare rivelazioni di una sua visita a una figlia spirituale di Foggia inferma: Giovina, sorella di Raffaelina Cerase, con la quale Padre Pio era in corrispondenza quando si trovava a Pietrelcina e che era stata l'occasione della sua venuta a Foggia, e poi a San Giovanni Rotondo.
Noi ci limitiamo a questi due casi che vengono dallo stesso Padre Pio.
Ma dobbiamo aggiungere che anche il profumo era un segno della sua presenza, o per lo meno della sua assistenza nella preghiera. Lo avvertivano anche persone che non avevano mai avuto nessun contatto con lui.
Era di solito un buon odor di violette, intensissimo e inconfondibile. Ma a volte si sentiva un odore di tabacco, o anche di acido fenico.
Quest'ultimo, Padre Pio l'aveva usato per qualche tempo subito dopo la stimmatizzazione come disinfettante. In quanto al tabacco, Padre Pio usava annusarlo per liberare le narici intasate.
Vengono comunemente assegnati dei significati a una intera gamma di altri odori attribuiti a Padre Pio; ma, sinceramente, sono attribuzioni opinabili.
Quel che è certo è che Padre Pio anche da lontano faceva sentire la sua presenza o assistenza.
E' anche certo che il suo sangue non aveva un odore repellente, ma gradevole. Ne rimanevano intrisi anche i fazzolettini e le pezzuole poggiate sulle sue piaghe.
Chi riusciva ad averne uno, in qualche modo trafugato dalla sua cella, lo conservava gelosamente come una reliquia, ricorrendovi nei momenti di bisogno.

Le grazie

La preghiera d'intercessione di Padre Pio l'otteneva grazie non imputabili all'intervento umano.
Senza arrivare, nella stragrande maggioranza dei casi al miracolo vero e proprio.
I benefici che ottenevano quelli che ricorrevano a Padre Pio sono incalcolabili, e tuttora è così.
Quando gli si raccomandava di pregare per questa o quella cosa annuiva subito, e a sua volta esortava anche il ricorrente a pregare.
In particolare, la sua preghiera abituale, diffusissima tra ı suoi devoti, era la "coroncina al Cuore di Gesù". Che Padre Pio recitava ogni giorno.
A volte il profumo intenso che si avvertiva era il segno, oltre che della sua presenza, della grazia; e si vedeva subito.
Ma quando qualcuno lo ringraziava, Padre Pio in genere rispondeva: "Non me ringrazia, ma la Madonna".
Ma se qualche fedele lo metteva quasi alle strette, dopo qualche segno straordinario, chiedendogli: "Padre, eravate voi?" rispondeva di solito: "E chi volevi che fosse?".
Altre volte, da una osservazione che faceva su particolari della persona che non poteva umanamente conoscere, si capiva chiaramente il suo intervento.

 

 

Edda CattaniI “carismi” di Padre Pio
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Padre Pio: il santo delle guarigioni

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Padre Pio, l'urna con le reliquie trasferita nella cripta superiore

Le spoglie del santo verranno traslate nella chiesa nuova. Intanto sono state portate nella cripta superiore del santuario di San Giovanni Rotondo: e, all'apertura del mattino, i fedeli hanno avuto la sorpresa di vedere l'urna in chiesa

 25 aprile 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

IL SANTUARIO DI  PADRE PIO

A San Giovanni Rotondo c’è una nuova grande chiesa. Un santuario dedicato a San Pio da Pietrelcina. Una chiesa stupenda, meravigliosa, firmata da Renzo Piano, il più celebre architetto italiano del nostro tempo. Un’opera destinata a restare nella storia non solo come straordinaria costruzione,  ma anche come autentico capolavoro d’arte, che rappresenterà nei secoli la genialità architettonica del nostro tempo.

Con l’inaugurazione di questa chiesa, primo luglio 2004,  si chiude, in un certo senso, un ciclo dell’esistenza di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, il ciclo temporale, della sua permanenza in quel luogo, dal primo contatto, luglio 1916, alla dedicazione del santuario. Ma si apre il secondo grande ciclo, quello storico, quello della testimonianza destinata a durare nei secoli: testimonianza costituita dal santuario, dalle folle dei pellegrini, e dalle grazie che la gente continuerà ad ottenere per  intercessione del santo.

E’ interessante vedere i cambiamenti incredibili che Padre Pio ha portato, con la sua presenza, in questa zona del Gargano.

Il religioso cappuccino giunse per la prima volta a San Giovanni Rotondo nel luglio del 1916. E precisamente la sera del 28 luglio. Aveva allora 29 anni ed era molto malato. Si trovava nel convento di Foggia, ma il caldo opprimente che in quei giorni imperversava sulla Puglia gli toglieva le forze. Un suo confratello, Padre Paolino, superiore nel convento di San Giovanni Rotondo, passando per Foggia e vedendo quanto Padre Pio soffriva, lo invitò a trascorrere qualche giorno lassù, sul Gargano.  Il convento di San Giovanni Rotondo, infatti, si trova a 600 metri sul livello del mare e quindi, la sera, in genere, è confortato da una brezza salutare. Padre Pio accettò l’invito e in quel conventino si trovò bene tanto che, rientrato a Foggia, dopo la breve vacanza, inviò una lettera al Superiore provinciale chiedendo di poter essere trasferito nel convento di San Giovanni Rotondo, dove, per il clima mite, la sua salute, sempre cagionevole, poteva trovare giovamento. Venne accontentato, e il 4 settembre di quell’anno ci fu il passaggio definitivo del giovane frate in quello che sarebbe poi stato il suo convento per tutta la vita.

San Giovanni Rotondo era allora un paese povero, isolato per mancanza di strade e infestato dai briganti.  Il convento sorgeva a circa tre chilometri dall’abitato, in luogo solitario e brullo, adagiato sul fianco della montagna rocciosa. Per raggiungerlo non c’erano strade, ma un viottolo.

Pochi giorni dopo il suo arrivo, Padre Pio scrisse ai genitori una lettera, che con il trascorrere del tempo risultò profetica. Il Padre scrisse tra l’altro: “Dopo un lungo viaggio sono arrivato finalmente nella mia reggia di San Giovanni Rotondo… Sento di rimanere qui tantissimo tempo e di non allontanarmi mai..”. Intatti, da San Giovanni Rotondo non si allontanò più, neppure da morto.

Il giovane Padre Pio pensava di dedicarsi, in quel luogo solitario, alla preghiera e alla contemplazione. Ma la sua presenza venne subito notata. Anche se era giovane, godeva fama di santità e alla domenica molte persone, partendo da Foggia e da altre cittadine pugliesi, affrontavano il viaggio disagevole per andare a parlare con Padre Pio.

Quando poi, nel 1919, si sparse la notizia che il fraticello aveva avuto il dono delle stigmate, le visite della gente diventarono valanghe di devoti, folle incontenibili, tanto da preoccupare le autorità civili, come si ricava da documenti presso la Reale Prefettura di Capitanata di Foggia. Il luogo non era attrezzato per ricevere tanta gente e le autorità temevano il diffondersi di epidemie.

Iniziò così l’avventura di San Giovanni Rotondo. Cominciarono a sorgere le prime pensioni, poi qualche albergo. Venne allargato il convento. Nel 1925, Padre Pio fece costruire un primo ospedale dedicato a San Francesco, che venne però trascurato e fallì.

Il Padre vedeva il futuro e diceva a tutti che San Giovanni Rotondo sarebbe diventata una “cittadella della medicina”.  Dopo la seconda guerra mondiale,  iniziò i lavori per la “Casa Sollievo della Sofferenza”, un ospedale per accogliere gli ammalati con lo spirito del Vangelo. Tutti criticavano quel progetto affermando che era una pazzia costruire un ospedale sul Gargano, luogo lontano dalle città e privo di comunicazioni. Quell’ospedale, perciò, era destinato al sicuro fallimento. Invece, come aveva previsto Padre Pio, quell’ospedale continuò a crescere ed è diventato oggi una autentica “cittadella della medicina”, essendo uno dei migliori ospedali europei, all’avanguardia in tutti i reparti, e anche sede universitaria per le ricerche scientifiche.

Mentre era ancora in corso la costruzione della “Casa Sollievo della Sofferenza”, Padre Pio pensò anche di allargare la chiesetta del convento. Il 31 gennaio 1955, iniziarono i lavori. Padre Pio continuava a ripetere al padre Superiore di allora: “Mi raccomando, fattela grande”.  Il primo luglio 1959 ci fu l’inaugurazione. Toccò a Padre Pio l’onore di tagliare il nastro ed entrare per primo nella nuova chiesa. E rimase amareggiato. “Ma che cosa avete fatto?”, disse  con tono deluso rivolto ai confratelli: “Avete costruito una scatola di fiammiferi”. Lui  si aspettava qualche cosa di più grande, certamente vedeva le folle che sarebbero arrivate lassù negli anni futuri.

Dopo la morte di Padre Pio, molti dicevano che San Giovanni Rotondo era destinato a fallire. Infatti, subito il flusso dei pellegrini subì un tracollo. Molti alberghi e negozi di souvenir dovettero chiudere. Ma la crisi durò meno di un anno. Poi la gente riprese ad accorrere alla tomba del religioso, e i pellegrini aumentavano di mese in mese. Qualche anno dopo, i confratelli di Padre Pio si resero conto che era necessaria una nuova chiesa per accogliere i pellegrini.

 <<Subito, fin dall’inizio, noi decidemmo di costruire una chiesa ampia, grande, come l’aveva sempre sognata Padre Pio>>, ci dice Padre Gerardo Saldutto, dice Padre Gerardo Saldutto, il religioso che ha seguito, come responsabile, la costruzione del Santuario per incarico dell’Ordine dei Frati Cappuccini.  <<Volevamo una chiesa grande ma che fosse, nello stesso tempo, in sintonia con lo spirito del nostro ordine e cioè semplice e umile. Non doveva essere un monumento eclatante,  vistoso. E Renzo Piano, da genio qual è, ci ha perfettamente accontentati. La chiesa ha la forma umile di una conchiglia. Vista dall’esterno, sembrerebbe addirittura piccola. Invece, è ampia ma di un’ampiezza sostanziale, che sprigiona calore, cordialità, spiritualità, e invita alla preghiera>>.

Più che una semplice chiesa, si tratta di un complesso di strutture. Quello che si vede dall’esterno,  è solo una parte di ciò che è stato costruito. La punta di un iceberg. Sotto la chiesa propriamente detta, quella che viene anche chiamata “aula liturgica”, ci sono altre costruzioni: una cripta, che è una seconda chiesa,  la penitenzeria, l’aula delle confessioni,  tre aule per incontri, dibattiti, proiezioni, ampi servizi igienici,  locali per l’accoglienza dei pellegrini, centro informazioni eccetera. Accanto alla grande “aula liturgica”, ci sono la Cappella dell’Eucarestia e la sacrestia, che ha una superficie di 550 metri quadrati con capacità di accogliere contemporaneamente 300 concelebranti

 L’aula liturgica ha una superficie di 5.700 metri e una capacita di  6.500 posti a sedere. Ma può ospitare anche altre 2.500 persone in piedi,  e si arriva così a dieci mila presenze. Il lato d’ingresso  della chiesa comunica con il sagrato, che ha una superficie di otto mila metri quadrati, capace quindi di contenere 40 mila persone. La parete divisoria, è costituita da una vetrata formata da oltre 100 infissi, per un totale di 500 metri quadrati di vetro. Quando gli infissi, che hanno un’apertura a finestre vasculanti, sono in posizione orizzontale, permettono, a chi sta sul sagrato, la visione delle celebrazioni che si svolgono all’interno della chiesa. Il sagrato diventa così una specie di prolungamento dell’aula liturgica.

Per realizzare il complesso sono occorse diedi anni di lavoro. E’ stato necessario scavare 70.000 metri cubi di roccia. Sono stati impiegati  30.000 metri cubi di cemento e 1320 blocchi di in pietra per complessivi 900 metri cubi. Per rispettare il verde, che padre Pio tanto amavo, intorno alla chiesa  sono stati piantati 2 mila cipressi, 500 pini, 230 querce, 30 olivi, 400 corbezzoli, 550 mirti, 23 mila lavande, 50 mila edere.

Entrando, ci si trova di fronte a un immagine meravigliosa. La volta dell’immensa “aula liturgica” è costituita da 22 archi in pietra, che “nascono” da un unico pilastro, posto accanto all’altare, e si diramano nello spazio andando poi a delimitare il perimetro dell’aula stessa. Il significato simbolico è chiaro: l’altare è il fondamento di tutto. Il pilastro, da cui partono gli archi, sostiene l’intera struttura portante della costruzione. E’ un pilastro che poggia su un plinto di fondazione del diametro di 26 metri, profondo sei, che è stato realizzato con un unica gettata in cemento armato, durata 74 ore e che ha richiesto l’impiego di 350 autobetoniere.

L’arco iniziale, quello che segna l’ingresso nell’aula liturgica, misura 45,80 metri, è alto metri 15.70:  è il più grande arco in pietra che esista al mondo.

L’interno della chiesa è impreziosito da opere di altissimo valore, create da artisti di fama mondiale: Arnaldo Pomodoro,  Giuliano Vangi, Floriano Bodini, Nicola De Maria, Domenico Palladino, Mario Rossello. L’organo, opera della  “Fabbrica artigiana Pinchi” di Foligno, è costituito da 6500 canne, 78 registri, 4 tastiere ed è alto dieci metri. E’ il più grande organo meccanico mai costruito in Italia.

Renzo Allegri

 

Edda CattaniPadre Pio: il santo delle guarigioni
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